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Autore: Nidham    05/05/2014    1 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sapevo che sarebbe venuto, anche se non credevo davvero che mi avrebbe trovata, nessuno avrebbe potuto farlo, nessuno avrebbe voluto. Questo luogo è l'inferno peggiore che possa mai essere immaginato, la prigione dei dannati impossibili da redimere, l'incubo eterno da cui non esiste risveglio, lo spauracchio per ogni essere vivente teso a scegliere il male, affinché si convinca a desistere. Nessuno penserebbe mai di cercare una strada per raggiungermi qui, nel cuore stesso della corruzione, nell'antro della bestia più feroce. Nessuno potrebbe avere un motivo abbastanza valido per affrontare qualcosa di peggiore della morte. Neanche l'amore vale questa pazzia.

Ma forse la mia fiducia in lui, in tutti loro, era più grande e istintiva di quanto non volessi ammettere a me stessa; volevo essere salvata e sapevo che avrebbero provato a farlo, ma adesso che mi rendo conto di averli davvero condotti in quest'incubo, non posso permettermi di supporre di esserne la responsabile.

E' vigliacco e insensato, stupido e disgustoso, ma la mia paura è già infinita e il mio coraggio si assottiglia, risucchiato goccia a goccia dal mostro a cui mi sono legata e che si nutre da me e dalla mia anima, avido come un neonato poggiato al seno della madre.

Sento l'olezzo del suo fiato scivolarmi sul corpo e la mia debolezza si trasforma in una patetica e ridicola lotta contro me stessa, contro il destino a cui mi sono condannata e contro qualcosa che non comprendo ancora, ma che inizio a conoscere meglio di me stessa.

Non devo cedere neanche per un istante, non devo tremare, non devo dubitare, perché ciò che ero non è più ciò che sono e presto non sarò niente del tutto, se non una scaglia nera su un cuore malato e gelido di rabbia pulsante. Per questo devo ignorare il senso di colpa, per questo non posso credere di essere la carnefice di quanto avessi di più prezioso.

Non voglio scomparire. Non voglio dimenticare.

E' tanto sbagliato questo? Tanto egoista?

Sì, lo è.

Me ne sono resa conto quando ho sentito la sua voce e ho capito, al di là di ogni illusione infantile e tremebonda, che la mia anima non vale il prezzo che sarebbe disposto a pagare.

Non avrebbe senso salvare i miei ricordi, se l'ultimo di essi fosse l'averlo perso per sempre.

Per il Creatore, cosa mai ho fatto? Come ho potuto, dopo aver cercato sempre di mostrarmi coraggiosa e inflessibile e saggia, cedere in maniera tanto stupida al terrore e alla follia?

Io che non ho mai ammesso di amarlo e ho voluto ignorare che mi amasse, io che ho trovato il coraggio di vivere tra le sue braccia e lì sono morta, io che gli ho chiesto di sopravvivermi, di dimenticare, di ricominciare, io che mi sono sacrificata per un ideale e un dovere, aggrappandomi al mio compito come erbaccia avvinghiata alla terra, proprio io che non ho mai permesso alla paura di dominarmi e mi sono vantata della mia determinazione, ho finito per piegarmi al primo soffio di vento, come un fragile fiore di campo privo di radici.

È questo il sintomo della corruzione che mi scorre nelle vene? E' questo un amaro assaggio della crudeltà che mi appresto ad abbracciare?

Non avrei dovuto chiamarlo a me. I morti non devono invocare i vivi. Ho ignorato tutto ciò che mi era stato insegnato, ma come potevo non gridare il loro nome, quando avvertivo la loro presenza scivolare lontano da me?

Tutto ormai è confuso e non so neanche chi fossi o a cosa appartenessi.

Ci sono momenti in cui credo di aver chiuso gli occhi per sempre, in un eternità peggiore della morte, in un vuoto totale da cui non esiste ritorno.

Non so quanto tempo sia passato e non so se il tempo esista in questo limbo a cui appartengo; in fondo i minuti, le ore o persino i secoli hanno smesso di avere un senso o un valore, per me.

La prima volta in cui ho sentito le sue zanne chiudersi intorno al mio cuore mi sono rifiutata di gridare, quasi fosse la tortura di un nemico cui avessi dovuto dimostrare la mia determinazione.

Ho stretto i denti, scalciato e inarcato la schiena fino a spezzarmi le vertebre, ma non ho emesso un fiato.

Non so descrivere la sensazione di sollievo che provai quando rimasi finalmente sola e non so più neanche rammentarla a me stessa, perché adesso, orribilmente, non è più conforto che avverto in sua assenza, ma solo un terribile senso di incompletezza.

Sembrò trascorso un attimo quando il dolore tornò, più feroce e penetrante, ma ancora seppi resistere. Poi mi accorsi di non riuscire più a rammentare il volto di mio padre.

Pensai di stare impazzendo, finché quel mostro non rubò anche il ricordo di mio fratello e di mia madre, lasciando al loro posto immagini di cupa desolazione.

Allora capii quale fosse il vero destino dei Custodi e seppi che per quanta forza avessi potuto dimostrare, non avrei trovato il modo per salvare un briciolo di me stessa.

Come potevo accettarlo? Come potevo sopportare?

Quando il sangue coprì ogni pensiero di ciò che ero stata prima del Flagello, mi resi conto di aver gridato il loro nome e di aver condannato la mia anima a un destino peggiore dell'estinzione. Promisi a me stessa di tacere, eppure ho continuato a gridare e gridare, perché volevo rammentare il loro volto, il volto di coloro che avevo amato in modo diverso e ugualmente totale, perché il suono della loro risata non mutasse in un roco sogghigno, perché il calore dei loro occhi riscaldasse l'inverno che si impadroniva di me.

Ho gridato per salvarmi e sono riuscita a dannarmi oltre ogni dannazione.

Adesso è uno solo il nome che mi separa dall'abisso.

Mi vergogno di me stessa e so di non aver diritto al perdono.

Lui è qui, tornerà per me e affronterà con coraggio l'inferno che io non sono stata capace di sopportare.

Zevran perderà la sua anima in cambio degli ultimi brandelli sfilacciati della mia.

Nella morte l'ho condannato per egoismo, laddove, in vita, avevo voluto solo augurargli gioia e fortuna. Se anche riuscissi a impedirgli di tornare, se anche non riuscisse a farlo, quale pace potrebbe trovare nella consapevolezza di avermi abbandonato ad un destino che nessuno dovrebbe conoscere?

 

Di ritorno da più di 7 ore di conti, legislazione fiscale e schifezze simili non so proprio cosa possa aver tirato fuori in questo breve pezzettino, ma avevo voglia di rimettere mano a questa ff prima di perderla del tutto, quindi chiedo venia e spero che il brano non risulti così orrido come temo ^_^

 

  
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