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Autore: Aurore    02/05/2014    2 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 9
Capitolo 9
Into the fire

Come on, come on
Put your hands into the fire
Explain, explain
As I turn and meet the power
Turning white and senses dire
Pull up, pull up
From one extreme to another.
Into the fire, Thirteen senses¹


Dopo tutto, una bugia cos'è? Nient'altro che la verità in maschera.
George Gordon Byron, Don Giovanni



«... Quindi il funzionamento più elementare è il motore a due tempi, perchè ha soltanto due fasi: compressione-aspirazione ed espansione-scarico. Nel motore a quattro tempi i passaggi sono quattro: aspirazione, compressione, scoppio e scarico. La differenza fondamentale è questa, capito?».
Abbassai lo sguardo su Jacob, le sopracciglia inarcate, cercando di non sembrare troppo confusa. «Sì, certo. Ho capito».
Ovviamente non se la bevve. «Davvero? Ti va di ripetere tutto?», propose, un sorrisino sghembo sul viso.
Merda. Fissai la parete di mattoni del suo vecchio garage e mi sforzai di ricordare qualcosa di sensato.
«Ehm... Allora, motore a due tempi, due fasi, motore a quattro tempi, quattro fasi. Fin qui ci arrivo. E poi... com'era quella cosa dei giri e dell'albero?».
Jacob, in ginocchio sul pavimento, occupato ad armeggiare con un attrezzo dall'aria misteriosa nel motore della sua Harley Sprint, scoppiò a ridere.
«Lascia perdere, è meglio. Mi sa che questa roba non fa per te».
Sbuffai e scossi la testa, risentita. Mi sistemai meglio sul cofano della Golf, dove ero appollaiata. Non era il massimo della comodità, ma era quella la mia postazione quando passavo ore ed ore con Jake a guardarlo lavorare.
«Non mi sto concentrando, tutto qui».
«Certo, certo. Se ti concentrassi, saresti un'esperta di motociclette».
«La pianti, per favore? Ora ti faccio un bel test sull'uso dell'ombretto e vediamo come te la cavi, ti va?».
Mi lanciò un'occhiata rapida e sorrise. «Touchè», mormorò.
Per un po' restammo in silenzio, ascoltando il rumore del vento tra le fronde degli alberi. Era così tranquillo, lì. A casa di Jacob mi sembrava di essere in una bolla di sapone
e non soltanto per via della sua presenza. La casetta rossa tra i boschi della riserva era il mio rifugio sicuro dal resto del mondo, e lo sarebbe sempre stata, che Jake fosse presente o meno. Una delle poche cose immutabili dell'esistenza.
«La verità è che ho troppe cose per la testa. Non posso pensare a... fasi e motori», confessai all'improvviso, di getto.
«Mi dispiace se ti ho annoiato».
«No, non è colpa tua. Sono stata io a farti delle domande». Mi sfuggì un sospiro e increspai la fronte. Quando il mio umore era così strano, anche la compagnia che gradivo maggiormente diventava difficile e pesante. «Credevo che fosse una faccenda abbastanza complicata da riuscire a distrarmi, ma forse è troppo complicata».
Jacob rimase zitto per un secondo, occupato a svitare qualcosa con un cacciavite. Per quanto osservassi quegli stessi gesti da quando ero bambina, per me restavano un autentico mistero: non avevo la minima idea di cosa facesse quando infilava le mani nel motore di una macchina o di una motocicletta.
«Se vuoi possiamo passare a qualcosa di più semplice. Potrei spiegarti come funziona un triciclo, magari».
Lo guardai e non appena i nostri occhi si incontrano scoppiai a ridere, mio malgrado.
«Passo, grazie», risposi con una scrollata di spalle. «Mi tengo le mie preoccupazioni. Non se ne vanno in ogni caso».
«Pensi a Jas, immagino», buttò lì a bassa voce, quasi in tono casuale.
Esitai un po' prima di rispondere. «Tra le altre cose», mormorai, esitante.
«Credevo che avesse fatto pace con Tom».
«Sei tu che vuoi saperlo o è Seth?», indagai, evitando con cura di guardare verso di lui.
«Renesmee...».
«Tanto lo so che stai dalla sua parte», mugugnai, e tirai su col naso, stizzita.
«Non è vero», ribattè Jacob con forza. Mi accorsi che mi stava guardando, ma io continuai a fissare la parete senza battere ciglio. «Io non voglio che Jas stia male o abbia dei problemi con il suo ragazzo, però capisco Seth. E proprio perchè lo capisco, non posso fargli una colpa di quello che è successo».
«Lo so», tagliai corto, e un attimo dopo mi resi conto di quanto era stato acido il mio tono.
Gli lanciai un'occhiata titubante e una parola di scuse era già sul punto di scivolarmi fuori dalle labbra, ma poi, un istante prima di pronunciarla ad alta voce, cambiai idea di colpo e tacqui. Lui non aggiunse altro. Aveva ricominciato a lavorare, la testa bruna china sulla moto, e per un po' restammo in silenzio.
«Be', comunque sì, hanno fatto pace», ripresi all'improvviso. In fondo, nasconderglielo non sarebbe servito a nulla. «Tom è stato sulle sue per qualche giorno, poi hanno parlato e credo che le cose siano a posto... Almeno per ora».
«Bene», commentò Jake tra i rumori metallici che produceva muovendo in fretta le mani grandi e sorprendentemente abili e delicate. «Purchè non Jas non baci qualcun altro nel frattempo».
Gli lanciai uno sguardo assassino. «Se vuoi la mia opinione, la storia del bacio con il tizio di Long Beach è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Direi che è stato il comportamento di Seth, assolutamente scorretto e fuori luogo, ad infastidire Tom», ribattei, piccata.
Jake mi fissava divertito, con l'aria di chi la sa lunga. «Non pensi che forse Tom non avrebbe reagito in quel modo senza nessun fatto concreto che confermasse le sue paure?».
Rimasi impassibile. «No, non lo penso. Per niente». Dopo un attimo Jacob abbassò lo sguardo, senza smettere di sorridere, ed io repressi a stento il desiderio di lanciargli qualcosa. «Comunque, ormai sono passate due settimane e sembra che la situazione sia tornata tranquilla». Sospirai di nuovo. «Adesso dobbiamo soltanto tenere duro fino alla prossima bufera».
Lo sentii ridacchiare, anche se non potevo vederlo bene, mezzo nascosto dalla macchina. «Cos'è tutto questo ottimismo?».
«Meglio essere preparati al peggio che illudersi». Lui non rispose ed io riflettei in silenzio per un minuto. Quando parlai di nuovo, lo feci quasi senza accorgermene. «Ho un brutto presentimento».
I rumori metallici cessarono e con un po' di ritardo notai che Jake mi fissava con aria seria. «Riguardo a cosa?».
«Niente in particolare. Semplicemente... credo che presto succederà qualcosa. Qualcosa di importante. Tom e Jas sono in bilico in questo momento. Io li conosco bene e lo sento quando non sono tranquilli, quando c'è qualcosa che li preoccupa. E una situazione così non può durare a lungo. Prima o poi si cade, da una parte o dall'altra».
All'improvviso mi chiesi se stessi davvero parlando dei miei amici o di qualcun altro, di me stessa, forse. Per un istante temetti che Jacob volesse pormi la stessa domanda e sentii una fitta di paura allo stomaco; non avrei saputo cosa rispondere.
«Speriamo che cadano dalla parte giusta, allora», disse invece.
Sollevata, pensai in fretta a qualcosa da dire per cambiare argomento, quando mi accorsi che il mio cellulare vibrava nella tasca dei jeans. Probabilmente era arrivato un messaggio. Lo estrassi dala tasca, guardai il display e sussultai: tre telefonate perse di Alex.
«Oh», esclamai. «Alex ha provato a chiamarmi. Scusami, Jake».
Saltai giù dal cofano e uscii dal garage senza guardarlo. Mi allontanai un poco, sperando che fosse sufficiente perchè Jacob non sentisse. Non avevo nulla da nascondere, ma per una volta mi sarebbe piaciuto tenere per me una conversazione telefonica con il mio ragazzo. Tirai un respiro profondo mentre premevo il tasto di chiamata e ascoltai gli squilli uno dopo l'altro, tesa. Poi sentii un click dall'altra parte.
«Scheggia! Finalmente! Stavo per chiamare la polizia».
Sorrisi, il cuore che batteva più in fretta del consueto. Ascoltare la sua voce mi causava sempre un'emozione intensa, anche se ci eravamo parlati l'ultima volta poche ore prima, a scuola.
«Ah, sì? Scommetto che Charlie sarebbe felice di aiutarti a trovarmi».
«Non sottovalutare il potere del mio fascino. Lo sai che tuo nonno non può resistermi», ribattè. Invidiavo il modo in cui riusciva a mantenersi perfettamente serio e sicuro di sè anche quando ci prendevamo in giro a vicenda. «Sto provando a chiamarti da un po'», aggiunse un attimo dopo, e subito registrai un cambiamento nel suo tono. Lievissimo, ma c'era.
«Sì, ho visto. Mi dispiace».
«Nessun problema, tranquilla. Dove sei?».
I miei occhi saettarono istintivamente verso il garage, a pochi metri da me. Gli voltai le spalle. «A casa di... ehm, Danielle. Stiamo facendo qualche esperimento con il trucco».
Alex si prese una lunga pausa prima di rispondere. Io attesi, il respiro un po' affannato. «Interessante», disse infine, il tono accuratemente neutro. «Ti stai divertendo?».
«Abbastanza».
Altra pausa. «Senti, hai da fare stasera?», chiese all'improvviso.
«No, sono libera. Perchè?».
«Julie e Phoebe sono partite oggi per Vancouver: è il compleanno di Andrew, il fidanzato di mia zia, e passeranno il week end con lui, perciò... Che ne dici di venire da me? Ordino una cena italiana, giochiamo a backgammon...».
«Wow, che prospettiva eccitante», commentai, ironica, sorridendo.
«Stare con me è già abbastanza eccitante, Scheggia. Cosa vuoi di più?».
«Ah, lo so! Okay, va bene. Ci sarò».
«Ottimo», esclamò. Sembrava davvero felice. «Passo a prenderti alle otto».
«Okay».
«In teoria, ormai hai preso la patente e hai anche una macchina fantastica, quindi forse sarebbe il caso di utilizzare entrambe», aggiunse con voce insinuante.
«Perchè dovrei se ci sei tu che mi scarrozzi in giro?».
«Scarrozzarti in giro va bene, purchè il pagamento sia in natura».
Risi, scuotendo il capo. «Piantala, stupido. Ci vediamo stasera».
«Sì, a stasera», rispose, poi tacque. Stavo per chiudere la comunicazione, quando sentii di nuovo la sua voce. «Senti, Renesmee...». Aveva uno strano tono, come se la sua impassibile ironia fosse sparita completamente. Era serio, grave.
«Sì?», lo incitai, dopo una breve esitazione. Non ero certa di voler sentire davvero cosa stava per dirmi. Avevo la sensazione che fosse una cosa seria e avvertivo un groppo d'ansia alla bocca dello stomaco.
«È tutto a posto?».
Deglutii con forza. «Certo. Perchè? In che senso?», domandai, cauta, temendo la risposta con tutta me stessa.
Dall'altro lato ci fu un lungo silenzio, di nuovo. Non era da lui restare a corto di parole. Cosa stava succedendo? Cosa ci stava succedendo? Era davvero tutto a posto? Quanto avrei desiderato esserne sicura.
«Non importa», disse all'improvviso, troppo bruscamente perchè potessi indovinare il suo stato d'animo. «Ciao, Scheggia».
«Ciao», mormorai, sconcertata, e un attimo dopo aveva riagganciato.
Lentamente, infilai il cellulare nella tasca e tornai verso il garage, rimuginando. Alex era così strano in quei giorni. Probabilmente percepiva la mia tensione, dovuta a tutte le cose che avevo per la testa, e questo lo preoccupava. Stare insieme era diventato complicato, al punto che talvolta il pensiero di incontrarlo era fonte di un'ansia difficile da arginare. E avevo paura che pensasse di essere lui la causa del mio strano umore.
Trovai Jacob ancora sul pavimento, chino sulla sua moto. Quando entrai, sollevò gli occhi.
«Alex mi ha invitato a cena da lui, stasera», dissi, sforzandomi di apparire tranquilla e di accennare un sorriso. «Julie e Phoebe sono a Vancouver dal fidanzato di Julie... ti ho detto che lavora lì, vero?
È un giornalista. Staranno via tutto il week end».
Lui annuì senza lasciar trapelare nessuna emozione particolare. «Bella idea».
Mi strinsi nelle spalle. «Sì», mormorai. Un attimo dopo mi accorsi che mi stavo dondolando avanti e indietro sui talloni, impaziente. Smisi subito. «Allora, ehm... io andrei. Si è fatto tardi e devo prepararmi».
«Certo, certo. Ti accompagno».
Si mosse verso la Golf, pulendosi al contempo le mani sui jeans, e a me sfuggì un mezzo sorriso. Lo faceva sempre, mentre lavorava, senza accorgersene, sporcando inevitabilmente tutti i suoi jeans. E se qualcuno glielo faceva notare, lui per tutta risposta alzava le spalle, tanto poco si curava dei propri vestiti e del loro aspetto.
«No, non preoccuparti», esclamai di getto. «Non serve che mi accompagni, faccio due passi».
Jacob si fermò e mi guardò con le sopracciglia leggermente inarcate. «Ah. D'accordo». Aveva un'aria interrogativa, come se fosse sul punto di chiedermi qualcosa. E infatti subito dopo aprì bocca. «Renesmee», riprese con tono incerto. Fece una breve pausa. «Va tutto bene con Alex?».
Per un po' ricambiai il suo sguardo preoccupato e affettuoso in silenzio. Avevo immaginato che volesse chiedermi qualcosa del genere. Chissà come avrebbe reagito se avessi risposto che il mio ragazzo era tremendamente geloso di lui e che la nostra amicizia metteva a rischio il mio rapporto con Alex. E se gli avessi detto che la sua vicinanza mi causava strane sensazioni? E se gli avessi detto che al matrimonio di Paul e Rachel ero stata seriamente tentata di uccidere quella Summer solo perchè non la smetteva di provarci con lui?
Meglio di no. Deglutii.
«Sì, tutto bene. Grazie per... l'interessamento». Accennai un sorriso forzato. «Ci vediamo, Jake».
«Ciao. Buona serata», disse, la voce appena più alta di un sussurro.
Mi voltai e uscii rapidamente, desiderosa di allontanarmi il più possibile da lì, da lui. Per qualche crudele scherzo del destino, sembrava che tutti i legami a cui tenevo di più stessero cambiando drasticamente oppure dissolvendosi all'improvviso, senza darmi il tempo di capire. Ed io non potevo fare altro che starmene lì a guardare.



****



«Vuoi tirare di nuovo i dadi?», ripetei, sorpresa, osservando Alex di sotto in su con aria scettica.
«Certo», rispose lui, disinvolto, agitando appena la mano destra chiusa a coppa e facendo tintinnare i dadi racchiusi al suo interno.
«E perchè mai?».
«Perchè mi è uscito un due e fa schifo. Non mi serve a niente un due», disse, come se fosse stato lampante.
«Be', mi dispiace, ma non puoi farlo».
Mi squadrò con aria incredula. «Sì che posso».
«No, tesoro. È esplicitamente vietato dalle regole del backgammon²».
Alex fu sul punto di scoppiare in una sonora risata sotto il mio naso arricciato. «Okay, primo: da quando mi chiami tesoro? Secondo: ti sbagli, si può fare benissimo».
Era sul punto di rilanciare i dadi, ma io non mollai. «Ti dico di no!».
«E io ti dico di sì!».
«Alex!», sbottai, sbalordita da tanta testardaggine. Non si comportava mai docilmente, ma sapevo che quando si impuntava in quel modo su una sciocchezza lo faceva per il puro gusto di provocarmi, di vedermi sbuffare e arrossire per la stizza e darmi da fare per contraddirlo. Aveva uno strano senso dell'umorismo.
«Scheggia!», ribattè, velocissimo e impassibile.
Per un attimo lo fissai con aria truce, reprimendo a stento l'irresistibile impulso di schiaffeggiarlo. Poi allungai una mano verso la scatola del gioco, abbandonata sul tappeto del salotto.
«Okay, basta. Guardiamo il regolamento».
Alex era sdraiato di fronte a me, appoggiato a un gomito. Il fuoco acceso nel camino illuminava la sua sagoma rilassata in quella posa di distratta eleganza. Fece un sorriso diabolico e incantevole mentre alzava le spalle.
«Fai pure. Ma se ho ragione io, paghi pegno».
«E cioè?», sbuffai, rovistando nella scatola del backgammon.
Breve pausa. «Dovrai farmi uno spogliarello. E che sia molto, molto sexy».
Mi bloccai con il libretto del regolamento tra le dita. Sollevai lo sguardo lentamente e lo fissai, aspettandomi di vederlo ridere con gli occhi, senza muovere le labbra, come solo lui sapeva fare, e invece, mentre la sua bocca sensuale si curvava in un sorriso furbo, l'espressione era incredibilmente seria. Sospirai per prendere fiato, fingendo di essere solo profondamente esasperata, e scorsi in fretta il regolamento. Quando trovai quello che cercavo, mi sfuggì un sorrisetto compiaciuto.
«Niente spogliarello, ho ragione io. Ecco qua».
Gli porsi il libretto, soddisfatta. Alex lo prese e lo gettò via, lasciandolo cadere sul tappeto, senza dargli neanche un'occhiata.
«Lo sapevo. Ma valeva la pena di provarci soltanto per vedere la tua faccia quando ho nominato lo spogliarello».
Scoppiai a ridere, scuotendo la testa. Si comportava come un bambino cresciuto troppo in fretta, come se sapesse di doversi comportare come un adulto e si sforzasse di farlo, lasciando trapelare di continuo il vero se stesso, immaturo ed esasperante.
«Sai che ti dico? Hai sbagliato tu, quindi sarai tu a pagare pegno».
«Ah», fece lui con aria grave. «Okay. Però decido io qual è il pegno».
Alzai gli occhi al cielo. In un modo o nell'altro doveva sempre avere l'ultima parola. «E cosa proponi? Sentiamo».
«Lo vedrai». Mentre parlava, si mise a sedere, spinse di lato la tavola del backgammon, mi prese per la vita e mi attirò a sè. «Nei prossimi minuti sarò... completamente al tuo servizio per fare di te la ragazza più felice del mondo», sussurrò, la voce bassa e suadente.
Stavo per rispondere con una battuta scherzosa, sperando di alleggerire l'atmosfera che iniziava a scaldarsi un po' troppo, ma lui mi chiuse la bocca con un bacio. Le sue labbra calde, soffici e abili mi fecero scordare tutto e ricambiai il bacio, sporgendomi verso di lui. Continuava a stringermi la vita con un braccio, mentre con l'altra mano mi sosteneva il collo, sotto i capelli. A un tratto si scostò appena, ma le nostre labbra erano ancora in contatto, sfiorandosi leggermente. Sentivo il suo respiro caldo e accelerato su di me e rabbrividii. Alex poggiò i denti sul mio labbro inferiore, esercitando una lievissima pressione che aumentò gradualmente di intensità, fin quasi a morderlo. Una minuscola punta di dolore, quasi impercettibile, si mescolò ad una sensazione incredibilmente piacevole. Mi concentrai con tutta me stessa su quella piccola porzione di pelle che bruciava come se andasse a fuoco e seguii il calore elettrizzante che da quel punto si propogava in ogni parte del mio corpo, ipnotizzata, stregata, incapace di muovermi e di pensare. Mi sfuggì un gemito.
Alex rafforzò la presa sulla mia vita e mi trascinò sul tappeto. Il suo peso mi tolse il fiato per un istante prima che lui facesse leva sui gomiti, sollevandosi un po'. Non ci eravamo mai baciati in quel modo, prima: sdraiati l'uno l'altra, così vicini da sottrarci il respiro a vicenda, completamente soli, liberi e fuori da ogni controllo. A disagio, mi mossi di scatto e urtai la tavola del backgammon con un gran tintinnio di pedine che si mescolavano disordinatamente. Mi scappò una risatina soffocata dal tono un po' isterico.
«Ehm... Alex... temo che la nostra partita sia andata a farsi friggere».
«Chi se ne frega della partita», sbottò, quasi infastidito.
Si tuffò sulla mia bocca e riprese a baciarmi con impeto, lasciandomi stupita. Era sempre molto passionale, ma quella sera sembrava che dentro di lui divampasse un incendio interminabile. Riuscii a respirare di nuovo solo quando spostò la bocca sul mio collo, percorrendone la curva con micidiale lentezza, poi sulla spalla, continuando a scendere. Le sue mani mi accarezzavano e mi stringevano ovunque, strappandomi sussulti violenti: il seno, i fianchi, le gambe, e dal suo tocco trapelava un desiderio così intenso e potente da trascinarmi a bruciare con lui. Una piccolissima parte della mia mentre mi urlava di non perdere del tutto il controllo, ma non riuscivo a prestarle attenzione, troppo presa dal piacere che sentivo irradiarsi in tutto il corpo come lava bollente e distruttrice. Impossibile resistere.
La mano di Alex si strinse all'improvviso, accarezzandomi una coscia, le unghie grattarono la calza e strapparono il tessuto sottile, graffiandomi la pelle. Mi fece male e quella sensazione di dolore all'improvviso mi riscosse, come la lama di un coltello che squarcia un velo. Di colpo mi resi conto di quello che stavamo facendo. Di quello che poteva succedere se avessimo continuato. Dovevamo... Cosa dovevamo fare? Fermarci e ragionare, sì, pensai, sforzandomi con difficoltà di scacciare la nebbia che mi avvolgeva il cervello. Alex sussultò.
«Ops. Scusa, non volevo», disse in un sussurro, la bocca premuta contro la mia scollatura. Ma non ritrasse la mano, e anzi riprese ad accarezzarmi la coscia, salendo verso l'alto fino alla curva del fondoschiena. Non mi aveva toccato così, prima. Era bellissimo e spaventoso al tempo stesso. Gli afferrai il braccio, bloccandolo.
«No, aspetta», ansimai.
Lui esitò, perplesso dal cambiamento che iniziava a percepire. Adesso ero rigida, tesa, le dita strette intorno al suo polso. Mi guardò attentamente, sebbene il suo sguardo fosse velato dal desiderio, cercando di capire.
«Rilassati, Renesmee. Va tutto bene», mormorò con voce roca, poggiando la bocca sul mio viso, di lato, e baciandomi la tempia. Con un mano mi tirò giù la spallina del vestito e del reggiseno.
Un altro brivido mi attraversò da cima a fondo, scuotendomi fin dentro le ossa. Alex se ne accorse e forse lo interpretò come un incoraggiamento a proseguire. Si sollevò per sfilarsi velocemente il golf grigio chiaro e lo gettò a terra, restando con la camicia bianca, gli occhi accesi e scintillanti che non si staccavano dai miei neanche per un istante, ed io ricambiai lo sguardo, inchiodata a terra e imbavagliata dalle due spinte contrastanti che mi immobilizzavano, paura e desiderio, impegnate in una lotta furibonda dentro di me. Era come se il mio corpo e la mia mente fossero del tutto scollegati e il primo bramasse sensazioni che la seconda si sforzava di arginare perchè tornasse la lucidità.
Alex si chinò di nuovo di me, senza permettermi di pensare, le sue mani dolci e frenetiche che cercavano di sollevarmi la gonna aderente, a tubino, facendola scorrere lungo le cosce. Ero sul punto di lasciarmi andare, quando un'ondata di panico montò di colpo dentro di me, un brivido gelido che spense il calore delle sue mani sul mio corpo. Mi divincolai per sottrarmi alle sue labbra.
«Alex, basta... Fermati... Fermati!».
A quel punto sembrò che qualcosa scattasse anche dentro di lui. Si bloccò all'improvviso e rimase immobile per alcuni istanti, ancora sdraiato su di me, le mani serrate sulle mie gambe, la fronte contro la mia. Eravamo troppo vicini perchè riuscissi a guardarlo bene in viso. Poi scivolò di lato e ricadde sul tappeto, accanto a me. Il silenzio divenne assordante, rotto soltanto dai respiri accelerati di entrambi. Cercai disperatamente di tornare lucida, mentre mi tiravo giù la gonna con mani tremanti.
«Alex», lo chiamai con voce tesa, preoccupata, quando non riuscii più a sopportarlo. «Alex, non te le prendere, io...».
Lui si sollevò e si mise in ginocchio con uno scatto così rapido da fare invidia ad un vampiro. Senza guardarmi, si passò più volte le mani tra i capelli in disordine, come per sistemarli, ma a me parve solo un gesto nervoso e inconsapevole.
«Non me la sono presa», rispose, con calma. «Se non ti va, non ti va».
Se l'era presa eccome, invece. Accidenti. «No, è solo che... non mi hai dato il tempo di rifletterci...».
«Su certe cose non c'è bisogno di riflettere», disse, la voce bassa e incolore. «Renesmee», mi chiamò un attimo dopo, e mi accorsi che si era girato verso di me. «Renesmee, guardami».
Controvoglia, ubbidii. Sembrava spaventosamente calmo e capii che stava per arrivare qualcosa di grosso. Qualcosa che non forse non avrei voluto ascoltare. Era esattamente la stessa sensazione che avevo avvertito nel pomeriggio, quando avevamo parlato al telefono.
«Io ti amo», disse infine, con semplicità. La quieta determinazione che colsi nella sua voce fu come uno sgambetto improvviso, se solo non fossi stata ancora distesa sul tappeto.
Niente. Non provai niente. Soltanto paura. Un'ondata di paura gelida, bianca, inarrestabile, che mi sommerse di colpo. Per non so quanto tempo mi sentii sospesa, bloccata, incapace di parlare, pensare o fare qualsiasi cosa. Una drastica consapevolezza si faceva strada lentamente in quel mare di bianco, l'unica cosa alla quale sentivo di potermi aggrappare. L'unica cosa giusta da fare. Lo era sempre stata, in fondo. Me ne resi conto in quel momento e fece male.
Lentamente, mi tirai su con un respiro profondo. Ero stupita dalla mia stessa calma, ma era una calma spaventosa, inquietante. Mi scostai i capelli dal viso con un gesto automatico e rimisi a posto la spallina dell'abito. Dopo un paio di tentativi a vuoto, riuscii a tirare fuori la voce.
«Dobbiamo parlare», dissi in tono fermo, serio.
Lui non mi aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un attimo. La sua espressione era intensa, concentrata.
«Di cosa?». 
«Non... non posso fare l'amore con te», cominciai, balbettando, lo sguardo fisso a terra. Così era più facile.
Ci fu una breve pausa. «Perchè no?», domandò ancora, perfettamente calmo e padrone di sè, la voce bassa e attenta. Chissà cosa pensava.
Chiusi gli occhi per un attimo, raccogliendo le idee. Cosa gli avrei detto, adesso?
Il mio cervello lavorava, febbrile, in cerca delle parole giuste. Se mai fossero esistite, dovevo trovarle. Non avevo avuto la possibilità di rifletterci con calma e ora annaspavo, nel panico, temendo che una parola sbagliata potesse mettermi definitivamente nei guai. Dovevo essere attenta, molto attenta, eppure sapevo che non avrei avuto una seconda occasione di risolvere il problema.
Ora o mai più.
Pensa. Pensa. Pensa...
«Io... credo che... stiamo correndo troppo, Alex. Voglio fare le cose con calma. Forse dovremmo... prenderci una pausa», dissi infine, tutto d'un fiato, seguendo l'ispirazione del momento, gli occhi ancora puntati sul tappeto e ben lontani dal rischio di incrociare i suoi e cedere immediatamente.
«Una pausa?», ripetè, e la sua voce suonò carica di pura, autentica incredulità, come se di colpo fosse caduto da una nuvola a seguito di una spinta decisa. Lo capivo e forse era proprio ciò su cui contavo in quel momento, che lo stupore prima e la rabbia poi lo accecassero almeno per un po', distogliendolo dall'indagare troppo a fondo e lasciandomi così un po' di tempo per pensare. «Ehi, aspetta. Frena», esclamò bruscamente dopo un secondo di silenzio attonito. «Che stai dicendo, che succede? Mi sono perso qualcosa?».
«Ascoltami, ti prego. È la cosa giusta da fare», mormorai a denti stretti. 
«Ma che diavolo... Renesmee?», sbottò con uno scatto istintivo in avanti, come se volesse raggiungermi senza riuscirci. «Io ti dico che ti amo e tu mi rispondi che vuoi una pausa?», disse, e il gelido risentimento che si percepiva nella sua voce fu uno schiaffo bruciante in pieno viso.
«Sì, è quello che voglio», ripetei, concentrandomi per manterne il tono fermo e sicuro. «Ci sto pensando già da un po' e stasera... quello che stava per succedere... mi ha convinta ancora di più».
Cadde di nuovo il silenzio. Lui non smetteva di fissarmi e anche se non potevo guardare il suo volto riuscivo ad immaginarlo perfettamente: la fronte contratta, come sempre quando non riusciva ad afferrare un problema, gli occhi azzurri sgranati, le labbra appena dischiuse, come sul punto di dire qualcosa, ma senza trovare le parole.
«Non riesco a capire», riprese, la voce bassa. «È solo perchè ci siamo lasciati andare per un attimo...».
«No, non è solo per questo. Ci pensavo da tempo, te l'ho detto».
«E da quanto? Da quanto tempo stai pensando che vuoi una pausa? Perchè non me ne hai parlato prima?».
Ecco che la sorpresa iniziava a lasciare il passo alla rabbia, pensai. 
«Perchè sono confusa, Alex!», esclamai di getto, esasperata. Finalmente lo guardai e forse la mia espressione fu abbastanza convincente, perchè qualcosa sul volto di Alex all'improvviso cambiò e lui ammutolì. 
«Sì, lo vedo», rispose piano, con calma, dopo un istante di sconcerto davanti alla mia esplosione improvvisa. «Lo vedo che sei confusa e strana dalla fine dell'estate. Io... a volte non ti riconosco più, non capisco a cosa pensi, che cosa vuoi... Non sei più la stessa. È successo qualcosa, vero?».
Ero sul punto di dirgli di no, ma le sue parole fecero scattare qualcosa dentro di me, cogliendomi di sorpresa. Rimasi in silenzio per un minuto, pensando. La fine dell'estate... Sì, era da lì che tutto aveva cominciato a cambiare, dalla prima notte in cui avevo fatto quel sogno, sull'Isola Esme. E gli incubi su Alex non erano stati gli unici eventi che mi avevano scombussolata durante la vacanza in Brasile.
Di colpo sapevo che cosa dire.
Feci un respiro profondo, recuperando la calma, prendendo tempo. Dovevo solo trovare il modo giusto, adesso.
«Sì... qualcosa è successo. C'è un'altra persona», risposi lentamente, la voce sorprendentemente ferma e decisa.
Nuova pausa, più lunga, questa volta, quasi interminabile. Alex mi fissava senza battere ciglio, sembrava pietrificato. «Non ho capito bene», mormorò.
«È una persona che ho incontrato quest'estate, in Brasile. In realtà ci conoscevamo già...
È una specie di vecchio amico. Ma non ci vedevamo da parecchio tempo e una volta io... l'ho baciato». Cercai di allontanare dalla mia mente il ricordo di quella sera, delle labbra di Nahuel che a malapena sfioravano le mie prima che mi ritraessi. Temevo di non riuscire a mentire se avessi pensato a quello che era realmente accaduto. «Credevo che fosse una cosa senza importanza, ma forse mi sbagliavo perchè non riesco a smettere di pensare a lui». All'improvviso mi si ruppe la voce e dovetti fermarmi. Alex taceva, immobile e silenzioso, simile ad una statua di cera. «Mi dispiace di non avertelo detto prima, io... speravo di riuscire a dimenticarlo. Scusami».
Scese un silenzio assoluto e pesante come piombo. Mi costrinsi a sostenere il suo sguardo duro, freddo, impenetrabile, acqua color zaffiro che vorticava come il mare squassato da una tempesta. Abbassare il mio in quel momento avrebbe significato ammettere che non riuscivo a tollerare il suo esame, perchè forse avevo qualcosa da nascondere. Passavano i secondi, poi i minuti, lenti come i granellini di sabbia che scivolano in una clessidra uno dopo l'altro. Lo scoppiettare della legna nel camino mi rimbombava nelle orecchie, mentre l'atmosfera diventava sempre più insostenibile.
«Alex», proruppi quando non riuscii più a sopportarlo. «Ti prego, di' qualcosa».
Le sue labbra si schiusero lentamente. «Cosa vuoi che ti dica?».
Il suo tono era gelido come i suoi occhi e mi colpì dritto al cuore. Non mi aveva mai parlato in quel modo. Mai.
«Non lo so. Qualunque cosa. Quello che vuoi».
Per un tempo infinito rimase di nuovo in silenzio, perfettamente immobile. Se non fosse stato per il sollevarsi ritmico delle spalle, avrei detto che avesse smesso perfino di respirare.
«Ti accompagno a casa», disse all'improvviso.
Con uno scatto fluido si alzò in piedi senza degnarmi di un altro sguardo.



****



Durante il tragitto in macchina non fece che premere sull'acceleratore. All'esterno poteva anche apparire controllato, ma a giudicare da come sfrecciavamo per le strade buie e deserte della città e da come stringeva le mani sul volante, dentro doveva avere una tempesta. Per fortuna erano le undici passate e in giro non c'era anima viva. Dopo le otto di sera a Forks calava il sipario sulla vita cittadina.
Ogni tanto aprivo la bocca per scongiurarlo di calmarsi e rallentare, perchè se ci fossimo schiantati contro un albero non avremmo risolto un bel niente ed era lui quello che ne sarebbe uscito peggio, ma non riuscivo ad emettere alcun suono. Le parole mi morivano in gola. Lo avevo ferito e adesso non avevo il diritto di chiedergli nulla.
Arrivammo a casa mia in pochi minuti. Alex frenò di botto, inchiodando la macchina a terra con una frenata stridente, ed io rimbalzai contro il sedile del passeggero. Spense il motore e rimase zitto, gli occhi tempestosi fissi davanti a sè. Le mani mi tremavano e ci misi più tempo del normale a slacciarmi la cintura di sicurezza, ma nel frattempo pensavo e raccoglievo tutto il coraggio in mio possesso per parlare. Non potevo lasciare che ci separassimo così, senza nemmeno provare a dargli una spiegazione.
«Alex, io...», cominciai, esitante.
«Scendi, per favore», mi interruppe in tono risoluto, a denti stretti.
Sentii una fitta di dolore al petto. Era orribile ascoltarlo rivolgersi a me con quel tono di ghiaccio appena velato di cortesia e quelle parole formali. Avrei preferito mille volte che mi urlasse contro. Quel nulla era molto più duro da mandare giù.
«Dobbiamo parlare», azzardai ancora.
Alex non rispose subito ed ebbi l'impressione che stesse cercando di mantenere il controllo di sè. Ma quando lo fece, era di nuovo spaventosamente calmo.
«In questo momento non riesco neanche a guardarti, come pretendi che possa parlare con te?».
Lui sì che sapeva come colpire e affondare. Cosa avrei potuto replicare ad una frase del genere? Deglutii più volte, convulsamente, quasi facendo violenza a me stessa per restare impassibile e non lasciar scorrere le lacrime che mi gonfiavano gli occhi. Non dovevo piangere. Non dovevo piangere. Scesi dalla macchina con gesti impacciati e prima di chiudere la portiera lo osservai per un attimo, imprimendo nella mia mente il ricordo del suo profilo armonioso che si stagliava nel buio.
«Mi dispiace», sussurrai.
Quando lasciai andare la portiera, aveva già rimesso in moto. Partì con un rombo aggressivo e poco dopo era scomparso.








Note.
1. Link.
2. Se siete curiosi di scoprire cos'è il backgammon e qual è il senso del battibecco tra Alex e Renesmee, leggete qui. È il gioco che Alex preferisce, ricordate? ^^








Spazio autrice.
Salve! Innanzitutto mi dispiace di non essere riuscita ad aggiornare mercoledì, spero che tutte abbiate letto gli avvisi su Facebook e nella mia pagina Efp. Scusate :(.
Veniamo subito al capitolo! Come avevo anticipato, siamo arrivati ad una svolta. Questo è un momento cruciale per la storia e i capitoli successivi saranno altrettanto importanti. Confesso che scrivere questa parte è stato tutt'altro che semplice e spero che il risultato finale sia apprezzabile, anche se sicuramente imperfetto.
Qualcuna di voi sarà già in lutto per quello che succede tra Alex e Renesmee, qualcun'altra forse farà i salti di gioia, aspettandosi che da un momento all'altro lei si butti tra le braccia di un certo licantropo (ogni riferimento è puramente casuale xd), ma in ogni caso mi auguro di lasciarvi con questo capitolo molto curiose di scoprire cosa succederà e soprattutto con un pizzico di incertezza... La mia paura più grande è sempre quella di essere prevedibile e noiosa, ma ce la metto davvero tutta perchè non accada.
Be', per ora è tutto. Ci diamo appuntamento tra due settimane e fatemi conoscere i vostri pareri, mi raccomando! Un abbraccio!
   
 
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