Era ormai
pomeriggio inoltrato quando riuscì a rientrare al JAG. Lo
dimostrava anche il
fatto che il bullpen fosse deserto, segno che la giornata lavorativa
era giunta
al termine per il resto dei suoi colleghi. L’ennesima
formalissima (e
noiosissima) riunione lo aveva bloccato al Pentagono per tutto il
giorno,
ospite – o forse sarebbe più corretto dire
ostaggio – della Congressista Bobbi
Latham che, forte dell’appoggio del SecNav, aveva richiesto
espressamente di
lui a Cresswell e non avrebbe accettato un no come risposta. Il
Generale, che
pure non era famoso per essere un grande sostenitore delle manovre
politiche,
era stato pertanto costretto ad accogliere la richiesta giuntagli
dall’alto e
ad assegnare uno dei suoi migliori avvocati al progetto di revisione
delle
normative relative all’applicazione degli accordi militari
con gli altri stati,
destinate in particolare alla gestione degli spazi aerei e al
comportamento dei
piloti. “Chi meglio di un avvocato che è anche un
Top Gun pluridecorato?” aveva
argomentato la Congressista Latham con una logica inconfutabile. Rabb,
dunque,
non aveva potuto fare altro che obbedire agli ordini del suo superiore,
anche
se avrebbe preferito di gran lunga rimanere al JAG o addirittura farsi
mandare
in missione su una portaerei in zona di guerra piuttosto che
rinchiudersi in
una sala con i rappresentanti delle alte sfere.
No, non
esageriamo,
meglio non mettere a repentaglio la propria vita adesso che le cose con
Sarah
stavano andando così bene.
Da
quell’incontro nelle gelide acque del lago dorato vicino alla
casa dove viveva
Chloe, che da fredde si erano trasformate in bollenti, lui e Mac erano
diventati sempre più uniti.
Lavoro
permettendo,
naturalmente.
Infatti,
come se Cresswell avesse subodorato qualcosa, al rientro dal congedo di
Mac
aveva pensato bene di spedirla per un paio di settimane sulla Patrick
Henry,
dove uno degli ufficiali aveva denunciato la sparizione di alcuni
importanti
documenti militari ed era necessario fare luce sulla questione. Appena
tornata,
vittoriosa, dalla missione, erano riusciti a trascorrere poco
più di un mese
insieme e poi era stato il turno di Harm: si era dovuto recare a San
Diego per
un nuovo caso che lo aveva tenuto lontano da Washington più
di quanto avesse
preventivato. Insomma, anche se non avevano ancora confessato la loro
relazione
né agli amici né al loro capo, il loro superiore
sembrava intenzionato a
tenerli lontani a qualunque costo. Se non altro, adesso si trovavano di
nuovo entrambi
nella stessa città, quindi potevano vedersi ogni sera e
dormire insieme ogni
notte. Sebbene fossero sicuri dei propri sentimenti (del resto, si
erano
danzati intorno per quasi nove lunghissimi, interminabili anni),
volevano
tenere la loro storia solo per sé. Sapevano di rischiare: la
politica di non
fraternizzazione, vigente nelle forze armate, era ben nota a entrambi,
ma al
lavoro mantenevano un comportamento irreprensibile, come se quel lago
dorato
non fosse mai esistito, e poi… si sfogavano a casa.
Pregustando
–
appunto – la serata casalinga con Mac, Harmon Rabb si stava
recando nel proprio
ufficio per controllare la posta quando incrociò il tenente
Roberts che lo
fissò con sguardo corrucciato.
“Bud,
lavori
fino a tardi anche tu? Tutto bene?” lo salutò Harm
cordialmente.
“Non
proprio.
Ha un minuto?” gli chiese.
Il modo di
fare insolitamente spiccio e l’espressione preoccupata sul
volto di Roberts impensierirono
Rabb, che gli fece cenno di accomodarsi nel suo ufficio e chiuse la
porta
dietro di loro. Si sedettero l’uno di fronte
all’altro, poi Harm gli disse: “Bud,
è successo qualcosa a Harriett o ai bambini?” I
Roberts erano come una famiglia
per lui e Sarah ed era sinceramente in pensiero per loro.
“No,
Harriett e i piccoli stanno bene. Ho il permesso di parlare
liberamente,
signore?” La richiesta inconsueta sorprese Harm che gli
rispose prontamente “permesso
concesso” e lo invitò a parlare con un gesto della
mano
“Ha
sentito
il colonnello oggi?” lo interrogò Bud.
“Solo
stamani. Le è capitato qualcosa? Dov’è
adesso?” Harm si alzò di scatto dalla
sua sedia: la preoccupazione si era appena trasformata in angoscia.
“E’
nel suo
ufficio, ma è stata insopportabile per l’intera
giornata. Con tutto il dovuto
rispetto, signore.”
Si sedette
di nuovo. Harm non ci si raccapezzava. Quella mattina si erano
svegliati
serenamente a casa di Sarah, avevano fatto colazione insieme e si erano
salutati come due ragazzini innamorati, prima di recarsi al lavoro,
ognuno con
la propria auto per non destare sospetti. Forse era successo qualcosa
in
ufficio?
“E’
sicuro
di non aver combinato qualche pasticcio, comandante?” gli
chiese di nuovo Bud.
“Non
capisco
a cosa tu ti riferisca…” cercò di
svicolare Harm, ma si vedeva lontano un
miglio che si stava arrampicando sugli specchi.
“Signore,
da
quando il colonnello è tornata dal suo ultimo congedo, a me
e Harriett è
sembrato che i rapporti fra voi due fossero… come
dire… più distesi…”
un’occhiata eloquente di Bud fece capire ad Harm che alla
fine lui e Sarah non
erano poi stati così discreti. Apprezzò comunque
il tatto con cui gli aveva
confessato di aver scoperto della loro storia e gli fu intimamente
riconoscente
per non averne parlato con il loro superiore. Bud, con un sorriso,
aggiunse con
fare cospiratorio, quasi sussurrando: “Se posso permettermi,
signore, era
proprio l’ora, non ci speravamo più!”
Rabb sorrise
a sua volta e disse: “Ehm…
sì… ma questo cosa c’entra con
l’intrattabilità di
Mac?”
“Signore,
se
c’è una cosa che ho imparato da quando sto con
Harriett, è che quando lei è
nervosa 99 su 100 è colpa mia. O anche se non è
vero, alla fine lo è. Quindi mi
chiedevo se lei per caso fosse a conoscenza del motivo del malumore del
colonnello….”
Harm ci
pensò su per qualche secondo: dunque, il compleanno di Mac
era ancora lontano,
quello di Chloe pure, stavano insieme da poco quindi non gli sembrava
che fosse
un particolare anniversario per loro, anche se aveva scoperto un lato
romantico
di Mac che non pensava possedesse. Il giorno prima avevano trascorso
una serata
deliziosa, improvvisando un pic-nic davanti al fuoco scoppiettante nel
camino dell’appartamento
di Sarah, con fragole e panna, che si era concluso in modo estremamente
piacevole, senza vestiti e in posizione orizzontale. Una posizione che
ultimamente assumevano spesso e sempre con grandissimo piacere da parte
di
entrambi. E ogni volta l’esuberanza di Mac continuava a
sorprendere Harm e a
farlo sentire al settimo cielo.
Doveva
essersi perso nel ricordo per un tempo piuttosto lungo,
perché la voce di Bud
quasi lo spaventò: “Signore?”
“Oh,
scusa
Bud, ci ho pensato ma non mi viene in mente niente. L’unica
cosa è rivolgersi
direttamente alla fonte.”
“E’
proprio
sicuro di voler andare nell’ufficio del
colonnello?” gli chiese Bud, con il
terrore stampato sul volto. Mac doveva essere stata davvero una furia
quel
giorno per averlo spaventato tanto.
“Tenente
Roberts, sono un pilota addestrato alla guerra e un ufficiale del JAG,
sono in
grado di affrontare un marine!” annunciò
risentito. Si alzò dalla sedia, si
stirò l’uniforme passando le mani sopra la giacca
per eliminare un’invisibile
piega e si diresse verso l’ufficio di Mac, pregando nel
frattempo che la sua
ira si fosse calmata. Decise comunque di passare dalla cucina e munirsi
di una
tavoletta di cioccolata, da usare a mo’ di ramoscello
d’olivo: addolcire il
nemico poteva essere un’ottima strategia. Qualunque fosse il
motivo di quel
comportamento strano, si trattava della sua Sarah.
Nota
dell’autrice
Qualcuno mi ha
invitato caldamente a
scrivere il seguito di “Sul lago dorato” e
l’ispirazione è arrivata: qualche
capitolo per raccontare come è cambiata la vita di Harm e
Mac dopo l’incontro
in quel luogo magico.
Come sempre,
grazie al mio angelo
custode per i suoi preziosi consigli e grazie a chiunque mi abbia
dedicato il
proprio tempo e sia arrivato fino qui.
Al prossimo,
Deb