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Autore: Stay away_00    05/05/2014    1 recensioni
Katherine Pierce è tornata in vita. Come? E sopratutto perché?
Non ricorderà niente di se e si getterà fra le braccia del lupo. Cosa accadrà alla ragazza?
Genere: Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Katherine, Pierce, Klaus, Mikael, Rebekah, Mikaelson
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Erano passate ormai tre settimane da quando Katherine abitava con l’uomo che l’aveva salvata. Tre settimane che era in attesa di scoprire la verità su se stessa, su quello che le era accaduto. Su quello che stava accadendo. Dal canto suo Marcel spariva per lunghi periodi, senza farsi ne vedere ne sentire, poi tornava a casa, le rassicurava che andava tutto bene, che aveva una pista e non le parlava più. Ovviamente non le permetteva di uscire di casa o di andare in giro per New Orleans.
Doveva ammettere che le mancava la luce del sole, le mancava parlare con le persone o girovagare per negozi, persino senza comprare nulla.
Se c’era una cosa che aveva appreso in quelle ultime tre settimane era che la prigionia non le si addiceva e che voleva andarsene. Aveva già provato a parlarne con lui, che le aveva categoricamente proibito di farlo, a quel punto aveva provato a scappare, ma con disappunto si era accorta che lui le aveva messo alle costole due “guardie del corpo”.
‹Dove vai, adesso?!››Chiese a Marcel, che proprio in quel momento stava uscendo di casa. Ma lui non le rispose, si limitò a chiudersi la porta alle spalle con un tonfo.Katherine si guardò intorno come se fosse un animale in trappola, poi a passo deciso tornò nella sua camera. Avrebbe escogitato un piano per uscire da quel posto e scappare, avrebbe trovato da sola le risposte che cercava, e soprattutto la persona che cercava.

 […]

 Nel frattempo Marcel non aveva di certo perso tempo, infatti, tre settimane prima, dopo aver lasciato la ragazza a riposare era andato da alcuni amici. Nessuno gli aveva parlato di una certa “Katerina”. C’erano stati dei nomi, certo, ma nulla che gli facesse venire dei sospetti.
Quindi, dopo tutto quel tempo decise che era il momento di affrontare la persona tanto temuta: Klaus.
 Non gli sembrava una mossa alquanto intelligente, dato che l’ultima volta che si erano visti lui gli aveva dichiarato guerra.
Era persino strano pensare a “suo padre” come un nemico, l’uomo che l’aveva cresciuto, che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva, che lo aveva accudito e amato come nessuno prima d’ora ma che allo stesso tempo che aveva offerto il più grande dolore. Lo aveva lacerato dentro in modo discreto, spezzandolo e umiliandolo quando pensava che fosse “necessario”, privandolo dell’unica donna che avesse mai amato e costringendolo a scappare da lui.
Si potrebbe dire che quella era acqua passata, che un secolo poteva bastare a cancellare tutto quell’orrore, ma no. La vendetta era qualcosa che gli bruciava dentro, la sete di potere, l’istinto di prevalere e dimostrare chi era il vero re. La dolce soddisfazione di poter dire che l’alievo aveva superato il maestro.
Entrò nella proprietà dei Mikaelson indisturbato, probabilmente erano tutti ad accudire Hayley, in prossimità del parto. Ma ancora una volta si sbagliava. Un lieve soffio d’aria gli indicò la presenza di qualcuno alle proprie spalle e in quel momento si irrigidii, trattenendo il respiro e chiudendo per qualche attimo gli occhi, cercando in se la sensazione della morte, aspettandola e maledicendosi per essere stato tanto stupido, ma dopo qualche secondo di attesa essa non arrivò.
‹‹Marcellus.››
La voce di Klaus, glaciale e sprezzante lo colpì molto più di quanto avesse potuto fare un paletto. Quello era il tono di voce che aveva imparato a riconoscere come simbolo di guai, la scoperta di un errore o un’imminente ramanzina. Ma l’ibrido, alle sue spalle, non continuò, aspettò che si girasse e così fece, rilassandosi.
L’ibrido di certo non si aspettava quella visita, non dopo le ultime minacce di morte, non dopo che era stato bandito dal quartiere Francese e lo vedeva come un affronto alla propria autorità e a quella di suo fratello, lo vedeva quasi come una minaccia per la sua bambina, anche se sapeva che lui non gli avrebbe mai fatto del male. Marcel era così… giusto in certi casi. Non uccideva i bambini, neanche se era necessario, non accettava la violenza sui più deboli… - Klaus si ritrovò a pensare che “suo figlio” era sempre stato la parte migliore di lui. –
Infondo sapeva benissimo che in un angolino della sua mente sperava che fosse venuto a mettere fine a quella sceneggiata, a proporgli di tornare ad essere quello che erano stati tanto tempo prima, a chiedergli una seconda possibilità per entrambi.
‹‹Devo... farti delle domande, poi me ne andrò.›› Disse, e a quel punto tutte le speranze cascarono, in Klaus si accese una nuova rabbia e assottigliò lo sguardo, assumendo un espressione quasi animalesca, soltanto per qualche secondo, prima di tornare a rilassarsi, aggrottare le sopracciglia e annuire lentamente facendogli cenno di sedersi sul divano.
‹‹Ti ascolto.›› Si versò un bicchiere di bourbon e osservò per qualche attimo il bicchiere, attendendo che il suo compagno cominciasse a porgli quelle domande, poi si portò il bicchiere alle labbra, chiudendo gli occhi e gustandosi il liquido che gli scese lungo la gola, poi schiuse le labbra e sospirò soddisfatto.
‹‹Cosa ti dice il nome “Katerina”?››
Marcel inclinò il capo di lato, notando la reazione di Klaus; Si era irrigidito e sbatteva le palpebre come se si stesse appena svegliando da un sogno, poi un espressione di pura rabbia andò a disegnarsi sul suo volto e il bicchiere andò in frantumi.
‹‹Katerina Petrova.›› Disse senza batter ciglio mentre si esaminava la mano sanguinante e estraeva una scheggia di vetro dal palmo, poco dopo le ferite erano guarite, si pulì la mano con un tovagliolo e schioccò la lingua contro il palato. ‹‹Te ne ho parlato, ricordi?›› Aggiunse in un sussurro mentre ripiegava il tovagliolo e lo posava accanto alle schegge del bicchiere tornò a rivolgere la propria attenzione all’uomo che si trovava seduto sul divano di fronte a lui.
‹‹Ricordo. Pensavo fosse morta.››
‹‹Lo è, Marcel.››

 […]

 ‹‹Esci dalla mia testa!››
Urlò Katherine mentre si portava le mani alle tempie e chiudeva gli occhi, ma chiuderli non serviva a niente, non erano le immagini che la spaventavano, ma il buio in cui all’improvviso cadeva, poteva succedere in qualsiasi momento, che stesse mangiando o facendo un bagno. All’improvviso diventava tutto buio e sentiva delle voci, per lo più erano ricordi – era sicura che fossero ricordi. –
‹‹Sono qui per vedere mia figlia.››
Erano mormorii indistinti, alle volte era la sua voce, altre volte erano voci che non conosceva, che non riusciva a ricordare, erano parole senza senso, prive di logica.
Fece lentamente ricadere le braccia lungo i fianchi e si guardò intorno, era ancora tutto buio, quello voleva dire che le voci non l’avevano abbandonata, voleva dire che c’era ancora qualcosa da “ricordare”.
‹‹Sto cercando mia madre.››
Fu colpita da un dolore allucinante alla testa, che la fece ricadere all’indietro, sedendosi sul letto. Era come se dei pugni gli facessero una forte pressione sulle tempie. Era un modo orribile per essere catapultata nuovamente della realtà.
Solo dopo alcuni minuti, delle urla, che non erano le proprie risuonarono nella stanza, facendole gelare il sangue nelle vene. A quel punto si mise prontamente in piedi e si guardò intorno, afferrò una statuetta di ceramica che si trovava sulla scrivania e uscì dalla camera, andando in direzione dei rumori che aveva sentito prima.
Le sue “guardie del corpo” si trovavano distese sul pavimento, in una pozza di sangue. Con disgusto notò che i loro cuori si trovavano accanto ai cadavere. Si portò una mano alla bocca per reprimere la nausea, poi riprese a camminare.
‹‹Marcel?››
Sussurrò, tenendosi pronta ad attaccare chiunque avesse provato a fargli del male – sapeva che lui non avrebbe mai ucciso i suoi uomini, non poteva essere stato Marcel, e soprattutto non lo avrebbe fatto in un modo tanto disgustoso. –
Ad un certo punto, quando si convinse che l’assassino era andato via, ecco che sentì una presenza alle proprie spalle, sentiva lo sguardo di quella persona sulla schiena, una strana sensazione di calore gli invase tutto il corpo, prima di voltarsi.
‹‹Katerina.›› L’uomo la guardò con sorpresa, come se fosse un fantasma, anche se lei scorse quasi subito l’accenno di tristezza che si trovava infondo ai suoi occhi o nella piega della labbra.
Frappose la statuetta fra lei e l’uomo, arretrando e inclinando appena il capo di lato, studiandolo. Aveva gli occhi scuri, i capelli di una tonalità poco più chiara, sembrava un tipo elegante – un damerino. –
‹‹E’ il mio nome, mi dicono.››
Disse con una vena ironica nella voce, mentre si guardava intorno per cercare una via di fuga. Non gli era certo sfuggito che l’uomo aveva le mani imbrattate di sangue.
Aveva ucciso quegli uomini strappandogli il cuore con le mani. Ma come…?
‹‹E il tuo nome?››
L’espressione dell’uomo si indurì, raddrizzò la schiena e afferrò un fazzoletto dal taschino della giacca, quei movimenti, però, tradivano la sua rabbia e lei non riuscì a capirne il motivo.
‹‹Elijah.›› Rispose lui a denti stretti.

   
 
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