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Autore: lucabovo78    02/05/2014    1 recensioni
« La magia è dentro di noi, fa parte della nostra natura. Dobbiamo solo trovare il modo giusto per usarla. »
Se la magia fosse una cosa naturale come respirare, tutti sarebbero in grado di usarla. Invece, questo "privilegio" è affidato a pochi individui, dotati di grande potere e chiamati Stregoni.
Questa è la storia di un giovane stregone e del prezzo che dovrà pagare per questo potere.
« Non è bene sottovalutare le trame del destino, potrebbe rivoltarsi contro di noi. »
Copyright © 2013 Luca Bovo, tutti i diritti riservati
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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23. Paura

 

Riuscirono a emergere dalle lenzuola, a fatica, verso ora di pranzo. Dopo aver fatto una doccia calda, per la gioia di Lind, nell’accogliente bagno della stanza, si trascinarono fuori dalla locanda. Ad accompagnarli, ci furono i sorrisetti complici del locandiere e dallo sguardo stranito della madre di questo, che chiese loro chi fossero e cosa stessero facendo lì. Come deciso, passarono nell’armeria del paese, dove Sephyr acquistò un nuovo arco con faretra e frecce, dopodiché si rifornirono di provviste e, finalmente, riuscirono a mettersi in cammino verso il lago di Helmer. Lind, nel frattempo, cercò di “sentire” nuovamente la presenza del misterioso inseguitore, ma non ci riuscì. La cosa lo preoccupò, nonostante la via alle loro spalle fosse perennemente sgombra. Decisero di seguire la strada principale: piuttosto che usare strade alternative, magari protette alla vista ma sicuramente più pericolose, trovarono decisamente più saggio percorrere una via battuta da mercanti e viaggiatori e che attraversava ampie pianure incontrando villaggi e fattorie, per ridurre le possbilità di essere colti alla sprovvista. Il viaggio proseguì piacevolmente, senza problemi. Chiacchierando e scherzando, senza pensare ai pericoli che li stavano aspettando, dopo un po’ si dimenticarono, o quasi, anche della misteriosa figura che li seguiva. Al tramonto erano già alle pendici delle colline che circondavano il lago, decisero quindi di trovare un luogo riparato dove passare la notte. Le alture, di chiara origine vulcanica data la forma arrotondata, erano completamente ricoperte di vegetazione. Alte poche centinaia di metri, non avrebbero rappresentato un grosso ostacolo da superare. Si avviarono lungo un sentiero che risaliva un pendio. Dopo pochi minuti, s’imbatterono in un casolare di legno, probabilmente utilizzato da pastori o cacciatori come ricovero temporaneo, e costruito ai margini del rado bosco di querce. Appurato che fosse deserta, si sistemarono all’interno della costruzione.

   «Direi che ci va di lusso, stavo già pensando di dover bivaccare all’aperto, stanotte» disse Lind controllando l’interno del casolare. 

   La costruzione era costituita da un unico stanzone nel quale era presente un grosso tavolo di legno, ricavato da un tronco d’albero tagliato a metà, e due panche, altrettanto grezze. Un angolo della stanza era adibito a dormitorio, con quattro brande accostate, mentre dalla parte opposta vi era una vecchia stufa a legna, dotata di un ripiano per cucinare. L’ambiente era abbastanza pulito, evidentemente era stato usato di recente.

   «Mi sarebbe andato bene anche un metro quadro di erba sotto un albero. Sono distrutta. Ora so che una maratona di sesso non è il massimo, prima di un viaggio a piedi» rispose Sephyr crollando su una delle panche. 

   Sembrava effettivamente esausta. Lind le sorrise, accarezzandole una spalla.

«Solo perché non sei allenata a dovere.»

   La ragazza lo fulminò con lo sguardo, lui si pietrificò, vedendo l’espressione minacciosa che aveva assunto.

«Cosa?! Mi vuoi dire che tu sei abituato a fare maratone di sesso? Questa non me l’avevi raccontata, e con chi se posso? Qualche contadinella delle tue parti, come quelle della taverna, forse!?»

   Il ragazzo rimase per un momento confuso, cercando di capire la reazione, poi comprese l’equivoco e cercò di giustificarsi.

«Ma no! Intendevo allenata in senso…atletico, se avessi subito anche tu le lezioni massacranti del Maestro, non avresti di questi problemi.»

   La ragazza continuava a guardarlo in cagnesco, poco convinta della spiegazione.

   «Si, certo. Comunque, per stasera, stammi lontano.»

Lind era perplesso. Evidentemente avrebbe dovuto pesare un po’ di più le parole, d’ora in poi. Sospirò affranto e decise di dedicarsi alla cena. Forse, dopo aver mangiato, sarebbe stata meno suscettibile. Accese il fuoco nella stufa e si dedicò alla sua zuppa, controllando ogni tanto, attraverso la porta aperta, eventuali movimenti sospetti.

   

   La scelta dei ragazzi di utilizzare la via principale gli aveva creato non pochi problemi: aveva dovuto seguirli da molto lontano e un paio di volte aveva rischiato di perderli. Ora era quasi notte ed era rimasto molto indietro. Sapeva che si erano diretti attraverso le colline, ma non aveva visto quale sentiero avevano imboccato. Doveva trovare le tracce il prima poissibile: con il buio sarebbe stato molto difficile. 

   Finalmente trovò quello che cercava, seguì il sentiero e vide il casolare con la porta aperta e una luce al suo interno. Ora avrebbe dovuto trovare un posto dove osservare la situazione senza dare nell’occhio. Fortunatamente, la boscaglia gli sarebbe stata d’aiuto. Trovò una zona abbastanza fitta di alberi da poter fungere da riparo, a una cinquantina di metri dalla costruzione. Si era appena sistemato dietro un grosso tronco di quercia, quando provò improvvisamente una sensazione di pericolo alle spalle. Non fece a tempo a girarsi. Il suo corpo venne attraversato da una scossa, a partire dalla schiena. Sentì i muscoli indurirsi, poi cadde a terra perdendo conoscenza.


   La zuppa era sul fuoco, il profumo che proveniva dal pentolino cominciava a espandersi in tutta la stanza. Ne assaggiò un goccio dal mestolo e sorrise compiaciuto. Stava migliorando, non era ancora ai livelli di Shayra, ma con quell’attrezzatura di fortuna e senza ingredienti freschi era assolutamente soddisfatto. A Sephyr sarebbe piaciuta di sicuro, avrebbe potuto anche perdonargli la gaffe di poco prima. Si girò verso la ragazza brandendo il mestolo come fosse uno scettro.

   «Tra cinque minuti si mangia, e ho superato me stesso!»

Era riversa sul tavolo, nello stesso punto di prima, con la testa appoggiata alle braccia incrociate. 

Doveva essere veramente distrutta” pensò, avvicinandosi lentamente. Le scostò delicatamente i capelli dal viso e si sedette al suo fianco. Decise di lasciarla riposare ancora un po’, aveva un’espressione veramente beata. Rimase per qualche minuto ad ammirare il suo viso, poi la baciò delicatamente sulla guancia e si alzò. Lei sorrise leggermente, continuando a dormire. Tornò verso il pentolino, per controllare la zuppa.

   Fu investito da una strana sensazione: qualcuno, o qualcosa, lo stava avvertendo di un pericolo.

Si voltò lentamente.

   Girandosi, il suo sguardo incrociò la porta spalancata. A una decina di metri dal casolare, una figura avvolta da un lungo mantello e con un cappuccio calato sul viso che ne copriva i lineamenti, era immobile e rivolta verso di lui. Dalla schiena, spuntavano di traverso il manico e la lunga lama arcuata di una falce. La fioca luce della fine del tramonto e una leggera nebbia che si stava depositando sul terreno rendevano ancora più inquietante quell’apparizione. 

   Un brivido gli corse lungo la schiena. 

Si girò verso la ragazza, che non dava segni di risveglio. Quando riportò lo sguardo fuori dalla porta, la figura era scomparsa. La testa aveva incominciato a girargli, i sensi erano come intorpiditi e aveva il respiro affannato. Barcollò verso la spada appoggiata al tavolo. Anche la vista incominciava ad annebbiarsi, faceva fatica a mettere a fuoco e vedeva doppio. Era sul punto di svenire. Con le ultime forze riuscì ad allungare il braccio sinistro e, incredibilmente, non appena impugnò l’elsa si senti subito meglio. Il tepore che sprigionava ebbe un effetto rinvigorente: riprese istantaneamente le forze e il respiro si fece regolare. Guardò prima per un secondo l'arma, con espressione stupita, e poi di nuovo fuori dalla porta. Niente. Qualcosa gli diceva, però, che era ancora li vicino.

   «Sephyr, svegliati!» le sussurrò, scuotendola, cercando di svegliarla, ma sembrava in un sonno tremendamente fondo. Per un secondo temette fosse morta, ma il battito sul collo era regolare e si tranquillizzò. Decise di lasciarla li, per il momento, e si diresse a passi lenti verso la porta. Il cuore gli batteva all’impazzata, ma il respiro era regolare e controllato, sarebbe stato in grado di scagliare un incantesimo efficace. Inspirò profondamente e passò la spada nella mano destra. La mano sinistra cominciò a brillare emettendo il vapore rosso. Uscì, guardandosi intorno, ma non vide ne sentì nulla. Il silenzio era eccessivo e l’aria immobile. Fece qualche passo nella direzione in cui aveva visto la figura prima che svanisse. Sentiva i battiti del cuore pulsargli nel collo e i muscoli rigidi dalla tensione, fortunatamente riusciva ancora a controllare il respiro. L’aria era fredda e umida, ma aveva la fronte imperlata di sudore. 

  Una goccia gli finì in un occhio. Gli bruciava. Se lo sfregò velocemente con il dorso della mano che teneva la spada.

«E’ veramente molto bella.»

   Trattenne un urlo di spavento. Si voltò di scatto: la figura con la falce era tra lui e la porta e gli stava dando le spalle. Com’era possibile? Erano a pochi passi di distanza, distingueva chiaramente la figura del drago avvinghiato al manico dell’arma e il luccichio della lama nera. Gli fu subito chiaro che quella falce avesse qualcosa in comune con la sua spada. Era impietrito, non riuscì più a mantenere la preparazione dell’incantesimo e la mano sinistra si spense. Ora anche il fiato cominciava a essere alterato dalla paura.

    «Sei molto fortunato, un Sigillo del genere non è capitato a molti. Dovresti prendertene cura».

La voce era quasi un sussurro. Profonda e, in qualche modo, rassicurante. Una specie di sibilo di fondo, simile al verso di un rettile, la rendeva però inquietante. Nonostante questo, vi trovava qualcosa di familiare. Provò ad aprire bocca, ma il fiato non gli usciva.

   «Stai tranquillo, in questo momento non ho intenzione di farvi del male, volevo solo vedere lei da vicino».

   Non si voltava. Prese fiato con tutta la forza che gli era rimasta.

   «Chi diavolo sei? Che cosa vuoi da noi? Eri tu quello che ci stava seguendo? Che cosa hai fatto a Sephyr?»

   «Troppe domande, amico mio. A tempo debito. La tua donna sta bene: è solo sotto l’influsso della mia…come dire… “aura”, come lo eri tu quando non impugnavi il tuo simbiote. Grosso errore lasciarlo, ti consiglio di non farlo più, se avessi voluto, avrei potuto ucciderti senza neanche farmi vedere.»

   «Di cosa stai parlando? Della mia spada? Cosa diavolo è un simbiote?»

La figura girò leggermente la testa nella sua direzione. Il cappuccio, però, impediva di vedere il profilo del viso.

   «Giusto, non sei ancora stato istruito. Qualcuno lo farà, non temere».

Un tonfo alle sue spalle: si voltò di colpo. A qualche metro di distanza qualcosa era caduto a terra sull’erba. Sembrava un uccello, forse una civetta, stava cercando di rialzarsi sulle zampe, ma sembrava intontita. Risentiva anche lei dell’aura? 

   Una folata di vento lo investì.

Si voltò nuovamente verso la figura misteriosa, ma era svanita. Cadde in ginocchio, a testa bassa, cercando di riprendere il controllo dei nervi. Dopo qualche istante, la civetta alle sue spalle sembrò riprendersi e si alzò in volo, scomparendo dietro le cime degli alberi. I rumori del bosco ricominciarono a farsi sentire e l’aria si fece più leggera.

   «Lind…Cos’è successo?»

Sephyr era alla porta, appoggiata allo stipite. Sembrava stare bene, aveva l’aria confusa e si teneva la testa con una mano.

   Era felice di vederla in piedi.

«Mi sembra di aver dormito per una settimana, cosa fai lì fuori per terra? Ti senti bene?»

   Si rialzò a fatica e si diresse verso di lei, camminava barcollando, la testa gli girava e il cuore non aveva ancora smesso di correre.

   «Sto bene, ma forse i veri problemi devono ancora iniziare».

  
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