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Autore: lucabovo78    07/05/2014    1 recensioni
« La magia è dentro di noi, fa parte della nostra natura. Dobbiamo solo trovare il modo giusto per usarla. »
Se la magia fosse una cosa naturale come respirare, tutti sarebbero in grado di usarla. Invece, questo "privilegio" è affidato a pochi individui, dotati di grande potere e chiamati Stregoni.
Questa è la storia di un giovane stregone e del prezzo che dovrà pagare per questo potere.
« Non è bene sottovalutare le trame del destino, potrebbe rivoltarsi contro di noi. »
Copyright © 2013 Luca Bovo, tutti i diritti riservati
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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24. Celestia

 

«Secondo te, è uno stregone?»

   Sephyr aveva ascoltato il racconto in silenzio, seduta sulla panca con gambe e braccia incrociate. Aveva un’espressione seria, ma non sembrava particolarmente allarmata. Lind, invece, tentava di riprendere il controllo passeggiando nervosamente per la stanza. L’apparente tranquillità della ragazza da un lato lo confortava, dall’altra lo sorprendeva. Aveva un carattere veramente forte, probabilmente più del suo, ma come faceva a non turbarsi per un racconto del genere? A dire la verità, era rimasto anche un po’ deluso da quella reazione composta, infatti, non gli sarebbe dispiaciuto “doverla” abbracciare per tranquillizzarla. A quanto pare, invece, era lui che avrebbe avuto bisogno di un abbraccio, in quel momento.

   «Penso di sì, ma, tranne me e il Maestro, non ne ho mai incontrati altri, per cui non ho un grande metro di giudizio. Comunque, oltre a farmela quasi addosso…»

La ragazza lo guardò con un sorrisetto ironico.

   «Alla faccia dell’eroe senza macchia e senza paura! »

Lui si fermò e assunse un’espressione offesa.

   «Mai detto di esserlo. Comunque…ho avuto una strana sensazione, come se lo avessi già incontrato, però è strano, sicuramente me ne ricorderei. Poi quella falce, aveva qualcosa di simile alla mia spada, oltre al drago intarsiato sul manico. La lama era nera, ma sembrava proprio lo stesso strano materiale».

   «Ha parlato di “simbiote”, evidentemente si riferiva alla spada. Tu ne sai niente?

   «No, e non ho la minima idea di cosa possa essere un simbiote».

«A giudicare da come ne ha parlato, sembra quasi che sia in qualche modo in grado di interagire con te per...proteggerti».

   Detto questo, si alzò e accarezzò la lama della spada, che era appoggiata sul tavolo, con espressione pensierosa. 

   «Che ci sia qualcosa di strano in quest'arma è chiaro: quando l’ho tenuta in mano, ho avuto una strana sensazione, mi sembrava quasi di stringere un...animale».

   Lind rifletté su quelle parole. Aveva sempre trovato strane alcune caratteristiche della sua arma, ma non si era mai posto molte domande in merito. Forse perché, conoscendola da sempre, era diventato per lui tutto familiare. Ragionando da un punto di vista esterno, però, quelle cose prendevano una luce diversa. Il fatto che avesse una sorta di “calore latente”, lo strano materiale di cui era fatta, che non ne ricordava nessun altro di conosciuto, e gli strani comportamenti degli ultimi giorni, incominciavano a turbarlo. Che fosse, in qualche modo, “viva”? Non aveva ancora una teoria su questi fenomeni, ma questa poteva essere una. Per quanto incredibile. Per qualche motivo però, nonostante i ragionamenti, non ne era spaventato. 

   Le parole del misterioso stregone gli tornarono in mente.

   «…Grosso errore lasciarlo, ti consiglio di non farlo più, se avessi voluto, avrei potuto ucciderti senza neanche farmi vedere.»

   Il condizionale, e le sue stesse parole, facevano intendere che non fosse sua intenzione fare del male, ma i brividi che aveva provato non lo facevano stare tranquillo. Quali erano le sue intenzioni? E perché si stava interessando a loro? A entrambi, soprattutto. A questo punto, il fatto che Sephyr non fosse tornata a casa era stato, forse, la cosa migliore. Infine, quella che definiva la sua “aura” non sembrava per niente una cosa innocua, la sensazione di oppressione che aveva provato era molto forte. Sephyr tolse la mano dalla lama e si girò verso di lui.

   «Va bene, per stasera abbiamo capito che non si farà più vedere. Non siamo neanche sicuri che ci sia nemico, per cui è inutile preoccuparsi, se si rifarà vivo gli faremo qualche altra domanda. Tra l’alto sarei curiosa di sapere cos’è questa storia del “Sigillo”…»

Lind aveva tralasciato, nel suo racconto, i complimenti sulla sua bellezza e sul fatto che avrebbe dovuto prendersi cura di lei. Non sapeva bene per quale motivo, ma aveva preferito omettere quei dettagli. La ragazza si diresse verso la stufa, dove la pentola continuava a sbuffare. Assaggiò la zuppa e ne decantò il sapore. Si girò verso di lui con sguardo malizioso.

   «Ti ho già detto che le doti culinarie sono ben apprezzate da noi ragazze?»

   Senza pensarci, si avvicinò a lei. Le cinse la vita con le mani e la baciò.

   «Mi pare di sì...potremmo, a questo punto, negoziare il modo in cui puoi dimostrare quest’apprezzamento…»

Lo spinse via, delicatamente, ma in modo deciso. Con mezzo sorriso, lo guardò severa.

   «Guarda che sono ancora offesa con te, per cui non approfittartene solo perché ti ho fatto un complimento».

   «Ma…io, comunque, mi dichiaro innocente…»

Con aria sconsolata, si dedicò a preparare i piatti per la cena.


   Tatzel e Anilion erano quasi arrivati alle porte di Celestia, la città che si trovava a sud di Caputargilis, nel mezzo della piana di Erath. Potevano già vedere le possenti mura della cittadella con le torri merlate di difesa. Il grande ponte levatoio di accesso era abbassato e una truppa di soldati a cavallo controllava il viavai di mercanti e gente comune. All’interno, il palazzo reale si ergeva imponente e tetro, a dispetto del nome rassicurante della città. Costruito in stile gotico con la pietra scura di origine vulcanica estratta dal monte Erath, che attribuiva il nome alla regione e si stagliava all’orizzonte dietro la città, aveva più l’aria di una fortezza che di una residenza di reggenti. Le poche finestre erano piccole e protette da grate di ferro, eccezion fatta per una grande vetrata rotonda, ornata con il simbolo della città: un angelo con spada e scudo che sconfigge un drago, posta a una decina di metri da terra, sopra la scalinata principale di accesso. Agli angoli del palazzo, enormi gargoyle di pietra sembravano sorreggere l’intera struttura, mentre altri, più piccoli, guardavano minacciosi dal tetto la città sottostante, insieme a chimère e altri mostri fantastici pietrificati.

   «Cos’abbia di “celestiale” questo posto, non saprei proprio».

Tatzel si era fermato a osservare la città, il suo sguardo si soffermò sulla vetrata, già ben visibile da quella distanza.

   «Giusto un emissario divino potrebbe proteggervi da quanto vi sta per accadere…»

   «Non è ancora giunto. Forse siamo ancora in tempo. »

Il maestro Anilion piantò il bastone a terra e chiuse gli occhi. Per qualche istante rimase in silenzio, profondamente concentrato, poi aprì gli occhi di colpo e assunse un’espressione preoccupata. Contemporaneamente, il giovane estrasse la spada dal fodero, dopo essersi accorto di quello che stava succedendo.

   «E’ qui! Ma non è solo, si è portato qualche rinforzo. A cosa gli servono quei mostri? Non vuole sporcarsi le mani?»

   «No. Quelli servono a tenere impegnati noi. E’ furbo, si è accorto della nostra presenza da molto tempo e, a quanto pare, ci stava aspettando.»

   «Meglio così, ci sarà da divertirsi.»

La lama della spada del ragazzo e il bastone del vecchio incominciarono a emanare nebbia bianca. Nel frattempo, un’orda di golem era uscita dalla foresta a est della città e si stava dirigendo al ponte levatoio. Erano una decina, giganti di metallo dagli occhi luminescenti che facevano tremare la terra ad ogni passo. Una figura nera volava sopra di essi, accompagnandoli verso l’imminente battaglia. Il suono di un corno risuonò nella piana, unendosi alle urla della gente che si era accorta del pericolo incombente e che stava riversandosi all’interno delle mura.

 

Si svegliò quando era buio inoltrato. I muscoli gli facevano un male cane. Si alzò a fatica da terra e guardò in direzione del casolare, fortunatamente vide una luce, che si spense dopo poco. Probabilmente erano ancora li, ma doveva verificarlo. Qualcuno lo aveva messo fuori gioco e aveva anche idea di chi potesse essere stato. Si ritenne fortunato, a essere ancora vivo. Doveva stare più attento, d’ora in poi, non poteva permettersi che capitasse di nuovo. Attese qualche minuto per testare i suoi movimenti. Quando si sentì sicuro, si avvicinò a una finestra e verificò che i due ragazzi fossero ancora li.

   

   «Vai a cercarla? Non puoi aspettare che si faccia giorno?»

Mari, da sotto le coperte, guardava Alden che si rivestiva. Sapeva che non sarebbe mai rimasto con lei, ma avrebbe voluto ritardare il momento dell’addio il più a lungo possibile. Il ragazzo le rispose senza voltarsi.

   «Ho aspettato anche troppo, devo sbrigarmi».

La ragazza sentì gli occhi inumidirsi.

   «Deve essere una donna veramente speciale. La invidio».

Alden non rispose. Quando fu pronto, si diresse verso la porta. Prima di andarsene, sempre senza voltarsi, si rivolse alla ragazza, che sentiva singhiozzare.

   «Dimenticami, è meglio».

Al che uscì. Mari scoppiò in lacrime, tenendosi il volto con le mani.

  
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