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Autore: Marti Lestrange    07/05/2014    6 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Emma/Hook; long; New York!AU; what if?
Dal capitolo 6:
{– A proposito… Anche io so essere divertente, anche se non si direbbe. Se ti serve qualcuno con cui non essere seria, fammi un fischio.
Le fece l’occhiolino ed Emma sentì le guance prendere inaspettatamente colore. Cosa andava a pensare? Le aveva soltanto proposto di vedersi, qualche volta. Giusto? Non c’era assolutamente niente di allusivo. Proprio no.
- Oh, be’, sicuro – bofonchiò lei guardandosi le scarpe.
- Ci si vede in giro, Swan.}
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Haunted

CAPITOLO 7
 
 
 
 
*Brooklyn, New York – aprile 2013 - 48 ore prima
L’aria era frizzante, quella sera. Fredda no, ma elettrificata. Ti sfiorava la pelle in superficie e ti si propagava in tutto il corpo.
Emma teneva le mani buttate nelle tasche del cappotto, in attesa. Si erano dati appuntamento piuttosto tardi, ma Emma aveva finito il turno alle undici e non era riuscita ad essere lì prima di mezzanotte e trenta. Lo aspettava all’angolo della strada sotto casa sua, proprio di fronte ad un piccolo bar aperto ventiquattro ore su ventiquattro, dove potevi bere caffè forte e mangiare muffins anche per tutta la notte. Lo vide arrivare, la sua alta e spessa figura ammantata in un corto cappotto scuro, i capelli spettinati e le mani in tasca. Si fermò a poca distanza da lei, in silenzio. Si guardarono ed Emma rivide davanti a sé tutto quanto: tutti i giorni passati, tutte le attese, le domande, i dubbi, le incertezze. Ma anche i bei momenti, le gite a Coney Island, i pic-nic a Central Park, le mattinate di pioggia passate a letto, nella sua casa a Brooklyn. Le chiacchiere di fronte al tramonto, una tazza di tè e un maglione profumato. Rivide il passato. Rivide un’Emma diversa, più disincantata, meno cinica. Meno forte. Rivide ciò che non era più.
- Emma… - disse lui finalmente, la voce roca.
- Neal – lo salutò lei, la voce ferma.
- Ti va un caffè? – le chiese facendo cenno al bar.
Lei annuì soltanto e Neal la seguì all’interno del locale. Si sedettero e ordinarono due caffè lunghi e delle uova strapazzate per Neal. La cameriera annoiata ancheggiò via e Emma incontrò il suo sguardo.
Era dimagrito. Un accenno di occhiaie gli emaciava il viso. La barba era di qualche giorno, poco curata. Gli occhi erano stanchi, spenti, privi di entusiasmo. Le mani si stringevano spasmodiche sul piano in linoleum del piccolo tavolino. Anche lui la osservava, nervoso.
- Come stai? – le chiese infine.
- Bene – rispose Emma alzando le spalle. – Non mi lamento.
Non sapeva nemmeno perché avesse acconsentito ad incontrarlo. Lui l’aveva chiamata a casa e la sua voce era così carica di tensione, così significativamente tormentata e ansiosa che non era riuscita a declinare. Non era riuscita a dirgli di no. Forse doveva a se stessa quell’incontro. Se lo doveva per capire, per ammettere una volta per tutte che era finita, che quello che c’era stato era ormai un ricordo, che la sua presenza non poteva più ferirla. In quel momento, seduta di fronte a Neal Cassidy, in quel bar illuminato a giorno, con la luce dell’insegna lampeggiante nella notte, una tazza di caffè nero di fronte a lei, non sentiva niente. Tutto quello che aveva provato per quell’uomo, tutto l’amore, tutti i progetti, tutta la tensione, era sparito, evaporato. Non provava nemmeno più la rabbia cieca dei primi tempi, quando l’unico suo desiderio era di fargli del male – male fisico – solo per dimostrargli quanto l’avesse ferita, quanto il suo cuore si fosse spaccato. Adesso invece provava solo un pizzico di nostalgia – nostalgia dei tempi andati, quando tutto era più facile e limpido – e quintali di pena. Pena per il destino di un uomo che aveva fatto tutte le scelte sbagliate. Un uomo rotto, un pallido riflesso di ciò che era stato, ormai troppo stanco e afflitto per lottare. Dov’era finito Neal Cassidy?
- Non posso fermarmi a lungo – disse lei sorseggiando il caffè.
- Non voglio trattenerti più del necessario – replicò sorridendole. Eccolo, un lampo di Neal. Per un momento, il suo sorriso lo aveva riportato indietro.
- Perché mi hai chiamata? – chiese lei, decisa.
Neal sospirò. Osservò le uova, ancora intatte nel piatto bollente. Poi alzò gli occhi su di lei.
- Voglio solo dirti che mi dispiace, Emma. Per tutto. Ho fatto un tremendo sbaglio, lo so, l’ho capito e se potessi, tornerei indietro per cambiare le cose, te lo giuro. Ho perso tutto. Ho perso te. E questa è la cosa peggiore.
- Hai fatto una scelta, Neal. La scelta sbagliata. E no, non si può tornare indietro. E forse nemmeno lo vorrei.
- Mi odi, Emma? Ti ho quasi rovinato la carriera. Ho distrutto tutto quello che avevamo…
Emma scosse la testa. – Non ti odio, Neal. Non più. Ho creduto di odiarti. C’è stato un periodo che avrei voluto ucciderti con le mie stesse mani, da quanto odio provavo. Ma no. Non ti odio. E forse nemmeno ti odiavo all’epoca. L’ho capito tempo fa.
Neal annuì, deglutendo.
- Non c’è nient’altro che io possa dire, vero? – chiese guardando Emma che si alzava in piedi. Non si era nemmeno tolta il cappotto. L’orologio del locale segnava che mancavano cinque minuti all’una. All’improvviso, il sonno l’assalì. Tutta la stanchezza della giornata minacciava di farla barcollare.
- Non c’è nient’altro, no – replicò. – Stammi bene, Neal. E mangia quelle uova.
Emma gli diede le spalle e si diresse lentamente verso l’uscita. Dietro di lei, Neal fissava il piatto, in silenzio.
 
 
*
 
 
*Greenwich Village, New York – aprile 2013

- Allora, ragazzi? Cosa vi porto?
Emma alzò lo sguardo sulla sua amica Ruby, sorridente, il solito bloc notes per le ordinazioni fedelmente stretto in mano.
Avevano organizzato una serata al Granny’s tra amici. Lei, Lacey, Graham e Matt. Ruby si sarebbe unita a loro a fine turno. A volte Granny lasciava loro il locale per passare del tempo insieme dopo l’orario di chiusura. Finivano sempre per bere troppo e sparare oscenità, ma era divertente, in fondo.
Dopo che tutti ebbero ordinato – e dopo che Emma ebbe seguito lo sguardo lanciato da Graham a Ruby – si voltò verso Lacey. – Hai detto che hai invitato qualcuno?
- Sì – rispose l’altra sfoggiando un sorriso luminoso. – Si chiama Jefferson, l’ho conosciuto in libreria. È il figlio di un mio affezionato cliente storico, il signor Dodgson. È piombato in libreria la scorsa settimana per ritirare un libro per suo padre, che è malato e non può lasciare Londra. Abbiamo bevuto il tè e scambiato due chiacchiere e si è offerto di riparare la Underwood, ti rendi conto?
- La macchina da scrivere? – esclamò Emma, stupita.
- Esattamente! – proseguì Lacey sempre più entusiasta. – Ha detto che “ripara cose”.
- Molto vago ma elettrizzante, direi – commentò Emma.
- Quello che penso anche io. È passato altre due volte dalla libreria. Una per ritirare la Underwood con la promessa di riportarmela il più presto possibile. La seconda semplicemente per prendere il tè con me e vedermi e aggiornarmi sui progressi del suo lavoro. Dio, Emma, mi sembro una bambina alle prese con la prima cotta!
Emma rise. – Be’, mi sembra che questo Jefferson ti piaccia parecchio, Lacey. Non vedo l’ora di conoscerlo.
- Sì, per fargli il terzo grado, Emma? – esclamò Graham, che molto probabilmente aveva sentito uno sprazzo di conversazione.
- Non fare l’antipatico, Humbert – esclamò lei. – Lo faccio per Lacey, perché le voglio bene.
- Lo so, Emma cara – la rassicurò la sua amica poggiandole una mano sul braccio. Si sorrisero e poi lo sguardo di Emma venne catturato dalla persona che era appena entrata nel locale. William Jones. Indossava il solito cappotto blu e teneva la macchina fotografica appesa al collo. Non la vide subito, così lei ebbe modo di osservare i suoi occhi azzurri, il suo volto, la sua alta figura, il suo sorriso rivolto verso Ruby che gli aveva prontamente indicato un tavolo libero. Il suo sguardo quando si posò su di lei. Emma sobbalzò leggermente sulla panca in pelle e Lacey si girò verso di lei, stupita.
- Emma? Stai bene? – le chiese. Emma annuì soltanto. Jones continuava a guardarla, in piedi accanto al suo tavolo, poco distante da quello di Emma e i suoi amici. Si sentiva catturata dai suoi occhi, priva di difese, vulnerabile.
Improvvisamente si alzò, sotto lo sguardo stupito dei presenti, e si diresse verso il tavolo di Jones. Si fermò di fronte a lui, le mani nascoste nelle tasche posteriori dei jeans scuri.
- Swan – la salutò lui sorridendole.
- Jones, che ci fai qui? – chiese lei.
Lui alzò un sopracciglio. Letale, Emma, assolutamente letale, pensò lei.
- Sei sempre stata così curiosa, Swan, o è una conseguenza della professione?
Lei sorrise, abbassando gli occhi a terra.
- Credo di esserci nata. Temo – aggiunse.
Jones rise ed Emma si stupì ancora una volta della sua risata. Era sempre così serio e sarcastico che sentirlo ridere così apertamente le suonava strano.
- Sono passato per un caffè prima di tornarmene a casa, comunque. E tu? Sei in compagnia… - fece un cenno dietro le sue spalle, al suo tavolo. Emma lanciò un’occhiata giusto in tempo per beccare i suoi tre amici che, curiosi, osservavano la scena, le orecchie dritte. Tornarono tutti e tre a bere i loro drinks e a parlare fitto fitto tra loro. Emma alzò gli occhi al cielo e tornò a guardare Jones.
- Serata tra amici – spiegò. – Aspettiamo Ruby in chiusura.
Jones lanciò un’occhiata a Ruby, che veleggiava tra i tavoli, sinuosa e rapida. Per un momento, una fitta di qualcosa di indefinito attanagliò lo stomaco di Emma.
Gelosia, forse?, le sussurrò una vocina interiore.
Non dire sciocchezze, replicò la sua razionalità. Non posso certo essere gelosa di uno che conosco appena.
- Credo che ti lascerò tornare dai tuoi amici, allora – disse lui. – Non ti trattengo.
Peccato, vero, Emma? Eccola, la voce suadente.
Sta’ zitta!, replicò la razionalità.
- Oh, non preoccuparti, sanno sopravvivere cinque minuti senza di me.
- Ma non un’intera serata, quindi mi toccherà trovare un altro momento per offrirti un drink, Swan – replicò lui a voce bassa, avvicinandosi ancora.
Emma poteva sentire il suo profumo. Il cuore le sobbalzava nel petto.
- Credo di sì – disse solo lei.
- Buona serata, allora.
- Buona serata a te.
Emma fece dietro front e tornò a sedersi al suo tavolo. Da lì poteva vedere Jones distintamente, quasi come fossero seduti l’uno di fronte all’altra. Lui la osservava ancora, attento. Emma distolse lo sguardo, agitata.
- Allora? – le chiese Lacey.
- Allora cosa?
- Allora, si può sapere perché non lo hai invitato qui? Sei pazza, Emma Swan?
- Perché non l’ho invitato? Perché avrei dovuto, Lacey French?
- Perché ti piace, si vede lontano un miglio, e tu piaci a lui. Insomma, l’attrazione tra voi è palpabile, l’abbiamo sentita tutti, da qui.
Emma girò lo sguardo su Graham e Matt, che annuirono fingendosi seri. Emma alzò gli occhi al cielo.
- Non mi sembrava il caso, ecco – rispose infine.
- Ah-ah! – esclamò Lacey. – Allora ci hai pensato, eh?
- Uffa! Sì, ci ho pensato, okay? E mi ha anche detto che probabilmente mi inviterà a bere un drink, un giorno o l’altro.
Graham e Matt si dilettarono in un triste spettacolino condito da urla da stadio e grida di ovazione. Emma sbuffò.
- Siete sempre i soliti, voi due – esclamò. I ragazzi risero. Lacey scosse la testa.
- Lasciali perdere, a loro piace scherzare. Tu, piuttosto, vedi di darti una svegliata, Emma Swan.
 
 
*
 
 
Qualche tempo dopo, Jefferson Dodgson sedeva al loro tavolo, accanto a Lacey, e stringeva una tazza di caffè con panna. Emma aveva deciso che le piaceva. Era tremendamente affascinante, proprio come aveva immaginato. I suoi occhi azzurri emanavano una velata tristezza, che però andava ad infrangersi contro la dolcezza contagiosa di Lacey, che lo guardava incantata. Proprio come lui guardava lei. Emma decise che poteva stare tranquilla. Jefferson Dodgson era senz’altro un tipo misterioso e fuori dal comune, ma il suo sesto senso le diceva che era okay.
Tutta un’altra storia per Jones, ancora seduto al suo tavolo. In quel momento controllava le foto scattate sulla sua macchinetta, intento e concentrato. Emma si perse ancora una volta ad osservarlo. Non sapeva se poteva fidarsi di lui o meno. Era attratta da Jones, in modo tremendo e così forte che faceva male. Quando gli stava vicino il magnetismo era così potente che la spingeva ad avvicinarglisi ancora, in un circolo vizioso senza via di scampo. La sua parte razionale però la metteva in guardia. Sapeva poco e niente di lui, un uomo avvolto nel mistero, ammantato da quella parte oscura della sua anima che nessuno era riuscito a penetrare. Sentiva che sotto c’era qualcos’altro, ma non riusciva a capire cosa. Non poteva fare a meno di sentire la sua pelle bruciare, però. Era come un veleno ad azione lenta: la divorava dall’interno, senza possibilità alcuna di salvezza.
Lentamente, il Granny’s Diner si svuotò. Jones fu uno degli ultimi ad alzarsi. Guardò l’orologio da polso e si stupì dell’orario, come se avesse perso la concezione del tempo. Si affrettò a raccogliere le sue cose e ad alzarsi, diretto alla cassa. Emma sentiva lo sguardo di Lacey addosso, come se, guardandola, volesse spingerla ad agire. Non aveva il coraggio di incontrare i suoi occhi, però, e non riusciva a fare a meno di osservare Jones prendere il resto, sorridere cortese a Granny e dirigersi verso la porta. In un attimo, Emma si alzò dal suo tavolo e gli corse dietro.
- Hey, Jones! – esclamò. Lui era sulla porta e si voltò, stupito.
- Swan? – chiese.
- Ti va di restare?
 
 
*
 
 
*Greenwich Village, New York - aprile 2013 - qualche ora più tardi
Le luci della città illuminavano la notte. L'aria era ancora frizzante, in quell'angolo di mondo. L'elettricità statica invadeva l'atmosfera.
Lacey alzò gli occhi al cielo, che quella notte era blu, di un blu spettacolare, quasi fosse di velluto. Le stelle ne punteggiavano la volta, accompagnate da una luna mozzafiato.
Matt salutò e montò sulla sua moto, rombando via nella notte, un braccio ancora alzato a mo' di saluto. Graham e Ruby se ne andarono insieme, molto probabilmente diretti verso casa di lei, poco distante dal Diner. Ormai facevano coppia e tutti lo sapevano, ma nessuno sembrava farci caso, come se la cosa fosse sempre stata inevitabile. Salutarono e si incamminarono, Ruby al braccetto di Graham, appollaiata sulla sua spalla.
Lacey si voltò verso Emma. - Chiamiamo un taxi?
- Mi piacerebbe accompagnarti, Lacey - disse Jefferson, in piedi accanto a lei. Le sorrise, gentile come sempre.
- Ti dispiace, Emma cara? - chiese all'amica.
Quest'ultima scosse la testa, sorridendole. - Non ti devi minimamente preoccupare, tesoro. Starò bene, fidati.
Lacey rise e Jones - il misterioso e affascinante William Jones - intervenne: - Riaccompagno io a casa la tua amica, Lacey. Sta' tranquilla.
Lacey sfoderò uno dei suoi più ampi sorrisi. Le piaceva Jones, nonostante le ritrosie e le indecisioni di Emma. Lo trovava perfetto per lei. Si era unito a loro con entusiasmo, condendo il tutto con la sua pungente ironia e le sue battute.
Emma si voltò verso Jones ma non replicò. Invece abbracciò l'amica e disse: - Ci sentiamo domani, d'accordo?
- D'accordo. Buona notte, ragazzi - aggiunse.
- Buona notte a voi - rispose Jones stringendo poi la mano a Jefferson, che ricambiò la stretta, cordiale. Quei due sembravano andare d'accordo, nonostante l'iniziale ironia con la quale avevano dato vita alla loro conversazione. Sarebbero potuti diventare buoni amici. O almeno così pensava Lacey. Vedeva del potenziale, in loro.
Salutò ancora una volta Emma e poi guardò la sua amica e Jones salire sul taxi che avevano chiamato. Jones le tenne aperta la portiera - da perfetto gentiluomo - e salì subito dietro di lei. Il taxi sparì nelle luci della città, diretto a Brooklyn.
- Casa mia non è lontana, ti dispiace camminare? - chiese Lacey.
Jefferson scosse la testa. - Per niente. Adoro camminare. A casa mia, in Inghilterra, ho un grande parco, e mi piace passeggiare in mezzo alle aiuole e nel boschetto adiacente. Non è un problema, per me.
- Quanto mi piacerebbe vedere casa tua - esclamò Lacey dopo che lui l'ebbe porto il braccio, galante. - Sono stata a Londra, durante il periodo dell'università, e mi sono innamorata della campagna inglese.
Jefferson le aveva raccontato che casa Dodgson si trovava immersa nella campagna, poco fuori Londra, circondata da un grande giardino, con un roseto, un boschetto e un laghetto. Lacey se n'era innamorata.
- E a me piacerebbe invitarti, Lacey - replicò lui, la mano poggiata sulla sua. - Vorrei mostrarti un sacco di cose, perché raccontare tutto a voce non rende loro la benché minima giustizia.
- Ti credo. A volte le parole non servono.
- No, soprattutto quando vorresti comunicare determinati sentimenti. Diventano riduttive.
- Be', io credo che abbiano comunque un grande potere. Possono distruggerti. Letteralmente.
- Io credo invece che siano altamente sopravvalutate. Bisognerebbe imparare ad analizzare i sentimenti umani, la persona che ti sta di fronte in una conversazione, in modo da capire realmente ciò che prova, al di là delle parole.
- Non sempre è facile, sai? Ci sono persone che sono come dei libri aperti, altre che appaiono imperscrutabili. Come te, per esempio.
Jefferson si fermò e Lacey lo imitò. La guardò negli occhi per un momento, serio.
- Io? Io sarei imperscrutabile?
- Parecchio, sì - ammise lei annuendo convinta. - Io invece sono un libro aperto. Puoi capire tutto di me ad un primo sguardo, se osservi attentamente.
- Io credo che tu non ti renda conto del mistero che ti circonda, miss French - rise Jefferson. Nella sua voce, un sottile velo di malinconia. - Credo che potrei restare ore intere ad osservarti, solo per scoprire sempre cose nuove di te. Vorrei stare ad analizzarti come si fa con i dipinti. Sei affascinante e tremendamente bella.
Lacey non sapeva cosa dire. Era questo che Jefferson pensava di lei. Pensava che fosse così misteriosa da richiedere un'attenta analisi. Invece lei pensava che lui avesse già capito tutto. Soprattutto quanto lei fosse cotta.
- Sono davvero tutto questo? E io che credevo di essere una persona semplice. Quasi banale...
- Banale? - esclamò Jefferson. Lacey alzò gli occhi sul suo viso. Era sconvolto.
- Sei tutto tranne che banale, Lacey. Sei la donna meno banale che io abbia mai conosciuto. Sei tutto il mondo. E lo so che suona ridicolo, considerando il fatto che ci conosciamo da poco più di una settimana e che risulto praticamente uno sconosciuto, per te, eppure sento di dovertelo dire. Mi hai stregato, Lacey. Dal primo momento in cui ti ho vista, sono capitolato.
Lacey alzò una mano ad accarezzargli una guancia, sulla quale si intravedeva un velo di barba scura. I suoi occhi azzurri lampeggiavano. Lei si alzò sulle punte e gli depositò un leggero bacio sulle labbra. Jefferson replicò prontamente al bacio, circondandole la vita con un braccio e stringendola a sé.
- Sapevo che c'era qualcosa, in te - sussurrò lei contro le sue labbra. - Sapevo che quello che sentivo non era frutto del caso. Credo che sia stato il destino a mandarti da me.
- Io non credo nel destino, Lacey - replicò lui baciandola. - Siamo noi che determiniamo le nostre azioni.
- Tu credi? Io invece penso che ci sia un disegno e che quel disegno, quel primo abbozzo di completezza che sento dentro, sia per noi. Mi sento completa, per la prima volta in vita mia. E non me ne importa se ci conosciamo da poco. Non ha importanza alcuna, per me.
I due si baciarono ancora e Lacey lo prese poi per mano, accompagnandolo ancora per qualche metro, fino alla porta di casa sua.
 
 
*
 
 
*Brooklyn, New York - aprile 2013
- Prima, da Granny's - iniziò Emma. - Ti osservavo.
William alzò gli occhi e la guardò. Erano appena scesi dal taxi. Casa di Emma distava pochi metri, così si incamminarono lungo il marciapiede deserto. Erano rimasti in silenzio per tutto il tragitto, ognuno immerso nei propri pensieri.
- Mi osservavi? - chiese lui alzando un sopracciglio.
- Ti osservavo - confermò Emma. - Stavi riguardando delle foto, vero?
Lui annuì. - Sì. Ho passato il pomeriggio in giro per il Village. Ci sono sempre nuovi spunti ogni giorno. Soprattutto al Diner.
Si girò a guardarla ed Emma distolse lo sguardo, puntandolo sui suoi stivaletti neri. Perché si era messa le scarpe con il tacco? Non le sopportava.
- Ti andrebbe di vedere alcuni scatti, un giorno di questi? - le chiese lui. Emma lo guardò, stupita.
- Credevo che il lavoro di un fotografo fosse un qualcosa di tremendamente intimo. Credevo che tutti gli artisti fossero riluttanti a mostrare i loro lavori.
- Infatti solitamente è così.
- E allora perché vuoi mostrarli a me?
- Credo che non ci sia un perché, Swan. Credo solo che ci sia una forte connessione, tra noi. Connessione che ancora non capisco e che mi manda letteralmente fuori di testa, ma c'è. Io la sento. E anche tu. Muoio dalla voglia di farti vedere i miei lavori, e non c'è un perché abbastanza grande da racchiudere anche questo.
- Cavolo - sussurrò lei.
- Allora? Ti piacerebbe?
- Sì - rispose lei di slancio. - Mi piacerebbe molto, sì. Assolutamente.
Jones le sorrise e fu un sorriso così dolce e bello che il cuore minacciò seriamente di esploderle. Le batteva fortissimo, come se avesse appena corso la maratona. Non si sentiva così - elettrizzata e felice - da troppo tempo, e la cosa in qualche modo la spaventava. Aveva paura di ferirsi di nuovo. Aveva paura che fosse tutto frutto di un tremendo sbaglio, uno sbaglio che l'avrebbe fatta soffrire ancora una volta. Dall'altra parte, dentro di lei qualcosa esplodeva piano piano, espandendosi qua e là lentamente. Era una strana sensazione di felicità, entusiasmo, novità, attrazione selvaggia e desiderio. Era tutto ed era niente, qualcosa che minacciava di morirle dentro il cuore così come di farlo pulsare così veloce che le sarebbe letteralmente esploso. Possibile che una persona potesse farle provare tali sentimenti?
Casa Swan si stagliò nitida di fronte a loro. Si fermarono di fronte al portone in ferro battuto. Si guardarono. Jones teneva ancora le mani nelle tasche.
- Grazie per la bella serata - disse lui. - Grazie per avermi chiesto di restare, Swan.
- Be', ho agito d'impulso. Ti ho visto andare via e ho capito che non avrei voluto. E così...
- Che pensiero ingarbugliato, Swan - rise lui.
Emma rise con lui, scuotendo la testa. Ecco, era confusa coma una bambina di cinque anni. Perché diavolo Jones aveva quel potere su di lei?
- Si può sapere perché di fronte a te perdo qualsiasi capacità argomentativa e dialettica? Non è bello.
Ecco, l'aveva detto. Bene. Si era scoperta. Ottimo, Emma, ottimo.
- Oh-oh, allora è questo l'effetto che ti faccio, Swan...
Emma alzò gli occhi al cielo. - Sei quasi prevedibile.
- Tu e io ci capiamo a vicenda, Swan. Capito? È questa la verità. È questo che ti tormenta segretamente, ciò che non riesci a capire. Ciò che ti manda in confusione.
Emma lo guardò. Jones la osservava, attento. I suoi occhi azzurri percorrevano il suo viso, sondavano il suo sguardo, indugiavano sulle sue labbra. Era come se all'improvviso si trovasse nuda di fronte a lui, lui che forse aveva capito tutto di lei solo guardandola, lui che, nonostante tutto, continuava a scavare nelle sue ombre.
- Chi sei, Swan? - sussurrò.
- Non credo che tu voglia saperlo...
- Forse voglio, invece.
I due si guardarono ancora per qualche istante, come se le lancette si fossero inesorabilmente fermate nel loro scorrere perpetuo. Poi Emma si ritrovò a baciarlo, le dita strette intorno al bavero del suo cappotto, le mani di lui che la stringevano a sé, in un bacio atteso forse da entrambi da troppo tempo, aleggiante nell'aria tra loro come un buffo omaggio del destino a coloro che sarebbero risultati degni di riceverlo. Emma non aveva mai baciato nessuno, così. Né Graham, né Neal, nessuno. Mai. In tutta la sua vita.
Chi sei, Swan? Le parole di lui le riecheggiarono nella testa. E Jones? Chi era, Jones?
Emma si allontanò dalle sue labbra, senza fiato. Lo osservò per un attimo, confusa.
- Io... - cominciò. - Credo che questo non debba più succedere, Jones. Tu sei stato coinvolto in un'indagine, io lavoro nella polizia, ti ho interrogato... Non credo sia giusto.
Sentiva gli occhi di lui addosso. Aveva paura ad alzare lo sguardo. Aveva paura che, guardandolo, non sarebbe riuscita a resistere.
- Come desideri - disse soltanto lui. Emma lo sentì allontanarsi lentamente, mentre il mondo piano piano svaniva, perdeva consistenza. Emma si voltò. Jones camminava malinconico lungo il marciapiede, le mani nuovamente in tasca, come al solito. Emma lo osservò andare via, sparire nella notte, un'ombra fugace nelle tenebre.
 
 
 
NOTE
  • Vi ricordate il finale dello scorso capitolo? Tutti – o quasi tutti – in centrale sospettano che dietro la nuova rapina ci sia Neal Cassidy, appena uscito di prigione per una serie di rapine commesse circa un anno prima, nella quale indagine era stata coinvolta anche la nostra Emma. Ebbene, quest’ultima scagiona Neal da ogni accusa, dichiarando che il nostro ex ladro era proprio con lei, all’ora della rapina alla Bank of America. Nel primo pezzo di questo capitolo torniamo indietro a quella sera, al primo incontro tra Emma e Neal dopo tanto tempo.
  • Non ho potuto fare a meno di citare uno dei miei pairing preferiti, il RedHunter: Ruby e Graham sarebbero stati perfetti, insieme.
  • Un altro pairing amato è il MadBeauty, cioè il Jefferson/Ruby. Che ne dite di questi due? Non sono carini?
  • “- Tu e io ci capiamo a vicenda, Swan. Capito?” “- Chi sei, Swan? - sussurrò. - Non credo che tu voglia saperlo...  - Forse voglio, invece.”  “- Come desideri.” Queste battute sono state tradotte e/o rielaborate direttamente dagli episodi della serie tv. Come dimenticarle…!

Buongiorno a tutti, cari lettori! Dopo tantissimo tempo - e dopo aver litigato con l'editor - sono tornata con un aggiornamento. Ogni volta mi scuso per il ritardo, lo so, e so anche di essere imperdonabile. Ma ormai conoscete i miei tempi di pubblicazione. Sono un bradipo.
Ebbene, spero che il capitolo sia valsa l’attesa… So che avete odiato Emma proprio come l’avete odiata – e la state odiando anche al momento – nella serie, ma portate pazienza, la mia Emma si sveglierà presto dal suo torpore e rimedierà. Non temete.
 
Ringrazio sempre tutti coloro che seguono – ben 38 persone, un record, per me *.* grazie! – e leggono questa storia. Che il CaptainSwan sia sempre con voi! E ricordate: “I swear on Emma Swan.”
 
 
Marti
   
 
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