Per
Ersilia, I'm addicted to you ❤
—
Scilla,
non...
— Non
significa nulla. Non è stato nulla.
— Perché
piangi per uno di loro?
Parli e la
tua voce si perde, monotona. Tua sorella è più
lontana delle stelle. Pensi di
poterla tenere tra le mani, ma non hai il coraggio di avvicinarti:
Scilla è
sconvolta, il suo corpo bianco è gonfio di potere e rabbia.
Stai in disparte,
affidando messaggi alle acque, domandandoti perché
si senta così; rubi
agli animali in fuga il ricordo del suo viso — gli occhi
neri, duri come
pietre, la bocca immobile, quasi avesse dimenticato di possederla. Non
c'è
traccia di dolore.
— Myrica,
fermala! — ti gridano le altre. Quando provi a toccarla
— lo fai per lei,
perché non le accada nulla — il suo potere ti
respinge: per un attimo serri le
dita attorno al suo braccio snello, poi ti ritrovi lontana.
Sei molto
più vecchia di Scilla e non hai mai avuto rimpianti. Ora
guardi tua sorella e
ti chiedi perché soffri per lei. Cominci a morire piano, in
uno stillicidio di
lacrime.
Ci
vogliono
anni perché Scilla torni in sé; tu e le altre
sorelle — quelle che vi rimangono
— la guardate da distante, con cautela, come se fosse una
tempesta. Lei sposta
bracci di fiume, si allontana ogni giorno di più.
Fai sogni
strani.
Cammini in
mezzo al grano maturo, c'è del sangue per terra e tu lo
calpesti. Stai seguendo
Scilla — e lo sai — ma trovi un corpo spezzato, due
begli occhi scuri ti
guardano senza vederti: è l'uomo di cui tua sorella
è innamorata. É il cadavere
di Papavero.
— Papavero —
sussurri, poi ti svegli.
Resti con
gli occhi aperti nella notte, ascoltando le grida di Scilla, che sono
più
bestiali che mai in quel silenzio. Rubi la vita agli uomini, ma un
attimo dopo
le spalle ti si incurvano come quelle di un vecchio, i loro corpi ti
cadono
dalle mani. Non hai più forza. Non sono pronta.
Stai morendo, ma non sei
preparata; vecchia come sei, potresti insegnare a Scilla tutto
ciò che le serve
sapere, invece il tuo corpo si sta sfaldando. Se lei non
tornerà da te in
fretta, avrà solo memorie di fantasmi.
Scilla
ti
chiede di Papavero, del sangue di Papavero.
Qualcuno ti
chiederebbe — ma chi? Sei terribilmente sola —
perché le rispondi, perché
l'aiuti.
Non sei
gelosa? Sì.
Non stai
male? Sì.
Perché ti
comporti come se la sua indelicatezza non ti ferisse? Perché
non mi ferisce.
La osservi.
L'hai odiata solo quando te la sei trovata davanti con lo scalpo di
un'altra
ninfa infilzato con le unghie — era la prova che lei aveva
protetto Papavero.
Non ricordi che ti abbia fatto altro di male, nulla che non fosse
scusabile per
la sua natura di ninfa giovane e irascibile. Scilla è bella,
ti allunghi per
sfiorarle le labbra carminio e ti ritrovi tra le sue braccia, sorretta
da lei.
— Myrica, che ti succede?
Scilla
vivrà. La curva è la linea degli Dei.
Anche
il
calore che Scilla riesce a donarti, salvifica — la sua pelle
brucia come il
sole sotto le tue labbra — svanisce poco a poco. Presto non
basterà a farti
reggere in piedi. Presto, non ora. Ora
c'è solo la sua bocca
rossa, i denti affilati che mostra spesso, nel suo sorriso da Signora
del
Fiume; c'è il suo corpo snello, nervoso, che percorri con le
dita. La sua pelle
è bianchissima: rompete a metà un pezzo di marmo,
guardatelo a mezzogiorno e
potrete immaginare la pelle di Scilla. Forse.
— Scilla,
penso che dovresti pensare agli uomini. Unisciti a loro. Non stare da
sola.
Lei si rizza
sulle braccia e ti guarda, lo sguardo dei suoi occhi neri ti fa paura.
— No — dice.
Tu non sei
fatta per guardare, quanto per percepire, e Scilla
è una sorgente di
potere vorace e asciutto: togliete tutti i petali a una rosa e quel che
resta è
l'essenza di mia sorella.
— Pensaci —
continui. Stai gocciolando via, poco per volta. No, vi prego.
Non sono
pronta.
Non
saprai
mai se voi ninfe avete un cuore. Forse sì, dato che quando
ti senti chiamare...
e ti volti... e incontri il nuovo mostruoso viso della tua sorella
preferita,
del tuo unico — lo pensi così piano che quasi non
ti senti — amore,
senti qualcosa che si rompe e ti provoca un dolore tremendo.
Ammutolita, ti
porti una mano al petto e massaggi. Gli occhi di Scilla ti scivolano
addosso.
— Scilla...
i tuoi occhi... — dici e senti il dolore filtrare attraverso
le crepe della tua
voce.
— Andati —
ti risponde lei, scrollando le spalle. Non riesci ad accettare la ninfa
che hai
di fronte: uno scarabocchio di fango, sabbia e alghe; i suoi lineamenti
finissimi ci sono ancora, ma è tutta trasformata, rovinata,
mutilata.
— Come hai
potuto?
— Non —
scrolla di nuovo le spalle — non è niente. Posso
sopportarlo.
Ma io no, vorresti dire, non
posso
sopportare di vederti ridotta così. E poi ti cade
addosso la verità: tu non
vivrai abbastanza per soffrire nel vedere che tua sorella non ha
più il bel
corpo di prima. Non vivrai abbastanza per abituarti. Non vivrai
abbastanza.
Punto.
Scilla ti
abbraccia, ti sporca di fango; non senti più il suo calore,
provi una paura
improvvisa che nel freddo di te stessa, all'interno delle tue ossa si
stia già
preparando la tragedia. — Tutte... dobbiamo... morire...
— raspi, sulle labbra
hai il sapore del tuo stesso sangue.
— No —
replica Scilla, con durezza. Scompare.
Nascondilo
a
fondo, ma non così a fondo da nasconderlo anche a te stessa.
Tu hai
sperato che Scilla fosse per te la stella, la lucciola, il sole
— contrai le
mani abbandonate sui fianchi — invece ti svegli sognando
Papavero: sogni il suo
cadavere con lo stomaco aperto e pieno di sangue, Scilla che rompe le
braccia a
suo fratello con i denti sporchi di nero e di rosso, li sogni insieme
— tutti e
due con la pelle chiara, tutti e due belli. Si danno baci umidi e
leggeri. Tu
tremi, piangi, ti svegli.
Sei una
ninfa vecchia, non credevi che potessi morire.
Non credevi
di poter morire per dolore, per amore del dolore del tuo amore
— altrimenti
perché piangi per Papavero che è l'amore morto di
Scilla che è il tuo amore —
invece... distendi le dita e ti sembra che ti piantino aghi e saette
nelle
giunture.
Singhiozzi
senza speranza, trascinandoti sul greto del fiume con le mani. Tua
sorella non
è più tornata: hai letto nel suo sguardo lo
schifo per la tua agonia. Adesso
che ha scambiato la sua bellezza con l'immortalità, ha un
timore superstizioso
per voi che state morendo.
D'un tratto,
un'immagine orribile ti passa davanti agli occhi: ti vedi mentri ti
alzi e i
tuoi capelli — la chioma blu di cui vai tanto fiera
— che si staccano con un straaap
e ti lasciano il cranio nudo e sanguinolento. Lì decidi che
non puoi andare
avanti, che se c'è ancora un alito di potere dentro di te
vuoi usarlo.
Se proprio
devi morire, pensi, vuoi farlo come desideri.
—
No, Myrica
— dice Scilla, dopo un lungo silenzio — non
verrò con te.
Ti stringe
la mano, l'ultima cosa che sia rimasta di te. Senti la forza delle sue
dita. Tu
sei solo acqua.
Voltandoti
un'ultima volta, ti sembrerà di vederla stranita... ma chi?
Bruci nel
mare.
Note
dell'autrice: Myrica e
Scilla, abbastanza femslash, vietata la copia. L'opera è di
Egon Schiele e si
intitola: "Two female nudes: one reclining, one kneeling, aka The
friends". Sembrano proprio loro due, solo con i capelli corti c: