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Autore: Calenzano    04/05/2014    1 recensioni
Keana, intellettuale del distretto 5, introversa e inquieta. Con tanta passione per i grandi ideali quanta sfiducia in sé stessa. E con il tacito desiderio di una sorella minore. Non certo il tributo ideale per i Giochi. Ma quando Capitol City va a colpire nel profondo, non può più permettersi di restare a guardare.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La strategia è la via del paradosso.

Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile.

(Sun Tsu, “L'arte della guerra”)

 

 

Caccio un urlo, con un salto indietro che mi manda a urtare contro lo stipite della porta, e per un attimo la inquadro nel corridoio in sfacelo, ha una serie di aggeggi metallici pendenti a mo' di collana, e appesa dietro le spalle la katana che ho visto ieri alla Cornucopia. Poi la mia mano parte da sola, e mi sento afferrare la bomboletta spray, strapparla dalla tasca, e far partire un ampio spruzzo ad arco, in direzione del suo viso. Senza esitare per vederne l'effetto, urlo: “Codrina! Fuori!!!”
Lei arriva di gran carriera, scarta per evitare una furiosa Absinth che si dimena con le dita ad artiglio sul viso, e io la seguo. Mentre ci precipitiamo rumorosamente giù per le scale avverto quasi in contemporanea un tonfo sordo contro lo zaino, e un ronzìo simile a quello di una vespa irritata, di qualcosa che mi passa a poca distanza e va a scomparire della penombra con un tintinnìo. Infiliamo la porta e corriamo a perdifiato. Ci fermiamo solo dopo diversi isolati, e mi lascio scivolare giù la sacca. Nella tela è rimasto conficcato un lucido shaken a stella, grande come una mano e con le quattro punte affilate come rasoi. Codrina sgrana gli occhi: “Meno male che avevi lo zaino...”

Già, meno male. Il sollievo per lo scampato pericolo però lascia il posto alle mie imprecazioni quando mi rendo conto che tutto il cibo è rimasto dove l'ho posato, in cucina. Con quella psicopatica nei paraggi non c'è proprio da pensare a tornare a prenderlo, probabilmente quella casa è proprio il suo rifugio.
Siamo di nuovo senza viveri, avrei dovuto stare più all'erta, mi dico con stizza. Nonostante Codrina cerchi di minimizzare, facendo notare il lato comico dell'accaduto, mi trovo a pensare che finora lei se l'è cavata benissimo anche senza di me, forse pure meglio. La promessa che le ho fatto prima mi appare improvvisamente presuntuosa, e mi sento inutile.
La verità è che mi sono costruita un'immagine perfetta ma inesistente. Codrina non ha più bisogno della tutor che la aiuti a studiare, e probabilmente neppure della “sorella maggiore” che la difenda contro tutto e tutti. Tanto più se mediocre come me. Mi sento davvero patetica, e non può mancare la vocina malefica a suggerire che, forse, ha ragione Retia a guardarmi con commiserazione... Rientriamo lentamente al cantiere e ci mettiamo a cercare il materiale che ho in mente.

 


Lavoriamo per gran parte della giornata cercando tra le macerie e preparando il materiale con l'aiuto del coltellino e dei lati affilati dello shaken. Tutto l'ottimismo di stamattina è evaporato come una goccia d'acqua sotto il sole rovente dell'arena. I penseri negativi non danno segno di volermi lasciare in pace. Inutile, di troppo, incapace.... Patetica. Fa male. Sento l'amaro in bocca. Parlo solo per spiegare a Codrina cosa fare. Nemmeno lei è molto loquace, e ho il sottile timore che in realtà la perdita del cibo le pesi, e che stia cercando di non mostrare risentimento.
Finiamo il pane avanzato, già indurito, e beviamo il succo di frutta, ormai tiepido. Adesso siamo davvero a secco. Ripenso con desiderio a tutto il ben di Dio nella dispensa di Absinth, e mi gingillo con l'idea di tentare un contatto, ma l'abbandono ben presto. Anche ammettendo di riuscire a parlarci senza finire infilate come polli allo spiedo, per quale motivo dovrebbe volerci come alleate? Non abbiamo nulla da offrirle. E poi io, da senior, dovrei dormire con un occhio solo e guardarmi le spalle in continuazione, è troppo imprevedibile.

In attesa della notte mi stillo il cervello per trovare una soluzione almeno al problema acqua, e finalmente ho un'illuminazione. Ricordo di avere visto un piccolo sacchetto di plastica tra le macerie di una casa sulla Rambla. Ci andiamo, e dobbiamo cercare a lungo prima di rintracciarlo, ma alla fine lo scoviamo. Durante la strada del ritorno taglio un pezzo di tubo sempre in plastica, e ci faccio scorrere dentro un'estremità del sacchetto, così da creare una rudimentale borraccia. Finalmente cala il buio, e non si vedono volti nuovi in cielo. I Favoriti oggi non hanno avuto fortuna, spero che si siano ritirati nella loro piazza.

Andiamo a dormire un po' sul ballatoio, dobbiamo essere riposate in vista del nostro blitz. Guardo Codrina sonnecchiare raggomitolata, le raccolgo delicatamente i capelli e glieli scosto dal collo, perché stia più fresca. Sento di volerle un bene dell'anima. Immagini, ruoli, pure i miei limiti... Se non altro, questo posso darglielo. E se non posso essere sua “sorella” sarò semplicemente io, a fare quello che posso, con la mia goffaggine fisica ed emotiva. Gliel'ho promesso.

 

Mi sveglio in un bagno di sudore, nonostante sia ancora buio il caldo è già soffocante. Cerco di capire quanto manchi all'alba, ma in assenza di punti di riferimento è difficile. Raccolgo la roba, arrotolo le giacche, decisamente superflue, infilandole nello zaino, e scuoto gentilmente Codrina. Presumo che i Favoriti si siano attardati ieri sera, ergo ora staranno dormendo della grossa, almeno lo spero. Adesso vediamo a favore di chi è la fortuna, e spero che anche gli sponsor stiano guardando: stasera si recita a soggetto.

 


Finiamo che ormai il sole è alto, è il terzo giorno nell'arena. Mi chiedo se non sia una mia impressione, ma mi pare che la temperatura si stia alzando sempre più da quando abbiamo cominciato. Ci troviamo ai piedi del grande complesso di palazzoni, e ci sediamo un momento in un angolo riparato, per riposarci e raccogliere le energie. Il pane di ieri è già un lontano ricordo, e avverto uno sgradevole buco allo stomaco, oltre alla sete. Ripassiamo il piano per l'ennesima volta. Occorreranno rapidità e sincronizzazione, ma possiamo farcela. Favorites delendi sunt.

“Dunque, adesso dobbiamo vedere dove sono i Favoriti, giusto?” Chiede Codrina.

“Esatto. Poi una di noi li aggancia in qualche modo, e li attira verso l'altra.” Rispondo.

“Ok, accendiamo un fuoco, per attirarli?”

“E con cosa?” Obietto.

“Possiamo guardare se tra questi appartamenti c'è qualcosa di utile.” Suggerisce lei.

Assentisco, dobbiamo comunque salire per individuare i Nostri. Diamo la scalata al casermone. Nel passare accanto alla porta aperta di un appartamento qualcosa richiama la mia attenzione. Sul pavimento di una stanza scorgo una coperta spiegazzata, e resti di cibo. Evidentemente qualcuno deve aver trovato rifugio qui, e faccio cenno a Codrina di fare attenzione. Dobbiamo fermarci più volte a riprendere fiato, le rampe non finiscono più, l'aria soffocante della tromba delle scale e lo stomaco vuoto non aiutano. Infine sbuchiamo sull'ampio tetto piatto, a terrazza. Siamo davvero in alto, devono esserci almeno una dozzina di piani. Mi avvicino al bordo, e do un'occhiata alle case sotto. Le strade tremolano per il calore, ma sembrano deserte. Ci mettiamo in osservazione, ma ogni tanto siamo costrette ad andare a riposarci all'ombra, il sole picchia in modo allucinante. Scambiamo qualche parola, ma poi finiamo per tacere, vinte dalla noia dell'attesa. Le ore passano senza che nessuno si faccia vivo. Mi chiedo dove siano finiti. Scrutare l'orizzonte è faticoso, devo tenere gli occhi socchiusi per la luce abbagliante.

D'un tratto Codrina rompe il silenzio: “Sai perchè le tende sono tristi?” La guardo senza capire. “Perchè sono da sole!” Esclama con un sorriso.

Sarà la tensione, sarà l'assurdità di un'uscita del genere in questo contesto, ma scoppio a ridere fragorosamente, e rispondo subito: “A Capitol City vanno di moda i colpi di sole: dieci ustionati di terzo grado”, dando il via a una surreale gara di freddure. Scopro divertita che ne sa davvero un sacco.
Siamo al tramonto, quando all'improvviso li avvistiamo, stanno camminando lungo una strada a poca distanza, ma vanno in direzione opposta alla nostra. Mi allarmo, se svoltano li perderemo di vista, e con loro anche la possibilità di attirarli senza rischi. Non c'è tempo di cercare qualcosa da bruciare, e non so cosa fare. Mi viene in mente di cacciare un urlo, ma non mi sentirebbero certo da quassù. Mi guardo intorno, in cerca di aiuto.

“Buttiamo giù quello!” Codrina mi è accanto, e ha già afferrato il problema; sta indicando una sorta di grosso apparecchio metallico, forse un vecchio condizionatore. Accolgo al volo la proposta, corriamo verso l'oggetto e cominciamo a trascinarlo verso la rampa delle scale esterne. E' pesantissimo, ed entrambe tiriamo e spingiamo sudando, sempre più urgentemente. I Nostri, laggiù, stanno per girare l'angolo. Finalmente arriviamo sul bordo della scala, e con un ultimo sforzo, spingiamo giù il bestione. Questo precipita fino al primo pianerottolo, dove si schianta con un frastuono assordante, quindi rimbalza giù tra le rampe con una serie di tonfi fragorosi, ulteriormente amplificati dall'eco tra le muraglie di cemento dei palazzi. E' impossibile che i Favoriti non abbiano sentito, e infatti li vedo girarsi di scatto nella nostra direzione, gesticolare, e poi mettersi a correre verso il nostro caseggiato. E' fatta, mi dico con un brivido di eccitazione. Ora dobbiamo solo attirarli verso la trappola che abbiamo allestito. Solo, speriamo di riuscire ad arrivarci prima di loro. Ci lanciamo a nostra volta giù per le scale, e quando arriviamo in fondo ansimo a Codrina: “Vai al telo, e quando ti faccio il segnale, molla.”

“Io sono più veloce, posso farmi inseguire io.” Ribatte lei.

“No, vado io.” Taglio corto con un tono che non ammette discussioni, e parto di corsa.

Avverto le gambe pesanti per lo sforzo, e non posso fare a meno di pensare che ha ragione lei, sarebbe stato più saggio fare il contrario; ma voglio risparmiarle ogni rischio possibile. E farsi inseguire da quei quattro non è certo una passeggiata di piacere. Arrivo a un angolo, e attendo. Dopo pochi minuti sento delle voci concitate, e i Favoriti sbucano da dietro il palazzo vicino. Per un brutto attimo, le gambe non sembrano volermi rispondere, poi mi costringo ad abbandonare il riparo, e a muovere qualche passo allo scoperto, simulando un'aria circospetta. Dopotutto, se sono così poco furbi da accorrere a un rumore di origine ignota, lo saranno anche abbastanza per farsi pilotare in trappola. Troppo sicuri di sé: si sentono invulnerabili, e non immaginano neppure che qualcuno possa non accontentarsi del ruolo di vittima. Mi notano immediatamente, e il junior dell'1 esclama eccitato: “Là!”

Scattano in sincronia e vengono verso di me come falchi in picchiata. Hebi sta già caricando la sua balestra. Con energie rinnovate dalla paura mi getto tra vicoli e androni bui, pregando di non sbagliare strada, di non farmi raggiungere, che Codrina si faccia trovare pronta, che non sbagli il momento, e non so quante altre cose. Sento delle urla maschili elettrizzate, ma quando getto un'occhiata indietro intravedo Retia in testa al gruppo. Per fortuna con lei davanti il suo junior non può scoccare la freccia. Sbuco in un cortile, e mi dirigo a razzo verso l'imboccatura di un passaggio buio tra due parti del caseggiato. Raccolgo il fiato rimasto, e urlo: “Codri, vai!!!”

Entro nel vicolo proprio mentre dietro di me rimbombano i passi dei Favoriti. Una serie di schianti, e le urla cambiano tono. Codrina ha lasciato andare l'estremità del telo teso tra i due palazzi, e riempito di mattoni e blocchetti di cemento raccolti nel nostro cantiere. Non ho tempo di vederne bene l'effetto, ma quando mi volto nella luce morente ho un'istantanea di Retia, in controluce all'entrata del vicolo, che si stringe una spalla. Intravedo la sua espressione appena per una frazione di secondo, ma basta per farmi venire i brividi. Esco dal vicolo correndo ancora per qualche metro, poi rallento fino a camminare, respirando affannosamente, e mi dirigo verso la strada. Cerco di immaginare l'entità dei danni che possono aver subìto, minore di quanto avrei sperato, ma dal punto di vista psicologico è stato indubbiamente un successo.

Proprio quando sto indugiando nella soddisfazione, però, qualcuno appare correndo da dietro l'angolo, e balza sulla mia mia traettoria, sbarrandomi la strada. Con spavento mi rendo conto che Wolwerine non ha seguito gli altri verso il vicolo, ma deve essersi separato per fare il giro dell'edificio, prevedendo la mia intenzione di raggiungere la strada. Lo vedo azionare il meccanismo d'uscita delle lame sulla mano destra, scuotendo seccamente la testa per scrollare via il sudore prima di avventarsi, silenzioso, risoluto, preciso. Devo scattare nuovamente, e le gambe protestano. Bruscamente devio, e d'impulso imbocco una rampa che sale a spirale. Scelta infelice, non ce la faccio più a correre e sto perdendo terreno, il mio inseguitore mi è ormai dietro. Sento il suo sbuffare pericolosamente vicino, ho la pelle d'oca nell'immaginare i suoi artigli che mi si abbattono sulla schiena. Finalmente il pavimento sotto i miei piedi torna a farsi piano, la rampa è terminata in una terrazza simile a un lungo corridoio aperto sull'esterno. A sorpresa qualcuno fa capolino da dietro uno dei pilastri di cemento, balzando in piedi. Ho appena il tempo di vedere di sfuggita la faccia attonita di una ragazza, prima di passarle accanto. Sento un suo grido soffocato, e dei passi rapidi, ma non ho né il coraggio né il fiato per voltarmi, e quando in fondo al colonnato vedo un'altra rampa di scale che scende nel buio mi ci butto scompostamente. Dietro di me un urlo prolungato, che si interrompe bruscamente. Arrivo in fondo al pozzo delle scale immerso nell'oscurità totale, tranne una lama di luce livida che penetra da una fessura rasoterra. Brancolo cercando a tentoni la maniglia, le dita che scorrono il ferro freddo e liscio dell'uscio in lungo e in largo. Trovatala, la abbasso, ma con mio orrore, la porta gira sui cardini appena di qualche centimetro, prima di impuntarsi con un sonoro gemito. Abbandonando ogni ritegno, le tiro una spallata, poi un'altra, e riesco ad smuoverla quel tanto che basta per insinuarmi nell'apertura. Giungo sulla strada che sto per collassare, Codrina mi sta aspettando là, visibilmente sulle spine.



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E.N.P.
Keana, la bomboletta più veloce di Panem. Pessima, ma proprio per questo ci stava. Favoriti e psicopatiche però non sono l'unico pericolo in vista...


  
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