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Autore: Leannel    21/12/2004    7 recensioni
Arathorn e Fengel erano due uomini molto diversi. Ma avevano in comune principalmente due cose. La prima:erano mortali. La seconda: non avrebbero fatto niente di buono nella loro vita,a parte i loro figli, chiaramente. Cosa c'è prima dell'inizio?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Introduzione



Nuova ficcina, ma questa volta nel vero senso della parola. Molti di voi mi saranno grati. Comunque ammeto che anche per me è un sollievo pazzesco smettere per un po' di parlare dei trip mentali di elfi complessi (e complessati) per parlare di qualcosa di un po' precostruito.

La storia narra di due personaggi esistit davvero, che saranno più o menoconosciuti ai lettori del libro, meno ai coloro che hanno visto il film.

Uno è Arathorn, il padre di Aragorn, per intenderci; è un gran bel ragazzo. La storia della cicatrice sul viso mi è piaciuta molto. Sarebbe fico se gli orchi lo chiamassero, che so io, scarface (lo sfegiato).

L'altro è fengel. Non è un personaggio conosciuto. Il fatto è che dovevo trovare un contempraneo di Arathorn, e questa della vita più lunga è una bega bestiale.

Ho dovuto calcolare tutte le date...

Uno stress unico. E ancora non ho la certezza che i miei calcoli siano esatti...

AIUTOOOOOOOOO!!

spero da morire che vi piaccia e che la leggiate e recensite!!

Per finirla sarò un po' lenta perchè con la scuola e tutto il resto ci metterò un po'...

ne sto preparando una a 4 mani (nel vero senso della parola) con una mia amica. Sempre una cosa tranquilla, che forse vi piacerà. Su Eowyn, la sua preferita. Poi abbiamo progettato di farne una su Boromir e Faramir, i miei preferiti.

Leggete la mia fic e recensitela!!

Grazie moltissime

Leannel





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Accorrete please!!!!


















Arathorn dall'alta postura elegante del suo cavallo giunse alle porte di Imladris la mattina presto, quando il sole non era ancora sorto. Alle sue spalle, Fengel, un bel ragazzo biondo, sulla ventina, dava ben pochi segni di vita. In effetti, Arathorn pensò, doveva essere stata molto dura per un ragazzino come luipertire dal Mark pochi giorni prima, recarsi a Nord, tra le montagne e poi a Gran Burrone. Faceva quasi tenerezza, sotto quell'oceano di capelli biondo grano. Arathorn lo aveva osservato a lungo, la notte precedente, in quella locanda scura. Aveva osservato i suoi occhi stanchi, di un verde acceso. Non gli era comprensibile come degli occhi di un colore così straordinario potessero brillare di una luce tanto stanca. Non triste, ma stanca. Aveva i capelli arruffati ed era chiaro che nessuno li aveva tagliati da tempo. Era davvero difficile pensarlo il futuro sovreno del mark. Era un terzogenito. Arathorn non aveva mai seguito la storia dinastica di nessuna famiglia, nemmeno delle sua, e non aveva idea di cosa fosse accaduto ai due fratelli maggiori. Ma doveva essere accaduto qualcosa di serio. D'altronde Arathorn non si recava in Gondor da anni a quella parte. L'aria di quella città lo rendeva triste. Gli ricordava quello che era successo in un tempo non troppo remoto. Era una maledizione vivere tanto a lungo. Certe ferite non si rimarginano che col tempo. Ai discendenti della sua famiglia il tempo non era concesso. Sfiorò la cicatrice sulla sua guancia destra. Rise pensando a quando quella ferita mise in discussione l'utilizzo del suo occhio sinistro. Ma adesso dall'occhio sinistro vedeva bene, bene come mai aveva visto. A volte gli faceva un po' male, di notte. Ma Gandalf aveva detto di metterci quell'unguento dall'odore pessimo. E Arathorn lo faceva, regolarmente, tutte le notti. Era sempre stato tra i suoi difetti, ascoltare troppo i consigli degli altri. Non era un uomo di iniziativa. Cosa alquanto negativa per un condottiero, quale avrebbe dovuto essere. In un certo senso se la figurava quasi la storia del giovane Fengel. I suoi fratelli erano morti quando non era che un ragazzino. Suo padre riponeva in lui tutte le poche speranze che gli erano rimaste. E lui non era, o perlomeno, non si riteneva capace di soddisfarle. Forse, Fengel era un ragazzo a cui piacevano le ragazze bionde e i prati pieni di fiori bianchi. Forse non avrebbe mai accettato il suo ruolo di sovrano. E avrebbe condotto male il suo popolo. E sarebbe morto intornro ai quaranta, in una guerra inutile. Sorrise. Si chiedeva cos'avesse pensato il ragazzo vedendo il suo viso, corrotto, disordinato, eppure bellissimo. Non doveva proprio sembrare uno degli antichi re. In realtà, quando gli avevano detto 'Sei della stirpe dei re' lui aveva risposto ridendo. Era un inetto, ecco tutto. Amava le belle ragazze e la battaglia. Portava i capelli lunghi e disordinati. Forse tutto ciò che gli restava di loro erano i suoi occhi. Aveva dei begli occhi, così almeno avevano sempre detto tutti. Il ragazzino dalla folta chioma bionda cadde da cavallo. Sembrava essersi addormentato. Il forte contatto col terreno lo svegliò, però. Arathorn si fermò e legò le briglie del suo animale ad un albero. Tranquillizzò il cavallo del ragazzo. Non che ce ne fosse bisogno. I cavalli rohirrim erano delle bestie incredibili. Il suo padrone era caduto e lui lo stava solamente carezzando col muso. Ma Fengel era così stanco da non accorgersene neppure.

“Siamo arrivati” Arathorn sorrise.

“Davvero? Io ho un gran mal di testa”

“Vi avevo detto di non bere ieri notte”

“Non darmi del voi.”

“D'accordo Fengel. Ma siamo arrivati.”

Arathorn prese le briglie di entrambi li animali e le trasse a se.

“In ogni caso è meglio se per oggi non salite più su un cavallo”

Fengel lo guardò storto. Arathorn fece finte di niente.

Con un braccio aiutò il ragazzo a sollevarsi. Con l'altro portava le briglie degli animali.

“Quanto manca?”

“Solo pochi passi, non temete” Fengel cominciò a pensare che Arathorn lo facesse apposta.

Probabilmente aveva ragione.

Due elfi, armati, con armature lucenti, gli vennero in contro. Arathorn pensò che forse li avevano scambiati per qualche stanco viandante in cerca di dimora.

“Voi siete i due mortali?” disse il più alto dei due elfi

“Direi che non ci sono dubbi sul fatto che lo siamo.”

Fengel mormorò qualche parola incomprensibile.

“Dice che state cercando noi” disse Arathorn.

Fengel cercò in tute le sue tasche e ne trasse una lettera piuttosto malridotta, ma di una fine carta bianco panna. La porse ai due elfi, che cambiarono immediatamente espressione.

Si eressero per poi piegarsi in un inchino solenne. Arathorn si sentì preso in giro.

“Portate dentro i cavalli” disse con tono duro.

“E la giovane maestà?” disse l'altro Elfo.

“A lui penso io”

“Voi non pensate a nulla” disse una voce dalla soglia scura “Questo non voleva essere un insulto, maestà”

Arathorn osservò attentamente l'uomo che gli veniva incontro. Innanzitutto, senza nessun dubbio era un'elfo. Aveva occhi di cristallo nero e lunghissimi capelli color della pece. La sua pelle era bianca, come solo un elfo poteva avere. I suoi biti erano anch'essi di pelle nera, per lo più molto fine, o molto nuova. Doveva essere un'elfo di alto rango.

Arathorn aveva un ulteriore certezza. Si trattava di n guerriero. In primo luogo portava una spada forgiata con non sapeva quale materiale e finemente decorata, seppur in maniera sobria. Doveva essere molto abile. In secondo luogo aveva occhi che potevano appartenere unicamente ad un guerriero.

Arathorn sorrise. Quell'elfo non gli piaceva affatto. Non che avesse qualcosa contro gli elfi. Ma quello sembrava uno di quei maledetti esibizionisti. Inoltre aveva l'impressione di averlo già visto da qualche parte.

“Lasciate che porti il ragazzo in una stanza. Pensavo che non fosse raccomandabile bere in viaggio” disse l'elfo

“Pensavate bene” rispose Arathorn “Ma il ragazzino non aveva nessuna voglia di dirigersi in un posto tanto lontano e soprattutto... non è importante”

Fengel lanciò un'occhiata interrogativa Arathorn. L'uomo rise. Probabilmente Fengel non aveva idea di chi lo stesse portando, né di dove lo avrebbe portato. O più semplicemente con quell'occhiata voleva affermare di non aver mai dette quelle parole. Ad ogni modo Arathorn rise.

“Seguitemi” disse l'elfo scuro, dagli occhi penetranti.

Arathorn, nonostante non nutrisse nessuna simpatia nei suoi confronti, fece cenno di si col capo e lo seguì.

Arathorn mise così per la prima volta piede nelle case di Elrond. Era una sensazione strana. Un profumo fresco di fiori lo pervase. C'era un'aura di tranquillità ad avvolgerlo. E per un sitante, forse per la prima volta nella sua vita, si sentì tranquillo. Per la prima volta non si sentì completamente fuori posto. Ma fu un istante. L'istante successivo, Arathorn, tornò alla sua costante apatia.

“Non eravate mai stato in una casa di elfi?” chiese L'elfo scuro

“Non come ospite” rispose. L'elfo lo guardò in maniera molto strana. Arathorn rise. “Stavo scherzando” disse. “Perchè, voi siete mai stato nella dimora di una grande dinastia di mortali decaduti?” disse ancora, ironico.

“Decisamnte più a lungo di voi” Arathorn ebbe l'istinto di ridere. Ma gli occhi dell'elfo non ridevano affatto.

“Che farete al mio amico?”

“Quel ragazzino non è amico di voi più di quanto lo sia di me”

“Non c'era nessun bisogno di questa vostra ironia” rispose Arathorn. Parlando con quell'elfo aveva sempre l'impressione di sbagliare. Si guardò attorno. L'elfo tardava a rispondere. Pensò che non lo avesse sentito. Poi che non gli volesse rispondere. Si guardò attorno, comunque. Era davvero molto bello. Era tutto molto elegante e fine e tuto il resto. Se i suoi antenati vivevano nello stesso lusso, Arathorn ringraziò di essere nato quando la stirpe era già decaduta. Il pavimento semrava di un bel marmo bianco, costuito con del marmo verde. Alle pareti era ogni genere di arazzi. Arathorn si disse che se suo padre avesse disposto di tutta quella mercanzia forse avrebbe riacquistato parte del suo potere. Era quasi ironico. Ovunque andasse, gli uomini più importanti della Terra di Mezzo lo Riconoscevano e talvolta si inchinavano dinnanzia lui. Eppure, la sua importanza non aveva nessun valore. Da sempre le Terre del Nord erano le più attaccate, e mai nessuno era venuto in loro soccorso.

Forse tutti li stavano prendendo in giro da centinaia di anni e non se ne erano mai accorti.

“Si, avete ragione” disse la voce dura dell'elfo.

Arathorn, si voltò e lo fissò nei suoi impenetrabili occhi neri. Non aveva idea di cosa stesse pensando. Sorrise.

“Che ci fa uno come voi con uno come me” disse

“Voi siete ospite di Elrond”

“Lo chiamate per nome?”

“Non è mio signore”

“Da dove venite?”

“Io sono originario di queste parti. Poi, qualche tempo fa sono stato a Minas Tirith. Poi sono stato al Nord, per qualche tempo. Adesso abito poco più a est di qui. Quattro o cinque giorni, con uno di quei cavalli”

“Al Nord? Io sono del Nord? Non vi ho mai incontrato”

“Sono stato al Nord, ma è stato qualche tempo fa.”

“Suppongo che questo significhi:'Squallido mortale, io conoscevo tuo nonno e anche il suo predecessore'”

“Cosa intendete?”

“Voi elfi tentate sempre di tenervi tutto per voi, con la scusa che ne farete un buon uso. Non vi interessa a chi o come lo prendete”

L'elfo fissò Arathorn stupefatto.

“Tel'ha detto tuo padre?”

“No, mio padre è uno stupido. Lui non capisce”

“Suppongo allora che ti dia fastidio, trovarti qui”

“In un certo senso no. Questo è quello che mi da più fastidio”

L'elfo rise. Rimase in silenzio qualche istante ancora

“Vostro padre non dava mai del voi” disse

“Allora lo conoscete davvero?”

“Gli elfi non dicono menzogne. Supponevo che questo lo sapeste”

Arathorn trovò il discorso dell'elfo quasi paradossale.

“Pensavo che quelli fossero gli uomini di Gondor”

L'elfo lo fissò un istante

“E' da molto tempo che non andate a Sud”

“Si, è vero.” ora fu Arathorn a prendere tempo “Cosa c'entra il ragazzino?”
Ragazzino. Quel ragazzino avrà si e no trent'anni meno di voi. Non mi sembra carino trattarlo con tanta superiorità”

“E' normale che voi non percepiate la differenza di età come me. In ogni caso che ci fa lui qui?”

“Lo avete visto, no?”

Arathorn fece cenno di si col capo. A dire il vero non aveva idea di dove l'elfo volesse arrivare. Ma l'elfo non rispose. Si voltò verso di lui, lo guardò negli occhi, poi per un istante sembrò stupirsi, infine sorrise. Sembrava non spiegarsi la risposta di Arathorn. Scusate ma penso sia meglio accompagnarvi alle vostre stanze.

Arathorn rispose di si.

Attraverso un discreto numero di larghi corridoi, ornati di tutto ciò che di bellissimo Arathorn potesse immaginare, l'elfo lo condusse alla sua stanza. Con un inchino lieve lo lasciò. Così. Sembrava che non avessero nemmeno parlato. Gli elfi erano bravissimi a farlo sentire una nullità. In combattimento avrebbe davvero voluto sapere chi avrebbe vinto tra l'elfo, lui ed il ragazzino biondo. Il ragazzino. Avrebbe dovuto trovarlo, in qualche modo.

La stanza era bella almeno quanto il resto del palazzo. Certo, non era adorna come nei corridoi e nelle sale grandi, ma era molto bella lo stesso. C'era un bel giardino. Arathorn annusò l'aria profumata della primavera in quei luoghi bellissimi. Si disse che se avesse avuto tempo sarebbe uscito col ragazzino biondo e avrebbero passeggiato a lungo. Si sofermò davanti allo specchio. Le cicatrice bruciava leggermente. Non gli andava di mettere l'unguento. Non lo fece. Bevve un bicchiere di quella bevanda dolce e densa che avevano lasciato sulla scrivania in legno bianco. Si sdraiò e ai addormentò. Era maledettamente teso.


  
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