Capitolo 3
Finirono una
bottiglia di vino con facilità, e quando si
incamminarono per la spiaggia di ritorno alla villa, John si sentiva
piacevolmente brillo
e immaginava che anche Sherlock stesse sperimentando lo stesso spirito
affabile.
“Dimmi
una costellazione.” Sherlock richiese con finta
serietà mentre camminavano.
“Ti ho
detto l’unica che conosco.” protestò
John.
“Ma ti
ho comprato tutti quei libri!”
“Non
ho ancora avuto il tempo di leggerli!”
Sherlock rimase
in silenzio per un secondo. “Comunque, li hai comprati
tu i libri; li ho
addebitati sul tuo conto.”
John
iniziò a ridere. Rise così forte che dovette
smettere di
camminare.
“Cosa
c’è di così divertente?”
chiese Sherlock, suonando
stranamente divertito in risposta all’ilarità di
John.
“Tu.”
ansimò John. “Che
mi compri un regalo con i miei
soldi. Solo tu avresti – “ ancora ridendo, senza
pensarci, John si avvicinò
alla spalla di Sherlock, appoggiandosi solo leggermente contro di lui,
e
Sherlock si ritrasse, allontanandosi. John smise bruscamente di ridere.
“Mi
dispiace.” disse Sherlock rapidamente.
“È solo un po’
dolorante, stasera.”
“Spalla
slogata.” si ricordò John. “Mi dispiace.
Me ne sono
dimenticato, o non ci ho pensato –”
“Va
bene.” insistette Sherlock. “Sto bene. È
perfettamente
normale che sia ancora dolorante, a questo punto.”
“Vorresti
star fermo?” chiese John, ignorandolo, e si
avvicinò per controllare con cautela la spalla di Sherlock.
“Non
è più slogata.”
“Sto
solo controllando. Questo è proprio il tipo di cosa
assurda che potresti fare, rifiutare che qualcuno possa sistemarti la
spalla.
Non voglio neanche chiederti se hai indossato una fasciatura o meno.”
“Avevo
altre cose da fare.” Sherlock trattenne il respiro
all’improvviso,
mentre John passava con voluta delicatezza una mano lungo il suo
fianco. E non
di piacere, cosa che John avrebbe di gran lunga preferito.
“D’accordo.
Ti controllerò per bene, stasera.”
“Non
c’è davvero alcun bisogno di –
“
“Ti
sei dimenticato di quanto tu abbia bisogno di qualcuno
che stia attento e si prenda cura di te” John lo interruppe.
“Non
ne ho bisogno.” Sherlock negò, ostinato.
“Sì,
invece.” John fece scivolare la mano su quella di
Sherlock, incrociando le dita tra le sue. Passò un attimo, e
poi Sherlock
intrecciò le sue dita con quelle di John in risposta. John,
incoraggiato, le
strinse e trascinò Sherlock nella villa.
“Sul
divano.” ordinò John, scomparendo nella sua camera
da
letto per recuperare i medicinali di base che aveva portato con
sé. “Suppongo
che tu abbia tenuto la ferita pulita?”
“Ma
certo.” disse Sherlock, cercando di suonare offeso ma non
riuscendoci in maniera adeguata. Sedeva rigido sul divano, sembrando a
disagio.
John lo
guardò. “Okay.” disse bruscamente.
“Lo sai che se
devo controllare come stai guarendo dovrai toglierti la
maglietta.”
Sherlock
deglutì visibilmente e guardò John.
John
inclinò la testa con aria interrogativa, perché
si era
preso cura delle ferite di Sherlock innumerevoli volte prima e non
c’era mai
stato questo livello di riluttanza da parte di Sherlock. Era forse
perché John
gli aveva detto che era innamorato di lui? Questa esperienza era ora
impregnata
di una carica sessuale che prima Sherlock non percepiva? John lo poteva
capire,
ma John era anche un professionista che non aveva intenzione di
assaltare
Sherlock per la sola vista del suo petto nudo. Soprattutto non quando
John era
principalmente preoccupato per la guarigione di una ferita da arma da
fuoco su
quello stesso petto.
John si
inginocchiò davanti a Sherlock e disse, con attenzione,
“Sono molto veloce, lo sai. Dammi due minuti.”
Sherlock si
leccò le labbra e lentamente cominciò a
sbottonarsi la camicia. John avrebbe voluto avere una scusa per
ascoltare il
battito cardiaco di Sherlock, giusto perché voleva dare alle
sue mani qualcosa
da fare e lo stetoscopio sembrava una buona opzione.
Il petto di
Sherlock era una collezione di lividi in vari
stadi di guarigione, e John si meravigliò che Sherlock non
spendesse più tempo
lamentandosi di quanto non avesse fatto. La vista di tutto quello fece
stringere a John i pugni, ma riuscì a non scatenare la serie
di maledizioni che
voleva lanciare a chi aveva fatto tutto questo. Si concentrò
fermamente sulla
guarigione della ferita d’arma da fuoco, che non stava
guarendo in maniera
pulita come aveva fatto quella di John, senza dubbio perché
Sherlock non aveva
ricevuto ottime cure mediche non appena era accaduto. John si sporse in
avanti,
guardando la ferita da vicino, ma non sembrava essere infetta, solo...
non
bella. Avrebbe lasciato una cicatrice peggiore di quella che aveva John.
“Come
sta la costola?” chiese John, sforzandosi di far
suonare il tono di voce professionale, quando la sua testa urlava Ucciderò
ogni singola persona che ha posato una mano su di te.
“Come
fai ad avere così tante informazioni sulla mia
salute?”
“Te
l’ho detto, ho parlato con i medici argentini. Avresti
dovuto lasciare che si prendessero un po’ più cura
di te.”
“Odio
i medici.”
“So
per certo che non è vero.”
“Tu
sei l’eccezione. L’unica eccezione. E ho lasciato
che tu
mi rigirassi a dovere solo perché...”
John voleva
finire con Perché mi ami.
Ma Sherlock
finì, “Perché ho fiducia che tu sappia
quello che
stai facendo. Questo non è un qualcosa che credo di
qualsiasi altro medico.”
Che era forse un
complimento più incredibile di Sherlock che
diceva che fosse per amore. John alzò momentaneamente lo
sguardo dalla sua
contemplazione delle ferite di Sherlock. “Hai appena
affermato che io sia più
intelligente di tutti gli altri medici?”
Sherlock
sembrò infastidito. “Sai già che penso
che tu sia
più intelligente della maggior parte delle altre
persone.”
“No.
Non lo so. Stai sempre a dire quanto io sia un idiota.”
Sherlock
alzò gli occhi. “Tu sei un
idiota, per non
vedere quanto meno idiota di chiunque altro tu sia.”
John non sapeva
bene cosa farsene di quello, e non sapeva
neanche cosa dicesse di lui il fatto che quella frase, detta da
Sherlock
Holmes, lo facesse sentire curiosamente vicino al baciarlo.
Così John disse
appena, bruscamente, “Piegati in avanti così posso
controllare il foro d’uscita.”
Sherlock
congelò sul posto ma fu di un secondo troppo lento
con la sua resistenza.
“John
-” cominciò, ma John lo aveva già
spinto in avanti, e
John fino ad allora aveva fatto un buon lavoro nel trattenere le
proprie
reazioni, ma non poté evitare di ansimare,
“Gesù Cristo.”
Sherlock si
irrigidì e cercò di allontanarsi. “John
-”
“No.”
John lo tenne fermo, sapendo che era probabilmente
doloroso per lo stato dei lividi di Sherlock e non preoccupandosene,
perché lui
doveva vedere. La schiena di Sherlock era piena di
cicatrici.
Bruciature. Tagli. All’interno di piccole rientranze vi erano
interi pezzi di
pelle mancanti. John smise di respirare, il suo sguardo divenne rosso
di
rabbia, e voleva la sua pistola. Voleva la sua pistola, e voleva
alzarsi, e
voleva tornare in Argentina, o in Afghanistan, o a Mosca, o in Francia,
o dove cazzo
chiunque avesse fatto quello al suo Sherlock.
“John.”
disse Sherlock, il quale suonava molto lontano e
molto incerto, e molto rotto.
Perché
non me l’hai detto? John voleva
gridargli. E: Chi ti ha fatto questo?
E: Che cosa hai fatto negli ultimi sei mesi?
John non
gridò. John sapeva che gridare sarebbe stata la cosa
meno produttiva che potesse fare. Sherlock era stato chiaramente
torturato,
probabilmente da qualcuno molto intelligente che aveva saputo
esattamente
quello che stava facendo, e Sherlock non aveva bisogno che gli gridasse
contro
al riguardo. John chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Non
c’era da
stupirsi che Sherlock avesse avuto una fornitura di un piccolo esercito
di
farmaci antidolorifici con lui. Chiunque tu sia,
pensò, ti troverò e
ti pianterò una pallottola nel cranio.
John
aprì gli occhi. Sherlock era chinato in avanti, le mani
strette intorno alla sua camicia, ma John lo fermò
piegandosi in avanti e
baciando la cicatrice più vicina, leggero e delicato e
tenero. E poi la
successiva, e quella dopo. Pensi
di aver fatto questo per me, John disse con
ogni bacio, e ti amo per questo. Ti amo, ti amo, ti amo. Sherlock era
immobile, a malapena
osava respirare. John baciò ogni cicatrice,
sistematicamente, e quando finì
avvolse le braccia intorno a Sherlock, premendosi contro di lui.
Annusò i
capelli sulla nuca di Sherlock, posando un bacio tremante
lì, appoggiò la
fronte contro la parte posteriore del cranio di Sherlock, chiuse gli
occhi e
fece un respiro instabile dopo l’altro.
“Va
bene.” disse Sherlock, alla fine, con un sussurro.
“Sto
bene.”
“Sì.”
John concordò, un sussurro feroce in risposta, le
braccia che si stringevano intorno a Sherlock per trattenerlo ancora di
più. “Lo
sei. Tu stai bene. Perché ti ho io adesso e non ti
lascerò mai andare. Mi hai
sentito?”
Sherlock fece un
tremolante e profondo respiro, tremando tra
le braccia di John.
John non era
sicuro di quanto tempo rimasero così. Fin quando
Sherlock non smise di tremare e si rilassò contro di lui.
Fino a quando il
cuore di John non smise di battere dal terrore e dalla rabbia. John
lasciò un
ultimo bacio sul collo di Sherlock e poi si allontanò.
“Nessuna
infezione.” dichiarò, stupito di come la sua voce
suonasse professionale.
Sherlock si era
praticamente rimesso la camicia non appena
John si era allontanato, e se la riabbottonò in fretta, gli
occhi sulle dita. “Sopravvivrò?”
chiese, con un tono a metà tra l’ironico e il
serio.
“Ce la
farai.” gli disse John, per poi alzarsi e andare in
bagno a spruzzarsi acqua fredda sul volto. Poi aprì la
doccia e finse di lavarsi, quando in realtà si sedette
semplicemente con la
schiena contro la porta del bagno, gli occhi chiusi, facendo esercizi
di
respirazione profonda e costringendo le mani a non chiudersi a pugno.
Si
sentiva impotente dalla rabbia. E avrebbe voluto reagire soffocando
Sherlock
con l’affetto, avvolgendolo nell’ovatta e non
lasciarlo mai più allontanare
dalla sua vista. Avrebbe potuto funzionare lì ad Anguilla ma
avrebbe dovuto
smettere se Sherlock si fosse mai ripreso completamente, avrebbe dovuto
imparare a lasciarlo un po’ andare, e non aveva idea di come
avrebbe fatto.
Chiuse
finalmente la doccia, aspettò una quantità
adeguata di
tempo per fingere di asciugarsi, e uscì di nuovo nel
salotto. Sherlock non era
più lì, e John entrò nella camera da
letto e si spogliò dei suoi vestiti,
rimanendo in boxer e maglietta, rendendo la finta doccia un
po’ più credibile.
Trovò
Sherlock seduto sui gradini della veranda. John esitò,
quindi fu Sherlock a parlare per primo.
“Le
spalle di Orione.” disse, indicando. “Lì
e lì. Le ho
trovate per te. Sta tirando una freccia.”
“Oh.”
John guardò il cielo notturno, non vedendo le spalle di
Orione e non curandosene. “Grazie.” Ci
fu un momento di silenzio. “Vieni
a letto?”
“In un
minuto.” disse Sherlock.
John lo
lasciò lì. Immaginò che ‘in
un minuto’ significava ‘no,
mai’, ma Sherlock strisciò nel letto con lui non
molto più tardi. O forse fu un’ora
più tardi. John aveva perso il senso del tempo. Non che
avesse molte speranze
di dormire quella notte, comunque.
Sherlock sapeva
che non stava dormendo. “Non voglio parlarne”
affermò.
“Non
ho intenzione di forzarti.”
“Mai.”
Sherlock aggiunse, in tono piatto. “Non vorrò mai
parlarne.”
“Va
bene.” disse John. Non era sicuro che lo intendesse sul
serio, pensava che Sherlock probabilmente aveva bisogno di parlarne, ma
non
aveva intenzione di forzarlo mentre tutto era ancora così
recente.
“Questo
è quello che hai sostenuto la sera che mi hai detto
che non avevi legami.”
“Di
che sera stiamo parlando?”
“Quella
prima volta da Angelo. Mi hai chiesto se avevo un
ragazzo. Hai detto che andava bene.”
“Va
bene.” John
fece una pausa. “Hai pensato
che ci stessi provando con te quella sera. E mi hai comunque dissuaso.”
Sherlock
sentì la domanda a cui John non diede voce.
“Perché
eri terrificante. Mi hai terrorizzato. Non ho mai
incontrato nessuno che
volessi nella mia vita quanto voglio
te. Quindi,
anche mentre stavo cercando di tenerti con me, ti stavo spingendo via
allo
stesso tempo. È stato stupido. Sono stato un idiota. Ma
è uscito fuori che eri
etero, quindi era un’alternativa migliore del darti
l’impressione che volessi stare
con te, che ti avrebbe sicuramente fatto scappar via. Non è
diventato un
disastro grande come poteva essere.”
“Non
è stato un disastro.” disse John, dolcemente.
“Ci siamo
arrivati, alla
fine.”
Sherlock prese
la mano di John nel buio, stringendola
liberamente tra le sue. “Ti dispiace?” chiese
incerto.
“No.”
rispose John. “Niente affatto.”
“Va
bene?” la voce di Sherlock era carica di divertimento.
John sorrise nel
buio in risposta. “Meglio che bene,
Sherlock.” John si mise più vicino a Sherlock, e
dopo un attimo sentì Sherlock
poggiare la testa contro di lui, facendosi un po’
più vicino in risposta. John
chiuse gli occhi e respirò con Sherlock fin quando il sole
non si levò.
***
John si
addormentò intorno all’alba. Così fu
quello l’orario in
cui Sherlock
sollevò la mano che ancora
stringeva tra le proprie e premette un bacio ardente al centro del suo
palmo,
quando Sherlock si voltò un po’ di più
verso John e gli baciò la fronte. John
tirò su col naso al contatto, ma non si svegliò,
e Sherlock lo guardò e sentì
quello strano dolore al petto che sapeva essere il luogo da cui
proveniva il
termine angoscia. Non
c’era niente che non andasse con il cuore di Sherlock. Stava
facendo
il suo lavoro alquanto egregiamente. Ma guardare John faceva sentire
Sherlock
come se il suo cuore fosse troppo grande per il suo petto. Non
c’era da
meravigliarsi che si fosse concluso che il cuore era la fonte dei
sentimenti.
Sherlock non aveva mai capito perché quella falsa credenza
fosse così
ampiamente diffusa fino a quando non si era innamorato di John.
A Londra, a
Baker Street, Sherlock aveva imparato a spingere
via il sentimento dal suo petto.
Succedeva quasi ogni volta che guardava John, ma doveva
smettere di
pensarci, per continuare a lavorare. Adesso era fuori allenamento.
Quando guardava John e il mondo si fermava intorno a lui e il suo cuore
cresceva a dismisura nel petto, non riusciva più a tenere il
respiro abbastanza
regolare. Ed era anche peggio, adesso che John si stava comportando in
quel
modo. Sherlock pensò a John che con attenzione e in silenzio
posava baci sulla
sua schiena. Non sapeva bene come apparisse la sua schiena
perché non poteva
vederla senza faticare e non aveva voluto sforzarsi per vedere le
persistenti
prove. Non voleva farlo rimanere nella memoria. Ma poteva immaginare
che non
fosse grazioso, e la reazione di John lo aveva confermato e reso del
tutto
irrilevante, tutto allo stesso tempo. Una bolla feroce e furiosa di
contraddizioni, il suo John. Sherlock chiuse gli occhi per fermare le
vertigini
per quanto lo amasse.
E forse John lo
ricambiava. Forse era davvero così. Forse
avrebbero potuto passare oltre a tutto quello che era successo,
sarebbero
potuti tornare ad essere John e Sherlock, solo meglio, mano nella mano
a Regent
Park, come Sherlock aveva sempre desiderato. Sherlock infilò
la mano in tasca e
tirò fuori la lettera che John aveva fatto scivolare sotto
la porta della
camera in Siberia, sgualcita e spiegazzata dal numero di volte che
Sherlock l’aveva
riletta. La lesse di nuovo, anche se l’aveva memorizzata, poi
la rimise in
tasca e rotolò fuori dal letto.
Aveva sguazzato
in quella situazione abbastanza a lungo, si
disse con fermezza. Era ora di andare avanti. La vita era fatta per
essere
vissuta. La vita con John. E
sembravano relativamente al sicuro. Sherlock non aveva notato nulla di
sospetto
nel tempo in cui erano stati lì, nessun segno di qualsiasi
agente della rete di
Moriarty. Forse davvero credevano che fosse morto durante la sua
rocambolesca
fuga in Argentina.
Era temporaneo,
ovviamente. Se Sherlock avesse mai ripreso la
sua identità l’avrebbero saputo subito, sarebbero
venuti a cercarlo e avrebbero
cercato anche John e Sherlock non poteva permetterlo.
Quindi non
sarebbe tornato a casa. John sarebbe rimasto con
lui, pensò Sherlock. Sherlock lo sperava. Se avessero dovuto
vivere il resto
della loro vita in fuga, Sherlock non pensava che John avrebbe esitato.
Sperava
che John non avrebbe esitato.
Sherlock sedeva
sulla veranda con uno dei libri delle
costellazioni di John aperto sulle ginocchia, aggrottando la fronte
verso l’oceano
e considerando la cosa. Poteva chiederlo a John? Poteva non
chiederlo a
John? Non poteva immaginare di essere in grado di costringersi a
lasciarlo di
nuovo. Ma cosa sarebbe successo se John lo avesse lasciato? E se John
amava lo
Sherlock che era stato a Londra, non lo Sherlock di adesso? Sherlock
non
riusciva ancora a comprendere l’idea che John lo avesse amato
a Londra. Se ne
era stato così all’oscuro allora, che cosa gli
faceva pensare che sarebbe stato
in grado di aver chiara la cosa adesso, quando Sherlock era
così consumato da
ciò che era accaduto?
John
uscì sulla veranda, assonnato, e si lasciò cadere
sulla
panca accanto a Sherlock, posando casualmente la testa contro la sua
spalla
mentre sbadigliava. “’Giorno.”
Sherlock sedeva
immobile, non volendo far spostare John. John
era stato più affettuoso ultimamente, fisicamente parlando,
e Sherlock ne stava
godendo senza mostrare esattamente quanto. “Buongiorno.
Avresti dovuto dormire
un altro po’, è ancora abbastanza
presto.”
“Tu
eri sveglio.” disse John come spiegazione.
Sherlock si
mosse un po’. “Non c’è bisogno
che tu mi... coccoli.”
“Non
ti sto coccolando.” negò John. “Il letto
era freddo
senza di te. Non riuscivo a riprendere sonno.”
Sherlock era
incerto se credergli o meno. “Oh.” disse,
finalmente. “Mi dispiace. Vuoi che torni a letto?”
“No.
Tanto vale iniziare la giornata. Ho davanti a me un’intera
giornata di studio delle costellazioni.”
“Pensavo
che potremmo andare in città.” dichiarò
Sherlock,
formando con attenzione le parole.
Ci fu un momento
di silenzio. “Davvero?”
“Sì.
Abbiamo bisogno di latte. Hai idea di quanto orribile tè
nero io abbia bevuto negli ultimi sei mesi? Mai
più.”
Un altro momento
di silenzio. “Posso fare un salto e andare a
comprarlo.”
“È
fuori questione.” replicò Sherlock.
John
sollevò la testa dalla spalla di Sherlock, spostandosi
così da essergli di
fronte sulla
panchina. “Sherlock –”
“Non
ho intenzione di farti allontanare dalla mia vista,
John Watson.” Sherlock lo
interruppe.
John
studiò il suo viso da vicino, come fosse un
dannato invalido che aveva bisogno di un
trattamento speciale e Sherlock odiava quella
cosa. Poi John annuì. “Ma non aspettarti che io
conosca nuove costellazioni, se
non ho il tempo di impararle.” John lo avvertì.
Sherlock
sorrise, e il suo cuore premette contro la cassa
toracica di nuovo, ma andava bene, significava che tutto era giusto nel
suo
mondo.
***
John
pensò che Sherlock si stesse sforzando con
l’escursione in
città, ma John pensò anche che Sherlock era una
persona che si sforzava sempre,
e forse sarebbe stato un bene per lui per tornare a quello stato.
Sherlock era
stato insolitamente calmo da quando
John
lo aveva trovato in Siberia. C’erano stati dei lampi del
vecchio Sherlock,
lampi di entusiasmo e interesse per le cose, esplosioni di monologhi
entusiasti
che John ascoltava con la stessa indulgenza che ricordava dal 221B. Ma,
nel
complesso, Sherlock era stato riservato e cauto e incerto, tre
aggettivi che
John non gli avrebbe mai applicato prima. Quindi forse Sherlock aveva
bisogno
di gettare un po’ di cautela al vento e rischiare. Forse lo
avrebbe eccitato,
ricordare chi era.
Mentre Sherlock
era nella doccia, John accese il telefono. Ignorò
tutti gli sms e i messaggi in segreteria e compose invece un singolo
nuovo
messaggio per Mycroft. Stiamo ancora
bene, entrambi. Se ci stai tenendo d’occhio e ti capita di
imbatterti in qualcuno
della rete di M, uccidili. Lentamente.
Più
tardi, quando Sherlock uscì dalla doccia, John gli porse
le chiavi della macchina e Sherlock le prese, e John pensò
che era già un passo
in una direzione familiare. Mentre Sherlock guidava faceva una
telecronaca per
John su tutte le cose che gli altri autisti stavano facendo in maniera
scorretta, e John lo guardò e si sentì
completamente incapace di togliersi il
largo sorriso che sapeva essergli apparso sul viso.
“Cosa?”
Sherlock chiese infine, lanciandogli brevemente un’occhiata.
“Sei
così magnifico.” rispose John, che non era proprio
quello che stava pensando, ma era comunque vero.
Le guance di
Sherlock si tinsero di rosa. Ed erano già un po’
rosate dal tempo passato in spiaggia il giorno prima.
La
città era piena di negozi per turisti. Sherlock vagava tra
di loro, proclamando in maniera deliziosa quanto tutto quello fosse
orribile.
John, in altre circostanze, avrebbe cercato di zittirlo, umiliato, ma
gli stava
risultando alquanto difficile sentire qualcosa di diverso dalla
beatitudine di
come tutto sembrasse normale. Ogni
tanto Sherlock si raddrizzava bruscamente e si voltava a guardare
più da vicino
in una direzione che John non notava, e John intuì che
Sherlock non aveva mai
veramente perso del tutto la tensione che gli si era insinuata dentro
dopo aver
lasciato la villa, ma nel complesso pensò che Sherlock si
stesse divertendo.
E si fermarono
per prendere il latte.
“Eventuali
altre richieste di qualcosa che possa cucinare per
te?” chiese John, mentre camminavano su e giù per
i corridoi affollati del
piccolo supermercato. Non avevano mai fatto la spesa insieme prima, il
che rese
la cosa molto strana eppure in qualche modo intimamente domestica.
“Hobnob!”
esclamò Sherlock, afferrandone diverse scatole
dagli scaffali. *
“Okay,
probabilmente dovremmo comprare anche qualcosa che abbia
un reale valore nutrizionale.”
“Ugh,
la nutrizione è noiosa.” commentò
Sherlock. “Comunque,
siamo in vacanza. Guarda, le tue preferite!” Sherlock
aggiunse diverse scatole
di Jaffa Cakes nel loro carrello. **
“Allora
sai che quelli sono i miei preferiti.” osservò
John. “Eppure
non hai mai avuto remore a mangiarti l’ultima.”
“Oh,
John, non è che fossero gli ultimi Jaffa Cakes in tutto il mondo.” rispose
Sherlock,
fermandosi davanti a una vasta esposizione di succhi freschi.
“Dovremmo crearci
i nostri cocktail tropicali.”
“Va
bene.” disse John, per accontentarlo.
Sherlock
iniziò ad afferrare succhi di frutta indiscriminatamente.
“Faremo un esperimento.”
John non aveva
mai visto Sherlock stare così a lungo senza sperimentare
qualcosa. Fu sollevato dal fatto che ce n’era uno
all’orizzonte. “Mi sei
mancato così tanto.” John sbottò
all’improvviso.
Sherlock, nel
processo di depositare il succo di guava nel
carrello, congelò sul posto.
Ci fu un
silenzio imbarazzante. John si chiese selvaggiamente
se dovesse scusarsi, rimangiarselo, dire qualcosa di più.
Poi Sherlock si
raddrizzò e gli indirizzò un piccolo sorriso
e disse, “Mi sei mancato anche tu.”
Note
della
traduttrice:
* Gli hobnob sono una marca di
biscotti.
** Altra marca di biscotti. Ne sono
rimasta alquanto
sorpresa LOL
Dunque, eccoci al terzo capitolo.
Finalmente un po’ del
gelo che li ha attorniati dall’inizio ha iniziato a
sciogliersi, anche se ci
vorrà ancora un po’ prima di vederli come
desideriamo ( ma non molto! )
Come sempre grazie a PapySanzo89
perché questo capitolo mi ha fatta dannare e senza
di
lei sarei rimasta bloccata su alcuni pezzi per non so quanto!
Mi piacerebbe leggere qualche
recensione, anche solo
per sapere se la storia vi appassiona, cosa che io spero con tutto il
cuore,
essendo una di quelle che amo di più (altrimenti non mi
sarei presa lo sbatti
di tradurla, direi! ) Se invece commentate direttamente con
l’autrice, well,
four for you!
A presto,
_opheliac