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Autore: Soe Mame    02/05/2014    1 recensioni
Sì, ci sarebbe riuscito.
Avrebbe svolto il suo ruolo in modo impeccabile, avrebbe onorato la parola data da Gakupo ai signori e non avrebbe mai più fatto alcun pensiero sulla signorina Len.
Sì, ci sarebbe riuscito, per tutti e sei i mesi.
Era spacciato.
Genere: Angst, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

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Guardò il proprio riflesso.
Il cielo si stava schiarendo, la linea dell'orizzonte si era ricoperta d'oro e, tra poco più di un'ora, sarebbe arrivata la cameriera per svegliarlo e aiutarlo a vestirsi.
Piegò la testa di lato, passò le dita sulla curva del collo, sul segno violaceo che spiccava sulla pelle. Gli altri baci non avevano lasciato segni tanto visibili.
Era da poco tornato in camera, per quanto avrebbe preferito tornarvi prima, quando era ancora buio: nel momento in cui aveva fatto per alzarsi dal letto, però, Gakupo l'aveva bloccato. E Len aveva dovuto dargli delle spiegazioni, raccontargli tutto.
Avrebbe volentieri rimandato quel dialogo, ma le mani dell'altro, tanto gentili per tutta la notte, anche quando si erano fatte meno delicate, quella mattina l'avevano catturato in un morsa, impedendogli di scappare fino alla fine.
Non era stato difficile, in realtà. Gli era parso di raccontare la storia di un'altra persona, una persona che conosceva solo di vista.
Gakupo non aveva fatto domande. Né prima, né durante, né dopo. Si era limitato ad ascoltare, per poi lasciarlo tornare nella sua camera, salutandolo senza parlare.
Len si sfiorò le labbra. Gli sfuggì un sorriso. Gli era piaciuto, quel saluto.
Si voltò verso il pupazzo seduto sui cuscini: - Sì, lo so... - tornò a guardare il proprio riflesso: - Dovrei mettermi qualcosa addosso, prima che vengano a svegliarmi. - accarezzò la superficie fredda. Gli occhi che lo guardavano erano davvero belli: azzurri, luminosi, come non ricordava di averli mai visti. Si chiese se non fosse colpa della luce dell'alba.
- Secondo te... - mormorò, rivolto al pupazzo: - ... è così negativo che io non sia affatto pentita? - si portò una mano al petto, il cuore che non aveva mai smesso di battere forte, caldo: - Quello che avevo di più importante l'ho donato a lui. Anche se non è mio marito. -
Guardò il suo riflesso. Quel sorriso e quello sguardo non erano mai svaniti, neppure per un istante.
- Chissà perché... - sussurrò, coprendosi il petto con un braccio: - ... cercano di tenerci lontane dal sentirci così... -
Aveva caldo. Ma non come nei giorni precedenti.

Aveva dovuto dormire - per quel che aveva potuto dormire - prono.
E, dal momento in cui si era alzato dal letto, gli era bastato fare un qualsiasi movimento diverso dal mettere un piede a pochi centimetri dall'altro per sentire delle fitte lungo la schiena, il dolore concentrato soprattutto all'altezza dei fianchi.
Quello non l'aveva previsto. Non l'aveva affatto previsto.
Se non altro, la tournure e il gran numero di sottogonne gli offrivano un morbido cuscino su cui poteva sedersi senza esibire smorfie di dolore.
Non l'aveva previsto. Non l'aveva affatto previsto.
- Per quanto tempo farà male...? -
- Domani dovreste già stare meglio, oujo-sama. -
- Dovrei? -
- Non l'avevate previsto, oujo-sama? -
- Ugh. -.
Rivedere Gakupo vestit- alla piena luce del giorno, in mezzo ad altre persone, come se nulla fosse, fu più semplice di quanto avesse pensato in un primo momento: l'altro si comportava in maniera assolutamente naturale e Len fece altrettanto, come se la sera prima fossero diligentemente andati a dormire ciascuno nel proprio letto, risvegliandosi solo quella mattina e sempre nelle rispettive camere.
Quando si ritrovarono da soli nella stanza delle lezioni, in compenso, i ricordi di ciò che era successo quella notte ritornarono nella mente con prepotenza.
Non in modo molto piacevole, in verità.
- Dunque, la lezione di oggi- -
- Non ho voglia di fare lezione. -
- L'affermare il contrario mi stupirebbe. -
Len tese le braccia verso di lui: - Prendetemi in braccio. -
- Non vi farà stare meglio. -
- E invece sì. -
- Proveremo dopo. Ora concentratevi sul libro. -
- Sapete che non ci riuscirò mai! Non in queste condizioni! -
- Non mi risulta siate stato in queste condizioni per due mesi. -.
Era strano, in un certo senso: di fronte a chiunque e durante le fantomatiche ore di lezione, Gakupo era gentile come sempre, come se non fosse davvero successo niente; quando riuscivano a rimanere da soli, quando sapevano che nessuno sarebbe giunto a dar loro fastidio, solo allora osava abbracciarlo, accarezzargli i capelli, baciargli la fronte.
Ci vollero almeno due settimane prima che Len riuscisse a fargli capire che non avrebbe avuto alcun problema a far scendere il bacio dalla fronte alle labbra.
Chiedergli di più, per il momento, era impensabile. Di giorno, almeno.
Di notte, nella sua stanza chiusa a chiave, Gakupo non si faceva alcun problema.
Non che Len fosse andato da lui, la sera successiva a quella notte: per quanto il suo cuore battesse forte, l'istinto di autoconservazione era più forte.
Tornò due sere dopo. E due sere dopo ancora. E due sere dopo ancora. Finché non divennero una sera sola. Ogni calare del sole.

- Ah... -
Sgranò gli occhi, passando le dita dove, fino a pochi giorni prima, spiccava il segno di quel bacio. La pelle era tornata candida, immacolata.
Inspirò a fondo, sforzò un sorriso: - Ne ho altri... - sfiorò le clavicole, un'altra macchia violacea, più piccola: - Anche se quello è scomparso, si può sempre rifare... -
Abbassò lo sguardo.
Il cuore tremava, gelido.
In fondo, lo sapeva.
Quello l'aveva previsto.
"Ho perso la verginità..." chiuse gli occhi: "... e sono rimasta identica a prima.".
Quando una donna perdeva la verginità, c'era una modifica nel corpo, una prova fisica di quanto successo.
Nel suo corpo non c'era alcuna differenza.
Neppure dopo una cosa tanto importante.
Era come se non fosse successo assolutamente nulla, come se fosse stato solo un sogno, un'illusione.
Quella notte.
E quelle che erano venute dopo.
Gli parve di sentirle di nuovo, quelle mani, quelle labbra. E quella voce, quegli occhi, quelle braccia.
Sorrise.
Il cuore non era più così gelido.

- La lezione di oggi sarà sui numeri. -
- Numeri? - Len abbassò lo sguardo sul foglio che Gakupo gli aveva dato: numeri, trascrizioni fonetiche - troppe, per i suoi gusti - e segnetti.
Guardò l'altro, senza alcuna espressione: - Anche i numeri si scrivono in modo diverso...? -
- Anche. - la risposta giunse tranquilla, accompagnata da un sorriso altrettanto pacato.
- E perché alcuni numeri hanno più segnetti e più trascrizioni fonetiche? -
- Sono sicuro riusciate ad arrivarci da solo, oujo-sama. - una punta di ironia. Chissà perché, da quella notte, quegli "oujo-sama" detti in privato avevano una bizzarra sfumatura.
Len socchiuse gli occhi: - Non vi bastavano almeno tre modi di scrivere diversi? Anche i numeri? -
Il sorriso di Gakupo si allargò: - Posso assicurarvi che questa è una lezione rilassante, oujo-sama. -
- Non mi fido dei vostri parametri di giudizio. -
- Dovreste, in questo caso. -
Continuava a sorridere. Pessimo segno.
Meglio fermare quell'argomento - non prometteva nulla di buono.
- Mh. - Len alzò le spalle, per poi tornare a guardare il foglio: - Oh! - un raggio di luce: - Zero si legge "Zero"! -
- Sì, si legge anche "zero". - gli confermò Gakupo, il tono tornato normale: - Second- -
- "Zero" è universale! - trillò Len, sicuro: - Si dice "zero" in tutte le lingue! Sapete che è "zero" anche in francese? - le sue approfondite conoscenze di lingue straniere stavano dando i loro frutti.
- Sì, oujo-sama. Dicevo, "zero" è una delle let- -
- Sono carine queste parole che rimangono uguali in tutte le lingue, vero? -
- Non proprio in tutte, oujo-sama. Tornando a- -
- Anche "banana" è una parola universale! - si ricordò, di colpo: - Si dice "banana" in praticamente tutte le lingue! Al limite levano la "a" alla fine o la sostituiscono, ma la banana rimane banana per tutti! - guardò Gakupo negli occhi, fremente: - Come si dice "banana" in giapponese? -
Lo vide esitare un attimo. Forse anche lui era rimasto sconvolto dall'universalità delle banane.
- ... banana. -
- Visto? Visto? Anche voi la chiamate "banana"! - ora poteva dirsi soddisfatto. E poi conosceva i segni in hiragana di "ba" e "na", avrebbe potuto tappezzare fogli interi di banane.
Che mattinata radiosa...
- Sì, oujo-sama. - Gakupo sospirò, alzando gli occhi al soffitto: - Anche per noi è "banana". -
"Uhm..."
- Tornando ai numeri- -
- E... - ridusse gli occhi a fessure, lasciando scivolare lo sguardo lungo i suoi capelli: - ... come si dice "melanzana"? -
- ... -
- ...? -
- ... perché questo improvviso moto d'interesse...? -
- Amplio i miei orizzonti. -
"Magari un giorno vi dirò che i vostri capelli mi ricordano le melanzane.".
A giudicare dalla fronte aggrottata e dagli occhi più aperti del solito, Gakupo doveva essere seriamente perplesso.
Len apprezzò molto il fatto che gli rispondesse comunque, senza fare ulteriori domande: - Nasu. -
- Nasu! - ripetè, giungendo le mani: - Certo che mettete tantissimi "na" nelle vostre parole! Banana, nasu... -
- Semplice coincidenza, oujo-sama. - un sospiro: - Tornand- -
- Banananasu! -
- Dicevo, i num- -
- Banasu! -
- Oujo-sama, per fav- -
- Bananasu! -
- Sì, oujo-sama. Ora riportate la vostra at- -
- Bananaasu! Banaenasu! -
- Oujo-sama... -
- Bananausu! Bananaosu! -
- Dovremmo- -
- Bananaisu! -
- Oggi non è giornata. -.

Mise un piede davanti all'altro. Tremò per un istante, mosse appena le braccia aperte. Riuscì a rimanere in equilibrio.
Inspirò, riprese a far uscire la voce: - I petali fluttuano dolcemente, voglio che fioriamo insieme... -
Davvero seccante.
- ... fino al momento della caduta -
Di solito non gli importava granché delle persone che sua madre invitava per prendere il the. Quando, tuttavia, quelle persone erano alcune delle sue sorelle, la cosa iniziava ad infastirlo.
- I tuoi frammenti giaceranno in questo albero... -
- Sembra che ultimamente stiano nascendo tantissimi bambini! Pensa che tutte le figlie delle mie amiche hanno partorito in questi ultimi mesi! E non ti dico quanti gemelli! Mi chiedo se non siano ricorse a qualche strano incantesimo... -
- E' davvero un peccato che Len non sia potuta venire al matrimonio dell'amica di Lola... -
- Io mi chiedo chi sarà la moglie del nostro caro Oliver! Di certo Al sceglierà in maniera estremamente accurata! -
- ... finché non sarà tutto caduto in rovina. -
Con la scusa che le care zie non lo vedevano praticamente mai, era stato costretto a prendere il the con loro.
Era riuscito a liberarsi dopo più di mezz'ora, ricordandosi improvvisamente di stare poco bene da quella mattina e di sentire l'irrefrenabile bisogno di andare a riposarsi proprio in quel preciso istante. Era tornato nel giardino interno solo quando, da una finestra, le aveva viste allontanarsi per dirigersi chissà dove, mentre svariate ragazze andavano a sparecchiare e riordinare.
- Perché quando arriverà la tua stagione preferita, ricorderò... -
Era salito sul muretto che divideva lo spazio su cui camminare dalle aiuole e si era messo in testa di percorrerlo tutto. Non era troppo lungo. Ed era abbastanza largo da far entrare comodamente tutto il piede.
- Ma se anche desiderassi fino al limite... -
Era strano.
Non avevano parlato solo di quelle cose, ovviamente. Anzi, avevano dedicato loro pochi minuti di conversazione. Eppure, quelle frasi sembravano essersi incise nella sua mente.
Non ricordava neppure come ci fossero arrivate, a quei discorsi.
Tutto quello che sapeva era che la cosa lo irritava. E che si sarebbe dovuto far venire mal di qualsiasi cosa ad ogni visita delle sue zie - come già faceva ogni qualvolta riceveva l'invito al matrimonio di Cugina Sconosciuta O Sentita Nominare Una Volta.
Era davvero irritante.
- ... è un pensiero irrealizzabile e lo s- AH! -
Ringraziò il fatto che il muro non fosse poi così alto. E che l'erba fosse relativamente morbida.
- Oujo-sama! - vide Gakupo oltre il muretto, sopra di lui: - Vi siete fatta male? -
- Vi ho mai detto di non apparire all'improvviso? - si mise seduto, cercando di valutare i danni della caduta: a giudicare da come non sentisse nessuna fitta, sembrava essere straordinariamente illeso.
- In realtà sono qui da almeno due minuti. -
- Dovevate manifestare la vostra presenza, allora. - si tirò su, spolverandosi il retro del vestito - in effetti, era un miracolo che la tournure non gli si fosse conficcata da qualche parte.
- Non volevo disturbarvi. -
Len lo guardò, stupito: - Disturbarmi? - inarcò un sopracciglio.
- Stavate cantando. -
Sbattè le palpebre, piano: - ... ah. -
Vide il suo sguardo confuso.
- ... nessuno si è mai posto il problema di interrompermi mentre canto per conto mio. - spiegò, accomodandosi sul muretto.
- Molto maleducato da parte loro. -
- Non ho mai dubitato di avere la sfortuna di conoscere molta gente molto maleducata. -
- Mi dispiace. -
- Anche a me. - piegò appena la testa di lato: - Volevate qualcosa? -
L'altro parve pensarci un istante: - No, in realtà. -.
Calò il silenzio.
Non c'era davvero nulla da dire.
Trattenne un sorriso, tornò in piedi sul muretto, il cuore che batteva forte.
- Dovreste evitare di mettere alla prova il vostro equilibrio, oujo-sama. - disse Gakupo, sedendosi sul muro: - Avete la tendenza a cadere facilmente. -
- Rimarrò ferma. Promesso. - stavolta lasciò che il sorriso gli sfuggisse. Inspirò, schiuse le labbra: - Nel momento in cui mi sono svegliato dal sogno, ho sentito il profumo dell'amato fiore... -.

- Gakupo-sensei... -
- Sì? -
- C'è una cosa che mi sono sempre chiesta, fin dal primo momento in cui vi ho incontrato. -
- Ossia? -
- Ecco... in realtà è una domanda molto privata... -
- Direi che ormai non ci sono più di questi problemi. -
- Beh- -
- E sorvolerò sul fatto che mi avete appena detto che vi sono sorte curiosità fin troppo private già dalla prima volta che mi avete visto. -
- Il vostro stupore mi stupisce. -
- Dicevate? -
- Sì, insomma... ecco... mi chiedevo se voi, la notte... dormiste con la treccia. -
- ... -
- O con due trecce. -
- ... no, oujo-sama. -
- Allora vi posso fare le trecce? -
- Iya. -
Era come se, quella notte, fosse crollata una barriera all'apparenza troppo solida. Non solo perché ciò che - teoricamente - sarebbe dovuto essere irraggiungibile era diventato concreto nelle sue mani, ma anche perché l'altro gli sembrava un po' meno rigido, meno freddo, più disposto al dialogo.
Più sincero. Più vicino.
- Gakupo. -
Lo sentì rimanere in silenzio.
- Voglio chiamarvi così. -
- Come desiderate, oujo-sam- -
- Len. -
Si tirò su, guardandolo negli occhi: - Voglio che mi chiamiate "Len". -
Un sospiro: - Sapete che non- -
Gli posò un dito sulle labbra, zittendolo. Si avvicinò, accarezzandogli il petto con il proprio: - Non credete che ora sia alquanto ridicolo continuare con tutta questa formalità? -
Gakupo rimase in silenzio. Si limitava a guardarlo, l'espressione impassibile.
Tolse il dito, sorrise: - Voglio che diciate il mio nome. Non "oujo-sama". - ridacchiò: - E' un nome corto. E' facile da dire! -
Vide una strana crepa intaccare quel volto troppo pacato.
Rimase in attesa, senza distogliere lo sguardo. Sapeva che stava per cedere.
- Ren. -
Un brivido lungo la schiena. Era bello, detto da lui, da quella voce.
- Len. - mormorò: - Si dice "Len". -
- Lo so. - gli occhi chiari di Gakupo si spostarono da tutt'altra parte.
- Allora ditelo. -
- E' ciò che ho fatto. -
- Non- - si bloccò. E capì. Di colpo.
Non riuscì a trattenere una risata, corse a nascondere la bocca dietro una mano, sentì benissimo l'occhiataccia che l'altro gli lanciò.
- Allora non avete mai detto il mio nome... - rise: - ... perché non ci riuscite? -
Lo vide socchiudere gli occhi, lo sguardo di nuovo su di lui: - Ren. -
- Si sente ancora la "r". - inspirò, per riprendersi dalla risata: - Parlate l'inglese in modo perfetto, il vostro accento è praticamente impercettibile, e faticate a dire bene il mio nome? -
- Non è carino, da parte vostra, reagire in questo mod- -
Si lasciò cadere su di lui, mozzandogli la frase.
- Va bene così. - sorrise, anticipando qualsiasi cosa lui stesse per dirgli - forse parole non molto carine, in realtà. Lo baciò, per poi posare la fronte contro la sua: - Chiamatemi così. -.
Gli piaceva il suo nome detto in quel modo.
Più lo sentiva, più gli piaceva.
Sentì le braccia dell'altro attorno alle spalle.
Il suo nome, detto in quel modo, aveva tanti significati diversi.
E gli piacevano tutti.

- Gradirei molto che voi foste il mio accompagnatore al ballo dei conti di Tibirsh. -
- Come desiderate, oujo-sama. -
- Voglio che siate il mio accompagnatore al ballo dei conti di Tibirsh. -
- Ovviamente, Ren. -
C'era un che di buffo nel modo in cui lo stesso dialogo si era svolto prima davanti a sua madre e alle servitrici, quel pomeriggio, e poi nella camera di Gakupo, nelle ore prima dell'alba.
Aveva sentito cose interessanti sui conti di Tibirsh. Tipo che sembravano apprezzare molto il valzer.
Tecnicamente, lui sapeva ballare il valzer: l'insegnante di danza aveva fatto sì che imparasse quanti più balli possibili, a prescindere dalla loro reputazione.
L'unico problema stava nel fatto che non avesse mai avuto occasione di provarlo - sempre escludendo le prove con l'insegnante di danza.
Neppure si pose il problema della possibilità che Gakupo non lo conoscesse - era sicuro che, al limite, sarebbe stato anche capace di imitare i passi dei vicini, sul momento.
Non gli sarebbe affatto dispiaciuto danzare il valzer con Gakupo.
Avrebbe significato stare stretto a lui sotto gli occhi dei suoi genitori, sbattere loro in faccia un'insinuazione fin troppo vera; al tempo stesso, avrebbe significato isolarsi dal mondo, danzare con una persona soltanto, stare stretta a lei come poteva solo quando erano da soli e poterlo fare sotto gli occhi di tutti.
Voleva andare a quel ballo. E voleva che fosse un'occasione speciale.
- Voglio questo vestito qui. -
- Oh. Deduco siate molto presa dalla cultura giapponese, Lady Len. -
- Più di quanto crediate. - sorrise.
- Ci vorrà molto tempo, Lady Len. E' un lavoro estremamente complesso... -
- Che sia prima della data che vi ho indicato. -
Ammirevole come la sarta che, da piccolo, gli aveva sempre rifilato vestiti infinitamente al di sotto delle aspettative riuscì a fargli ciò che voleva, preciso nel dettaglio.
Quando finalmente giunse la serata del ballo, si presentò davanti a Gakupo a braccia aperte, le maniche che arrivavano quasi alle caviglie.
Maniche bianche, alla cui base erano disegnati rami di ciliegio in fiore e piccoli soli rossi, come rosse erano la gonna, ricamata di fiori di altre gradazioni di rosso, e le rose che aveva infilato nel fiocco nero che gli legava i capelli; nere erano anche la fascia attorno alla vita e le scarpe. E poi c'era quella specie di scialle che sosteneva con le pieghe dei gomiti, che passava nella fascia sul busto, color muffa, con le estremità inferiori ricamate di muschio e licheni a caso.
Non aveva idea di quanti strati ci fossero. Erano più di quanti era solito indossarne e il vestito pesava un po', in verità.
Aveva anche deciso di passare mezzo dito di rosso sulle palpebre, vicino alle ciglia. Sapeva che nessuno avrebbe osato dirgli niente - e poi era leggero, non avrebbe infastidito nessuno.
Nel complesso, gli piaceva il risultato. E, a giudicare da come Gakupo sgranò gli occhi, non in senso negativo, anche lui gradì.
- Vi piace? - fece una piroetta, le braccia sempre aperte: - Ci tenevo ad indossarne uno, almeno una volta! - sorrise.
- Vi siete fatto cucire un kimono? - sembrava quasi dovesse assimilare la cosa. Lo vide avvicinarsi e accarezzargli una manica, prenderne un lembo tra pollice e indice: - Broccato? -
- Credo di sì. -
L'espressione stupita scomparve, le labbra si piegarono in un sorriso: - Vi dona molto. - abbassò la voce: - Ren. -
Il cuore trasalì: - Arigatou. -
Giunse le mani davanti al petto, abbassò lo sguardo. Non ne capiva il motivo, ma sentiva le guance troppo calde.

- Non avete messo i geta? -
- I che? -
Gakupo indicò verso il basso: - I sandali che andrebbero con il kimono. -
- Ah... - alzò le spalle, con noncuranza: - Non mi piacevano. Sembravano scomodi. Quindi ci ho messo delle scarpe normali. -
- Le scarpe occidentali con i tacchi non c'entrano molto con i kimono... -
- Futili dettagli. - si accertò che le rose non stessero sfuggendo al nastro: - Nessuno guarderà mai le mie scarpe. Piuttosto... - abbassò la voce, nascose dietro un'ampia manica le labbra curvate verso l'alto: - E' vero che quando si indossa il kimono si indossa solo il kimono? -
Lo vide sgranare appena gli occhi, come se non avesse capito: - Prego? -
- Solo il kimono. - ripetè: - Senza nient'altro sotto. -
Aveva letto quel particolare. Era piuttosto interessante, sotto un certo punto di vista.
Gli occhi di Gakupo si erano effettivamente spalancati, la voce di colpo ridotta ad un sussurro: - Voi indossate qualcosa sotto il kimono, vero? -
Len distolse lo sguardo, fingendosi pensieroso. Ovvio che indossasse il minimo indispensabile. Ma non c'era nulla di male a lasciare l'altro nel dubbio: - Oh... Non ricordo. Mi ci sono volute almeno due ore per mettere tutti questi strati, fatico proprio a ricordarmi cosa io stia esattamente indossando... -
Tornò a guardare Gakupo: era impallidito.
Dieci minuti dopo, Len gli camminava davanti, verso la carrozza, piantando i tacchi nel terreno, indeciso se arrabbiarsi o scoppiare a ridere.
- Siamo molto in ritardo, oujo-sama. -
- Non è colpa mia se ho calcolato male i tempi e c'è voluto più del previsto per indossare tutti questi strati. - abbassò la voce: - Però se siamo ulteriormente in ritardo è colpa vostra. -
- Dovevo accertarmi fosse tutto a posto. -
"Già..."
Non avrebbe mai pensato che Gakupo, seriamente, lo trascinasse nella prima stanza libera disponibile per controllare che avesse tutto.
Senza approfittarne, tra l'altro.
... no, il secondo particolare non era poi così impossibile da pensare.
Sospirò, alzando gli occhi al cielo.

Giallo.
Era tutto giallo.
Ogni cosa era gialla.
Era tutto giallo.
Giallo.
- Oujo-sama, state bene? -
E c'era la torta di banane.
Una buona torta di banane.
Una buonissima torta di banane.
C'era.
Perché poi non c'era più.
- Ne voglio ancora! -
- Oujo-sama, non vorrei risultare maleducato, ma vi farei notare che l'avete mangiata tutta voi. -
- Ne voglio ancora! Voglio un'altra torta di banane! -
- Neanche vi siete degnata di mangiare in maniera composta, oujo-sama... -
"Adottatemi!" guardò i conti Lord Tonio e Lady Prima Tibirsh, mentre Gakupo gli puliva la bocca con un tovagliolo giallo: "Sono carina. Sono adorabile. So suonare il pianoforte. So cantare. So ballare. So scrivere 'banana' in hiragana. E anche in katakana. Sono tenera!".
Gakupo gli stava dicendo qualcosa. Qualsiasi cosa fosse, non era importante: - E' giallo... - rispose, semplicemente.
- Dovrò chiedere ai signori conti se quelle nella torta fossero davvero banane... -
- Banane... -
Purtroppo l'estasi non durò a lungo: aveva scelto di indossare un abito bizzarro, che era logico avrebbe attirato l'attenzione, circondandolo di semplici curiosi, ragazze entusiaste e giovani fin troppo interessati.
Dopo un attimo di smarrimento, si allontanò con le altre dame, spiegando loro tutto ciò che sapeva a riguardo - che il vestito si chiamava "kimono", che era l'abito tradizionale giapponese, che c'erano davvero tanti strati; i curiosi si limitarono a gettare occhiate più o meno sfuggenti, alcuni gli fecero apertamente i complimenti, notò anche qualcuno tendere l'orecchio per ascoltare le sue spiegazioni sul kimono.
I giovani fin troppo interessati si dividevano in due categorie: quelli normali e quelli insistenti. Quelli normali si limitavano a chiedergli un ballo, a fargli qualche complimento - a volte un po' troppo pomposo -, ma desistevano una volta che lui lasciava intendere il suo rifiuto. Quelli insistenti si dividevano, a loro volta, in due categorie: i saggi e i tonti. In entrambi i casi, un semplice rifiuto non bastava a farli demordere, anzi, sembravano ispirati nel trovare sempre più argomenti di conversazione; i saggi, tuttavia, dovevano notare l'occhiata poco carina che li trafiggeva con intensità sempre crescente, finendo per rinunciare a lui onde evitare di ritrovarsi ad avere a che fare con il suo accompagnatore; i tonti, invece, non se ne accorgevano e, puntualmente, facevano un salto di mezzo metro quando colui che li stava incenerendo con lo sguardo appariva alle loro spalle, in assoluto silenzio, per poi farsi notare sibilando frasi di circostanza in modo alquanto velenoso. Non doveva essere carino girarsi e ritrovarsi faccia a faccia con qualcuno di quella stazza. Sempre per ricordare che i giapponesi erano piccoli e mingherlini.
- Rischiate di spaventare tutti gli invitati, così. - sorrise Len, nascondendo parte del viso dietro il ventaglio.
- Gli invitati dovrebbero avere più pudore. - fu la risposta pacata che arrivò, l'espressione impassibile: - Vi lascio libera, oujo-sama. -
Per modo di dire. Len sapeva di essere sempre nel suo campo visivo, per quanto potesse spostarsi per la sala.
Quando Gakupo si fu allontanato, lui fu sommerso da domande fin troppo esaltate, accompagnate da occhi anche troppo brillanti.
- Lui è il vostro accompagnatore, Lady Len? -
- Lui sarebbe il vostro precettore, Lady Len? -
- Parla l'inglese? -
- Parla inglese molto meglio di tanti inglesi che ho avuto la sfortuna di incontrare. - rispose, candido: - E, sì, è il mio precettore e accompagnatore. -
Si godè le espressioni delle ragazze, quei: - Come siete fortunata, Lady Len... -, trattenendosi dall'aggiungere altro.
In fondo, era più interessante tacere, sapere di avere un segreto di tale portata.
Un altro, per lo meno. Ben più piacevole.
E fu altrettanto piacevole, come a voler rendere concrete quelle parole non dette, essere raggiunto dall'altro dopo essersi allontanato dalla sala, uscendo su uno dei balconi per prendere un po' d'aria - le danze erano già iniziate, c'erano fremiti e agitazioni, aveva bisogno di sentire il fresco della sera.
- Non avete freddo? -
Non si voltò a guardarlo. Né spostò lo sguardo dalla luna, quando lo sentì al proprio fianco.
- Questi... - alzò una manica: - ... sono piuttosto pesanti, sapete? - gli scoccò una rapida occhiata, sorridendo di sfuggita, per poi tornare a guardare davanti a sé: c'erano davvero pochissime nuvole, la luna era del tutto visibile. Non era piena: le mancava uno spicchio per esserlo.
Inspirò: - Secondo voi... - sussurrò: - ... perché la luna è considerata romantica? -
Gakupo tacque un istante. Poi rispose, la voce bassa: - Credo sia perché gli amanti tendono ad incontrarsi di notte. La luna è il loro sole. Illumina, ma non tanto quanto il sole. Lascia sempre quel velo di intimità. -
Len sorrise. Ripensò a quante volte fosse stata il suo sole, davanti allo specchio nella sua camera, e a quante volte ancora lo sarebbe stato. Ripensò a quando l'aveva vista di sfuggita oltre i vetri delle finestre nei corridoi, quando andava nella stanza di Gakupo o tornava nella sua.
"In effetti..." chiuse gli occhi, piano: "... tutte le cose per me più importanti sono successe alla luce della luna.".
Curioso fosse proprio quella luna tanto amata dagli innamorati, da coloro che si ripromettevano di stare insieme per l'eternità, ad averlo sempre accompagnato.
- E' vero che la luna è uno specchio? -
- Prego? -
- L'ho sentito una volta. - riaprì gli occhi: - Ho sentito che la luna non irradia luce propria. Riflette quella del sole. Come se fosse un grande specchio. -
- Avete sentito bene. - il volto di Gakupo fu attraversato da un leggero sorriso: - E' proprio come dite. -
"Uno specchio." tornò a guardarla: "Ecco perché c'è sempre stata. Lei è uno specchio. Come me."
- Non trovate bizzarro che l'astro degli innamorati sia tanto imperfetto? -
- Imperfetto? -
- Guardatela bene. - allungò un braccio, indicando la luna: - Per quanto la si definisca pura, è ricoperta di macchie più scure. - abbassò il braccio: - La faccia che mostra alle persone è piena di macchie. Chissà com'è l'altra... Quella che non mostra mai. Il lato oscuro della luna. - guardò Gakupo, notò il suo sguardo tranquillo come sempre.
L'ombra di un sorriso tornò sulle sue labbra: - Importa davvero? -
Len alzò le spalle: - Semplice curiosità. -
"E' davvero come me.".
- Potrebbe essere definito bizzarro, sì. - riprese Gakupo, calmo: - Ma non credo che, per qualche macchia, gli incontri e le parole siano meno sincere. -
Len rabbrividì. La mente era vuota.
Ma il cuore aveva iniziato a battere forte.
- Parole? - mormorò, accennando ad un sorriso.
- Promesse. -
Sperò davvero che l'altro non sentisse quel martellare nel suo petto: - Ad esempio? -
Stavolta Gakupo sorrise davvero, ma sembrava più un sorriso ironico: - Volete davvero che giuri qualcosa sulla luna? -
Il cuore trasalì.
Il vociare che veniva da dentro l'edificio gli colpì le orecchie, rovinando fin troppo l'atmosfera.
Non perché le voci fossero troppo alte: gli ricordarono che non erano soli.
Non poteva tollerare di dover sottostare a comodi altrui, non in un momento del genere.
Portò una mano al petto: - Oh, non giurate sulla luna, sulla luna incostante che ogni mese cambia nella sua orbita circolare! -.
Silenzio.
- ... a cosa devo queste citazioni shakespeariane assolutamente a caso? -
- Non è a caso! - gonfiò le guance: - C'è la luna, c'è il balcone e voi parlate di giuramenti! E' assolutamente perfetta, in un momento del genere! -
- Ma certo, Ren. -
- Perché non mi credete? - sbuffò, mise le braccia conserte, distolse lo sguardo da lui, portandolo verso i vetri: - E io che avrei voluto danzare con voi! -
- Cosa volete danzare, oujo-sama? -
- Cosa vi fa credere che ora io voglia danzare con voi? -
- Il fatto che l'abbiate appena detto. -
Tornò a guardarlo.
Le labbra si curvarono verso l'alto: - Sono sicura che voi sappiate ballare il valzer. -
Era sempre bello vedere quegli occhi sgranati distruggere la compostezza di quell'espressione.

Non l'aveva previsto.
Non l'aveva doppiamente previsto.
E non era stato carino rendersene conto una volta prese le posizioni. O qualcosa del genere.
- Siete davvero sicuro di riuscire a ballare il valzer con il kimono...? -
- Assolutamente. - cercò di mantenere un certo contegno, sforzandosi di ignorare quella situazione assurda: - Magari non potrò fare giri ampi, ma posso danzare perfettamente! - sentiva una leggera fitta poco più in alto delle caviglie.
- Vi sconsiglio di sforzarvi di stare sulle punte... -
- Va benissimo così, davvero! -
- Tornate giù, oujo-sama... -
Sì, sarebbe stato splendido ballare il valzer con Gakupo, stretti l'uno all'altro, senza pensare a niente e a nessuno.
Riuscire a raggiungergli la spalla senza mettersi sulle punte e distendere l'altro braccio senza sentirlo tirare dolorosamente sarebbe stato un ottimo inizio.
Gakupo si chinò appena, piegando il braccio in modo da far rilassare il suo, teso.
Sentiva le guance roventi. Abbassò lo sguardo.
Di certo, stavano dando uno spettacolo alquanto comico.
- Siete ancora sicura di- -
- Hai. - rialzò lo sguardo, strinse la stoffa poco sotto la spalla dell'altro: - Non me ne importa niente degli altri. - sibilò, tra i denti.
"Che ridano di me." sentì le prime note: "Che ridano di me. Sanno che sarebbe l'ultima cosa che farebbero.".
Dopo i primi passi, quell'agitazione che sentiva, quella sensazione di essere osservato da chiunque scomparvero, come fumo scacciato dallo sventolare di una mano.
Sapeva di non star ballando un valzer perfetto, di apparire un po' goffo, di non poter imitare le altre coppie a causa della gonna più stretta, degli strati troppo pesanti: eppure andava bene così.
Stava danzando quel ballo con quella persona.
Gli importava soltanto quello.
Anche se entrambi facevano passi piccoli, non nella più comoda delle posizioni, anche se muoversi sotto tutti quegli strati lo stava affaticando prima del previsto.
Quando il ballo finì, nascose il sorriso troppo ampio dietro le maniche, le guance di nuovo calde.
Era felice.
Sentiva di esserlo. Era quello che significava essere felici?
- Danzate bene. - Gakupo lo accompagnò verso le sedie, per poi farlo sedere sulla più vicina: - E' un peccato ci siano stati dei contrattempi. -
- Va bene così. - abbassò le maniche: - Va bene così. - ripetè, stavolta senza nascondersi.
"Forse dovrei ringraziarlo...?"
Forse avrebbe dovuto.
Del resto, provava una profonda gratitudine nei suoi confronti: per quanto, nonostante tutto, fosse splendido, non ci teneva a spiccare il volo e planare sul tavolo dei dolci per un suo passo troppo ampio.
Forse avrebbe dovuto ringraziarlo per aver evitato passi larghi che promettevano di usarlo come strumento metallico per il lancio del martello.
Forse.
- Siete stanca? -
Tornò a guardarlo, rendendosi conto solo in quel momento di star respirando a bocca aperta.
Si affrettò a chiuderla, passandosi una mano sulla fronte sudata: - Non per il valzer. -
- Volete tornare a casa? - la voce di Gakupo si era fatta di una nota più bassa.
- S- -
I suoi occhi furono catturati da due domestici che sostituivano quel piatto da portata vuoto con un altro piatto da portata, pieno, dolce, biancogiallo.
- No. -.

Continuò a sbattere i piedi nel catino, fermandosi solo quando rischiò di rovesciarlo.
Sollevò un piede bagnato, muovendo pigramente le dita di quello rimasto in acqua, osservò le gocce che scorrevano sulla pelle, scendendo lungo la caviglia e la porzione di gamba scoperta, per poi svanire sotto la stoffa del kimono.
Sospirò, riportando il piede a mollo nel catino.
- State facendo un disastro, oujo-sama. - commentò Gakupo, dall'altra parte della stanza, in un angolo che la luce della luna non riusciva ad illuminare del tutto.
Per tutta risposta, Len sbattè di nuovo i piedi, conscio di aver ormai allagato tutta la parte inferiore del letto.
Si stupì di come ci fosse ancora acqua nel contenitore, più che altro.
- Ho i piedi stanchi! - si lamentò, con il tono più piagnucoloso che poteva.
- Questo non vi autorizza a rovesciare circa un litro d'acqua su coperte e lenzuola altrui. -
- Tecnicamente, queste coperte e queste lenzuola appartengono a me. -
- Siete così di buon cuore da far dormire un ospite in un letto zuppo d'acqua? -
- Il letto è grande, l'acqua sta in fondo, non è colpa mia se voi arrivate fin laggiù. - nascose la bocca dietro una mano.
In realtà, stava iniziando a sentire i piedi un po' freddi - non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando li aveva messi nel catino pieno d'acqua, sdraiato sul letto dell'altro.
La serata si era rivelata più stancante del previsto: non aveva ballato molto, ma l'aria si era fatta fin troppo calda e i vestiti erano fin troppo poco adatti alla situazione - oltre che pesanti.
Mettere i piedi nell'acqua, rilassarsi, era stato meraviglioso.
Non aveva idea neppure di dove avesse lanciato l'imbottitura, dopo aver abbassato il kimono fino a scoprirsi le spalle e aver allentato la fascia attorno alla vita; tra l'altro, era stato un po' strano uscire senza indossare un corsetto, ma non l'aveva affatto rimpianto.
Per un istante, aveva pensato di togliersi i fiori e sciogliersi i capelli. Poi aveva cambiato idea.
Del resto, non aveva cacciato la signora Tod e le altre cameriere, dicendo di essere troppo stanco per svestirsi e indossare la camicia da notte, senza motivo.
- La torta era davvero buonissima! -
- Sì. Ho notato che avete gradito la torta. - Gakupo riemerse dallo scorcio in ombra, lasciando le sopravvesti sulla sedia, i capelli sciolti come loro solito: - E sono sicuro che anche i conti hanno notato che avete gradito la torta. -
- Era buonissima! - si lasciò andare contro il materasso: "Chissà se sono disposti a darci la ricetta..."
Qualcosa di caldo sui piedi.
Abbassò lo sguardo, notandoli avvolti in un asciugamano chiaro, Gakupo che gli sfilava il catino per riportarlo sul mobile al suo posto.
Quando tornò, si sedette su una qualche parte asciutta e gli prese i piedi con delicatezza, asciugandoli: - Ora basta, Ren. E' tardi, dovreste dormire. -
Lo guardò dall'alto in basso.
S'impedì di sorridere: - E' tardi anche per voi. -
- Difatti la mia idea sarebbe andare a dormire tra pochi minuti. -
- Con i vestiti del ballo? -
- I vostri istinti idrofili hanno interrotto il mio cambio d'abito. -
Lo guardò di nuovo dall'alto in basso.
Tirò appena indietro la testa, piegandola per non sentire la crocchia premere contro la nuca.
- Spudorato. - sussurrò. Stavolta sorrise.
- Perché queste parole dure, oujo-sama? - il tono era di una tranquillità assoluta.
- Non ci si mostra in camicia davanti ad una fanciulla onesta. - liberò un piede, lo portò al suo petto; lasciò che la stoffa della camicia aperta scorresse vicino alla caviglia, accarezzandogli la pelle con le dita.
- Avete ragione. - sempre pacato: - Vogliate perdonarmi. -
- Non so se sarò in grado di farlo. Dovrò pensarci. -.
Vide le labbra dell'altro attraversate dall'ombra di un sorriso.
Un attimo dopo le vide, le sentì sul collo del piede, la mano attorno al tallone.
Di nuovo le guance troppo calde.
Poi l'altro portò il piede al proprio fianco e dopo un istante, con un brivido, sentì i suoi capelli accarezzargli le spalle nude.

Fissò la vetrina, gli occhi ridotti a fessure, le dita intrecciate per impedirsi di spalmarle sul vetro. Poco importava che, ormai, la visiera del bonnet picchiettasse contro la vetrina, non doveva mostrarsi eccessivamente ansioso.
- State tranquilla, oujo-sama. - il tono pacato di Gakupo, alle sue spalle, giunse alle sue orecchie quasi all'improvviso: - Non è un prodotto così raro. -
- E se non c'è? - si voltò, gli occhi sgranati: - E se c'è ma non è quello giusto? -
- Cercheremo altrove. - un accenno di sorriso: - Altrimenti possiamo sempre ordinarlo. -
Len rabbrividì: - E... - deglutì, la gola secca: - ... quanto... quanto ci vorrebbe...? -
- Dipende dalla disponibilità. -
- E... - un altro brivido di terrore: - ... e quanto potrebbe...? -
- Potrebbe arrivare il giorno dopo l'ordine, ma anche un mese dopo. -
- Un mese... - la voce uscì dalla bocca come un sospiro soffocato. Scosse la testa, il sangue fattosi ghiaccio: - Io non... io non potrei... non sono in grado... non... -
Un tintinnio.
Si girò di scatto verso la porta del negozio. Il cuore sobbalzò non appena vide le sue due domestiche. Lo sentì rimbombare nelle orecchie, colmo di speranza, non appena vide le loro braccia occupate da svariati pacchetti.
- Allora? - fece, raggiungendole in due falcate, la voce ridotta ad un sussurro.
- Nessun problema, signorina! - sorrise la più giovane: - Non solo hanno una grande scorta di zucchero, ma hanno anche quella precisa qualità che ci ha indicato la cuoca dei conti di Tibirsh! -
Il ghiaccio nelle vene si sciolse di colpo.
Il cuore era diventato più leggero, più grande, tanto da coprirgli l'intero petto: - Quindi... - inspirò a fondo: - ... la signora Smith potrà fare la torta di banane dei conti di Tibirsh? -
- Sì, signorina. -
"QUESTO E' IL GIORNO PIU' BELLO DELLA MIA VITA!".
Tornò verso la carrozza quasi saltellando, talmente leggero da potersi lasciare trascinare dal vento.
"La torta! La torta!"
- Hanno aperto davvero molti nuovi negozi, in quest'ultimo periodo! -
"La torta! La torta!"
- Eh, sì. Ci sono sempre più catene che stanno mettendo negozi un po' in ogni città... -
- Ah! - Len cambiò direzione, trotterellando davanti ad una vetrina piena di abiti: uno non gli piaceva granché - troppo essenziale, sembrava essere stato cucito all'ultimo minuto -, uno avrebbe pure avuto un'estetica particolare - con almeno cinque balze e il collo avvolto da un merletto - ma i pizzi erano blu e il vestito marrone, il che era un crimine abbastanza grave; ad attirarlo era stato un vestito completamente bianco, che gli ricordava un po' il suo vestito nero per le grandi occasioni.
- Oh, proprio uno dei nuovi negozi! - le domestiche gli si erano avvicinate - e Gakupo doveva essere con loro.
- Voglio un vestito come quello bianco. - decise Len, mettendo le braccia conserte: - Ma non uguale. Voglio modificarlo un po'. -
- Chiameremo la sarta al più presto, signorina. -
- Sì. -
- Che vestito discutibile... - commentò l'altra ragazza, osservando l'abito dai colori dubbi: - Credevo che le catene di negozi avessero più buon gusto. -
- Eh, a volte capita... -
- Torniamo a casa! - esclamò Len, riprendendo la camminata verso la carrozza: "Voglio che la signora Smith sperimenti subito!".
- Mi stupisce che aprano negozi anche nei paesi più piccoli... -
- Forse è una qualche mossa di mercato. Ho notato che non lo fanno solo i negozi di abbigliamento. Ad esempio, quando sono tornata a- -
Discorsi a caso su negozi, catene e affini. Len li trovava piuttosto noiosi: ciò che gli importava era la merce, non chi gliela vendeva - al massimo, poteva avere qualche negozio di fiducia, ma la cosa finiva lì. Non capiva tutto quell'interesse per l'espansione delle catene di questo o quello.
- Davvero? -
- Sì, ti dico! Tutti! Hanno chiuso tutti quanti! Ricordi quello all'angolo della strada principale, vicino alla panetteria? Chiuso! E quello vicino al parco? Chiuso anche quello! E- -
- Perdonatemi. -
Len si bloccò: "Gakupo...?"
Si voltò a guardare i suoi accompagnatori: Gakupo aveva effettivamente interrotto le due donne, la voce appena incrinata da un qualcosa di strano, sul viso un'espressione agitata, il colorito più pallido.
"Ma cosa...?"
- -ha chiuso? -
La più giovane annuì, piano, lo sguardo confuso: - S-sì. Sono circa due mesi, credo. -
Il volto di Gakupo perse qualsiasi colore.
"Cosa...?"
- Oujo-sama! - quando l'altro spostò l'attenzione su di lui, Len notò una luce inquietante nei suoi occhi, rabbrividì: non riusciva a credere che fosse davvero...
- Posso chiedervi una licenza? - una nota d'urgenza nella voce.
I piedi piantati al suolo, paralizzato, Len riuscì solo ad annuire, senza parlare.
- Dopo avervi riaccompagnata, ovviamente. - aggiunse Gakupo, forse più per cercare di calmarsi che per reale bisogno di dirlo.
Len annuì di nuovo.
Fu solo una volta in carrozza che riuscì a recuperare l'uso della parola: - Per quanto intendete rimanere via? -
- Spero davvero di poter tornare da voi stasera stessa. - rispose subito Gakupo, lo sguardo fisso alla maniglia della portiera.
Sentire quelle parole lo rincuorò vagamente.
"Spero..." ripetè, nella sua mente: "... è successo qualcosa di grave...?"
Doveva essere così.
Non aveva mai visto la paura in quegli occhi.

Era strano sentire la magione così silenziosa.
Forse erano tutti nell'ala opposta; qualsiasi fosse il motivo, era strano sentirla priva di rumori, con il sole ancora visibile.
Persino la punta della penna grattava sulla carta in modo quasi impercettibile.
Len sospirò, nel tentativo di alleggerire il petto troppo pesante: Gakupo era via da ore e, come se non bastasse, la torta della signora Smith non era proprio uguale a quella dei conti di Tibirsh. Certo, era buona, ma quella che aveva assaggiato qualche sera prima lo era dieci volte di più.
Smise di disegnare, le dita che avevano iniziato a tremare.
Ogni volta che chiudeva gli occhi, anche solo per sbattere le palpebre, quello sguardo gli appariva davanti, quasi fosse stato marchiato a fuoco nelle sue pupille. Il silenzio assoluto non lo aiutava a pensare ad altro.
Gakupo non gli aveva detto niente: l'unica cosa che aveva intuito era che fosse successo qualcosa di molto, molto grave, talmente tanto da poterlo spingere a non tornare a casa quella sera - e, forse, neppure le sere successive.
Ripensandoci, aveva capito che la cosa aveva a che fare con dei negozi - o meglio, con la chiusura dei negozi. Quando poi si era chiesto se fosse un qualcosa collegato al lavoro di Gakupo, si era accorto di non sapere assolutamente niente di quel che lui facesse: sapeva che era un mercante, era piuttosto sicuro che non avesse dipendenti, ma si era ritrovato a chiedersi se il famigerato negozio chiuso fosse un eventuale fornitore di materie prime o altro - anche perché non aveva la benché minima conoscenza dell'economia, andava a supposizioni, ma era conscio del fatto che ci fossero dietro miliardi di altre cose.
Rabbrividì di nuovo.
Per qualche strano motivo, aveva sempre dato per scontato che Gakupo non provasse paura. Sorpresa, confusione, ma non paura. E che, nel caso di qualcosa di imprevisto, sapesse sempre cosa fare, a prescindere.
Riprese a disegnare, un senso di vuoto all'altezza del petto.
Un rumore.
Alzò la testa, bloccandosi, gli occhi sgranati, le orecchie tese.
"La porta principale...?"
Il battito accelerato del cuore gli rese difficile sentire bene cosa stesse succedendo, dato quanto rimbombava nelle orecchie; quando udì quella voce familiare, calma, trattenne a stento un sorriso e tornò a guardare il libro, come se niente fosse.
Rialzò la testa solo quando sentì il rumore degli stivali avvicinarsi.
Nel momento in cui Gakupo apparve sulla soglia della biblioteca, tranquillo, Len smise di costringere le labbra a rimanere ferme: - E' andato tutto bene? -
- Sì. - un sospiro. Forse era persino un sospiro di sollievo.
- Posso chiedervi cos'è successo? - domandò, mentre Gakupo si avvicinava alla poltroncina su cui si era appallottolato: - Questo pomeriggio avevate un aspetto davvero orribile. -
- Perdonatemi. - lo vide fermarsi vicino al bracciolo: - Conosco uno dei lavoratori- - si bloccò. Riprese dopo un secondo: - -uno dei precedenti lavoratori in uno dei negozi che ha chiuso in una città qui vicino. -
"Conosce un lavoratore...?"
- Il negozio ha chiuso due mesi fa, ma lui non mi ha detto niente. Quindi sono andato a vedere la situazione. - il tono con cui aveva parlato era incredibilmente calmo, quasi apatico.
Len alzò lo sguardo fino ai suoi occhi: erano tornati come loro solito, sì, ma riusciva a vedere qualcos'altro, come un'ombra. Non che avesse uno sguardo preoccupato: era come a seguito di uno spavento, quando il cuore batteva forte per svariati altri minuti anche dopo essersi tranquillizzati.
"Deve aver avuto davvero paura..." gli sembrava strano. Ora che Gakupo era di nuovo al suo fianco, normale, le cose successe quel pomeriggio e quelle stesse parole gli sembravano come se le avesse viste e sentite in un sogno.
Scosse la testa, scacciando quei pensieri. Il cuore era diventato incredibilmente leggero: - Ora va tutto bene, quindi? -
Silenzio.
"Eh...?" piegò appena la testa di lato: gli era quasi parso di vedere un sorriso fugace.
- Sì. Ora va tutto bene. -
Sbattè le palpebre: "Perché quella pausa...?".
Avrebbe voluto chiederlo. Forse l'avrebbe fatto un'altra volta, però.
- Non fatemi più preoccupare così. - sussurrò, tornando al disegno.
- Perdonatemi, Ren. - dopo quel mormorio, la voce tornò normale: - Piuttosto... potrei sapere cosa state facendo? -
- Oh, è un libro che ho trovato in quello scaffale lì! - lo indicò, senza alzare la testa: - Credo sia un libro di poesie, o qualcosa del genere. Questa, ad esempio: "L'ultima lettera all'amante perduto". - si schiarì la voce: - Nel momento in cui il sole tramonta, la luna scompare nell'oscurità... -
- Non intendevo questo, oujo-sama... -
- Perché nelle storie e nelle poesie d'amore ci sono sempre il sole, la luna, le stelle, le nuvole e tutte le cose che ci sono nel cielo? Si può essere romantici anche con le cose che stanno in terra! I fiori, ad esempio. Soprattutto se sono viola e oblunghi! - per qualche strano motivo, gli tornarono in mente le melanzane. Anche se lui non si riferiva alle melanzane. Curioso come la forma e il colore fossero simili.
- Anche i fiori vengono usati spesso. - fu la risposta pacata di Gakupo: - Tuttavia, non mi stavo riferendo neppure a questo, oujo-sama. La mia perplessità era a proposito della penna che state tenendo in mano e dell'utilizzo che ne state facendo. -
Len guardò la penna. Poi guardò Gakupo: - Disegno. -
- Potreste disegnare su dei fogli puliti, piuttosto che fare cornicette di +++ sulle pagine dei libri? -
- No. -
- Sono sicuro che un giorno ci riuscirete. -.

C'era chi diceva che imparare a memoria intere frasi in un'altra lingua fosse nocivo, una perdita di tempo, un qualcosa di inutile.
Len non era dello stesso parere; sentirsi fare una domanda come: - Avete già avuto richieste, Lady Len? - e rispondere in giapponese, con espressione seria e composta, attirava su di sé sguardi d'ammirazione per cotanta saggezza e sguardi affascinati per il delicato alone di mistero che lo circondava.
- Avete già avuto richieste, Lady Len? -
- Non mangio pesce crudo con la soia. -
Tanto solo Gakupo poteva capirlo.
- Mi fa piacere che, nonostante non facciate mai i compiti, riusciate ad apprendere lo stesso. -
- Io li faccio, i compiti! - gonfiò le guance: - Ogni tanto li faccio! -.
Non aveva idea del trascorrere del tempo.
Quando si rese conto che Gakupo abitava con lui già da cinque mesi, rimase disorientato: gli sembrava fossero trascorsi anni e, allo stesso tempo, poche ore. Era una sensazione strana.
Non che la cosa gli importasse: soltanto, era rimasto sorpreso.
Se provava a ripensare al passato, anche solo ad un anno prima, i ricordi gli sembravano lontanissimi, sfocati, quasi appartenessero alla sua infanzia; quelle poche cose che gli tornavano alla mente erano solo positive, anche se non quanto i ricordi che iniziavano da cinque mesi prima.
Gli sembrava che ogni cosa si fosse trasformata in meglio, che tutte le persone fossero diventate gradevoli, che tutti i cibi fossero diventati buoni, che tutti i posti fossero diventati bellissimi, che il mondo fosse diventato semplicemente perfetto, che ogni cosa andasse nel verso giusto - e, se c'erano contrattempi, erano solo di breve durata, a cui poi sarebbe seguito qualcosa di ancora migliore rispetto a quello che si era previsto.
Era tutto perfetto.
Era tutto meravigliosamente perfetto.
Non credeva fosse possibile avere di più.
Eppure, in quel momento, i suoi propositi di sradicare mezzo giardino per cogliere le rose e farne un the, per quanto passatempo interessante, erano passati completamente in secondo piano.
Una volta tanto, non aveva pensato al fatto di essere da solo con Gakupo, in un punto poco visibile. Ammirò il fatto che l'altro avesse cominciato a prendere l'iniziativa.
- Ricordate quando mi avete detto che metto troppe parole nelle frasi? -
Len annuì, confuso: - Non che ora siate cambiato. -
Un accenno di sorriso: - Avevate ragione. -
- Certo che avevo ragione. Ho ragione anche ora. -
- Hai. Perdonatemi. -
- Perdonarvi co- -
Un sussurro all'orecchio.
E ogni cosa si fermò.
Solo quella parola continuava a muoversi, ripetendosi nella sua mente, ripetendosi, ripetendosi, ripetendosi.
Afferrò la giacca dell'altro, gli occhi che facevano male, tanto erano sgranati, lo sguardo fisso nel suo.
In un primo momento, si era sentito congelare.
Poi il suo volto, le sue mani e il suo petto erano andati a fuoco.
- L'avete fatto apposta? - sussurrò, piano: - A darmi quelle frasi da imparare a memoria? -
- Se anche fosse? -
Strinse la presa sulla stoffa.
E lo avvicinò ancora di più, quasi fino a soffocarsi, il cuore troppo grande che colpiva con violenza il suo petto.
Era tutto irreale.
Era tutto perfetto.
Era tutto meravigliosamente perfetto.
Era tanto perfetto da sembrare un'illusione costruita da lui stesso, mettendo insieme tutti i suoi desideri, fino a creare una realtà perfetta.
Eppure era vero.
Era tutto vero.
E tutto splendido.
- Lui guarda solo me... - strinse il pupazzo nero al petto, all'alba, nella sua camera: - Solo me. Solo me. E guarderà solo me. -
Era perfetto, quel mondo meraviglioso e reale.
Era tutto perfetto.
Aveva trovato qualcuno in grado di guardare solo lui.
Che avrebbe guardato solo lui.
Per sempre.
Per sempre.
Per sempre.
Per sempre.
Per sempre.
Per sempre.
Per sempre.






Note:
* "Zero": Zero, cantata solo da Len.
* Non penso ci sia bisogno di spiegare il Bananaisu. U.U
* La canzone che canta Len è Sakura Maichirinu -Rei-. [Traduzione]
* Il vestito di Len, credo spero si sia intuito, è quello Setsugetsuka. *O*
Che, per capire com'è fatto esattamente, ho dovuto guardare tutte immagini di cosplay.
Un piccolo appunto: Len dice che vuole che la serata sia una "occasione speciale" e, per quello, si fa cucire un kimono; sì, l'abito delle "grandi occasioni" è quello di Imitation Black ma, come Len stesso ha spiegato, non è adatto ai balli. XD *Non che quest'altro lo sia.* *Niente, ci teneva a specificarlo.*
* In epoca vittoriana, il trucco, se proprio proprio proprio doveva esserci, era leggerissimo; inoltre, difficilmente veniva concesso alle ragazze giovani.
Questo perché a truccarsi pesantemente erano, come si può immaginare, le prostitute.
Tuttavia, non era affatto carino fare commenti sul trucco di una donna, soprattutto se di rango molto elevato.
Quindi, sì, Len si trucca appena pur essendo giovanissimo perché sa che nessuno gli dirà niente.
In ogni caso, il trucco leggero era piuttosto tollerato.
* "Il lato oscuro della luna": Dark Side of the Moon, cantata solo da Len.
* "Oh, non giurate sulla luna, sulla luna incostante che ogni mese cambia nella sua orbita circolare!": Romeo e Giulietta, Atto II Scena II, alias "La Scena Del Balcone".
Perdonatemi, non ho resistito. *scappa*
* "L'ultima lettera all'amante perduto": Last Letter e Lost Lover. U.U *Combo*
* "Nel momento in cui il sole tramonta [...]": Taiyou ga Shizumu Koku / The Moment The Sun Goes Down, cantata solo da Gakupo.
* "[...] la luna scompare nell'oscurità": Yami ni Shou Eru Tsuki / The Moon Disappeared in the Darkness (l'ho trovata anche come My Darkness Disappears to The Moon, ma il titolo più fedele è l'altro).
* I fiori viola e oblunghi a cui si riferisce Len. (Se guardate il nome del link, capirete anche di che albero si tratta. *Forse Len è un pelino ossessionato...*)
* "+++": +++. Semplicemente. *Ecco perché l'ha scritto proprio così e non in lettere.*
Che poi come sarebbe, in lettere? "Plus Plus Plus"? "Cross Cross Cross"? "Biiiip"? Qualcosa in giapponese? *Lei la chiama "Più Più Più", ma ha il vago dubbio che non sia la lettura effettiva.*
* [Avviso: Mi sono resa conto di aver fatto confusione con i titoli nobiliari e i modi in cui rivolgersi ai duchi - semplicemente, non avevo messo i "di" (Duchi di Mirror, Conti di Tibirsh), e ho fatto chiamare Len "duchessina" piuttosto che "Lady Len Mirror" o "Lady Len". Più alcuni "Vostra Grazia" riferito ai duchi e qualche altro "Lady/Lord" alle comparse. Ora ho corretto, scusate l'errore. °A°]




Capitolo similfluffoso (?) e, soprattutto, strabordante di citazioni infilate con la grazia di un cinghiale esagitato. (?)
Perché non esistono solo le canzoni con il PV! *O*/ *Anche se fatica a ricordarsele pure lei.* *Vuole il PV di +++.*
Spero non risultino troppo invasive... °A°"

Qualche appunto sul capitolo di per sé.
Per quanto possa sembrare assurdo (anzi, proprio per questo), Gakupo riuscirebbe a dire "Supercalifragilisticexpialidocious" (perché sono in Inghilterra e lo direbbe così (?) con almeno un secolo di anticipo - dettagli (!)) ma non "Len" con la L. CoseCheCapitano. U.U
Sempre riguardo Gakupo e cose da pronunciare, in un primo momento volevo mettere qualche esempio delle famigerate "frasi fatte da imparare a memoria"; tuttavia, non volevo che il seguito fosse più ovvio di quanto già fosse.
Ah, ovviamente, tra le suddette frasi fatte non si parlava di pesce crudo e soia. Ma Len ha già mostrato di saper comporre frasi.
... forse. (?)

Infine, l'identità del (ex) lavoratore che Gakupo conosce - e che gli ha quasi fatto prendere un colpo - immagino sia piuttosto palese. U.U *Così come anche cos'è successo a Gakupo mentre era dal suddetto.*

Beh, giunti a questo punto, con ciò che è stato detto nei capitoli precedenti, non credo sia difficile intuire cosa succederà. U.U
Se poi sono riuscita a fare le cose in modo decente, la fine di questo capitolo non dovrebbe avere niente di fluffoso.

Parlando più in generale.
Questo era l'ultimo capitolo interamente scritto. Ho già iniziato il successivo, ma dubito molto di riuscire a finirlo per la prossima settimana. °A°
Per questo mi scuso già da ora dei ritardi degli ultimi (AHAHAHAH) due capitoli. *Saranno davvero gli ultimi due, poi? O il prossimo sarà un ennesimo quindicesultimo? (?)* *Ormai la questione non è "finire", è "sarà davvero il penultimo?"*
*china testa*

In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia stato di gradimento. ^^
Se ci sono consigli o critiche, dite pure. ^^
  
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