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Autore: I Fiori del Male    01/05/2014    4 recensioni
AVVISO: Il titolo sarà familiare a molti di voi (quasi a tutti) visto che è lo stesso di uno dei film di Inuyasha. Quel che racconterò però non avrà niente a che vedere con il film, è solo che il titolo centra perfettamente l'intera storia, almeno per me.
Vivo a Tokyo da quando ho memoria; nonostante questo non sono sicuro di appartenervi, ho la sensazione che lo scorrere del mio tempo sia differente da quello di questa città, forse addirittura di questo intero mondo. Sono in qualche modo consapevole di provenire da qualcosa come un’altra epoca e non ho la più pallida idea di come io possa esser capitato proprio qui.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo, Kagome/Sesshoumaru, Kagura/Sesshoumaru, Rin/Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

- Segreti e malintesi–

 
 
Me ne sto seduta a terra, la mano intenta a massaggiare la caviglia dolorante in un gesto diventato ormai meccanico, perché la mia attenzione è focalizzata su qualcos’altro:
Un paio di orecchie canine.
Alzo il braccio, oltre la mano tesa di Inuyasha, indicandole con mano tremante.

-  Ma... ma-ma-ma-ma-ma-ma-ma-maaaaaaaa?????? –

Ho perso la facoltà di parola.

- Higurashi, sicura di stare bene? Non avrai preso una botta in testa? – mi chiede lui, sinceramente preoccupato ed evidentemente ignaro di quel che sto vedendo. Il cappello che indossa di solito è ormai abbandonato sul pavimento e adesso capisco perché non l’ho mai visto senza.
Prendo un bel respiro.

- Prima di prendere in giro me, dovresti guardarti allo specchio! Per caso non ti sei accorto di avere delle orecchie da cane?! –

La sua intera figura pare congelarsi all’istante.
 
 

Il mio braccio sembra pesare come un macigno mentre me lo porto alla testa, sinceramente terrorizzato per la prima volta in vita mia.

Quando la mano incontra i capelli e il pelo delle orecchie, capisco di essere spacciato.

Non avrebbe dovuto saperlo mai nessuno, e adesso questa ragazzina...

La prendo bruscamente per il braccio ancora alzato e la tiro su.

- Io e te dobbiamo parlare, ora! – esclamo.

- Ahia! Piano, mi fai male! Vorresti farmi camminare in queste condizioni? – Urla, appoggiandosi a me per non gravare col peso sulla caviglia. Non ho tempo per aspettare che il suo piede guarisca, così la prendo in braccio.

- Ehi! Mollami! – esclama, agitandosi.

- Non ho tempo per le tue lagne! Sta zitta, non ti faccio niente! – urlo.  – Piuttosto tieniti forte! –

Così dicendo comincio a correre, stavolta sul serio, verso il terrazzo della scuola.
 


Prima che io possa anche solo battere una volta le palpebre, ha raggiunto una velocità disumana. Affondo le dita nella camicia della sua divisa e grido, serrando gli occhi.

- Shhhh! Se urli ancora qualcuno ci fermerà, e io devo parlare con te ADESSO! – esclama.
Passa qualche secondo prima che io senta dell’aria fresca sul viso. Capisco di essere sul terrazzo e mi decido ad aprire gli occhi. Sono ancora tra le sue braccia e la cosa mi mette un po’ a disagio.

- Fammi scendere. – dico, e lui mi deposita sul pavimento, dove ricomincio a massaggiarmi la caviglia.

- Ok. – comincia. – Prima cosa: tu non hai visto niente.  Però se ho capito anche solo un po’ come sei saresti capace di tormentarmi per il resto dei miei giorni per sapere qualcosa di più, quindi te lo racconto. Uhm... da dove posso cominciare? –

- Comincia con lo spiegarmi perché mai invece di avere orecchie come le mie hai delle orecchie di cane pelose sulla testa. – suggerisco ironica e lui sbuffa, sedendosi a gambe incrociate e braccia conserte davanti a me.
 
 


- La mia infanzia è sempre stata un buco nero fino ai sette anni, più o meno. Dai sette ai dieci ho vissuto nei vicoli di Tokyo. Per uno come me non è stato difficile, anche a quell’età, sopravvivere. Dimmi Higurashi, che significa il mio nome? –

- Demone cane. – risponde subito. –  Quindi tu saresti davvero... un demone cane? E io che credevo fossi nato così chiassoso da spingere i tuoi genitori a chiamarti così. –

Annuisco. – Non so chi fossero i miei genitori, ne da dove provengo in realtà. Sono solo sicuro di non appartenere a questo posto. Ho passato l’infanzia a lottare coi vagabondi per l’ultimo pezzo di pane, a catturare gatti e topi. Un giorno un gruppo di ragazzini mi prese di mira, per via di queste orecchie. Non sapevo fosse strano averle, così non le nascondevo. Cercarono di prendermi a botte, ma ero troppo forte per loro, pur essendo piccolo. Cominciai a picchiarli, sempre più forte. C’era sangue ovunque. Ricordo che una ragazzina urlò fuori dal vicolo e io per qualche ragione mi fermai, così chi era ancora rimasto scappò. –

Lei mi osserva senza dire una parola, ma non sembra spaventata ne disgustata, così vado avanti.

- Il giorno dopo, rubai un cappello e da allora ne ho sempre indossati. Quello stesso giorno Kaede mi trovò. –

- Kaede? – chiede Higurashi.

- Era una donna di ricca famiglia e decise di prendersi cura di me. Mi diede una casa, cibo, vestiti, un’educazione. –

- E’ una specie di mamma adottiva. – osserva Higurashi sorridendo, e c’è qualcosa in quel sorriso che non so decifrare. All’improvviso mi ritrovo a desiderare che non smetta mai di sorridere.

Ma che mi prende?

- era. – Puntualizzo. – E’... è morta un anno fa. –

- Oh, mi dispiace tantissimo! – esclama lei, prendendomi le mani. Fisso le nostre mani intrecciate.

- E ora come fai a vivere? – mi chiede. Mi ci vuole un po’ per capire il senso della domanda.

- Kaede non aveva parenti, così tutto ciò che aveva, la casa e le cose di valore che possedeva, sono rimaste a me -  le spiego, e sembra stringere la presa sulle mie mani.

- Che storia triste. – commenta.
 
 


- E così, era questo il tuo segreto. – sospiro. Mi sento addosso un peso in più ora, perché mi ha affidato il suo passato. Sono la prima persona a cui l’ha raccontato e adesso non posso fare a meno di immaginarmelo, un bimbo coi capelli d’argento e gli occhi ambra che ho sempre creduto fosse tinto e indossasse lenti a contatto, aggirarsi tra i bidoni dell’immondizia alla ricerca di cibo.
E dire che io mi sono sempre lamentata della mia anonima vita, ma io sono cresciuta in casa, con una famiglia che mi ama. Solo ora mi rendo conto che non c’è nulla di più desiderabile di una vita normale e felice.

- Ti faccio una promessa: non verrà fuori una sola parola di quel che hai appena detto dalla mia bocca. Però anche tu devi fare una promessa a me... – gli propongo.

- Io dovrei prometterti qualcosa? –

- Si. – gli stringo un po’ di più le mani e annuisco energicamente.  – Promettimi che mi chiamerai ogni volta che avrai bisogno di aiuto. –

Così dicendo, lo lascio andare e punto le mani al suolo, tentando di alzarmi. Anche se con una certa fatica, ci riesco e zoppicando raggiungo la porta del terrazzo. In un modo o nell’altro, con calma arriverò all’infermeria.

- Higurashi, aspetta! – lo sento esclamare dietro di me. Mi volto poggiandomi alla porta.

- Be... prima di tutto grazie. – dice, e già questo basterebbe a sorprendermi, ma non è finita qui.

- E poi ci metterai un secolo a raggiungere l’infermeria così. Potresti cadere e farti male di nuovo, quindi... – Si gratta la testa, imbarazzato. Annuisco, così lui si avvicina e mi prende di nuovo tra le braccia, con una delicatezza di cui non lo credevo capace.

- Comunque... puoi chiamarmi Kagome, se vuoi. – dico, mentre chiudo gli occhi e mi aggrappo alla sua camicia, attendendo che cominci di nuovo a correre.
 
 


Chissà come sta Kagome...

Sono passati due giorni da quando Kagome Higurashi ha scoperto per caso il mio segreto. Entrambi i giorni sono passato davanti alla sua classe per vedere se ci fosse, ma evidentemente non è ancora in grado di camminare, così è rimasta a casa.

Questi due giorni sono stati strani. Avevo dimenticato cosa significasse essere preoccupati per la salute di qualcun altro. Non mi era mai successo, dopo la morte di Kaede.
 
Forse dovrei andarla a trovare...
 
Non sarebbe un problema procurarmi l’indirizzo, se non fosse che certamente tutti comincerebbero a blaterare cose del tipo “e così il duro è stato conquistato dalla fanciulla indifesa!”
Tutte cavolate che non ho intenzione di stare a sentire. E poi, mi crederebbero più debole e comincerebbero a prendersi confidenza, per poi arrivare anche loro a scoprire cosa sono.
 
Scuoto la testa proprio mentre la campanella di fine lezioni inizia a suonare e mi rendo conto che me ne andrò senza aver chiesto l’indirizzo a nessuno.  Indosso le cuffie e decido di andare a fare una passeggiata. Tengo gli occhi fissi al cielo mentre lascio che il ritmo dei miei passi si adegui a quello della musica che sto ascoltando.
Mi piace fissare il cielo, perché dimentico di essere in una città che non mi appartiene solo quando vedo le nuvole rincorrersi nell’azzurro sereno.
Peccato che in questa città ci sia sempre troppo poco cielo scoperto.
Distolgo lo sguardo deluso e mi salta all’occhio una lunga scalinata. In cima sbuca un torii rosso scarlatto. Dev’esserci un tempio lassù.
 
 
 
- Eri... sbaglio o quello è Inuyasha? –
 
Ayumi continua a battere sulla spalla di Eri fin quando questa non si decide a staccare gli occhi dalla vetrina per guardare a sua volta.
 
- Certo che si! Trovamene un altro coi capelli di quel colore e la nostra divisa scolastica! Però è strano...-
 
- Cosa è strano? – chiede Yuka.
 
- Ma come, Yuka, non vedi? Quella scalinata porta a casa di Kagome! –
 
- Allora avevo ragione io! – Esclama Ayumi. – Kagome ci sta nascondendo qualcosa. Che dite, andiamo a vedere? –
 
Annuiscono entusiaste.
 
 

La scalinata si rivela semplicissima da salire, ovviamente. Sembra quasi una di quelle scale mobili del centro commerciale dove Kaede mi portava da bambino. Una volta arrivato su in cima, vedo proprio il tempio che mi aspettavo, ma ad attendermi c’è qualcos’altro: un enorme albero recintato, il tronco circondato da uno Shimenawa.  Sicuramente l’albero sacro del tempio. Un vento leggero smuove le fronde dell’albero e le nappe attorno al tronco, creando giochi di luce a terra e generando un suono che, in qualche modo, mi rende sereno. La presenza di questo albero inspiegabilmente mi fa sentire lontano da Tokyo e più vicino a casa.
 
Avrà a che fare col mio passato?
 
 Distolgo lo sguardo a fatica per posarlo sulla destra. Affianco al tempio c’è una casa, sicuramente dei custodi, e affacciata ad una finestra al secondo piano c’è una ragazza dai capelli scuri intenta a osservare il cielo, i gomiti poggiati al davanzale.

Ci vuole un po’ prima che io mi accorga che ci stiamo fissando.

Conosco solo una persona capace di fronteggiarmi a quel modo.
 
 

- E tu che ci fai qui?! – gli chiedo, sorpresa e improvvisamente agitata. Mi chiedo cosa sia venuto a fare. Possibile che fosse preoccupato per me?
 
Scaccio immediatamente quel ridicolo pensiero dalla testa.
 
- Ehi, cos’è questo tono? Facevo una passeggiata, ho visto la scalinata e sono salito, ma non mi aspettavo di finire a casa tua! – esclama e io sospiro. Avevo ragione, figurarsi se a quello scemo potesse passare per la testa di preoccuparsi per me. Lo vedo arrossire per l’agitazione e mi scappa da ridere.
 
- Che ridi? Cos’è, non mi credi?  – ringhia, alzando il pugno. E’ davvero un po’ un cane. In più proprio non riesce ad evitare le minacce, quand’è in imbarazzo.
 
- No, no... ti credo. Comunque, già che ci sei, pensi di entrare? –
 
Non riesco a credere di averlo detto e, vista l’espressione da pesce lesso, è evidente che lui ci crede ancora meno di me.
 
 
 
 
Resto un po’ spiazzato dal suo invito ma alla fine accetto. Suono il campanello e ad aprirmi viene quella che dovrebbe essere sua madre, seguita a ruota da quello che suppongo sia suo nonno e da un bambino, che credo sia il fratello minore.
Possibile che sia venuta ad aprirmi la famiglia al completo? No, manca il padre.
 
- Buongiorno, sono venuto a trovare Hig –
 
- MA ENTRA PURE, CARO! – esclama lei anche troppo entusiasta, facendomi sobbalzare. Metto un piede nell’ingresso dove senza nemmeno rendermene conto le mie scarpe sono già sparite. Il nonno mi fissa di sotto in su senza dire una parola.
 
- Sei il ragazzo di mia sorella? – mi chiede invece il fratellino, rischiando di farmi sputare il pranzo di oggi. Scuoto la testa con decisione.
 
- Sorellona! C’è il tuo ragazzo qui! –  urla lui. Mi ha ignorato.
 
Proprio mentre cerco di oltrepassare l’ingresso incolume, qualcosa mi passa tra i piedi facendomi inciampare: un gatto.
 
- Ah, lui è Buyo! – mi informa il fratellino. – E io sono Sota. –
 
- Inuyasha. – rispondo io dopo essermi rialzato.
 
- CHE NOME FIGO! – urla Sota. L’ultima cosa che mi aspettavo di sentire. La madre di Kagome però sta aspettando che io riesca a oltrepassare l’ingresso.
 
- Senta, mi spiace non aver portato nulla, ma passavo per caso e così.. –
 
- Oh no, non preoccuparti caro! – mi rassicura. A sinistra in fondo al corridoio saliamo una scala. La madre di Kagome bussa a una porta.
 
- Tesoro, c’è il tuo amico Inuyasha qui! – avvisa, aprendo la porta.  – Prego, caro, entra pure. Io vado a preparare qualcosa! –
 
Mi spinge nella stanza e mi chiude la porta alle spalle.
 
- E’ davvero gentile, tua madre. – dico, e Kagome annuisce. E’ seduta sul letto, in pigiama. La gamba sinistra del pantalone è arrotolata fino al ginocchio e si vede la fasciatura, che lei continua a tormentarsi con le dita.
 
- Non dovresti toccarla. – dico, indicando la gamba. – Ti da fastidio? –
 
- Un po’ – ammette. – Mamma l’ha fatta un tantino stretta, ma tra poco viene a cambiarla. – mi spiega, e infatti poco dopo la madre rientra, seguita da Buyo, portando sia un vassoio con bevande e dolce sia l’occorrente per le fasciature.
 
 
 
 
- Grazie, mamma! – tiro un sospiro di sollievo. Il prurito sta diventando insopportabile.
 
- Scusa tesoro ma lo sai, per fortuna nessuno di voi ha mai avuto bisogno di più di un cerotto, quindi proprio non ne sono capace! – mi risponde, poggiando il vassoio sulla scrivania. Inuyasha le sorride cortese quando lei lo invita a occupare la sedia li vicino. Non credevo sapesse essere tanto educato.
 
- Signora, se non le spiace potrei rifarla io la fasciatura. Purtroppo ho dovuto farne parecchie, quindi le so fare bene. E almeno ripagherei per non aver portato nulla. –  propone Inuyasha e io resto di sasso.
 
Cos'è, gioca a fare il dottore? Mamma che imbarazzo...
 
Le mie guance cominciano a friggere e io prego che non si noti. Perché d’un tratto è diventato tanto premuroso?
 
- Oh caro, ti ho già detto che non c’è bisogno di preoccuparsi... –
 
Alle parole di mia madre tiro un sospiro di sollievo.
 
- Tuttavia, Kagome forse è meglio lasciar fare a lui. Almeno smetterà di darti fastidio. – propone.
 
Se dicessi di no, potrei far dispiacere Inuyasha e mi ritroverei a dover spiegare il perché, cosa che non ho alcuna intenzione di fare, così annuisco.
 
- Bene, Inuyasha, allora lascio fare a te e ti ringrazio. Sei molto gentile, torna a trovarci quando vuoi. – dice e io passo dal rosso peperone al viola melanzana. Alla fine lascia la stanza.
 
Siamo di nuovo soli. Si inginocchia davanti a me.
 
- Dimmelo, se ti faccio male. – mi raccomanda e io annuisco, incapace di dire una sola parola.
 
Scioglie la fasciatura incastrando le dita con delicatezza nei vari strati. Ha un tocco sorprendentemente delicato. Lo osservo, il volto intriso di concentrazione, deciso a non farmi provare il benché minimo dolore. Guida dolcemente il mio piede verso terra quando deve lasciarlo per prendere l’occorrente dalla scrivania.
 
Prende il tubetto di crema antidolorifica e non so che colore ho in viso in questo momento. Avevo dimenticato che c’era la crema da spalmare.
 
- Se vuoi, questo lo faccio io... – sussurro. Lui scuote la testa, svita il tubetto, ne spreme un po’ sulle dita e spande il gel sulle mani, per poi iniziare a massaggiarmi dolcemente la caviglia.
 
- Sei così bravo per tutte le ferite che ti sei dovuto curare da solo? – gli chiedo, cercando di distrarmi dalla carezza leggera delle sue dita.
 
- Non solo. – risponde, senza staccare gli occhi dalla mia caviglia. – Negli ultimi tempi Kaede tendeva a cadere spesso e avere dolori ovunque e per farla stare meglio facevo cose come questa tutti i giorni. – mi spiega e, per quanto cerchi di trattenersi, sento la sua voce vacillare un po’, così decido di non chiedere più nulla.
 
Di nuovo, lascia andare il mio piede, stavolta per prendere una benda pulita. Comincia ad avvolgerla attorno alla caviglia e al piede, stretta ma non troppo.
 
C’è un silenzio così profondo che riesco a sentirlo respirare, almeno fin quando la porta non si spalanca all’improvviso, svelando dietro di essa Eri, Yuka e Ayumi.
 
- Allora, Kagome come st.. ooooh! – esclama Yuka.
 
- Che carini! – squittisce Eri.
 
- Povero Hojo! – si lamenta Ayumi.
 
- Ragazze, non cominciate con le vostre solite scene! – le rimprovero.
 
Ayumi si guarda le unghie con aria di sufficienza.  –  Non sono mica cieca! – esclama, alzando un sopracciglio.
 
- Comunque ha ragione Ayumi! Chissà che direbbe Hojo, se sapesse... – sospira Eri.
 
- Non c’è niente da sapere! – esclamo io, agitata non per me, ma per Inuyasha, i cui gesti si sono fatti un po’ meno delicati: è nervoso.
 
- Ah no? A vedervi non mi pare... – ironizza Yuka, e in quel momento Inuyasha finisce di fasciarmi la caviglia, recupera la sua borsa ed esce dalla stanza senza dire una sola parola.
 
 

 *Angolo autrice* 

Ciao di nuovo a tutti :) Ecco quindi il secondo capitolo. Comincio col chiarire che il passaggio dalla prima persona alla terza (quando descrivo le tre amiche di Kagome che notano Inuyasha) è voluto. Poi vi ringrazio per aver letto la storia :) Come sempre vi invito a recensire, per farmi sapere se vi sta piacendo o meno :) 
Sperò di non farvi aspettare così tanto per il prossimo capitolo, scusatemi tanto :(

 
 
 
 
 
 
 
   
 
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