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Autore: Matteo_Russi    07/05/2014    0 recensioni
In quel tempo c'erano sulla terra i giganti, e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. (Libro della Genesi 6:4)
Agli albori dell'Umanità, prima che i grandi imperi solcassero il palcoscenico del mondo, in un tempo di cui si è perduta memoria, un misterioso gigante dal cuore tenero vive con sua figlia, una bambina di undici anni, isolato dal mondo, serbando nel suo cuore inconfessabili segreti sulla storia sua e del mondo in cui vive. In una piovosa sera invernale rincasa sconvolto, palesando la convinzione di essere giunto alla fine dei suoi giorni, raccontando particolari ignoti della sua vita, accennando al terribile impero che soggioga la Terra e chiedendo a sua figlia di andare alla ricerca e di sposare uno dei figli del Re degli uomini. Il giorno seguente la bambina troverà il suo amato genitore ucciso. Sarà questo l'inizio di una lunga avventura verso la scoperta di un mondo e di una civiltà dimenticata, quando molte razze umanoidi vivevano sul nostro pianeta.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alisea sognò. Avvolto dalle tenebre della notte sorgeva un piccolo villaggio di uomini che costeggiava le rive di un fiume.  Ai suoi confini piantagioni di strani vegetali giganteschi erano illuminati dalla luce della Luna al suo plenilunio. Essa era rossa come il sangue, atterrendo i suoi ammiratori e colorando di scarlatto la Terra. Un vecchio si diresse claudicante verso le campagne, andando in direzione di una capanna piuttosto isolata rispetto alle altre. L’uomo, avvolto da un mantello di montone, camminava lentamente, trascinando la gamba destra, reggendosi a un bastone di legno. Giunto che fu all’uscio della capanna, bussò. La luce della rossa Luna si posò sul suo viso, palesandone i piccoli e azzurri occhi a mandorla nascosti dietro la folta e lunga barba bianca.
Nessuno rispose. Sospirò preoccupato, restando a meditare per un istante, aggrappato al suo bastone.  Decise di riprovare.  Picchiò con la sua stampella contro la porta.
«Suvvia, figliolo, apri almeno al tuo vecchio padre!» Esclamò  l’uomo con voce esile e cantilenante.
«Non puoi fare così!»
Si lamentò.
Il figlio non aprì. Il padre abbassò il capo mesto. Si volse indietro, curvandosi sul suo bastone. Scosse la testa sconsolato.
La porta alle sue spalle si dischiuse.
Il vecchio se ne accorse e, rincuorato, si girò pronto a entrare.
Nella completa oscurità della capanna un giovane se ne stava affacciato a una finestra di fronte all’entrata, ad ammirare la Luna scarlatta. Suo padre entrò, procedendo verso di lui lentamente.
«Dovresti avere pietà almeno del tuo vecchio padre che farai finire nel Soggiorno dei Morti prima del suo tempo, pieno di dolore!»
Affermò l’uomo con tono lamentoso.
Questi continuò a camminare finché non fu giunto alle spalle di suo figlio.
«Io sono diverso dagli altri.»
Sussurrò il giovane non togliendo lo sguardo dalle stelle.
«In che cosa sei diverso? Ho avuto sessanta figli e sono tutti diversi l’uno dall’altro. In questo il Creatore si è glorificato, manifestando la sua potenza!»
Cercò di spiegare il padre non perdendo il suo tono lamentoso.
«Io sono ancora più diverso dagli altri!»
Esclamò il figlio alzando la voce, finalmente voltandosi al suo anziano genitore.
 Un raggio di luce illuminò il suo viso. Non aveva barba né capelli né alcuna peluria sul corpo magro seminudo. Aveva un cranio enorme dolicocefalo, occhi azzurri a mandorla, privi di ciglia e sopracciglia e piuttosto ravvicinati. I suoi zigomi erano alti e le ossa del viso leggermente schiacciate, il naso era aquilino e il mento a punta. Suo padre lo guardò fisso in viso.
«Non sei mica brutto!»
Osservò.
«Non sono io il mostro!» Esclamò tra i denti, non perdendo la sua aria nervosa e adirata.
«Il mostro è ciò che genero accoppiandomi con le tue figlie!»
Urlò furibondo.
«Non dire così delle tue sorelle!»
Replicò il vecchio padre, cercando di rabbonire il giovane figlio, trattenendo a fatica le lacrime.
«Sono brutti! Sono stupidi! La più stolida creatura che il mondo abbia mai conosciuta!»
Urlò alla Luna, l’uomo dal cranio Dolicocefalo.
Suo padre lo guardò con gli occhi lucidi, facendo sempre più difficoltà a trattenere le lacrime.
«Sì, lo ammetto!» Continuò il giovane, abbassando il suo tono di voce. «Sono stato io! Quella megera è tornata da me, mi ha dato da bere del vino fino a farmi ubriacare. Poi con l’inganno è giaciuta con me e si è fatta mettere incinta!»
«Non le bastava avermi partorito un solo mostro?» Urlò alla Luna con aria isterica, unendo all’ira le sue lacrime. «Ne voleva un altro!»
«Nessuno è un mostro!»
Replicò il padre. Il figlio fu irritato da quelle parole.
«Ne voleva due!»
Gridò, mentre copiose lacrime gli cadevano dagli occhi.
«Quando ho saputo quale bestia portava in seno, l’ho presa, l’ho violentata prima, poi picchiata fino a farla abortire!» Raccontò, piangendo, unendo al dolore l’ira, per nulla pentito delle sue efferate azioni.
«Poi l’ho uccisa!»
Ammise, chinando il capo.
Il vecchio si piegò sul bastone e cominciò a piangere copiosamente, emettendo un sonoro lamento. Il giovane non se ne curò. Si asciugò gli occhi con le mani, mostrando alla luce della Luna il particolare di avere sei, anziché cinque dita. Sospirò profondamente. Parve d’un tratto perdere la sua aria isterica e divenire freddo come il ghiaccio.  Un ghigno diabolico apparve sui suoi occhi.
«Poi ho ucciso mio figlio!» Esclamò, cominciando a ridere sonoramente.
Suo padre lo fissò negli occhi disperato, scorgendovi il fantasma della follia.
«Tu sei pazzo, figlio mio!»
Notò, incapace di porre fine alle lacrime che gli uscivano dagli occhi.
«Ho solo ucciso.»
Concluse il giovane, continuando a ridere.
«Hai ucciso tua moglie e i tuoi due figli!»
Cercò di fargli notare suo padre. Il giovane fu infastidito da quelle parole. Strappò il bastone dalle mani del vecchio che cadde ai suoi piedi in ginocchio, emettendo l’ennesimo lamento.
«Parli proprio tu!» Gli disse quel figlio sconsiderato. «Sai solo piagnucolare! Sai solo lamentarti!»
Il genitore non ebbe la forza di rialzarsi. Chino ai piedi di quel figlio omicida continuava a disperarsi tra le lacrime, incapace di proferire parola. Il suo interlocutore lo osservava ora indifferente, insofferente agli atteggiamenti paterni.
«Perché ti lamenti?» Gli domandò. «In gioventù sei stato come me! Hai fatto come me!»
«Mi accusi di essermi ribellato a te, di non portarti rispetto, di trattarti come un verme. Hai fatto tu diversamente con tuo padre?»
«E’ vero sono stato un figlio cattivo, ma mai ho trattato mio padre come ora mi stai trattando tu!»
Balbettò il vecchio genitore.
«Mi chiami assassino!» Continuò il giovane, quasi incurante della replica paterna. «Dimentichi che anche tu lo fosti!»
«Ti hanno cacciato!» Prese a ricordare, ridendo. «Tuo padre ti ha ripudiato! Eppure eri il Re degli Uomini! Ti hanno chiamato assassino! Sei stato fuggiasco e pellegrino per la terra, tu e la tua patetica sposa!»
«Io mi sono pentito! Ala mi ha perdonato!»
Esclamò il vecchio tra le lacrime e i lamenti.
 «Vorrà dire che anche io, mi dirò pentito e riceverò il perdono di Ala!»
Concluse il giovane, non credendo a suo padre.
«So molto bene di dover andare via!» Ammise, incurante. «Potrò mai sfuggire alla mano dei tuoi iracondi figli? Potrò mai scampare il loro becero moralismo?»
«Non hai alcuna pietà!»
Si lamentò il vecchio.
«I tuoi figli non ne avrebbero per me!» Rispose il suo malvagio interlocutore.
«Anzi,» aggiunse, «non pensino che me ne vada a mani vuote!»
Il vecchio che giaceva disteso ai piedi di suo figlio, raccogliendo quel poco di forza che ancora gli restava, si cercò di alzare, facendo leva sui suoi polsi.
«Non penserai di rapire tua sorella?»
Domandò il padre, cercando invano di intimorire il suo figliolo.
«Non ho altra scelta! E’ la sola in grado di darmi figli normali!»
Esclamò, alzando le spalle.
Il padre ricadde con la faccia a terra e riprese a gemere.
«Lei non ti ama!»
Esclamò.
«Che vuol dire? Nessuno mi ama ed io non ho nessuno da amare!» Concluse il giovane. «Potrà mai non avere figli sani Sirukhohu, figlio di Khaiana? Potrà la sua linea di sangue essere spezzata? Se c’è una sola donna capace di darmi figli sani, questa sarà mia, che lo voglia o no!»
Il nome di quell’uomo echeggiò nella mente di Alisea come il tuono, mentre lacrime copiose scendevano dagli occhi del povero Khaiana. L’ansia riempì il cuore della bambina.
«Non far del male alla ragazza!»
Chiese prostrato il povero vecchio. 
I battiti di Alisea si fecero più concitati. L’inquietudine riempì la sua anima. Il sapore amaro delle lacrime di Khaiana le amareggiò la bocca. Profonda tristezza unita a una certa paura cadde su di lei. Il respiro si fece sempre più affannoso. Il sogno divenne incubo e prese a inseguirla con i suoi veloci cavalli e la sua spada sguainata. Restò immobile, incapace di destarsi, ma desiderosa di sfuggire alla sua inquietante visione. Cercò di aprire le palpebre, ma esse parvero incapaci di dischiudersi. Cercò di alzare le sue braccia per portarsi le mani al viso, ma non ne ebbe la forza. Si sentì oppressa, incapace persino di respirare. Desiderò allora di destarsi con quanta più forza aveva. Mosse il suo piedino sinistro, poi quello destro. Inspirò ed espirò prima in modo leggero, poi sempre più veemente. Aprì gli occhi. Si sentì libera. Era ancora notte.
«Che strano sogno!» Osservò. «Che cosa poteva mai significare?»
  Era ancora oscuro, ma l’alba non doveva essere tanto lontana. Il vento si era levato sul deserto. Era gelido. La bambina avvolta sotto la sua coperta preferiva quel clima alla torrida calura del giorno.  Quel posto era terribilmente strano. Suo padre le aveva detto che il mondo era pieno di vegetazione lussureggiante e di meravigliosi animali. Le aveva spiegato che Ala aveva creato ogni cosa in modo meraviglioso. Quel deserto, però, sembrava smentire quelle parole.
«Sirukhohu? Khaiana?» Si domandò la ragazza. «Non mi sono nuovi questi nomi!»
Si sforzò, cercando nella sua mente in quale racconto paterno avesse già udito quei nomi.
«Sì, Khaiana! Questa deve essere la Valle di Khaiana!» Ricordò. «Un tempo era uno dei posti più belli della terra. Poi però deve essere accaduto qualcosa! Mio padre mi narrava che c’era stata una guerra e che gli uomini che abitavano questo posto erano stati tutti uccisi e la loro terra ridotta a un deserto!»
Non riusciva però a ricordare la storia di quella terribile guerra.
Si chiese allora cosa mai volesse dire quel sogno che aveva fatto. Era la premonizione di un evento futuro o il ricordo di uno passato?
«Khaiana è vissuto molti secoli fa!»
Concluse la ragazza, sicura della sua affermazione.
«Deve essere stato un uomo molto importante e famoso.  »
«Come posso aver rivissuto una scena del passato?»
Si stava domandando queste cose, quando un nuovo ricordo le affiorò nella mente.
«Sirukhohu era il figlio più piccolo di Khaiana e aveva una gemella, identica a lui che sposò dopo aver ucciso la sua famiglia! Gli altri uomini erano fisicamente molto diversi da lui. Mio padre deve avermi raccontato qualcosa del genere! »
Intanto, l’alba era giunta e il Sole era sorto. La temperatura aveva cominciato a salire come il giorno prima. Alisea si nascose sotto la coperta. Poi, pian piano si fece coraggio e si scoprì. Decise di affrontare con uno spirito diverso la nuova giornata. Prevedendo che avrebbe fatto molto caldo si spogliò quasi del tutto, lasciandosi a dosso la sola sottoveste. Si alzò e si sedette a poppa. Il vento spirava impetuoso, giocando con i capelli della ragazza.
La corrente, mossa dal vento, spingeva velocemente la barca verso Sud-Est. Il paesaggio parve quel giorno meno monotono e il clima più piacevole.  Il cielo era sempre di un azzurro intenso, assolutamente privo di nubi. La temperatura era elevata, ma mitigata dal forte vento che veniva dal Nord.  Per Alisea fu quello un nuovo miracolo del dio Ala. Attorno alla barca che correva sempre più veloce cominciava a intravvedersi a tratti qualche essere vivente. Qualche albero altissimo appariva nel bel mezzo del nulla. Lungo il corso d’acqua compariva ora un po’ di vegetazione. La navigazione proseguì fino a sera tranquilla.
Verso l’ora del tramonto, Alisea capì che il fiume volgeva alla sua foce a delta. Esso, dopo aver attraversato il deserto ed essersi unito ad altri corsi d’acqua minori godeva di una notevole profondità.   A breve distanza esso si divideva in due tronconi. Il primo andava verso Sud-Ovest, il secondo a Sud-Est. Alisea comprese che la prima diramazione dava origine a un nuovo fiume di notevole lunghezza, mentre il secondo, meno copioso, portava al mare. La barca era diretta verso Ovest.
«Devo andare a Sud-Est come ha detto mio padre!»
Osservò Alisea, decisa a trovare il modo di virare. Non pensò, tuttavia, al rischio di avvicinarsi al mare fino a sfociarvi. Lungo il mare, inoltre, il deserto finiva e sorgevano molte città abitate da giganti.
La ragazza prese a remare e con minore difficoltà del previsto si portò sull’altro lato del fiume. Soddisfatta per il risultato ottenuto, Alisea, tornò a sedersi a poppa, notando che nella nuova direzione il clima si faceva più mite e la vegetazione tornava a crescere rigogliosa. Fu molto contenta di questo. La barca prese a solcare il delta del fiume.  Il vento cominciò a calare e il cielo ad addensarsi di nubi. La temperatura calò, ma aumentò l’umidità. Attorno al fiume comparve una rigogliosa foresta pluviale.  Grossi insetti alati volevano nel cielo, attraversando le sponde e cercando fiori da impollinare. Dalla giungla proveniva l’eco del verso di creature inquietanti.  Alisea cercò di cacciare via la paura. Si fece coraggio, pensando a come si sarebbe comportata quando sarebbero apparse le prime case dei giganti.
Il corso d’acqua, intanto, prendeva a suddividersi in sempre più piccoli canali. La barca fu smossa da alcune rapide. Alisea le superò tenendosi afferrata alla barca.
Da lontano si udiva il fragore di copiose acque. La bambina tremò. Comprese che un grande pericolo si stava avvicinando. Si sentì perduta.
«Che Ala mi protegga!»
Esclamò Alisea impaurita.
Davanti a lei il canale terminava, tramutandosi in una pericolosa cascata e gettandosi in un lago. La ragazza, pur non riuscendo a vedere cosa aveva dinanzi, non poteva non comprendere il pericolo cui andava incontro, riconoscendo i suoni che udiva. Pensò in un primo momento di avvicinarsi, remando, alla sponda sinistra, ma pensò che non sarebbe riuscita a deviare la barca tanto facilmente. Temeva, inoltre, che sbarcata potesse fare incontri pericolosi nella giungla.
Decise di affidarsi al dio Ala e di tenersi alla barca.
Chiuse gli occhi. Li riaprì. Si accorse che la cascata era sempre più vicina. Si credé perduta. Chiuse nuovamente gli occhi. Si strinse più che poté alla barcarola. Si sentì scivolare, cadere nel vuoto. Preferì non guardare. Udì un rumore sonoro, come se l’imbarcazione si fosse scontrata contro un ostacolo con violenza. Sentì l’acqua bagnare tutto il suo corpo. Il legno della barca si sfaldò sotto i suoi piedi. Si accorse allora che la barcarola era affondata con lei. Si sentì trasportare dalle acque. Si lasciò andare alla corrente. Non riuscendo a nuotare, il lago aprì le sue fauci per ingoiarla. Non oppose resistenza. Andò a fondo. Non riusciva più a respirare. Aprì gli occhi. Era sott’acqua. La luce del Sole illuminava la superficie del lago. Il fondo era oscuro e profondo. Il tenebre l’avvolsero con i loro artigli possenti. Il Sole si oscurò. Lei si lasciò cadere.
   
 
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