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Autore: thecitysmith    02/05/2014    2 recensioni
"In un mondo dove le città sono personficate, la Città di Parigi non si vede da secoli, allontanata dagli orrori della guerra e da tutto il peggio che l'umanità le ha sempre offerto di sé.
Enjolras sogna di incontrare Parigi, e di condurre la Città verso un domani migliore.
Quello che non sa é che adesso Parigi é un cinico ubriacone che si fa chiamare Grantaire."

| traduzione dell'omonima storia su ao3 di barricadeuse e piuma_rosaEbianca |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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E arrivò l’alba, fredda e luminosa, ingiusta, quasi fosse decisa a mettere bene in chiaro ogni dettaglio della strada ancora vuota, a sottolineare quello che stava per succedere. La natura é senza pietà, e non oscura mai la sua bellezza davanti alla crudeltà o alla sofferenza umana. All’uomo, la natura non risparmia nulla della sua meraviglia, canti di uccelli e farfalle che continuano a volare anche nel mezzo di una carneficina. La natura fa sentire l’uomo osservato da cose sacre. L’uomo uccide sotto il sereno blu del cielo, spezza e distrugge, ma poi sorge il sole, e l’estate continuerà ad arrivare. Un giglio resta un giglio. Una stella una stella. I papaveri continueranno a sbocciare nelle pianure delle Fiandre. Come se la natura dicesse all’uomo, «Guarda le mie opere. E poi guarda le tue.» *

 

Era una bellissima giornata.

 

Si prepararono per l’attacco.

 

I cinque uomini che erano stati scelti, vestiti delle loro uniformi rubate, erano stati mandati via. Uno aveva pianto, mentre si allontanava. Grantaire sapeva, in una qualche terribile vista profetica, che solo tre di loro sarebbero vissuti negli anni a venire. Rabbrividì.

 

I ribelli restanti rafforzarono la barricata più che poterono, aggiungendoci pietre dalla strada, un vecchio materasso, e un paio di bare (non ancora usate). Ma non poteva comunque resistere ai colpi di cannone. Lo sapevano. Quando Enjolras arrivò a prendere il suo posto, gli uomini si sistemarono e attesero. La speranza se n’era andata. E quindi loro erano diventati pericolosi.

 

Il rumore aumentò. Qualcosa stava arrivando dall’altra parte della strada, un ruggito solenne accompagnati dai passi serrati dei militari. Era il cannone. Dalla barricata si levò un sospiro, quasi a significare, «finalmente».

 

Grantaire, che era cresciuto con la paura di frecce e spade, ricordò la prima volta che aveva mai visto un cannone sparare. Aveva tagliato a metà interi reggimenti, facendo esplodere sangue e anime sul campo di battaglia con terribile violenza. Lui si era allontanato zoppicando dalla battaglia per rimettere; perché erano stati i francesi ad usarlo. Era stata una vittoria gloriosa, così gli avevano detto, assicurata da uno strumento che era puro genio. In quel momento gli era sembrato che la scienza, una volta adorata e inseguita, si fosse macchiata d’impurità.

 

Ma non era ora di ricordare. Il cannone avanzò e si allineò con la barricata. Tutti erano tesi. Rimbombò il colpo, assordante.

 

Rimbalzò sul materasso.

 

Dopo una pausa incerta, tutta la barricata scoppiò a ridere. Era una risata nervosa, ma sollevata, e sollevata ancora di più con la comparsa di Gavroche, uno sguardo di disprezzo rivolto ai soldati. «Forza!», li sfidò, e tutti lo applaudirono.

 

«Hai mandato la mia lettera?», chiese Marius. Era lontano, ma Grantaire stava avendo problemi a non sentire. I confini tra lui e i suoi amici erano diventati confusi. Il posto di una Città é quello dell’osservatore. Ma non poteva più restare passivo. Grantaire si costrinse ad alzarsi e andare alla barricata, dove Gavroche stava facendo rapporto a Enjolras.

 

«Siete circondati.»

 

«Allora dobbiamo impedire che sparino di nuovo.», disse Enjolras. Non era una sua opinione, ma un fatto. Tutte le sue decisioni lo erano. Quindi non esitò minimamente a puntare il suo fucile. Anche Combeferre e Grantaire si sporsero oltre la barricata, verso la guardia che era responsabile di caricare il cannone. Un capitano.

 

Il capitano che aveva visto Parigi nel vicolo.

 

Nello stesso momento in cui Grantaire lo riconobbe, la guardia fece lo stesso. Il suo viso giovane impallidì quando realizzò chi fosse l’uomo dall’altra parte della barricata.

 

«Parigi», disse, a voce abbastanza alta perché anche gli altri potessero sentirlo.

 

Grantaire chiuse gli occhi. Oh, Dio, non hai proprio pietà?

 

Poteva sentire l’orrore e la confusione del capitano. Nel vicolo, non aveva ben capito da qualche parte stesse Parigi, nella rivolta; era stato troppo entusiasta per accorgersene. Ma adesso che la verità era immobile davanti a lui il capitano si guardò attorno- cercando di capire cosa fare- cercando di capire cosa dire-

 

Grantaire guardò Combeferre, disperato. Anche la guida aveva riconosciuto la guardia.

 

«Che tragedia», mormorò Combeferre, mentre Enjolras prendeva la mira. «Lo sa, tanto quanto lo sappiamo noi, ma non possiamo lasciarlo vivere. Così come non possiamo lasciare che quel cannone spari di nuovo. É un uomo intelligente, intrepido, profondo, senza dubbio ha una famiglia, é stato innamorato, non può avere più di venticinque anni. Potrebbe essere tuo fratello.»

 

«Lo é.» Una lacrima segnò la guancia di Enjolras.

 

Il capitano vide il fucile, e non disse nulla. Perché anche se stava nelle mani di un ribelle, era un ribelle che si trovava fianco a fianco con Parigi, non con le guardie. E sotto la sua uniforme, il capitano era un cittadino. Quindi allargò le braccia e attese.

 

(Per te, Parigi)

 

Enjolras sparò. Il capitano venne spinto all’indietro dalla forza del colpo, e cadde. La barricata guadagnò diversi minuti, non perché nessuno si stesse affannando a caricare il cannone, o grazie alla pallottola che entrò nel cuore del capitano, ma perché, come é già noto, le persone sarebbero sempre state felici di morire per Parigi.

 

Mentre gli altri usavano quel tempo prezioso per prepararsi, o per borbottare dell’uomo chiamato Valjean, Grantaire si sedette lontano, e ricordò il Capitano.

 

Vivevano in un mondo indifferente, e non sarebbe stato ricordato, non come eroe, anzi, proprio per niente. E quindi Grantaire concentrò su di lui i suoi pensieri. Si chiamava Fannicot. Si era sentito oltraggiato da quella bandiera rossa sulla barricata, in una furia che credeva essere giusta (perché lui era dalla parte che aveva ragione, pensava), e aveva mandato i suoi uomini all’attacco. E loro avevano seguito i suoi ordini, nonostante le scariche di fuoco che avevano trovato ad accoglierli, perché era un buon capitano. Troppo giovane, dicevano alcuni. Impulsivo, e alla ricerca di gloria, ma solo perché aveva dei fratelli maggiore. Grantaire sapeva che sua madre l’avrebbe pianto.

 

Anche Grantaire lo pianse, anche se forse erano stati i suoi uomini a catturare Jehan. Il capitano non meritava di morire. Nessuno di loro se lo meritava.

 

Si potrebbe dire che, in quei momenti, il resto di Parigi si stava svegliando. Focolai di ribellione. Un uomo, solo, sparò a un soldato di cavalleria e venne passato a fil di spada. Una donna fece fuoco su una guardia nazionale attraverso le persiane delle sue finestre. Un ragazzino di quattordici anni venne arrestato perché portava delle munizioni nelle tasche. Ogni volta, i soldati avanzarono. I focolai si spensero.

 

E Grantaire pianse.

 

X

 

Courfeyrac tossiva. Un suono basso, rauco di sangue. Grantaire rabbrividì e cercò di allontanarsi. Non dalla tosse, ma dai suoi pensieri. (Il cielo é così blu, Jehan. Ma é grigio, senza di te.) Bossuet era seduto vicino a lui, preoccupandosi nel suo modo silenzioso. Courfeyrac aveva un ghigno che sembrava quello di un teschio.

 

«Non sono l’unico, ascoltate.» In lontananza, rimbombò il colpo di un cannone. «Anche quello tossisce, anche se si crede il dio del tuono.»

Gli uomini risero, aggrappandosi ad ogni ultima possibilità di allegria che era loro rimasta. L’unica eccezione era Enjolras, che era in piedi poco più in là, gli occhi fissi sull’oltre, dall’altra parte della barricata. Molti si girarono verso di lui, perché erano abituati così. I suoi capelli dorati si accesero come la criniera di un leone, nella luce.

 

«Ammiro Enjolras,» disse Bossuet, pensoso. «Ma lui vive solo, e la cosa lo rende triste. Noi abbiamo amanti a renderci coraggiosi. Ma Enjolras non ha bisogno di nessuno; ed é intrepido tanto quanto noi. Non avevo mai sentito di qualcuno così, freddo come il ghiaccio e coraggioso come il fuoco.»

 

Enjolras mormorò semplicemente, «Parigi.»

 

Gli uomini non lo sentirono, ma andava bene lo stesso, non l’aveva detto per loro. Grantaire avrebbe sorriso, se non fosse stato per il nome. Parigi. Ti ho chiesto una volta se fosse Parigi di cui sei innamorato, e non io. Non mi ricordo cosa mi hai risposto, amore mio, e non potrei sopportare di chiedertelo di nuovo.

 

All’improvviso si alzò la voce di Enjolras. «Novità! Un altro cannone!»

 

La barricata cadde in una frenetica attività. Una selva di colpi accolse l’avvicinarsi del cannone. Il fumo era dappertutto, mentre i ribelli sparavano sui soldati che cercavano di caricare i colpi. Alcuni caddero.

 

Enjolras guardò le munizioni e disse, quasi a sé stesso, «Un altro quarto d’ora e non avremo più pallottole.»

 

Nessuno lo sentì, se non Gavroche.

 

Fu Courfeyrac a prendere il turno di guardia successivo, e quindi fu lui a dover guardare Gavroche saltare giù dalla barricata, in strada. In piedi in mezzo alle pallottole, raccogliendo le munizioni delle guardie nazionali morte.

 

«Gavroche! Cosa stai facendo?» sibilò Courfeyrac. Si sporse avanti, più che poté, ma Gavroche si allontanò saltellando, malandrino come sempre. «Torna qui!»

 

La voce di Courfeyrac richiamò gli altri, ma solo dalla sua parte della barricata. C’era ancora fumo. I soldati non avevano visto nulla.

 

Grantaire si arrampicò vicino a Courfeyrac, ma non osò alzare la voce. Si guardò attorno, immerso nel panico, cercando di capire come fare a proteggere il ragazzino. Il fumo si stava diradando. La strada piatta, e ampia, non era d’aiuto, e qualsiasi cosa avrebbe potuto fare avrebbe richiesto tempo e sforzo (e attenzione) che non poteva permettersi. Le case si sporsero pericolosamente in avanti mentre Grantaire faceva lo stesso sopra la barricata, nella speranza di afferrare Gavroche prima che lo facesse la morte. Il panico non accennava ad andarsene.

 

«Gavroche! Torna indietro!», gridò, mentre il fumo spariva e i soldati si alzavano.

 

La prima pallottola colpì il cadavere che Gavroche stava perquisendo.

 

«Gli unici uomini che riescono a uccidere sono quelli già morti,» esclamò Gavroche, sarcastico. I soldati risero, anche mentre prendevano la mira. Ma i ribelli erano in silenzio, un silenzio teso, tutti sopra la barricata, cercando di convincere il ragazzino a tornare indietro. Volarono pallottole, cogliendo l’occasione della loro distrazione. Sangue rosso colò sulla strada finché i ribelli non furono costretti a ritirarsi.

 

Grantaire fu uno degli ultimi ad andarsene, stringendosi la spalla dove il buco lasciato da un colpo di fucile si stava già richiudendo. Si girò e vide Joly e Bossuet che lo fissavano. Non seppe dire cosa fu peggio: la completa confusione sulla faccia di Joly, o la sua completa mancanza in quella di Bossuet. Il più distratto dei suoi amici scosse le spalle e si allontanò velocemente. C’erano cose più importanti a cui pensare.

Restò solo Courfeyrac. Tossì finché non c’era sangue, sulle sue labbra, e di nuovo. «Gavroche! Torna qui

 

Il ragazzino sorrise. E cominciò a cantare mentre si chinava a raccogliere munizioni, una canzonetta di scherno, popolare. Sembrava che nulla potesse toccarlo. I suoi piedi veloci lo portarono sempre più lontano. Grantaire strinse i denti, e tutta la barricata tremò mentre cercava di raggiungerlo.

 

Uno sparo.

 

La canzone restò senza una fine.

 

(Gavroche non aveva pensieri, o rimpianti. I bambini che muoiono raramente ne hanno, perché sono troppo confusi, troppo innocenti per capire cosa sta succedendo loro. Gavroche non era un innocente - ma non aveva paura. Uomini lo avevano applaudito. Parigi aveva bevuto con lui. E quel buon uomo con la tosse si era preoccupato per lui molto più di quanto il suo vero padre non avesse mai fatto. In una vita dove fin troppo spesso era stato buttato a calci nel fango, e lì aveva vissuto, arrabattandosi per vivere, la morte avrebbe potuto essere una tortura uguale. Ma per un breve periodo Gavroche era stato felice. E quindi no, non aveva rimpianti.)

 

Fu quella la ragione per la quale, mentre tutta la barricata gridò, Grantaire finì in silenzio la canzone di Gavroche.

 

(due ragazzini continuarono a correre per le strade di Parigi, senza sapere di avere appena perso loro fratello)

 

Courfeyrac, senza pensare, corse fuori dalla barricata, seguito subito da Marius. Le pallottole piovvero attorno a loro, ma le ignorarono, e riportarono indietro il cadavere di Gavroche. Lo presero dalle mani di Courfeyrac quando lui cadde a terra, piangendo e continuando a tossire. Il sangue gli riempiva i polmoni, ma non si era mai sentito più vuoto.

 

(Jehan, sarò con te presto, credo. Prego sia così.) Tossì di nuovo, incapace di parole mentre altri portavano via il piccolo corpo, a riposare con gli altri. (Avrei potuto vivere. Penso sarei potuto essere un buon padre.)

 

Un silenzio solenne cadde sulla barricata, mentre i ribelli si dividevano le ultime munizioni raccolte dal sangue di Gavroche. Quindi a testa. Solo Valjean le rifiutò. La barricata non era senza speranza, non era a lutto. Nelle loro ossa correvano i brividi dei fanatici - dei martiri. Prepararono le loro pistole, ma pensavano alle loro anime.

 

Arrivò mezzogiorno.

 

Portarono fucili e pietre ai primi piani delle case, e sui tetti. Trasformarono il café in una fortezza. Era giusto che tutto finisse dove era cominciato, pensò Grantaire.

 

C’erano pochi uomini rimasti. I morti erano disposti uno vicino all’altro. Marius venne mandato a controllare la cima della barricata mentre gli altri lavoravano.

 

«Ci siamo solo noi, adesso,» disse Enjolras, con calma, ma tutta l’attenzione della stanza si spostò su di lui. «Non mischieremo i nostri cadaveri.» Si voltò verso Javert. «Non ti ho dimenticato.»

 

Turò fuori una pistola.

 

Jean Valjean sobbalzò, e anche Grantaire. Il movimento portò la Città a fissare l’uomo, a vedere i suoi occhi - occhi che erano fissi su Javert. Valjean non vide Grantaire, e nemmeno l’effetto che gli scatenò la sua anima.

 

(-un tozzo di pane- il collare da prigioniero- «Sì, vuol dire che sono libero»- argento nelle mie mani- libertà vigilata stracciata- «Vi prego, monsieur le maire!»- una storia orribile, complicata, se non per la risata di una bambina, e sotto a tutto l’anima pesante dell’uomo, carica di tutti quegli anni e ancora illuminata, nonostante tutto. Non te ne ricordi, Parigi, le anime dei giusti brillano.)

 

Grantaire fece un suono strozzato. Quell’anima, lì, in quel momento, era troppo crudele. Quasi non registrò le parole dell’uomo.

 

«Lasciate che sia io a uccidere la spia.»

 

Grantaire rimase stupito. Non si era mai sbagliato, prima. La sua Cittadinanza l’aveva ormai abbandonato completamente?

 

«Prendilo,» disse Enjolras, sovrastando le proteste degli altri. Non guardò Grantaire, semplicemente consegnò la pistola a Jean Valjean. Bossuet si era sbagliato: anche il ghiaccio può bruciare.

 

Fuori, Marius gridò un avvertimento. La risata di Javert era come l’acciaio. «Ci reinconteremo presto.»

 

Pochi minuti dopo, risuonò uno sparo. Enjolras annuì, come se il lavoro fosse stato fatto. Ma non lo era. Grantaire si voltò dall’altra parte, così che nessuno potesse vedere la sua espressione. Javert era sopravvissuto. E non per caso. Grantaire guardò l’espressione dura di Enjolras e non disse niente. Vivere non era un crimine.

 

E del resto, non spettava a lui giudicare. Sapeva, in qualche modo, che quella storia non sarebbe finirà lì. L’uomo dall’anima splendente, e l’uomo fatto d’acciaio, stavano solo passando attraverso le loro vite, inseguendo un altro destino. Nella sua testa, Grantaire riusciva a sentire le acque della Senna.

 

Non ci sarebbero state stelle, quella notte.

 

L’acqua continuava a salire mentre gli uomini uscivano e Enjolras, le sopracciglia crucciate, lo portava verso una sedia sul retro della stanza.

 

«Stai bene?»

 

Grantaire lo guardò appena, gli occhi che vagavano su ogni centimetro del suo viso. Si sentiva messo a nudo, i nervi scoperti, battuti dalle tempeste, che tentavano di prepararsi per il peggio ma che in fondo l’avevano già accettato.

 

«Se così vivo.», disse, con meraviglia. «Vedo e sento ogni parte di te, le impronte delle tue dita, le fibre del tuo cuore, l’aria nei tuoi polmoni. É tutto così fragile, così debole. Ma… sei così vivo. Com’é possibile?»

 

Li amava. Li amava tutto così tanto che gli si riempirono gli occhi di lacrime. Le Città dicevano che erano nate per amarli, che non avevano scelta, che non era giusto. Grantaire non la pensava così. Gli umani erano creature così terribili, così meravigliose. Come si poteva non amarli?

 

Enjolras accarezzò i ricci di Grantaire, un gesto familiare, ormai. «Resta qui,» disse, deciso. «Non verrano a cercare qui. Ti proteggerò finché posso.»

 

Grantaire cercò di prendergli la mano, ma Enjolras era già sparito.

 

Era la fine.

 

Le case divennero trappole dalle quali non era possibile scappare. E arrivò la cavalleria, l’artiglieria. Il fuoco dei cannoni era davvero diventato un tuono, che divorava vite. Tamburi, e baionette-

 

E i ribelli avevano solo quindici pallottole ciascuno.

 

La guardia nazionale attaccò ancora e ancora, con crescente ferocia. Prendevano fuoco, sì, ma non si ritirarono, non l’avrebbero fatto di nuovo. Sapevano che c’era una sola fine per questa storia, e volevano che fosse loro. Enjolras era in piedi da un lato della barricata, Marius dall’altro (e lei piangerebbe, Marius, se tu morissi qui.) I combattimenti aumentarono.

 

I ribelli avevano solo quindici pallottole ciascuno.

 

Risero, sull’orlo della follia. Courfeyrac voleva unirsi alla lotta, ma si ritrovò in ginocchio, incapace di rialzarsi. Non tossiva più sangue, solo perché non ne aveva molto rimasto. La pallottola aveva compiuto il suo lavoro.

 

Feuilly, che ancora combatteva, gridò, «Dove sono gli altri che avevano promesso di unirsi a noi, che avevano giurato sul loro onore!»

 

Combeferre gli strinse una spalla, «Molti uomini che dicono di avere onore preferiscono guardarlo da lontano.»

 

Spararono sui soldati finché i muri attorno a loro non furono costellati di buchi. I soldati inciamparono sui loro morti, le uniformi scurite dal fumo, le facce pallide e livide di rabbia, come spettri che finalmente arrivano al banchetto loro promesso.

 

Non c’erano più munizioni.

 

Negli anni a venire, un uomo chiamato Victor Hugo vi dirà che questo momento fu come ogni grande ultima resistenza nella storia; degno della caduta di Troia. Menzogna. Questi ribelli avevano bende e ferite sanguinanti, erano disperati, e quando i soldati si affacciarono dalla cima della barricata, ad alzarsi furono le grida spaventate di ragazzi. I soldati fecero irruzione, come un’inondazione.

 

La barricata cadde.

 

E anche Grantaire.

 

É questo quello che succede, quando una Città ama qualcuno. I Les Amis combatterono per l’ultima volta. I fucili ormai inutili, andarono incontro a pallottole e spade con pugni e pistole. Parigi sentì il loro dolore e la loro paura, sentì la presa salda dei soldati sulle loro baionette, e Grantaire pianse, raggomitolato su sé stesso sul pavimento sporco, l’intero corpo scosso da tremori, mentre la sua anima si spezzava a metà. Finalmente, l’oscurità lo prese prima che la sua mente potesse frantumarsi,

 

Galleggiò nel buio, nel sonno, interrotto solo da rapidi sprazzi del mondo reale.

 

Bossuet venne ucciso mentre si assicurava che gli altri fossero riusciti a scappare verso il café.

 

(Ce l’ho fatta. Joly é al sicuro. Finalmente sono stato d’aiuto. Si prenderà cura lui di Musichetta.)

 

E Feuilly.

 

(Prima di morire, Feuilly aveva inciso queste parole sul muro di fronte al café: Vivent les peuples! É ancora lì. Le stesse parole erano apparse sul fianco di Grantaire, vicino al suo cuore.

 

Aveva senso, quindi, il suo ultimo pensiero: Non voglio morire.)

 

E Joly.

 

(Posso salvarlo. Sono un dottore posso- Ho bisogno solo di un po’ più di tempo vi prego solo un po più di tem-)

 

E Courfeyrac.

 

(se ne andò con sollievo, e la sensazione di cadere nelle braccia di qualcuno, labbra conosciute che gli premevano un bacio sulla tempia. Jehan…?)

 

Combeferre prese tre baionette nel petto mentre cercava di aiutare un soldato ferito. Alzò gli occhi al cielo, e pensò, con incredibile serenità,

 

(Saremmo potuti essere grandi)

 

e morì.

 

L’intera strada era nel caos. I colpi del cannone dovevano aver danneggiato le case, perché si stavano quasi ripiegando su loro stesse, in agonia. Le fogne attorno a loro gorgogliavano, l’acqua risaliva dalle catacombe, afferrando chiunque riuscisse a raggiungere. Sopra, si ammassavano nuvole, nere e pesanti. Bambini piangevano. Soldati inciampavano sui loro stessi piedi. Qualcosa non andava.

 

(Parigi stava gridando)

 

Nella stanza al primo piano del café, però, c’era una calma irreale. Enjolras raddrizzò le spalle, e alzò la sua bandiera rossa, un’ultima volta. I soldati di fronte a lui presero la mira. 

 

Grantaire si svegliò.

 

 


 

 

Note delle traduttrici

Il motivo per cui abbiamo deciso di portare questa storia su EFP é semplice: Paris Burning é un capolavoro che va al di là della semplice fanfiction, é un worldbuilding spettacolare che tutti dovrebbero leggere, anche al di là del fandom di Les Misérables. Entrambe l'abbiamo letta, ci abbiamo pianto lacrime amare, l'abbiamo adorata, e abbiamo deciso di provare a tradurla. Non eguaglieremo mai lo stile dell'autrice, della nostra R (si firma così davvero e afferma che sia solo una fortunata coincidenza), e anzi, se potete, andate anche a leggere l'originale. Noi qui abbiamo il nostro piccolo tentativo 

Di nuovo, le lacrime. Non siamo pronte. Una piccola nota: il primo paragrafo é quasi interamente preso da Victor Hugo. L'autrice ha scelto così perché é uno dei suoi passi preferiti dell'intero Mattone, e non possiamo che essere d'accordo. 

Per questo capitolo, la traduzione è di barricadeuse e il betaggio di piuma_rosaEbianca, a bbiamo deciso di alternarci un po', per dividerci il lavoro. Per qualsiasi domanda, o annotazione, anche tecnica, non esitate a chiederci. E se avete qualcosa che vi incuriosisce sulle Città, sentitevi liberi di lasciare un messaggio privato.

Abbiamo deciso di pubblicare un capitolo a settimana: ci siamo già portate avanti per non avere problemi o ritardi, quindi possiamo dire con sicurezza che d'ora in poi il giovedì sarà il giorno di Paris Burning. E quindi il giorno dei feels. Scusate il ritardo per questo capitolo. Ci rivediamo l'8 maggio.

Ringraziamo chi ha commentato e messo Paris Burning tra preferiti e seguiti: continuate a crescere e ad avvicinarvi anche all'originale, cosa di cui siamo contentissime (e anche dopo aver letto quel capolavoro riuscite ancora a farci dei complimenti, siete meravigliosi)

The Cities are still burning,
al prossimo capitolo,
b + c.

  
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