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Autore: GirlWithTheGun    02/05/2014    3 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 8

Always Summer

 

 

 

 

 

 

Fino al giorno in cui l’aveva scoperta distesa al suo fianco, Sirius credeva di aver tracciato dei confini precisi riguardo a cosa avrebbe dovuto pensare di Bellatrix. Dopo la notte trascorsa nella stanza di Andromeda, con la cugina più odiata stretta tra le sue braccia, ogni schema era andato perso, lasciandolo disarmato. Aveva ripercorso con la mente l’episodio per interminabili ore, dopo l’accaduto, senza trovare una pacifica conclusione; il momento inquieto in cui aveva aperto gli occhi, nella luce gelida che precede l’alba, era stato il peggiore: prima ancora che la sua mente rivelasse la verità, il suo organismo aveva lanciato il segnale d’allarme, rendendolo preda di una paura inspiegabile. Era stato l’odore. Non si era mai trovato tanto vicino a Bella e non avrebbe potuto registrare il suo profumo così in profondità da riconoscerlo… eppure, prima ancora di vedere il suo viso, la certezza che si trattasse di lei lo aveva colpito al cuore. La sua mano, posata sul fianco della cugina, era scivolata lentamente, pericolosamente, fino al costato; le dita erano inciampate in un osso dopo l’altro, rendendogli una prova certa. Aveva già toccato Andromeda e quello non era il suo corpo. Vicinissimo alle sue labbra, il collo pallido di Bella era rimasto scoperto dalla cortina dei capelli, adagiati sotto al capo, e la sua pelle gli rispediva indietro il proprio respiro. C’era un neo che aveva riconosciuto istantaneamente: era certo che l’avrebbe trovato, pur non conservando un ricordo del perché avrebbe dovuto saperlo, ne era stato sicuro prima ancora di posarvi lo sguardo. Il dolore diffuso che gli premeva contro le tempie era diventato trascurabile, in confronto a quello che stava accadendo. Metà del suo essere aveva urlato rabbioso il comando di alzarsi e sorprenderla o quantomeno fuggire senza guardare indietro, fingendo che quell’assurdo incontro non fosse mai avvenuto; l’altra metà era stata sconvolta da una sofferenza incomprensibile, più chiara e profonda di qualsiasi altra avesse mai sperimentato. Quando lo sguardo aveva preso ad annebbiarsi, Sirius era stato sul punto di credere che si sarebbe risvegliato dall’incubo, poi la nebbia, dopo essersi accumulata, era sparita, e così il processo aveva continuato a ripetersi più volte, fino a quando non aveva avvertito il cuscino inzupparsi sotto la guancia e qualcosa solleticargli la pelle. Erano lacrime. Non era riuscito a ricordare l’ultima volta in cui aveva pianto, né a spiegarsi il perché di quello sfogo inaspettato. Non sapeva di preciso neppure perché stesse piangendo. Istintivamente, si era proteso verso Bella, come guidato da una volontà incosciente, e aveva annullato la distanza, sprofondando tra i suoi capelli, fino alla nuca, aderendo a lei totalmente; l’aveva stretta forte a sé, chiudendo gli occhi e cancellando ogni altra cosa, ogni sopruso e ogni cattiveria, ogni vendetta, in quell’abbraccio disperato. Aveva compreso che era sveglia, quando l’aveva sentita lasciarsi sfuggire un singhiozzo; l’aveva ascoltata piangere a lungo, mentre gli teneva stretti i polsi come per non lasciarlo andare, credendolo addormentato. E, fino al limite estremo delle sue forze, aveva sperato, aveva pregato che niente di ciò che era accaduto tra loro, in passato, fosse realmente successo: che, da qualche parte, esistesse una speranza per una vita di ricordi alternativi, dolci, perfetti.

Da quella mattina in poi, era scesa l’oscurità.

Non era riuscito a sciogliere il nodo, gli si era incastrato in un punto specifico del petto e, a tratti, soffocava il respiro. Il dolore alle tempie non era più andato via e neppure la sensazione di smarrimento. In quei quattro giorni nessuno dei tentativi compiuti era servito a razionalizzare l’accaduto e neppure a ipotizzare un significato. Aveva brancolato nel buio. Aveva finto di non sapere, con Andromeda, con Bellatrix, in un tentativo estremo anche con se stesso. Non era servito. Le sensazioni, marchiate a fuoco sulla sua pelle, impossibili da scrollare via, avevano tracciato il punto di non ritorno. Poi, quella stessa notte, l’incontro: l’aveva vista supplicare Andromeda, rimanere finalmente sola; l’aveva tratta a sé, fingendo, ancora, con il solo scopo di estorcerle la verità. C’era una speranza? E, se esisteva, perché l’aveva taciuta? Prima, però, il ballo e il suo capo premuto contro il petto, il respiro spaventato di una bestiola in gabbia, le labbra strette e una paura disarmante, così poco da lei. Le certezze di Sirius si erano infrante definitivamente. Un passo indietro, il mondo era schiavo di un equilibrio rassicurante – anche crudele, certo, e forse proprio per questo più autentico -, un attimo dopo tutto era precipitato nella confusione, lasciandolo incerto persino su ciò che avrebbe dovuto fare, pensare. Finanche in quel particolare e delimitato momento, con Bellatrix priva di alcuna difesa, non aveva idea di cosa avrebbe dovuto dire. Rimpianse la rabbia apparentemente cieca della cugina e, dentro di sé, quasi implorò di vederla riaffiorare improvvisa. Bella, invece, lo guardava finalmente diritto in viso, con gli occhi grandissimi, smisurati, le pupille dilatate all’inverosimile, come a chiedergli “E ora?”. Fu peggio di qualsiasi altra cosa sarebbe potuta accadere.

Giriamo i tacchi, balbettò una voce nella sua mente, giriamo i tacchi e continuiamo a fingere di odiarci, come tutti vorrebbero, come sappiamo di dover fare.

Fu più forte di qualsiasi buonsenso, il desiderio di comprendere perché. Remus, nella sua lucidità adulta, lo diceva sempre, che il suo istinto un giorno lo avrebbe ucciso, che la sua incapacità di fermarsi e ragionare, condurre sensazioni e emozioni su sentieri sicuri, gli avrebbe dimezzato la vita. Era, naturalmente, tutto vero.

“Io non capisco” mormorò, senza chiedersi se quell’assurdità fosse una trappola costruita sotto ai suoi piedi, senza pensare al pericolo.

Bella, apparentemente altrettanto devastata da quell’incontro, pareva essersi cristallizzata in una maschera di terrore.

Sirius tornò a essere il bambino dei suoi undici anni, quando ancora si aggirava implorante nella sua stessa casa, elemosinando briciole d’attenzione che gli venivano regolarmente negate, abbracci e carezze a lui scrupolosamente rifiutati; mentre il vuoto intorno si allargava e scavava la voragine dalla quale non sarebbe più uscito.

Non hai ancora imparato? la voce del suo io si fece dura, giocando l’ultima carta, quella tagliente, non ti vuole. Nessuno ti vuole. Hai perso la tua famiglia dentro a un cappello.

Si lasciò sfuggire una risata amara, chinando la testa. Touché, mia saggia metà.

“Cosa stai tentando di fare?” continuò, imperterrito, forzandosi in un tono asettico “E’ una specie di passatempo, il tuo? Credi davvero che non mi vendicherei, se cercassi di farmi del male?”.

Ancora una volta.

Cosa desiderasse sentirsi dire, Sirius non lo sapeva neppure. Forse una risata spietata che  avrebbe spiegato tutto, ancora una volta. L’ennesimo pugnale affondato fino all’elsa, giù nel suo amor proprio che ormai era un colabrodo: faceva acqua da tutte le parti e il suo destino era quello di un annegato. Spesso, quando pensava al futuro, non vedeva altro che il nulla. Con quelle premesse, che altro avrebbe mai potuto esserci?

Dammi l’ennesimo buon motivo per odiarti, Bella; li ho inchiodati tutti nella memoria con la perizia di un collezionista.

La rabbia, ecco, la rabbia avrebbe potuto salvarlo, temporaneamente.

Dammi una scusa per aggredirti e mandare tutto irrimediabilmente in malora.

Bella prese a scuotere la testa, lentamente, come per negare qualsiasi scelta presa fino a quel momento e tutte quelle che avrebbe compiuto da lì in poi.

“Vuoi farmi del male?”.

Bella negò.

“Vuoi colpirmi?”.

Bella continuò a negare, con tutto il corpo scosso dai brividi.

“Vuoi sposarti?”.

Le sue mani corsero al viso, una andò a coprire la bocca, l’altra vagò dietro il collo, tra i capelli, istericamente. Il suo respiro si fece corto, trasformandosi presto in un continuo singhiozzo senza senso, come se fosse sul punto di soffocare.

Sirius le andò vicino, trasalì quando lei gli artigliò la spalla e lo trasse a sé, le braccia sconquassate dalla crisi e gli occhi spalancati, fermi su di lui, in cerca d’aiuto. Salvami, sembravano implorare.

 

Salvami.

Avrebbe voluto urlare. Non c’era tregua, stava morendo.

Avrebbe voluto scoppiare in un pianto liberatorio e invece tutto il suo essere pareva essersi asciugato. Non avvertiva neppure il sangue nelle vene.

Solo il bisogno di aria, di respirare, interrotto, spezzato dal terrore.

Stava scivolando via e lì in fondo, dove sarebbe certamente finita, nessuno avrebbe più potuto salvarla. Sirius le stava davanti ed era l’ultimo appiglio in un oceano di pura follia.

È troppo tardi, vero? Così tardi che ho già il suggello della morte impresso in fronte.

Lo sentiva bruciare.

Avrebbe voluto parlare e spiegare tutto quello che le faceva esplodere la testa, confondere il giorno e la notte, inciampare nei suoi stessi passi.

Mi sono spinta tanto oltre da non poter tornare più indietro.

Il passato le stava stringendo le mani, caldo come nient’altro. Sirius stava parlando ma Bella non era in grado di comprendere.

Le sue labbra si muovevano lentamente, scandendo il suo nome come la formula di un Incantesimo. I ricordi cominciarono a martellarle il cuore senza pietà.

 

Sirius si tese verso di lei, guardandola con ammirazione.

Aveva dieci anni, quel giorno, e splendeva come il tramonto.

“Mi piace qui” le disse, sorridendole “Vorrei stare sempre qui, con te. Vorrei che fosse sempre estate”.

 

Perché ti ho cancellato Perché ti ho cancellato Perché ti ho cancellato

Sirius le tirò con forza le dita, facendole male, strappandole dalla sua bocca una per una.

Iniziò ad avvertire il rumore del suo stesso pianto; era terrificante, come quello di un maiale destinato al macello.

“Respira. Ti prego” la supplica di Sirius fece breccia nella sua coscienza, un lampo in mezzo alla fine del mondo.

Lo vide allungare le mani fino al suo torace, lo sentì premere sul costato.

“Sono qui, Bella. Respira”.

Tentò di riportare le dita alle labbra ma lui glielo impedì, scostandola bruscamente e risalendo fino alla sua gola, sollevandola e tendendola all’indietro. A quel movimento, Bella iniziò a vedere solo la volta celeste, trapunta di milioni di stelle. Infinita.

Il respiro smise di essere un singhiozzo e rallentò fino allo stadio di un ansito concitato. L’aria riprese a scorrere dentro e fuori da lei; intanto, lassù, il cielo si consumava in una bellezza straniante.

Le ultime tracce del delirio andavano attraversandole la mente. Avrebbe voluto essere proprio lì, dispersa. L’orgoglio immenso della sua famiglia si tramandava di generazione in generazione, nei figli che portavano sulle loro spalle il peso dei nomi delle stelle e delle galassie di mezzo universo. Bella non si era mai sentita un astro splendente, come di certo sua madre avrebbe voluto. Del resto, come anche gli antichi raccontavano, Bellatrix, “la guerriera”, non era altro che un mediocre ambasciatore: dietro di lei sorgeva Sirio, di una luminosità seconda unicamente al Sole. Non era stata forse questo, per gran parte della sua vita? Aveva annunciato la venuta della punta di diamante di un intero Casato. Poi, dopo la disfatta di ogni piano, nessuno si era più preoccupato di renderle la luce che meritava.

Stava davvero respirando, finalmente. Sirius la riportò dritta, reggendole con una mano la nuca; fu dolorosamente consapevole delle sue dita incastrate tra i capelli, del braccio con cui la cingeva, spaventato. Cosa temeva, ora?

Erano tornati al passato senza nessun preavviso.

Bella si concesse il lusso di guardarlo davvero negli occhi, ricambiata dopo un’eternità incolmabile. Avrebbe voluto che anche lui potesse capire la loro natura di entità gemelle, orientate su poli opposti ma identiche in ogni sfaccettatura, ogni sentimento e insofferenza; ugualmente ferite e oramai irrecuperabili, qualunque fosse stata la strada che avrebbero scelto. Per entrambi, tutto era già finito: occorreva aspettare che anche il tempo facesse il suo corso e poi si sarebbero ritrovati, alla fine del cammino.

Essere così vicina a lui smise di farle paura e divenne solo, terribilmente, triste.

Mi sei mancato. Ho cercato, sai, di ripetermi che tutto è più giusto così com’è. Ho fallito miseramente.

Le sue confessioni inespresse le scorrevano nella mente; sperò che lui potesse capire, perché non sarebbe riuscita a trovare la forza di parlare. Sciocca, stupida Bella, forza per parlare, di quella ne hai a sufficienza, le ammissioni, invece, sono un mondo perduto.

C’era un ricordo preciso di cui aveva grande nostalgia, aveva a che fare con le ciglia lunghe di Sirius; un ricordo che, a ben vedere, non era esistito. Se i ricordi erano solo dentro di lei e mai in qualcun altro, chi avrebbe potuto garantire che non si fosse trattato di un sogno?

Si allungò fino al suo viso, tendendo quel che restava del suo corpo verso di lui. Posò la bocca sulla sua, sfiorandogli le labbra in un contatto debole, dapprima, poi del tutto incontrollabile. Chiuse gli occhi, per dimenticare quel che stava facendo, proprio nell’istante in cui la sua volontà pareva esprimersi nel modo più schietto e sincero che avesse mai provato. Sirius era immobile, non rispondeva, non respirava, mentre lei si concedeva quel bacio. Non era una resa né una vittoria; rassomigliava a un requiem cupo, recitato pelle a pelle insieme a quello che era e sarebbe stato il suo peggiore nemico.

 

Io ti amo”.

 

Non appena Sirius accennò una reazione, Bella si scostò, sfuggendo al suo abbraccio e barcollando di un passo lontano da lui. Non voleva sapere cosa ne sarebbe stato di quel momento; mentre continuava a scrutarlo, sempre più perso in una confusione palese, era già certa di ciò che avrebbe fatto. Quante volte le era già sembrato di non avere altra scelta? Quante volte il futuro si era mostrato così chiaro? Niente di quel che era stato poteva essere recuperato e da quell’unico errore infantile gli eventi si erano moltiplicati, allungando un abisso di ostacoli insormontabili tra quello che avrebbe potuto essere e l’impietoso corso delle loro esistenze. Così chiaro.

“Mi dispiace” gli disse.

No, non era vero. Stava cadendo a pezzi.

Finalmente, lui comprese e tentò di proteggersi inutilmente: nient’altro che una frazione di tempo e la bacchetta era già puntata al suo indirizzo.

“Oblivion”.

Bella restò a guardare i suoi occhi che si svuotavano, lo sguardo ottuso che le restituirono, insieme a un biglietto di sola andata per l’oblio. Aveva appena seppellito l’ultima traccia umana di se stessa dentro alla sola persona che probabilmente avrebbe potuto amarla come lei voleva, non fosse stato per un’unica pecca incorreggibile.

Gli diede le spalle, le mani tremanti strette attorno al corpo come uno scudo, e si allontanò solcando i Giardini. Di lì a poco si sarebbe risvegliato dalla catatonia e non voleva essere nei paraggi, quando sarebbe accaduto. Affrontando a pedate l’erba grassa si ritrovò a formulare un ennesimo pensiero di pura follia. I nemici, mia cara Bella, i nemici sono coloro che abbiamo amato di più. A tutti avrebbe dichiarato la sua guerra personale, affrontando la prima battaglia con un colpo mancino diretto alla sua stessa memoria. Prima, però, avrebbe pianto sui morti, si disse, superando l’uscio della serra e riparando tra le sue fronde carnivore; del resto, il primo cadavere da sotterrare sarebbe stato il proprio. Stremata, si accasciò nell’erba e scorse, a un tiro di sasso da lei, una pergamena accartocciata; languivano entrambi su un fianco, lei e quel pezzo di carta, così allungò la mano e la stese con meticolosità, spianando le pieghe. Il foglio le rispedì contro una calligrafia conosciuta, più di quello però fu il messaggio a risvegliarle i sensi.

“Se lei lo ama, perché non dovrebbe lasciare tutto questo schifo e fuggire con lui?”.

 

*

 

Bella aveva atteso la conclusione della festa, l’intera notte e un pugno di ore prima del giorno; nella sua mente, aveva ripetuto i passi del tradimento alimentando la rabbia. Quando era stato il momento di agire, l’aveva fatto senza rimorsi.

 

*

 

Fino a un istante prima, Sirius era concentrato sul dolore intenso che gli si era insinuato dietro gli occhi. Doveva aver bevuto troppo, perché della sera precedente ricordava ben poco e, non fosse stato per il resoconto di Andromeda, avrebbe giurato di non aver partecipato a nessun festeggiamento. Sembrava lo avesse fatto, invece, e a lungo. Era uno dei validi motivi per cui non avrebbe dovuto condividere la colazione con i parenti, quella mattina, invece era stato costretto da Meda ad accompagnarla, con la stupida scusa di un sostegno morale. Per che cosa, poi? Tutt’un tratto, Bellatrix aveva fatto la sua comparsa; aveva un sorriso gelido stampato in faccia e pareva stesse semplicemente godendo dell’attenzione attirata su di sé con quell’entrata teatrale; almeno così gli era sembrato, fino a quando non l’aveva vista sventolare una pergamena di fronte al pubblico parzialmente assonnato.

“Se mi permettete, vorrei leggervi una cosa” esordì la cugina, con tono vivace.

Zio Cygnus sollevò lo sguardo dall’edizione domenicale del Profeta ma non disse nulla; zia Druella, invece, si lasciò sfuggire un sospiro insofferente.

“Cara, non sento davvero la necessità di ascoltare annunci o sciocchezze del genere” la redarguì, mitigando il fastidio con un abbondante sorso di Succo di Zucca.

“Niente di tutto questo, madre” replicò Bella, per nulla scalfita nel suo entusiasmo.

Cosa la eccitasse in quel modo era impossibile prevederlo ma Sirius era certo che non si trattasse di nulla di buono e, a conferma di ciò, un senso di nausea lo fece istintivamente allontanare dal tavolo. Spingendosi rumorosamente indietro scatenò l’insofferenza di Walburga, sotto lo sguardo vigile di suo padre, intento a godersi la prima pipa della giornata.

“Stai composto e ascolta quello che dice tua cugina” ordinò sua madre.

Andromeda lanciò a Sirius un’occhiata ammonitrice. Niente drammi. Accanto a lei, Narcissa inarcò le labbra in un sorrisetto soddisfatto, credendo di non essere vista, continuando a stendere una quantità infinitesimale di marmellata sulla metà di una fetta di pane.

L’intero quadro pareva l’esercizio di stile di un pittore psicotico.

Mentre giurava a se stesso che non si sarebbe più fatto coinvolgere in nulla di simile, neppure per Andromeda, Bellatrix iniziò la lettura.

Caro James, ho finito la scorta di buona volontà”.

Sirius scattò in piedi come una molla, facendo crollare la sedia ai suoi piedi con un tonfo sordo. Al suo fianco, Regulus trasalì e fece ribaltare una caraffa d’acqua sul tavolo, inzuppando se stesso e la tovaglia.

“Razza di…” l’insulto volgare che Sirius pronunciò riecheggiò tra i marmi della sala da pranzo.

Sua madre gli conficcò le unghie nel braccio, strattonandolo.

“Come osi rivolgerti così a Bella?” sibilò, iraconda.

“Dove l’hai trovata? Frughi nella mia roba, adesso?” si rese conto di urlare ma non gli importava realmente.

Ritrasse il braccio dalla furia di Walburga, ricavandone un graffio profondo.

“Sta fermo dove sei!” strillò lei, alzandosi a sua volta e piantandogli davanti al naso un dito affilato “Non costringermi a punirti come un bambino”.

“È la mia posta privata” ringhiò Sirius, a un soffio dal suo volto.

“Privata?” la voce profonda di suo padre si impose su entrambi “Cosa vorrebbe dire privata?”.

“Nulla che possa riguardarvi. Non è altro che una stupida lettera” disse Sirius, tentando di apparire conciliante, nell’ultimo tentativo di evitare il disastro.

Sapeva precisamente come proseguiva quella lettera e non erano i beffeggi rivolti ai propri genitori che lo allarmavano. Andromeda assisteva a quella scena pietosa come tutti gli altri, immobile e ancora inconsapevole.

“L’intemperanza alla quale ti abbandoni mi fa rammaricare di averti messo al mondo” ribatté pacatamente Orion, senza guardarlo “Ora siediti e risparmiami la fatica di obbligarti a obbedire”.

Walburga mormorò un Incantesimo e la sedia tornò dritta, colpendolo alle ginocchia e piegandolo alla sua volontà.

Dall’altro capo del tavolo, Bella sorrideva ferina.

“Te la farò pagare” le sputò contro Sirius, stringendo i pugni fino a farsi dolere le dita.

“Taci!”.

Sua madre gli assestò uno schiaffo in pieno viso; sentì Andromeda gemere ma non riuscì a pensare ad altro che a quello che sarebbe successo. L’angoscia era più forte dell’umiliazione. Cercò lo sguardo della cugina preferita, mentre Bella riprendeva a leggere a voce alta.

Non resisto più in questo inferno di buone maniere, i miei genitori sono più intollerabili di quanto ricordassi. Mia madre si aggira per Englelfield starnazzando i suoi ordini a chiunque le capiti a tiro, perciò ho optato per l’esilio”.

Walburga prese a respirare profondamente dalle narici, come faceva sempre nei momenti di tensione.

Mio padre finge di non sentirla e si nasconde a fumare dove capita, come sempre. Inutile dire che, quando sono presente, continuo a essere il bersaglio preferito. Oh, povero caro” squittì Bella, fingendo rammarico.

Meda incrociò finalmente i suoi occhi e Sirius mormorò a fior di labbra delle scuse; lei non capì in tempo.

“Arriva la parte che preferisco” la voce di Bellatrix si fece improvvisamente dura “Credo che anche Meda mi abbia abbandonato. Ero certo che amasse sinceramente Tonks e a farmelo pensare non sono stati solo i loro incontri notturni. Come fa a sopportare tutto questo? Se lei lo ama, perché non dovrebbe lasciare tutto questo schifo e fuggire con lui?”.

Nella stanza calò un silenzio tombale, le labbra di Andromeda impallidirono.

È la fine.

 

   
 
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