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Autore: marani    07/05/2014    1 recensioni
La seconda parte della 'bilogia' sui miei. Ma tranquilli, è indifferente leggere prima l'uno o l'altro. Non sono comunicanti. In questo racconto, ho voluto giocare un po' col delicato argomento della scomparsa di chi ci è caro, e con la sconfortante sensazione di non aver potuto... o voluto... dire tutto quello che andava detto. Purtroppo, a differenza della mia fantasia, nella vita vera non sempre si ha una seconda chance.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mio zio Erio non è precisamente mio zio. Anzi, a voler essere pignoli, non lo è per niente. E' cugino di secondo grado di mio padre, ma da sempre ho trovato alquanto macchinoso rivolgermi a lui con un innaturale "ehilà, caro vecchio cuginodisecondogrado di papà !", optando quindi per quella "promozione sul campo" per puro spirito di praticità. Attualmente vive da tempo immemorabile su un delizioso paesino sul Garda, stoico e solitario come un vecchio orso (al quale assomiglia più che un po’), ma per decenni lui e mio padre sono stati inseparabili. Nella buona e nella cattiva sorte. "Mee e to pèr a gh’inèm fat straj", mi avrà ripetuto come minimo un fantastiliardo e mezzo di volte. No, zio Erio non è albanese o austroungarico o venusiano, ma originario… mmh, vediamo… della bassa mantovana, o emiliana… o modenese… Beh, insomma, di qualche bassa padana, e le frasi in dialetto gli scappan fuori da tutte le parti. Di conseguenza, avendone i due cugini "fatto strage", qualunque cosa ciò significhi, aveva rappresentato l’ufficio informazioni di riferimento al tempo della mia (scrupolosa, versione del sottoscritto - convulsa, campana di mia moglie) esigenza di conoscere vita, morte e miracoli su Sandro Tosi, giardiniere. Sollevai gli occhiali sulla fronte (vantaggi - o svantaggi - dell’età galoppante, da miope a quasi presbite senza sborsare un quattrino) per decifrare il numero di telefono su una rubrica squinternata e "infarcita" di post-it e bigliettini. Ah, eccolo qui: Erio Pavese, 0435/775340. Seduto alla mia minuscola scrivania, collocata in una spaziosa rientranza della sala, da sempre "ufficietto-studiolo-angolo di meditazione", afferrai il telefono, parcheggiandomelo in grembo per comporre il numero. Mentre attendevo che la tecnologia e il gestore telefonico temporaneamente più conveniente del mondo mi collegasse con la sponda occidentale del lago di Garda, non potei (e non cercai di) evitare di posare lo sguardo sulla vecchia bacheca in legno scuro, recuperata al mercatino dell’antiquariato di Brugine (se la memoria non sta ricalcando le orme della miopia) e zeppa di tutte quelle "cianfrusaglie" cartacee che un uomo medio riesce ad accumulare in una vita altrettanto media. Affissi là, indifferentemente tramite puntine da disegno colorate, spilli da sarto, quelli con la capocchiona grossa, chiodini sottili e quant’altro possedesse una punta aguzza atta allo scopo, una discreta mitragliata di biglietti da visita (Prontoidraulico, Pizzadrin, "Pacheco - ristorante mexicano", Banco ambroveneto, filiale di contrà Porti etc. etc.), cartoline di vacanze lontane più o meno esotiche, un promemoria dello studio dentistico Zuegg la cui ultima seduta annotata risaliva ad almeno sette mesi prima, un ritaglio di quotidiano sulla mostra degli impressionisti (otto euro d’ingresso, un’ora e mezzo di coda, un bel poster di Corot dimenticato sulla retina portabagagli dell’eurostar Milano-Venezia). Un etereo bigliettino proveniente da un famoso cioccolatino, dichiarante che "si può denunciare un furto d’auto o di denaro, ma non è prevista alcuna condanna penale per chi ti spezza il cuore". E poi una foto. anzi, la foto, l’unica che ho messo in giro per casa di mia spontanea iniziativa e che, da sempre, riesce a stimolare in me una gamma quasi infinita di sensazioni, a seconda del momento e del periodo e, perché no, del clima che intravedo al di là della finestra. Mio padre Sandro, seduto su una panchina di un parco inglese (l’impressione precisa è che sia "accasciato", soprattutto in virtù della memorabile scarpinata per mezza Londra che ci eravamo sciroppati prima dello scatto), jeans e giubbottino beige chiaro abbottonato fino al mento, l’immancabile guida turistica tra le mani e, tocco assolutamente bizzarro per un distinto signore sulla soglia dei settant’anni, un berretto da baseball portato disinvoltamente col frontino sulla nuca. Il teenager più anziano (e vitale, all’epoca dello scatto) del mondo. Il Jovanotti della terza età, in grado di dare la birra non solo ai suoi due figli con trent’anni di meno sulle spalle, ma anche ai giovani e ipervitaminici nipoti che parteciparono con noi a quella vacanza oltremanica. Il burbero "Pronto ?" nel mio orecchio sinistro agì da quantomai tempestivo altolà ad un grosso lacrimone che si era già sporto dal ciglio dell’occhio. Lo scacciai via senza pietà col dorso della mano, mentre mi schiarivo una voce che ipotizzavo un pelo "ingolfata":
- Sì… pronto… zio Erio, sei tu ? - abbozzai tirandomi su dritto - sono Carlo, il… -
- ehilà, Carlo carissimo - zio Erio, aspetto di orso grizzly e memoria di pachiderma - vecchio mandragone, com’at stè ?! - e’ un patito degli accrescitivi, il parente acquisito. Non necessariamente esistenti nella lingua italiana. Nel corso degli anni, mi ha affibbiato con disinvoltura la misteriosa qualifica di vecchio patagone, starnone, pipitone e babbalone. Vado a memoria. D’altra parte, lui è un omone massiccio, con un barbone candido degno di Babbo natale (Babbone natalone, và) e una risata capace di far tremare i muri. Caratteristica estesa per altro anche ai suoi creativi e tonanti bestemmioni, per la gioia di mia moglie Betta.
- Io sto bene, zio - mi affrettai a rispondere, prima che la sua inarrestabile vitalità prendesse il sopravvento, impedendomi di profferire parola - e anche Betta, che ti saluta… e lì da te, come vanno le cose ? -
Per i successivi dieci minuti mi sciroppai, con divertito piacere, una sequela di esaurienti informazioni, variamente condite con imprecazioni e frasi dialettali, riguardo il suo stato di salute, le ultime disavventure con uffici delle tasse e tributi vari e quant’altro attenesse alla sua attuale condizione di "pensionat’ a riposo, ma brisa tutt", come ebbe modo di precisare con una risatona che fece sicuramente vibrare i pali del telefono attraverso mezzo Veneto. Anche se non potevo vederlo, riuscivo ad immaginare con estrema chiarezza l’ipotetico dar di gomito con cui deve aver sicuramente sottolineato quel "brisa tutt". "Mica tutto"… riferito, conoscendolo bene, a qualche parte del corpo di cui non gradiva affatto la messa a riposo.
- Volevi sapere qualcosa a proposito de to pèr ? - sbottò poi a tradimento, una volta esaurito quel suo personalissimo curriculum vitae. Mmh, se due persone distinte e lontane tra loro, nel giro di neanche mezz’ora, riescono ad imbroccare un tuo intento non dichiarato, come un tredici miliardario al totocalcio, beh… non che si faccia troppo la figura degli originaloni. In ogni caso, la sua profezia azzeccata al volo mi risparmiò titubanze e giri di parole:
- Già già - borbottai, ostentando indifferenza, per non dar troppa soddisfazione a questi "sensitivi della domenica" - no, così, una persona che ho incontrato, che sostiene che… - mi schiarii la voce - …che tu sappia, papà ha mai avuto a che fare con la zona… più o meno… intorno a Feltre… sai, la strada che sbuca poi fuori verso Fiera di Primiero… -
Restò in silenzio per alcuni secondi. Fissai la foto di papà english version, immaginando la figura corpulenta del suo cuginodisecondogrado intento a pensarci su, la manona da orso ad accarezzare il barbone fluente:
- Quella strada ? - disse poi - oh beh, certo che ne abbiamo avuto a che fare (Grazie a Dio, sì, sentii esultare la mia mente, come se fosse in grado di tirare un bel sospiro di sollievo, ovviamente c’era una spiegazione razionale…) quel giro tra i monti, l’avremmo fatto almeno tre volte… ragazzo mio, a gh’inèm fat straj ! Coi Vesponi, i tuoi erano ancora fidanzati… che mitico, gente… due volte in estate ma una, la più memorabile, sotto natale, con la neve che arrivava quasi fino al centro della carreggiata… e ben inteso che non erano le strade di adesso, né tantomeno le motociclette di adesso… per non parlare di giubbotti e indumenti vari… ma quale pile e pile ! Strati di maglioni su maglioni, che sembravamo tutti degli omini Michelin, anca le tuse, e quasi facevi fatica a muoverti, potevi solo ballonzolare… - bofonchiò un risatone da record che riuscì a farmi vibrare a decine di chilometri di distanza - …beh, d’altra parte eravamo molto diversi anche noi, dio di un dio di un dio… - lo strascico di quel suo cavernoso scroscio di risate coprì pietosamente il fantasioso aggettivo che aveva intenzione di affibbiare al nostro buon Padre celeste. Io, impietrito nella scomoda poltrona dello studiolo (o ufficietto o angolo di meditazione) avevo già smesso di ascoltarlo nel momento in cui aveva datato cronologicamente quelle loro "mitiche" scorribande. Se zio Erio aveva ragione e, soprattutto, se il calendario, come la matematica, non era un’opinione… stava a significare che mio padre si era fatto vedere in zona Ponte Sezza più o meno… grosso modo… una quarantina di anni orsono. Una vita fa. Una vita e mezza, quasi due. Una volta ancora, mi affiorava alla mente la poco probabile ipotesi del barista con la memoria più ferrea del mondo… Quarant’anni orsono, magari solo per un buongiorno e buonasera e un giro di caffè al volo… una banda di scapestrati giovinastri vestiti troppo, e i ciuffi alla Little Tony schiacciati dall’azione contenitiva dei caschi da moto. "Ma forse", ipotizzò una vocina alquanto caritatevole, giusto all’interno della mia testaccia dura, "è stata una sosta veloce ma significativa… conoscendo l’innata verve istrionica di tuo padre, miscelata all’irrefrenabile vitalità di suo cugino (disecondogrado) Erio… beh, se non hanno sfasciato il locale, per farsi belli agli occhi delle fidanzate, poco ci sarà mancato…"
- Me ne ha fatto un accenno (nome, cognome e professione… alla faccia dell’accenno ! Carlo Tosi, campione del mondo dei "minimizzatori" !!!) un vecchio barista… gestisce un’osteria giusto all’imbocco della strada che va su verso Fiera di Primiero… -
- ah, quell’osteria ! (Dio, ti ringrazio) non avevo proprio idea che fosse ancora in piedi… - si ammutolì per un breve attimo, probabilmente per frugare in archivi mentali polverosi e inutilizzati da tempo - ci fermavamo sempre là, prima di affrontare i tornanti… lo chiamavamo… come lo chiamavamo ? Ah, un "valzerone di sgnappe prima della Grande Salita", sottotitolo "se la strada è troppo tortuosa, ci pensiamo noi a compensare" - la memoria d’elefante sembra essere una caratteristica che va per la maggiore, a quanto pare, nei giovanottoni della terza età - solo che… tutte le volte dietro il bancone c’era una ragazzotta… una bella figliola… -
- Nessun giovane barista con le guance rosse ? -
- …anzi, a volerla dire tutta, proprio un bel figùn con due tette grosse come angurie… ahr ahr ahr ahr ahr - l’altisonante risatona di zio Erio mi echeggiò dentro, simile al fragore del mio prematuro sollievo che andava in mille pezzi - solo che tua madre, e anche la fanciulla che mi portavo dietro all’epoca, non erano molto entusiaste del nostro apprezzamento nei suoi confronti… e così ci toccava stare con le orecchie basse, o ci saremmo guastati il proseguo della scampagnata (anzianoidi con capacità di memoria eccezionali, e che chiamano scampagnata una durezza invernale in sella ad una Vespa, con la neve che arrivava quasi fino al centro della carreggiata… di gente così, han buttato via lo stampo) …comunque no, non ho ricordi di un barista uomo… non che ci tenga particolarmente a ricordarmelo ma, in ogni caso, solo ed esclusivamente miss angurie… e ti dirò, potendo scegliere… -
Magari il barista, che sarà stato il padre, o lo zio (sì, come no, e perché non il Cuginodiquintogrado) ha assistito alla caciara dei giovani gitanti dalla cucina, e la cosa gli sarà rimasta talmente impressa che… Mi afflosciai nella poltroncina, relegando l’espansivo ciarlare di zio Erio sullo sfondo della mia mente depressa. Chi diavolo volevo prendere in giro ? a parte quel gonzo del sottoscritto… Mio padre poteva aver messo su un numero coreografico degno di un musical di Broadway, tra i tavoli scuri dell’osteria Ponte Sezza, inscenando uno show che sarebbe rimasto negli annali della zona… ma il problema era e sarebbe rimasto uno e uno solo. Che nei lontani anni ’50 solo un medium con le contropalle avrebbe potuto imbroccare la professione che Sandro Tosi avrebbe deciso d’intraprendere, per puro caso, solo una manciata di anni più tardi…
Mi feci violenza per concludere quella telefonata in maniera cordiale, giurando e spergiurando a zio Erio che non avremmo fatto passare l’anno senza saltare in macchina e fiondarci a fargli visita (minacciò di frantumarmi varie parti del corpo, in caso contrario, avvalorando la sua promessa con una micidiale salva di roboanti e inedite bestemmie di fuoco, ed entrambi sapevamo bene che non stava affatto scherzando) e, grazie al Cielo, dopo un ultimo set di ping-pong a base di inviti e rassicurazioni, chiusi la comunicazione.
- Come sta quel simpatico senzadio ? - il flebile pìng della cornetta abbassata aveva raggiunto Betta fino in cucina, informandola della conclusione della telefonata. Orecchie di moglie, altro che quelle di Taddeo.
- Oh bbbofff - biascicai, tormentandomi le malcapitate pellicine attorno alle unghie - sempre il solito vulcano in eruzione… Mi ha minacciato di morte e altri orribili destini se non ci facciamo vivi a breve… - ripensai a tutti i pranzi, le cene, le occasioni conviviali condivise nei lunghi anni antecedenti la fulminea malattia di mio padre, in cui era un sommo piacere avere a che fare con zio Erio (chiudendo un occhio, o anche due, sui suoi stritolanti abbracci, le invettive contro ogni santo del calendario, le mille sigarette che lo facevano assomigliare ad un drago fumante, oltre che sull’irreale pretesa di vederti ingurgitare una quantità di cibo e vino pari a quella che sapeva far sparire nel suo ragguardevole stomaco) e quell’improvvisa consapevolezza mi strinse tra le sue braccia gelide e soffocanti - …e tutto sommato non ha neanche tutti i torti… - attesi che mia moglie sottolineasse con vigore le controindicazioni a quel caritatevole impegno (overdose di fisicità, blasfemia, tabacco, stravizi enogastronomici) ma, forse, la piega blues che avevano preso quei miei maneggi pre-cena ne annacquò gli intenti. Continuò a fare la spola tra la cucina e la sala, in quel quotidiano pellegrinaggio fatto di tovaglia e piatti e posate e cestino del pane, lasciandomi cuocere nel mio brodo di congetture. Senza nemmeno chiedermi di aprire la bottiglia del vino.
Mio padre aveva messo piede all’osteria Ponte Sezza grosso modo quarant’anni prima che suo figlio ne imitasse le gesta (casualmente, è la parola chiave) in apparenza per un periodo decisamente limitato, del tutto insufficiente (ma erano strade e motociclette e tempi diversi, non dimentichiamolo) per lasciare le impronte nel pavimento del locale, come un acclamato divo hollywoodiano.
E nonostante ciò
Lo sa che lei assomiglia proprio a suo padre ?
Suo padre… è Sandro Tosi, vero ?
il giardiniere, no ?
(senza dimenticare, siori e siore, il coup-de-theatre del "Come faccio a conoscere suo padre ? Beh… perché ci siamo incrociati nella piazza del paese, non più tardi di una mezz’ora fa…")
Solo che il fine dicitore di tutta questa storia non pareva essere stato presente all’epoca dei fatti. Miss Cocomeri sì, ma lui proprio no. Mi tirai su di scatto dal soffocante abbraccio della poltroncina, così di botto che Taddeo, intento a seguire una pista olfattiva del tutto misteriosa, nei pressi dello studiolo, schizzò via come un giocattolo a molla. La pessima impressioneche ne traevo era quella di trovarmi su una minuscola e poco affidabile barchetta, in balìa di flutti sempre più tempestosi e letali. Altro che l’auspicato riparare nell’accogliente e sicuro Porto di Capo Raziocinio… Mi era accaduta quella strana cosa (quella cosa fuori di zucca) ben tre-quattro ore prima, ed ero ancora lì, ad un passo da una deliziosa zuppa di funghi, il cui profumo si spargeva per la sala con invisibili dita ammaliatrici, e dalla sfida di Champions League in tv, senza aver cavato un ragno dal buco. Senza aver cavato un bel fico secco, dal buco. Cos’altro potevo fare ?
(Mmh, come sentenzia quel portento di Lucio Battisti… domanda inutile…)
Aspettare. Perlomeno una settimana, giusto il tempo che mi separava dal mio prossimo (e, ahimè, lontano) lunedì pomeriggio di libertà. E poi, se proprio proprio la cosa avesse mantenuto il proprio stimolante interesse (lo manterrà, lo manterrà… uh, se lo manterrà !) preparare la roba e fare un viaggetto sino all’osteria di Ponte Sezza… ça va sans dire, e scusate il cattivo francese. Per intanto, andiamo ad aprire la bottiglia del vino, anche se non ci è stato ancora richiesto, così da provare a fare la figura del marito (e della persona) assolutamente normale ed equilibrata.

  
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