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Autore: Beauty    05/05/2014    7 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Human
 
La notte non era ancora del tutto calata, dal momento che all’orizzonte s’intravedeva ancora una sottile striscia arancione che andava via via scomparendo oltre la superficie del mare, ma Ariel non ebbe la pazienza di attendere oltre, e quando il buio scese completamente lei si trovava in prossimità della spiaggia già da un’ora. Era rimasta a lungo nascosta dietro degli scogli alti e appuntiti in modo da poter celare la sua presenza a occhi indiscreti: non erano tanto le storie di Re Nettuno sul Mondo di Sopra e i suoi abitanti che la spaventavano – sebbene ancora fosse indecisa se crederci o meno – quanto il fatto che la Jolly Roger si trovava a pochi metri dalla costa, con l’ancora gettata. La nave era rimasta ferma per una giornata e mezza dopo quella terribile tempesta, Ariel supponeva per la necessità di riparare i danni che il tifone aveva provocato – oppure per permettere al giovane capitano di riprendersi da quella brutta avventura.
Al suo ricordo, la sirenetta arrossì vistosamente, lasciandosi sfuggire un sorrisetto sognante: sapeva che era stata attenta e fin troppo veloce perché lui avesse potuto vederla, ma nella sua mente le piaceva fantasticare che si ricordasse di lei, che magari in quel momento si trovasse sul ponte della nave a pensarla e a chiedersi dove fosse.
Era un’idea assurda, sì, ma che scaldava il cuore come non mai.
Ariel si assicurò che non vi fosse nessuno nei paraggi, quindi abbandonò il suo nascondiglio e nuotò rapidamente verso la spiaggia. Quando giunse quasi alla riva nuotare si fece più difficile, data l’acqua bassa, ma alla fine la sirenetta riuscì a trascinarsi fino al bagnasciuga e a distendersi con il busto sulla sabbia e la coda ancora immersa nelle onde.
Si scostò all’indietro i lunghi capelli rossi, inspirando a fondo e chiudendo gli occhi. Aveva progettato e sognato quel momento a lungo – precisamente dal primo momento in cui aveva visto il capitano della Jolly Roger, anche se i dettagli avevano iniziato a prendere concretezza da quando gli aveva salvato la vita –, ma ora che era arrivato i dubbi avevano iniziato ad assalirla. Non era tanto il fine di quella gita notturna in superficie – ormai aveva deciso, sapeva ciò che voleva –, quanto piuttosto il mezzo che sarebbe stata costretta a impiegare per raggiungere il suo scopo.
Certo, lei era un’amante dell’avventura, forse anche una testa matta come le rimproveravano sempre suo padre e le sue sorelle, ma non era tanto stupida da gettarsi a capofitto in una vicenda che avrebbe potenzialmente potuto metterla nei guai. Ma in quel caso non aveva altra scelta, soprattutto visto e considerato che la soluzione al suo problema le era piombata sulla testa per puro caso.
Aveva udito una delle tante conversazioni fra le sue sorelle. Raluka stava raccontando a Ondina e Perla una leggenda del Mondo di Sopra – checché ne dicessero, anche loro erano piene di curiosità nei confronti della terra degli umani –, una leggenda che parlava di un potente stregone che, nei momenti più disperati di una persona, giungeva in suo soccorso e le proponeva la salvezza in cambio di un piccolo pagamento di sua scelta.
Quando Raluka aveva fatto anche il nome del suddetto stregone, Ariel aveva sentito di possedere abbastanza materiale fra le mani per mettere realizzare il suo desiderio.
E ora eccola lì, scappata di casa di nascosto la notte, distesa sul bagnasciuga ad attendere lo stregone di cui aveva parlato sua sorella. Aveva dato parecchie cose per scontate – lei in quel momento si sentiva sufficientemente disperata, e se quest’uomo giungeva nei momenti di disperazione, beh, che stava aspettando? –, ma adesso si rendeva conto che c’era qualcosa che non andava.
Come avrebbe fatto quello stregone a raggiungerla, a sapere dov’era lei?
Ariel si schiarì la voce, cercando di ricordare il suo nome.
- Tre…- mormorò, con uno sforzo di memoria.- Tre…Trem…Tremo…Tremotino?- chiese infine all’aria, ricevendo in risposta solo il suo flebile eco. La sirenetta sbuffò, sistemandosi meglio sul bagnasciuga. Quello le sembrava il nome giusto, ma non ne era del tutto sicura.
Provò a fare un tentativo.
- Tremotino!- chiamò, e di nuovo il proprio eco fu l’unico suono che la raggiunse.- Tremotino, io t’invoco!- ripeté, cercando di imitare la voce imperiosa di Re Nettuno, con scarsi risultati.
La sirenetta rimase in ascolto per qualche istante, ma non accadde nulla. Sospirò nuovamente, mettendosi in attesa: forse, ci voleva solo un po’ di tempo, ma alla fine sarebbe arrivato…giusto?
 
***
 
Non le sembrava vero che fosse trascorsa già un’intera giornata, e che adesso fosse di nuovo notte. Le ventiquattr’ore che aveva trascorso praticamente isolata al campo dei ribelli erano state stranamente lunghe, come se il tempo avesse rallentato il proprio corso. Dopo l’incubo che aveva avuto su sua madre – non ne faceva più da quando aveva dodici anni –, Anya aveva tentato di darsi una scrollata, uscendo dalla tinozza, asciugandosi alla bell’e meglio e indossando i vestiti che Madama Holle le aveva portato. Questi non erano altro che un abito color prugna lungo fino ai piedi e con le maniche svasate, più biancheria intima e un corsetto. A quest’ultimo, Anya aveva lanciato un feroce sguardo di sfida dopo esserselo rigirato fra le mani per più di mezz’ora, prendendo infine la definitiva e irrevocabile decisione di non provare nemmeno ad allacciarselo. Non aveva idea di come funzionasse, ma aveva visto diversi film in costume in cui la gentil donzella come minimo sveniva perché soffocata dal suddetto corsetto. Immaginò sé stessa capitolare miseramente addosso a qualcuno per la mancanza d’ossigeno, e fu abbastanza da indurla a lasciar perdere.
Il vestito non le piaceva, la gonna era troppo stretta e lei non riusciva a camminare speditamente come avrebbe voluto. Madama Holle le aveva promesso di farle avere un cambio, ma Anya abbandonò ogni speranza quando la donna la mattina seguente le consegnò un affare tutto pizzi e merletti.
L’anziana signora l’aveva attesa fuori dalla capanna in cui era stato allestito quel bagno improvvisato, e l’aveva accompagnata fino a quella che aveva definito la sua tenda: anche quest’ultimo fatto fu indice per Anya che in quel luogo, se non tutti quanti, almeno Madama Holle e Kay avevano intuito che lei poteva essere la Salvatrice – sbagliandosi in pieno. L’aveva compreso quando la donna le aveva comunicato che lei avrebbe avuto una tenda singola, mentre tutte le altre ragazze dormivano insieme, in una sorta di camerata, oppure in due o tre per tenda. Anya non sapeva niente di come funzionasse un’associazione di rivoltosi, ma certo quello era un riguardo non da poco, specialmente per una sconosciuta.
Madama Holle le consegnò un sacchetto dove, Kay aveva ordinato, lei avrebbe dovuto custodire la chiave, raccomandandosi di prestare la massima attenzione. Anya infilò la bellezza nella morte nel sacchetto, non sentendosi più molto sicura di volerla tenere da sé, ma non disse nulla.
La sua tenda era provvista di tre coperte in cui lei si era avvolta per dormire, e nient’altro. Prima di andare via, Madama Holle le aveva dato una candela e tre fiammiferi per la notte, che Anya non aveva utilizzato. Aveva provato a chiedere come stesse Vincent, ma la donna le aveva risposto semplicemente che l’effetto del veleno sembrava essersi estinto e che ora lui stava dormendo.
Anya non aveva creduto che sarebbe riuscita a riposare, quella notte, non dopo il sogno che aveva fatto, e infatti si addormentò solo quando ormai era l’alba, con la conseguenza di rimanere a ronfare nella sua tenda per tutto il resto della giornata. Si era svegliata solo nel tardo pomeriggio quando Madama Holle era venuta a vedere se per caso non fosse morta nel sonno.
Aveva appena fatto in tempo a mettere il naso fuori dalla tenda che il coprifuoco, annunciato da Brontolo, era scattato nuovamente. E ora eccola lì: senza aver visto praticamente nulla del campo dei ribelli, inginocchiata nella sua tenda, con lo stomaco vuoto, Vincent ancora fuori gioco e nessuna stanchezza.
Madama Holle si affacciò sulla soglia della tenda, scostando lievemente la stoffa grezza per infilare il capo all’intero. Sorrise, passando ad Anya una seconda candela.
- Ho visto che non hai utilizzato quella che ti ho dato ieri sera, cara - osservò, scoccando un’occhiata alla cera intatta e ai fiammiferi ancora inutilizzati. Anya scosse il capo in segno di diniego.
- Non ne ho avuto bisogno - spiegò.- Sono andata a dormire subito.
- Oh, ma da stanotte in avanti sarà meglio che l’accendi, per il tuo bene - insistette Madama Holle.- E’ un nuovo ordine di Kay: ogni sera, prima che cali il buio, a tutti vengono distribuiti dei fiammiferi e una candela, da esporre accesa all’esterno della propria tenda. E’ per precauzione, sai…abbiamo appreso di recente che l’Uomo Nero è stato liberato, e con lui in giro la notte non è mai sicura.
Al ricordo di quella sagoma scura con gli occhi rossi Anya rabbrividì, sentendo ritornare la paura: quell’esperienza era stata terrificante almeno quanto quella vissuta al Castello di Rovi, e di certo non aveva alcuna intenzione di ripeterla. Annuì con forza, prendendo la candela dalle mani di Madama Holle e accendendo un fiammifero. La sistemò all’esterno della tenda, con cura in modo che non cadesse e non troppo vicina alla stoffa: aveva come la sensazione che quella notte non avrebbe chiuso occhio per continuare a controllare ogni dieci secondi che non si spegnesse.
Madama Holle sorrise compiaciuta.
- Brava, cara. Domani mattina spero che sarai ben riposata, così potrò farti fare un giro del campo e spiegarti le regole.
- Quali regole?
- Ci sono dei regimi e dei turni che dobbiamo rispettare, tutti noi. Ognuno ha i propri compiti, e tutti devono collaborare. Non preoccuparti, tesoro: vedrai che farai presto conoscenza. C’è brava gente, qui.
Anya annuì nuovamente, più per cortesia che per vera e propria convinzione. Madama Holle le augurò la buona notte, quindi se ne andò.
Ormai fuori era completamente buio: Anya riusciva a malapena a scorgere la fiammella della propria candela oltre la stoffa scura della tenda. Sospirò, stendendosi sotto quell’ammasso di coperte: ne aveva impiegata una in modo che fungesse da materasso di fortuna, ma la scomodità del terreno si faceva comunque sentire. Una fottuta pietra appuntita continuava a pungerla all’altezza della colonna vertebrale, e poi aveva dormito per tutta la giornata, il sonno le era passato del tutto. A differenza del ricordo di quegli occhi gialli che erano stati applicati al volto di Christine Hadleigh.
Sua madre le era apparsa in sogno esattamente come se la ricordava durante l’ultimo periodo: c’era stato un tempo, quando la mamma stava bene, in cui era anche una bella donna, ma poco prima che sparisse nel nulla il suo volto era divenuto magro e pallido, con profonde e marcate occhiaie, circondato da capelli neri che una volta erano sempre lisci e ben pettinati, ma che ora erano arruffati, sporchi e trascurati. Negli ultimi tempi – almeno, questo era ciò che aveva sentito raccontare da suo padre agli psicologi che si prendevano cura di loro due, non è che lei si ricordasse troppo bene questi dettagli, era troppo piccola –, Christine aveva smesso totalmente di curarsi di sé stessa. Sempre stando a quanto diceva Richard, prima era una donna non solo attiva e solare, ma anche molto attenta alla cura della propria persona: non era vanitosa, almeno supponeva, ma ripeteva sempre che ci teneva a essere in ordine, con i capelli a posto e vestita in modo dignitoso e non trasandato. A quanto pareva, neppure durante le due gravidanze aveva mai smesso di mettersi lo smalto sulle unghie o di truccarsi quando lei e suo padre dovevano uscire, forse per timore di apparire brutta di fronte al marito. Anya aveva dei vaghi ricordi in cui, quando sua madre usciva dal bagno con addosso un vestito nuovo o un make-up diverso dal solito e chiedeva a Richard che ne pensasse, se lui esitava anche solo una frazione di secondo in più per risponderle, lei subito si agitava e gli diceva prontamente che, se voleva, poteva sempre andare a cambiarsi. Forse non era un atteggiamento che suggeriva troppa sicurezza in se stessi, ma se non altro quelli erano modi di fare normali, niente che facesse presagire ciò che le sarebbe successo. Quale donna non avrebbe voluto piacere a se stessa e agli altri, anche in questioni così superficiali?
E invece, quando era andata fuori di testa – sì, proprio così, fuori di testa – si era lentamente lasciata andare. Vagava per casa con lo sguardo perso nel vuoto, mugolando sottovoce fra sé e sé, quasi non vedeva lei e sua sorella, e dedicava loro al massimo uno sguardo distratto – questo prima che cominciasse la seconda fase, come Anya la definiva nella sua mente, quella seconda fase in cui a farla da padrone erano le crisi isteriche e le sberle rifilate senza motivo.
Christine rimaneva anche giornate intere con addosso solo il pigiama, sempre chiusa al buio nella sua stanza, distesa a letto con il volto affondato nel cuscino, a dormire o a piangere. Un paio di volte lei e Liz l’avevano sentita sussurrare al vuoto che voleva morire, e qualcos’altro che nessuna delle due era riuscita a decifrare.
Christine voleva morire, e probabilmente sarebbe anche riuscita nel suo intento, se papà non si fosse preso cura di lei. Da quando lei era scivolata in quello stato, era stato sempre Richard a occuparsi di sua moglie. Lei si faceva tirare su di peso dal letto, protestando a mezza voce, ma alla fine si lasciava trascinare dove voleva suo marito: papà la vestiva, la spronava a uscire almeno dalla camera da letto, faceva tutto al posto suo. Era lui che si occupava di farle il bagno, lavandole i capelli e passandole la spugna con tutto il corpo mentre lei se ne rimaneva immobile seduta nella vasca, rannicchiata su se stessa e lo sguardo fisso. Le dava da mangiare: Anya non aveva mai assistito a questa scena, ma un giorno, mentre era in camera sua a giocare, Elizabeth era trotterellata dentro e le aveva tirato una manica del maglione.
- Ehi, Anya…perché papà sta imboccando la mamma come fa con me quando non voglio mangiare?
Richard aspettava che loro due avessero terminato il pranzo o la cena, quindi si sedeva accanto a Christine e l’imboccava piano piano, proprio come una bambina piccola, in modo che non digiunasse come invece avrebbe fatto se fosse stata sola.
Di tanto in tanto, durante quel primo periodo, la mamma aveva qualche momento di lucidità, in cui sembrava riemergere dal proprio torpore e, anche se si vedeva che stava male, trovava comunque la forza di fare loro un sorriso o di entrare nella cameretta a guardarle mentre giocavano con le Barbie.
Poi, invece, tutto era peggiorato, e lei era impazzita del tutto, diventando quel mostro che aveva cercato di far loro del male.
(Anya! Vieni subito qui!)
Mamma, no!
(Bambina cattiva!)
La proiezione onirica di Christine la notte precedente non era altro che la sosia della Christine di quell’ultimo periodo, prima che sparisse, l’immagine paurosa e malefica di una donna divorata dalla depressione e dagli psicofarmaci.
Anya serrò gli occhi nel tentativo di non pensare a sua madre e di provare almeno ad addormentarsi ma, se il primo proposito venne portato a termine tutto sommato quasi subito, per il secondo non c’era verso di trovare una soluzione. Volse il capo in direzione della candela: la fiammella continuava a intravedersi oltre la stoffa della tenda, ma alla ragazza sembrò molto più flebile di quando l’aveva accesa. Si tirò su a sedere in fretta, gattonando sino all’uscita: si assicurò che la fiamma non stesse per spegnersi, ma una lieve brezza notturna la fece tremolare in modo pericoloso. Anya afferrò la candela con una mano, ponendo l’altra a coppa e portandola accanto alla fiammella per proteggerla dall’aria.
Doveva essere trascorsa sì e no mezz’ora da quando l’aveva accesa, e già cominciava a dare segni di cedimento a causa di un po’ di vento: poco ma sicuro, si sarebbe spenta prima dell’alba.
Anya si guardò intorno: esattamente come le aveva spiegato Madama Holle, tutte le tende circostanti recavano al loro esterno delle candele accese, ma la ragazza notò che molte di esse erano già parzialmente consumate, alcune addirittura fino a metà. Due o tre invece si erano del tutto spente. Anya smodo da poter tenere alla larga l’Uomo Nero, e l’accampamento silenzioso e illuminato le ricordava molto uno di quei santuari che la notte di Halloween venivano rischiarati con le luci delle zucche intagliate. Sarebbe bastato? Anche se la luce c’era, e due candele spente non avrebbero fatto molta differenza, sarebbe stata sufficiente a tenere alla larga l’Uomo Nero?
Anya cercò di rassicurarsi con il pensiero che, quando se l’erano trovato di fronte, Vincent l’aveva allontanato con il solo fuoco di una torcia, e dunque…
Vincent!
Si riscosse, ricordandosi che lui era ancora in infermeria, e che non aveva avuto altre sue notizie se non quella, breve e concisa, da parte di Madama Holle. Anya ritornò velocemente dentro la tenda, s’infilò gli stivali e quindi uscì nuovamente, tenendo con attenzione la candela in mano, e iniziando ad avviarsi verso la baracca che fungeva da ospedale.
 
***
 
Tremotino si era preso il suo tempo, e non si faceva alcun problema ad ammetterlo. In genere era lui che si faceva vivo quando qualcuno aveva bisogno di essere tirato fuori dai guai, era ben raro che una persona l’invocasse di propria spontanea volontà – il mondo era molto meno pieno di stupidi di quanto avesse immaginato. Comunque, stavolta era capitato e, sebbene dubitasse seriamente dell’intelligenza della sirenetta ma non per questo fosse meno ansioso di conoscerla, restava pur sempre convinto che era lui a decidere se farle un favore o meno, il che significava che sarebbe andato da lei quando più gli sarebbe aggradato.
E in quel momento aveva altro da fare: stava leggendo un volume oltremodo interessante.
Non utilizzava quasi mai la biblioteca del suo castello, ma ciò non voleva dire che questa non fosse ben fornita. Erano tutti libri di magia, erboristeria e incantesimi, ed era stato proprio uno di questi che aveva cercato dopo il suo fallito tentativo di spedire James Hook a dormire con i pesci aveva scombinato i suoi piani. O meglio, dopo che la figlia di Re Nettuno e le sue graziose pinne li avevano scombinati.
Ed era stato proprio riguardo a lei e alla sua razza che aveva deciso di leggere. E aveva scoperto qualcosa che mai avrebbe immaginato.
Aveva scorto un paragrafo scritto con caratteri minuti, quasi a volerne impedire la lettura, e Tremotino non aveva faticato troppo per comprendere il perché: a quanto pareva, le uniche capacità delle sirene non erano solo cantare e salvare i pirati da una tempesta che avrebbe dovuto farli annegare.
Già, perché le sirene vedevano il futuro.
Non proprio. Non così chiaramente, almeno. Il paragrafo era molto corto ed estremamente conciso, e lo stregone aveva impiegato diverso tempo prima di riuscire ad afferrarne il contenuto nei minimi dettagli: se si trovavano in una condizione di particolare tranquillità e quiete corporea e mentale – e specialmente se nel loro ambiente naturale, dunque l’acqua –, le sirene potevano avere delle fugaci visioni di ciò che sarebbe accaduto in futuro. Queste erano molto rapide ed estremamente confuse – e c’era da aspettarselo: erano sirene, non chiromanti – e mai del tutto certe, dal momento che il futuro poteva essere cambiato drasticamente da ogni minima scelta, inconveniente o dettaglio. Ma era sempre meglio di nulla.
Tremotino ci aveva riflettuto a lungo, ponderando attentamente i pro e i contro. Non sarebbe stato semplice leggere il futuro – lui stesso ci aveva provato, quando ancora era sotto la tutela di Merlino, ma aveva rinunciato a causa della confusione che tutte quelle immagini fosche gli provocavano – e per di più un futuro incerto, che avrebbe potuto cambiare nel giro di pochi secondi e in maniera del tutto imprevedibile. Ma avrebbe comunque potuto procurargli dei vantaggi: certamente, la mente della sirenetta non avrebbe potuto predirgli come si sarebbe conclusa quella che stava diventando la Seconda Guerra Oscura, né se sarebbe riuscito a riportare indietro i fratelli Grimm, ma quantomeno dargli indicazioni su quali sarebbero stati i piani e le mosse delle due ragazze – la maggiore era prigioniera del Primo Ministro, che in quanto a essere un bastardo non scherzava, ma quell’altra, Elizabeth, lo preoccupava parecchio, sebbene avesse dato ordine a Gretel di non ucciderla –, permettendogli così di prevenirle, di batterle sul tempo. Avrebbe potuto sapere in anticipo dove si trovavano le altre chiavi, così da arrivare sul luogo per primo. Non era niente affatto male come idea, dopotutto.
Aveva esitato solo un attimo, ma questo a causa del fatto che ultimamente aveva fin troppi grattacapi – primo fra tutti quella Elizabeth Hadleigh, senza contare che stava iniziando a pentirsi di aver affidato una missione di tale importanza a quell’inetta di Gretel, e poi Capitan Uncino che era ancora vivo e vegeto, in più le chiavi per trovare la Pietra del Male, la Regina Cattiva che lo incalzava ogni giorno di più e, oh!, non doveva dimenticarsi di Merlino e della mocciosa di Ginevra –, ma alla fine si sistemò al meglio e decise di accogliere l’invocazione della sirenetta. Sì, le sue capacità gli sarebbero certamente tornate utili…c’era solo un piccolo dettaglio che stonava: trattandosi di una sirena e non di una strega o una maga, gli sarebbe stato impossibile creare una connessione mentale con lei in modo da spiare i suoi pensieri. La figlia di Nettuno avrebbe dovuto comunicargli le sue visioni con la voce.
Ma era un problema facilmente risolvibile.
 
***
 
Il cambio della guardia era un momento estremamente rumoroso, perlomeno nelle segrete del palazzo. Lady Marian sospettava che fosse a causa del poco controllo a cui erano sottoposti i soldati. La Regina Cattiva scendeva molto di rado nelle prigioni sotterranee, e infatti per tutto il lasso di tempo che trascorreva là sotto – sempre comunque molto breve e giusto lo stretto necessario – le guardie e i goblin erano ridotti al più solenne silenzio e alla disciplina più ferrea, ma questi scomparivano non appena la tiranna lasciava le segrete. Lady Marian non aveva difficoltà a ricordare come, quando ancora era la dama di compagnia della Regina Cattiva, i domestici e i soldati ammutolissero al suo passaggio, quanti inchini e riverenze in cui si profondevano, quanto ordine e operosità; in un attimo, sembrava quasi che chiunque, all’interno del palazzo, fosse tremendamente affaccendato e laborioso, dedito solo al proprio dovere e a riverire la propria sovrana.
Tutto questo, Lady Marian lo sapeva, era dovuto solo alla presenza della Regina Cattiva…e alla sua assenza lì, nei sotterranei.
Là sotto non c’era nessuno, neppure un sovrintendente che si occupasse di mantenere l’ordine, e questo sfociava immancabilmente in chiasso non appena due soldati avevano l’occasione di poter venire a contatto fra di loro. Il cambio della guardia avveniva disordinatamente, con risate sguaiate e commenti ad alta voce, e spesso si prolungava per parecchi minuti, prima che finalmente tornasse il silenzio.
Era molto fastidioso, specialmente se a notte inoltrata.
Più di una volta Lady Marian era stata svegliata da quel fracasso – anche se, quando aveva uno dei suoi incubi, non poteva fare a meno di ringraziare la guardia di turno per aver lanciato l’imprecazione altisonante che l’aveva fatta ritornare alla realtà – o le era impedito prendere sonno, come quella notte.
Si girò su un fianco, poggiando il capo contro il proprio braccio disteso e sperando che i due soldati che montavano di guardia quella sera finissero presto di fare commenti osceni e di parlare ad alta voce. Era distesa sul solito pagliericcio umido, a cui in tre anni di prigionia aveva fatto l’abitudine – tanto che, le capitava di pensare, se per caso un giorno si fosse trovata nuovamente a dormire su uno dei morbidi materassi a cui era abituata quando era ancora una dama di compagnia, era sicura che non sarebbe riuscita a chiudere occhio –, così come aveva fatto l’abitudine ad ascoltare le chiacchiere delle guardie, fino ad arrivare al punto di riconoscerne le voci e ricondurle a un nome.
Quella sera il soldato che aveva montato di guardia di fronte alla sua porta era Cassius, che ora stava per venire sostituito per l’intera nottata da Brutus. Era uno dei peggiori, Brutus: era già al servizio della Regina quando lei aveva otto anni ed era stata accolta al palazzo, e per tutta la sua – breve – adolescenza Lady Marian non aveva fatto altro che sentire dicerie sul suo conto. Si sussurrava che fosse stato allontanato dal corpo di guardia del capitano Navarre perché vizioso, pigro, per nulla capace in battaglia o nelle ruberie, nel corso delle quali tuttavia non perdeva occasione di stuprare le donne o trucidare i prigionieri. Era quasi sempre ubriaco, e Lady Marian sospettava fortemente che dovevano essere trascorsi anni dall’ultima volta in cui aveva fatto un bagno, dato che emanava un puzzo di fango misto a sudore che le dava la nausea ogni volta che si avvicinava troppo a lei.
Si divertiva a sbeffeggiarla, e lei si considerava fortunata che avesse spesso il turno di notte, in cui tutti i prigionieri dormivano: altrimenti, se era sveglia, Brutus non perdeva occasione di sputare oltre le sbarre della finestrella in segno di spregio, di chiamarla sgualdrina e fare commenti sul fatto che, da lady, era passata a essere una prigioniera.
Finalmente, Cassius si allontanò, e Brutus si mise in posizione di fronte alla porta della sua cella, e il silenzio ritornò. Lady Marian emise un sospiro di sollievo, sistemandosi meglio sul pagliericcio e provando a chiudere gli occhi: era stanca, la notte precedente non aveva fatto altro che rimanersene sveglia per ore a fissare quella frase che era stata scolpita nella pietra della parete, chiedendosi che cosa diamine significasse, e quando poi era riuscita ad addormentarsi i suoi incubi avevano tornato ad assalirla. Non erano nulla di diverso rispetto a quelli che aveva sempre avuto, ma erano comunque terribili, angoscianti.
Sperò che almeno per quella notte la lasciassero in pace, ma proprio quando stava per addormentarsi, si rese conto che il silenzio non era silenzioso come le era sembrato. Un piccolo rumore, molto flebile ma non abbastanza da non poter essere udito, proveniva dalla cella accanto alla sua, oltre la parete.
Lady Marian si tirò su a sedere, rimanendo in ascolto. Non aveva idea di chi ci fosse rinchiuso accanto a lei, a dire il vero non aveva mai pensato ci fosse qualcuno. Tese l’orecchio, riconoscendo ben presto di cosa si trattasse: qualcuno stava piangendo.
Non era insolito, spesso aveva udito i lamenti degli altri prigionieri, ma quei singhiozzi erano diversi: la voce di chi li stava producendo era sottile, leggermente acuta…infantile.
Lady Marian strisciò fino alla parete accanto, avvertendo come sempre un dolore acuto quando il ferro delle catene le sfregò contro i polsi. Si accostò, notando un piccolo spiraglio di luce che passava attraverso il muro: un paio di piccole pietre erano smosse, e lasciavano aperto un foro. Lady Marian le scostò in modo da renderlo leggermente più grande, quindi si chinò a sbirciare attraverso esso: i singhiozzi ora erano più numerosi, più frequenti, e appartenevano a più di una sola persona.
Lady Marian cercò di scoprire a chi appartenessero, e ciò che vide la sconvolse: nella cella accanto, stipati come del bestiame in un recinto, c’erano sei bambini.
Le si mozzò il respiro, mentre il suo cervello iniziava a porsi domande a una velocità impressionante: che ci facevano dei bambini lì? La Regina Cattiva non aveva mai preso dei bambini in ostaggio, perché invece ora l’aveva fatto? A che le servivano?
Due di loro, un maschietto e una femminuccia, si tenevano abbracciati; un altro nascondeva il volto nell’incavo creato fra le spalle e le ginocchia, una bambina tentava invano di asciugarsi gli occhi; una terza femmina, con le lentiggini e i capelli biondi raccolti in due code ai lati del capo, teneva in braccio un bimbo di neanche un anno, che sembrava essere l’unico calmo, ma i cui occhi gonfi e le guance arrossate suggerivano che doveva aver pianto fino a poco prima.
Lady Marian provò a chiamarli, bisbigliando per non farsi scoprire dalla guardia, ma i bambini non l’udirono. A sentirla invece fu Brutus, che entrò nella cella spalancando la porta, con una tale furia che la prigioniera si spaventò.
Il cuore di Lady Marian fece un balzo nel petto, ma non ebbe tempo né di dire né di pensare nulla, perché Brutus la colpì a una spalla con un calcio, tanto da mandarla al tappeto. Sbuffò, ricevendo il colpo, e ritrovandosi distesa supina a fissare il soldato.
Brutus sputò a terra, guardandola con disgusto.
- Che stavi facendo, sgualdrina? Non ti hanno insegnato a non ficcare il naso in cose che non ti riguardano?!
- Chi…chi sono quei bambini?- soffiò Lady Marian di rimando, cercando di rialzarsi.- Perché sono qui? La Regina li ha…
- Non è un problema tuo!- abbaiò Brutus.
Prima che potesse reagire, l’afferrò per il collo dell’abito lercio che indossava, sollevandola in ginocchio. Avvicinò il proprio volto al suo, così che Lady Marian avvertì il fetido alito della guardia sferzarle addosso.
- Almeno, non per il momento…- Brutus ghignò, scoprendo una fila di denti giallastri e anneriti. La scosse con violenza, prima di lasciarla ricadere a terra.- Sei fortunata che la Regina abbia ordinato di non toccarti in alcun modo, altrimenti a quest’ora ci avrei pensato io a darti una bella punizione - sputò nuovamente a terra.- Ha dei progetti molto ambiziosi per te e quei marmocchi. Vedremo se avrai ancora voglia di curiosare in giro, quando la Luna di Sangue sorgerà alta in cielo…
Lady Marian non rispose, raggomitolandosi su se stessa come per proteggersi. Brutus rimase a guardarla per un istante, quindi uscì dalla cella, chiudendo la porta dietro alle proprie spalle.
 
***
 
Il mare notturno era calmo, e l’infrangersi delle onde contro lo scafo della nave creava un suono dolce e rilassante allo stesso tempo, mentre sopra le loro teste il cielo era limpido e costellato di stelle.
Sembrava proprio lo scenario adatto per una favola.
Il capitano Hadleigh rise amaramente di fronte a questa situazione, passandosi una mano fra i capelli e tornando a fissare il mare di fronte a sé. Era stato incaricato di fare da sentinella per tre ore, durante quella nottata: aveva accarezzato più volte l’idea di tentare la fuga, ora che la riva era vicina, ma purtroppo non era il solo a essere di guardia. C’erano altri tre pirati sul ponte, fra cui Spugna, e di sicuro lo avrebbero fermato immediatamente e riportato indietro.
Si appoggiò alla balaustra della nave. La Jolly Roger era ferma da una giornata e mezza: durante la tempesta, lui non si era nemmeno accorto che Capitan Uncino era stato sbalzato fuori bordo, se n’era reso conto solo quando Spugna e il timoniere lo avevano gridato a squarciagola. Anche a costo di apparire cinico, gliene sarebbe importato ben poco se fosse annegato o meno: anzi, forse senza lui a intralciarlo, sarebbe finalmente potuto scendere da quella nave e continuare le ricerche di Anya e Liz.
Invece, Capitan Uncino era stato ripescato – inspiegabilmente, secondo Spugna, dato che sopravvivere in un mare in tempesta come quello era impossibile – e riportato a bordo. Sembrava essere abbastanza in forma, sulle prime, ma presto aveva avuto bisogno di ritirarsi nella sua cabina per riprendersi: intanto, la tempesta aveva apportato dei danni gravi alla nave.
L’albero di mezzana era stato spezzato a metà, e le vele erano state sbrindellate. Una parte della balaustra sulla fiancata sinistra era stata tranciata via e le cime erano sfilacciate e inutilizzabili. Capitan Uncino aveva ordinato che si dessero da fare, poiché era impossibile proseguire il viaggio in quelle condizioni, e apportassero tutte le riparazioni necessarie alla Jolly Roger.
Naturalmente, lui se ne restava tranquillamente chiuso nella sua cabina mentre loro si spaccavano la schiena sul ponte di comando. Hadleigh era più stanco che mai, e il dover fare da sentinella di notte per altre tre ore era un colpo durissimo.
Gli venne da pensare che non era sempre stato così: quando era entrato in polizia come agente semplice – all’epoca non era ancora un membro del Dipartimento – riusciva a rimanere in servizio per tutto il giorno e poi aveva ancora la forza di trascorrere l’intera nottata in ispezioni a magazzini e turni di controllo sulle strade. Certo, allora aveva vent’anni e adesso più di quaranta: era invecchiato.
Ultimamente si rendeva conto di stancarsi più velocemente, ma questo a pensarci bene durava da anni. Il periodo in cui Christine stava male era stato in assoluto il più duro, e forse tutta quella stanchezza accumulata in quei mesi di insonnia e preoccupazione gli era rimasta attaccata addosso, e non se ne sarebbe mai andata.
Il ricordo di sua moglie lo colpì in maniera inaspettata, quasi violenta. Richard si passò una mano sulla fronte, sospirando. Gli capitava spesso di pensare a Christine, questo era vero, ma ancora più spesso si affrettava ad allontanare il suo ricordo.
In un certo senso, non era il solo uomo in quelle condizioni: quanti altri che avevano perso la propria moglie o si erano visti presentare una richiesta di divorzio facevano come lui? Il problema era che quello di Christine non era il ricordo sì doloroso ma anche dolce di un fantasma del passato, come poteva esserlo una persona che non c’era più.
Lui stesso non riusciva mai bene a decifrare quali emozioni provasse, quando ripensava a lei: sofferenza? Rabbia per aver fatto del male alle sue bambine? Sconforto e colpevolezza per aver trascorso ben sette anni in sua compagnia?
Hadleigh si passò lentamente le mani sul volto, con gli occhi che bruciavano. Come poteva saperlo, allora? Molti dei suoi colleghi avrebbero detto che avrebbe dovuto aspettarselo, da una ragazza giovane e assolutamente priva di equilibrio com’era Christine, quando l’aveva conosciuta.
Lo stesso Fraser glielo aveva detto, in faccia, chiaro e tondo, senza giri di parole.
 
Il ticchettio della penna contro la superficie della scrivania è snervante. Richard sta iniziando a chiedersi se il suo superiore non lo stia facendo apposta, con l’intenzione di irritarlo ancora di più. Come se non bastasse già quello che gli ha appena detto.
Stringe il pugno lungo il fianco, serrando le mascelle. E’ in piedi di fronte alla scrivania nell’ufficio del capitano, proprio di fronte a lui, come uno studente impreparato a un’interrogazione. Ma non ha nessuna intenzione di chinare il capo e ammettere di aver sbagliato.
Fraser alza lo sguardo su di lui.
- Hai capito benissimo ciò che ti ho detto, Richard.
- Invece no - la sua voce non è normale, bensì un ringhio sommesso che stupisce anche lui.- Si spieghi meglio: cosa vorrebbe dire con questo?
- Richard…- Fraser sospira, abbandonandosi contro lo schienale della sedia. Ha l’impressione che lo veda come un inetto, e debba decidere per lui della sua vita. E non c’è niente che lo faccia arrabbiare di più.- Richard, credimi. So che in questo momento non ragioni a mente lucida e credi che io voglia impicciarmi della tua vita, ma…
- Io sono lucido!- ringhia di rimando.- E non è una mia impressione: lei non deve permettersi di mettere bocca in cose che non la…
- Sono già passato sopra a questa storia quando è cominciata - lo interrompe Fraser.- Sapevi meglio di me che quello che stavi facendo era scorretto, eppure non hai voluto troncare la tua relazione con quella ragazza. E ho fatto finta di niente, ho ignorato il fatto che andassi a letto con una testimone! Ma adesso ti stai spingendo troppo oltre, e io non sono disposto a lasciarti correre verso il precipizio senza nemmeno provare a fermarti!
- Quale precipizio?- sta davvero cominciando a non capire.- Dove sarebbe il rischio? Me lo spieghi! Se davvero ha sopportato fino adesso, allora continui a farlo e mi lasci vivere la mia vita!
- Richard, io te lo ripeto un’ultima volta. Per il tuo bene, non sposare quella ragazza!
Non ha intenzione né di ubbidire né di ascoltarlo ancora, e glielo dimostra picchiando un pugno contro la scrivania. Non dice una parola, ed esce in fretta dall’ufficio.
Fraser è il suo capo, questo è vero, ma non è né un suo amico né suo padre e, se anche lo fosse, non avrebbe alcun diritto di cercare di impedirgli di sposare chi ama.
Ma prima che sbatta rabbiosamente la porta alle sue spalle, fa in tempo a udire le ultime parole che Fraser gli urla.
- Se la sposi, ci saranno delle conseguenze, per tutti quanti!
 
Se la sposi, ci saranno delle conseguenze…, così gli aveva detto Fraser, quel giorno. Possibile che avesse intuito qualcosa? E come avrebbe potuto?
Richard aveva ripensato spesso a quella discussione, e nel periodo appena successivo alla sparizione di Christine – lo stesso in cui anche il suo ex capo e la sua famiglia erano scomparsi nel nulla – aveva quasi avuto un esaurimento nervoso a sua volta, causato dallo stress e dal ricordo di quell’avvertimento che sapeva di minaccia. Non era possibile che Fraser sapesse quello che sarebbe accaduto, che Christine avrebbe cercato di fare del male ad Anya e Liz.
Anche se, a pensarci bene, l’ex capitano del Dipartimento aveva spesso avuto ragione su parecchie cose. Prima fra tutte, quella della natura ambigua del Regno delle Favole.
(Il Regno delle Favole è insidioso. Ti fa credere che potrai avere il tuo lieto fine, e così tu ti lasci trascinare…divieni parte di quel mondo, un mondo che non ti appartiene e in cui non potrai mai essere accettato…e finisci per passare dalla parte più oscura delle fiabe. A quel punto, sai che non avrai mai un lieto fine.)
Hadleigh sapeva che il suo lavoro poteva comportare dei risvolti imprevisti – eccome! –, ma le parole di Fraser non l’avevano turbato mai più di tanto: invece, adesso si rendeva conto di quanto avesse ragione. Continuava a pensare che l’assassino di Cappuccetto Rosso era ancora a piede libero, e a quello che gli aveva detto Crawford, riguardo a una nuova Regina Cattiva che aveva preso il posto della matrigna di Biancaneve. E a Mulan.
Sospirò: quella scoperta era stata un vero e proprio shock, sia per lui che per Jones. Non erano più scesi nella stiva, ma gli altri pirati sì, e questo faceva intuire che la routine non fosse cambiata. In ogni caso, venire a sapere quello che era successo a Mulan era stata un’ulteriore conferma che nel Regno delle Favole c’era qualcosa che non andava.
- Ehi…- Hadleigh si voltò non appena udì la voce di Jones alle sue spalle. Nathan si avvicinò.
- Spugna ha detto che il tuo turno è finito. Tocca a me, ora, vai pure a riposarti.
- Grazie…
Il capitano fece per andarsene, ma il suo collega lo trattenne.
- Ho sentito Capitan Uncino parlare con il timoniere, questo pomeriggio - disse.- A quanto pare ha una meta precisa. Non sono riuscito a capire quale fosse, ma dovremmo arrivarci tra poco. Credo si tratti di un’isola, o qualcosa del genere.
- Beh, se non altro è la terraferma…- mormorò Hadleigh, lievemente speranzoso: tornare a terra avrebbe costituito un passo avanti nella sua ricerca, sempre meglio che stare su quella nave.- In bocca al lupo per la nottata, allora…e, Nate?
- Sì?
- Hai…hai più visto quella ragazza di cui mi dicevi?- il capitano lo guardò.- Sai, quella che…che ti sembrava di aver intravisto un paio di volte…
Jones aggrottò le sopracciglia e gettò una rapida occhiata al mare calmo, quindi tornò a guardare il suo superiore e fece segno di no con la testa.
- No, non l’ho più vista.
 
***
 
Gaston era sicuro che, presto o tardi, il senso di colpa l’avrebbe ucciso.
Non erano trascorsi neppure due giorni da che aveva ammazzato quella donna – una fata, sant’Iddio, la Fata Turchina! – e il ricordo di quello che era appena accaduto continuavano a tormentarlo di giorno ma soprattutto di notte, impedendogli di dormire a causa di incubi in cui rivedeva se stesso che affondava la lama nella carne di quella poveretta, incubi che lo facevano sentire una merda ancora più di quanto già non fosse. A complicare il tutto c’era anche la situazione in cui si trovava: ancora non riusciva ad accettare l’idea di essere finito in una sorta di realtà parallela o quel che diavolo era, e nonostante avesse superato la “prova” a cui l’avevano sottoposto Navarre lo trattava appena meglio di quanto facesse prima. Non aveva neppure provato a scappare: il pensiero di quel che avrebbero potuto fargli se l’avessero riacciuffato era sufficiente a farlo desistere da ogni tentativo di fuga. Gli allenamenti si trascinavano tutti i giorni per ore intere, eppure lui continuava a non migliorare, il che gli attirava gli insulti del capitano e le canzonature degli altri soldati.
Era sicuro che, se tutte quelle cose non l’avessero ucciso, quantomeno avrebbero avuto l’effetto di spingerlo al suicidio.
Ma quella notte c’era una novità, una novità che l’aveva spinto a tentare davvero di scappare.
Appena poche ore dopo aver ucciso la Fata Turchina, infatti, si era reso conto di avere qualcosa di molto simile a un eritema sul palmo della mano destra – la stessa che aveva impugnato il coltello. Erano delle semplici strisce rossastre sulla carne, come dei graffi. Tuttavia, con il trascorrere del tempo avevano iniziato – molto velocemente, troppo velocemente – a trasformarsi.
Si fecero più rosse, più marcate, fino ad assomigliare a delle vere e proprie cicatrici, e si unirono fino a formare una definita forma geometrica: un cerchio in cui era inscritto un triangolo, all’interno del quale vi era un altro cerchio.
Il marchio dell’infamia.
Gaston non ci aveva impiegato molto a ricordare le parole della Fata Turchina e a dare un nome a quel simbolo. E in un attimo, tutto ciò di cui gli aveva parlato acquistò un significato, un significato pauroso che era stato sul punto di farlo impazzire.
Ma allo stesso tempo, non aveva dimenticato che la Fata Turchina gli aveva ancora dato una possibilità: gli aveva detto che sì, era suo destino ucciderla e portare il marchio dell’infamia e, forse, divenire quel Vendicatore di cui aveva parlato, ma aveva anche sostenuto che c’era ancora una via d’uscita per lui, che poteva scegliere da che parte stare.
E lui voleva stare a New York, voleva stare nella sua vecchia vita.
Era stato per questo che, quella notte, aveva deciso di scappare: non gli sarebbe stato possibile farlo di giorno, con Navarre e i suoi che lo controllavano a vista, mentre dormivano, invece, aveva più possibilità. Gaston attese che anche l’ultimo soldato si fosse addormentato, quindi si rivestì – i suoi abiti erano stati bruciati da Navarre, ora aveva solo la divisa nera dei soldati e un mantello – e sgattaiolò fuori dalla sua tenda, nel campo di fortuna che avevano allestito.
Con velocità e cautela, s’inoltrò nel folto della Foresta Incantata. Non aveva idea di dove sarebbe andato, come avrebbe fatto a tornare a casa…ma per ora, sapeva che la soluzione era lontano da lì.
 
***
 
Stava iniziando a perdere le speranze. Era distesa sul bagnasciuga da più di due ore, un lasso di tempo indecente specialmente se considerato che qualunque essere umano sarebbe potuto passare di lì da un momento all’altro e vederla, e nonostante avesse invocato il nome dello stregone almeno una decina di volte, questi non accennava a farsi vedere. A dire la verità, Ariel non sapeva nulla di come si verificasse l’arrivo di una qualche creatura magica, ma si aspettava qualcosa come nuvole di fumo o inquietanti ombre proiettate contro gli scogli.
Più o meno una cosa del genere, insomma…eppure, quando la suddetta ombra si stagliò alla sua destra, la sirenetta arretrò precipitosamente e nuotò a nascondersi dietro agli scogli.
- Calma, pesciolino! Non ho nessuna intenzione di mangiarti…
L’affermazione fu accompagnata da una risatina acuta che sembrava piazzata apposta per smentire quanto l’ombra aveva appena detto, ma il fatto che chi aveva parlato sapesse che lei era una sirena bastò a indurla a fidarsi, almeno quel tanto che bastava per farla sporgere appena dagli scogli per poter guardare. Udì un’altra risata.
- Allora, pesciolino: hai intenzione di venire fuori o no? Mi hai chiamato tu, o sbaglio?
Ariel riemerse da dietro gli scogli, nuotando cautamente fino alla riva. L’ombra alla sua destra si fece sempre più piccola fino a scomparire, lasciando il posto a un’autentica figura umana, la figura di un uomo ancora giovane, vestito di nero, con il volto affilato e i capelli castani raccolti in una coda.
La sirenetta si avvicinò.
- Siete...siete voi Tremotino?- domandò, guardandolo con i grandi occhi verdi spalancati. Lo stregone sogghignò, fissandola dall’alto con le braccia incrociate al petto.
- In persona. E tu devi essere una delle figlie di Re Nettuno, vero?
Ariel annuì, avvicinandosi completamente a lui sul bagnasciuga.
- Credevo che non sareste venuto!- trillò.- E’ da due ore che vi aspetto, temevo che…
- Sì, pesciolino, lo so, sono in imperdonabile ritardo, ma cerca di capirmi: sono un uomo molto impegnato. Tuttavia…- Tremotino si sedette sulla sabbia di fronte a lei, a gambe incrociate.- So esattamente qual è il problema che ti affligge e perché hai richiesto il mio aiuto. Hai preso una bella cotta per il capitano della Jolly Roger e desideri potergli fare visita, possibilmente senza quella coda di pesce addosso. Ho indovinato?
La sirenetta sgranò gli occhi, fissandolo a bocca aperta. Tremotino ridacchiò.
- Lo prendo per un sì.
- Ehm…sì, è così…- Ariel abbassò lo sguardo per un attimo, lievemente intimidita.- Vorrei…ecco…beh, ci ho riflettuto a lungo e…non credo che sia il caso che lui mi veda come sono…- arrossì.- Non che me ne vergogni, questo no, ma…sapete, mio padre dice sempre che gli esseri umani fanno a noi creature del mare delle cose che…
- Sempre dare ascolto ai genitori!- ammonì lo stregone, scherzosamente.- Hanno quasi sempre ragione.
- Il punto è: se io mi mostro a lui come una della sua specie, solo il tempo per convincerlo che noi sirene non siamo cattive, poi andrà tutto bene!- spiegò Ariel, allargando le braccia.- Per questo mi chiedevo…se voi poteste…
- Trasformarti in un’umana? E’ questo che vuoi?- Tremotino si sporse verso di lei.- Lo immaginavo. Beh, pesciolino, consideralo il tuo giorno fortunato perché posso, posso eccome!
- Oh, grazie!- esclamò la sirenetta, battendo le mani.- E come farete? Per quanto tempo dovrò…
- Non correre troppo, pesciolino, non ho ancora finito - lo stregone fece un sorriso sghembo mentre quello di Ariel le moriva sulle labbra.- Quello che mi stai chiedendo, ovvero trasformare la tua coda in un paio di gambe, ha un prezzo, e inoltre non è un incantesimo che può essere attivato e cancellato a proprio piacimento.
- Io…- la sirenetta deglutì, confusa.- Perdonatemi, credo di non capire.
- Ti spiego meglio: una volta che avrai delle gambe umane, la tua coda scomparirà per sempre. Non avrai modo di tornare indietro. In parole povere…apparterrai per sempre al mondo degli umani, e potrai dire addio al mare.
- Ma…- Tremotino avrebbe potuto giurare che gli occhioni della sirenetta si stessero riempiendo di lacrime, e dovette fare un grande sforzo di volontà per reprimere una smorfia di esasperazione: possibile che le donne avessero tutte le lacrime in tasca? O meglio…nascoste fra le pinne, in quel caso.- Ma…ma io ad Atlantide ho la mia famiglia…mio padre…le mie sorelle, i miei amici…
- Che c’è, hai già cambiato idea?- lo stregone sbuffò.- Bell’amore che dimostri! Prima ti dichiari pronta a tutto per il tuo uomo, e poi abbandoni il campo di battaglia alla prima difficoltà?
- Non c’è un altro modo?- chiese Ariel, ignorando la domanda.- Ci deve essere! Io voglio stare con l’uomo che amo, ma non voglio nemmeno rinunciare alla mia famiglia! Non c’è una maniera per rendere l’incantesimo reversibile, in modo che io possa…scegliere quando avere le gambe e quando invece…
- Ah, ho capito: vuoi avere una doppia natura, non è così?- Tremotino sorrise.- In effetti…ora che ci penso, potrei anche trovare un modo per accontentarti. Ma richiederà un immenso impiego di magia, lo sai, e dunque…beh, mi vedo costretto a chiederti di fare la tua parte.
- La mia parte?- Ariel lo guardò, a metà fra il perplesso e il diffidente.- Intendete dire che…volete una sorta di pagamento?
- Precisamente. Che pesciolino intelligente che sei…!- lo stregone rise.- Ti chiederò qualcosa in cambio: per l’esattezza, qualcosa di tuo e un favore. In cambio, potrai avere la tua doppia natura.
- D’accordo…- mormorò la sirenetta, inarcando un sopracciglio.- Qualcosa di mio e un favore, avete detto? Bene. Che cosa volete?
- Puoi cominciare con il darmi la tua voce.
Quelle parole furono come un fulmine a ciel sereno. Ariel sobbalzò, indietreggiando istintivamente e sollevando spruzzi d’acqua sul bagnasciuga. Si guardò intorno freneticamente, con aria sempre più confusa e spaesata, come a cercare una spiegazione a quella richiesta che non riusciva a trovare da sé.
- La…la mia voce?- balbettò.- Perché?- chiese alla fine.
- Non crucciarti su questo punto, pesciolino. Ho le mie buone motivazioni.
- Ma…ma se non potrò più usare la voce…come farò a…
- A dire al tuo uomo che sei innamorata di lui? Credimi, pesciolino, ci sono molti altri modi in cui puoi dimostrarlo…ad esempio, tenendolo lontano dai guai.
- Guai?- Ariel sollevò lo sguardo su Tremotino; iniziava a non capirci più niente.- Che genere di guai? Sta male? Gli è successo qualcosa?
- Per ora no, ma potrebbe, se non sta attento. E qui entra in gioco il favore che ti ho chiesto - Tremotino si sporse su di lei.- Il favore che ti ho chiesto, che ha anche a che fare con la tua voce. Se lo porterai a termine, ti prometto che te la restituirò.
- Non capisco.
- Sarò del tutto sincero con te, pesciolino: il tuo uomo, di qui a pochi giorni, sbarcherà con la sua ciurma su un’isola. Non è l’Isola che Non C’è, ma è molto vicina a essa, e altrettanto pullulante di magia bianca. Magia fatata, per l’esattezza. Bene, quel genio approderà in quel luogo con l’intenzione di catturare una fata. Il tuo compito è impedirglielo.
- Una fata? Perché dovrebbe catturare una fata?
- Questo è un suo problema, non mi riguarda…Il mio problema, invece, è che se lui cattura quella fata, potrei ritrovarmi fra capo e collo l’esercito di Re Oberon e consorte, il che mi renderebbe le cose parecchio difficili, visto ciò che devo fare. Tu tienimelo lontano da quell’isola, impediscigli di catturare quella fata e ti prometto che riavrai indietro la tua voce. Nel frattempo, io la custodirò come un tesoro. Che cosa desideri più di questo? Avrai una doppia natura, potrai essere una sirena o un’umana come e quando lo vorrai, starai sia con il tuo amato che con la tua famiglia, e riavrai anche indietro la tua preziosa voce…dovresti ritenerti fortunata, sai? Molte altre sirenette come te capitano fra le grinfie di maghi malefici e approfittatori…
Ariel non rispose, e chinò il capo. Ci rifletté: in fondo, non sembrava male come offerta. Certo, avrebbe dovuto rinunciare alla sua voce per un po’, ma se avesse fatto ciò che Tremotino le chiedeva, l’avrebbe riavuta indietro. Non avrebbe dovuto rinunciare all’uomo che amava ma nemmeno dire addio alla sua famiglia, il tutto in cambio di un semplice favore.
Doveva tenerlo lontano da quell’isola, impedirgli di catturare una fata…non sembrava così difficile, no?
Tremotino sorrise, sollevandole il mento con la punta dell’indice.
- Allora, pesciolino: affare fatto?
La sirenetta annuì.
- Affare fatto…- soffiò.
 
***
 
Non può fare a meno di pensare che il Cacciatore ha sbagliato a calcolare le misure, quando ha inciso quel bersaglio nel tronco della quercia. Il cerchio centrale è molto più piccolo e stretto del normale, ma non è un problema. Affatto.
Non da a Robin nemmeno la soddisfazione di vederlo prendere la mira, e un attimo dopo aver teso il braccio e la corda dell’arco, la freccia sibila in aria, andando a colpire proprio il punto centrale del bersaglio. Il Cacciatore inarca le sopracciglia, chiaro segno di ammirazione, ma l’uomo dei boschi non se lo sogna nemmeno di riconoscere che è più bravo di lui. La sua aria di sufficienza lo infastidisce.
- Allora, Hood?- incalza.- Pensi di saper fare meglio?
- Non volevo umiliarti, ma visto che mi costringi…
Robin Hood imbraccia il suo arco e, senza che nessuno dei tre se ne accorga, in un attimo la freccia è conficcata al centro del bersaglio. E la sua, invece, ora non è altro che un legnetto sfilacciato, diviso a metà.
- Non ci posso credere…l’hai…l’hai tranciata a metà!- Marian ha gli occhi sgranati, continua a far dardeggiare lo sguardo dalla freccia di Robin alla sua, che ora non ha più nemmeno la dignità di essere nominata come tale. Si trattiene a stento dallo scaraventare l’arco a terra.
- Esibizionista.
Robin Hood alza le spalle con ostentata noncuranza: non gliene potrebbe importare di meno del suo giudizio e ci tiene a ricordarglielo ogni volta che può. Non c’è da stupirsene: si sono fatti letteralmente la guerra per anni, loro due, e avrebbero anche continuato se il Cacciatore non li avesse convinti a deporre la reciproca rivalità in nome della Ribellione. Si chiese se, quando tutto ciò sarebbe finito, sarebbero tornati ad ammazzarsi a vicenda, concludendo che molto probabilmente sarà così.
Marian  ridacchia, scendendo dal tronco di quercia caduto su cui era seduta, e gli si avvicina.
- Perché te la prendi? Lo sai com’è fatto…- gli batte una mano su una spalla, quindi si fa passare l’arco.- Dai, fa’ provare me…
 
Vincent sbuffò, ancora parzialmente nel mondo dei sogni, ma non abbastanza per non sentire qualcuno scuoterlo per una spalla. Si passò una mano sulla faccia.
- Ehi, sei sveglio?- chiese Anya, cominciando ad avvertire un gran mal di schiena per la posizione mezza eretta in cui era costretta a stare.
- Ora sì, grazie a te…- Vincent impiegò solo pochi secondi per ricordarsi di essere nel campo dei ribelli, mentre gli ci volle una forte fitta di dolore alla spalla per rendersi conto della situazione in cui era: qualcuno gli aveva tolto di dosso la casacca, ed ora era in maniche di camicia, con il braccio sollevato e fasciato, assicurato intorno al collo con delle bende pulite. Cercò di ricordarsi chi gli avesse applicato quella fasciatura, ma non ci riuscì: il veleno del non-morto alla fine s’era estinto, ma aveva avuto l’effetto di intontirlo in maniera spaventosa, tanto da farlo rimanere addormentato per quasi due giorni. E avrebbe anche continuato a dormire, probabilmente, se quella piaga che l’aveva quasi fatto divorare vivo dalla principessa Rosaspina non l’avesse svegliato.
Si tirò su a sedere sul pagliericcio, poggiando le spalle contro la parete della capanna per paura di non riuscire a reggersi: si sentiva ancora intontito e le membra gli dolevano, per non parlare del braccio che lo stava tormentando.
- Che cosa ci fai qui?- sbuffò.
Anya decise che non ce l’avrebbe fatta più a restare piegata in due, e si sedette a gambe incrociate sul pavimento, poggiando la candela. Si era portata dietro anche quella che Madama Holle le aveva dato la notte precedente e che lei non aveva utilizzato, perché la cera stava già iniziando a colare.
- Non riuscivo a dormire.
- E svegliare anche me ti è sembrata una soluzione al problema?
- Hai dormito per tutto il giorno, e quando ti ho visto l’ultima sembravi in punto di morte!- protestò Anya.- Ero venuta a controllare che non fossi passato a miglior vita…stronzo come sei, sarebbe un dispetto coi fiocchi da parte tua, morire e mollarmi qui da sola!
- Hai finito di dire sciocchezze?- Vincent inarcò un sopracciglio. La ragazza si tormentò nervosamente una ciocca di capelli, scoccando un’occhiata preoccupata alla candela.
- Scusa…- borbottò.- Come stai?
- Come se mi avesse appena morso un non-morto - ironizzò l’uomo.- E tu?
- Come al solito. Solo, con un problema in più…
- E sarebbe?
- Non possiamo andarcene da qui - Anya lo guardò.- Ti ricordi cosa ci aveva detto il nano a proposito di diventare membri della Ribellione? Beh, a quanto pare ha mantenuto la sua promessa. Siamo bloccati qui da ieri notte.
Il Primo Ministro sospirò, abbandonando il capo contro la parete di legno. Quello era un grosso problema: sapeva di trovarsi nel campo dei ribelli, nonostante avesse tenuto gli occhi serrati per evitare che scoprissero il suo segreto si era reso conto di dove lo stessero trasportando, ma cercare di fermarli con un braccio sanguinante e del veleno in corpo sarebbe stato praticamente impossibile.
E ora era lì. Di nuovo.
Per un attimo si sentì invadere dal panico, ma poi la razionalità l’aiutò: se l’avessero riconosciuto, a quest’ora certamente l’avrebbero già ucciso, o imprigionato, comunque non sarebbe stato ancora lì disteso su quel pagliericcio, braccio malandato o meno. Stentava a credere che fosse così cambiato, nell’arco di cinque anni, da non risultare nemmeno riconoscibile a delle persone con cui aveva combattuto per anni, ma era meglio così.
Doveva stare attento, però: doveva farsi vedere il meno possibile e, soprattutto, stare alla larga da tutti quando calava la notte. Se avessero visto i suoi occhi, allora di sicuro non ci avrebbero messo nulla a riconoscerlo e…
Si accorse improvvisamente che, in quel momento, dovevano essere come quelli di un lupo, e che la ragazza lo stava guardando. Provò a chinare il capo, ma lei sbuffò.
- Senti, falla finita con quegli occhi, tanto lo so che cosa succede quando è buio - si scostò una ciocca di capelli dietro un orecchio.- Poi, uno di questi giorni mi spiegherai che cosa ti è successo…- borbottò.- Comunque, per tornare al punto: che cosa facciamo? Ho paura che abbiano capito chi sono…
Si pentì immediatamente di quelle parole, essenzialmente perché non ci credeva, ma anche per il fatto che Vincent sembrò agitarsi.
- Hanno capito che sei la Salvatrice?
- A parte che non lo sono…comunque, credo che lo pensino. C’è il capo, Kay, che lo sospetta, è palese.
Kay. Il Primo Ministro si ricordava di lui, anche se molto vagamente. Era un ragazzetto intelligente, all’epoca, e sempre attaccato al Principe Filippo, quando non stava con la sua fidanzata Gerda. In ogni caso, anche se era perspicace, non avrebbe scommesso un soldo sul fatto che sarebbe un giorno diventato il capo della Ribellione. Si sbagliava.
- Chi altri hai incontrato?
- Solo lui e una certa Madama Holle, molto gentile. Non ho visto granché, in effetti: ho dormito per tutta la giornata. Comunque…che cosa facciamo? Ce ne andiamo, vero?
- No…- Vincent ci rifletté: se davvero Kay aveva capito di aver a che fare con la Salvatrice, allora andarsene sarebbe stato come invitare lui e tutti i ribelli a inseguirli. Non aveva bisogno di clamore, e poi il suo braccio era ancora malandato e chissà quanto tempo ci avrebbe impiegato a guarire.
Doveva aspettare. Rimettersi in sesto, per prima cosa, e poi pensare a un piano per allontanarsi da lì senza attirare sospetti, prendere la chiave e sbarazzarsi della ragazzina. Ora, con il braccio fasciato, sarebbe stato impossibile…
- Come, no? E mia sorella?
- Tua sorella starà bene…
- Come fai a dirlo? Non lo sai! E io non voglio restare qui!
- E’ l’unico modo per poter trovare tua sorella, se è questo che ti preoccupa!- Vincent la guardò, spazientito.- Pensaci: qui sono almeno una cinquantina, e hanno scoperto loro dove si trova la bellezza nella morte. Quando la profezia parlerà di nuovo, molto probabilmente sapranno organizzarsi meglio di noi e, se il Castello di Rovi ti ha insegnato qualcosa, avrai capito che in ricerche come questa non è il caso di rimanere da soli!
Anya digrignò i denti, incrociando le braccia al petto, punta sul vivo. Si rifiutò di guardarlo.
- Spero che tu abbia ragione…!
 
***
 
Ariel si risvegliò al largo, distesa supina sul filo dell’acqua. Aprì piano gli occhi, incontrando il cielo stellato sopra la sua testa: le sembrava di aver dormito cent’anni ma, ancora peggio, non riusciva a ricordare nulla di quanto fosse accaduto dopo aver siglato il suo accordo con Tremotino.
Cercò di sollevare il capo dall’acqua e, quando ci riuscì, per poco non cacciò un urlo: al posto della sua coda c’erano ora due gambe umane, due lunghe gambe femminili umane.
Ariel sobbalzò, finendo sott’acqua. Istintivamente provò a risalire agitando la coda, ma le sue nuove gambe erano due e funzionavano in maniera del tutto diversa, e per poco a causa loro la sirenetta fu sul punto di affogare. Riuscì a riemergere solo facendo forza sulle braccia, ma anche in quel modo la sua testa era appena sopra il filo dell’acqua. Non poteva più respirare stando immersa, realizzò.
Iniziò a cercare in lungo e in largo una sorta di appiglio quando, a pochi metri da dove si trovava, vide l’enorme forma della Jolly Roger.
Cominciò a nuotare faticosamente nella sua direzione.
 
***
 
Tremotino lanciò in aria il medaglione, riafferrandolo al volo.
Sorrise, sistemandosi meglio sulla poltrona nel grande salone del suo castello, proprio accanto al fuoco.
Era soddisfatto di se stesso.
Riuscire a rubare la voce di una sirena per accedere ai suoi pensieri e conoscere così il futuro non era un accordo da poco…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Come avevo già anticipato sul gruppo di fb, il capitolo mi è venuto fuori più lungo di quanto avessi previsto. Inizialmente avevo in mente una specie di capitoletto di mezzo (come di fatto è) incentrato esclusivamente su Tremotino e Ariel e la sua trasformazione in umana, ma poi mi sono ricordata che Gaston non lo si vedeva da un po’ e non andava bene visto che il suo personaggio avrà un’importanza sempre maggiore, idem per Lady Marian, e peraltro non potevo pretendere che Anya e Vincent trascorressero quella che sarà una notte delle streghe per Liz semplicemente dormendo, così come era ora di fare un po’ più di chiarezza (anche se non del tutto) su Christine Hadleigh…non è finita, sappiatelo ;). A questo proposito…si accettano scommesse: perché il capo di Rick non voleva che la sposasse? ;).
Nel prossimo capitolo torneremo a Salem e vedremo Gretel in azione :).
Ringrazio SognatriceAocchiAperti, x_LilyW, Princess Vanilla e Sylphs per aver recensito e tutti i lettori silenziosi :). Grazie ragazzi, fa sempre piacere poter contare sul vostro appoggio, specialmente in periodacci come questo :).
Ciao, a presto!
Un bacio,
Beauty
  
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