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Autore: Martiz Kenway    08/05/2014    3 recensioni
Haruka Ookami, nata nel villaggio della nebbia. L’abilità innata del clan Ookami? trasformarsi in lupi. Da ragazzina innocente a membro dell’Akatsuki. Un’esistenza segnata dal dolore e dalle incertezze, un viaggio alla ricerca di un posto a cui appartenere. Un viaggio alla ricerca della serenità, che solo una persona può darle.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akatsuki, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Non seppi per quanto rimasi distesa in quella gabbia, raggomitolata su me stessa con solo il folto pelo a proteggermi dal freddo. Quando la nave si fermò e il capitano aprì la porta della stiva, la luce inondò il mio viso costringendomi a chiudere gli occhi. Non ero più abituata a tutta quella luce, i miei occhi si erano adattati al buio pesto di quel luogo. Il capitano aprì la mia gabbia e si inginocchiò davanti a me.
-Senti.. tuo padre mi ha detto di portarti il più lontano possibile e di accertarmi che non proverai a ritornare a casa.. l’unica soluzione sarebbe ucciderti, ma non voglio farlo..- mormorò mentre mi stringevo sempre di più nell’angolo della gabbia
-Ora siamo al villaggio della foglia, nel Paese del Fuoco.. voglio lasciarti andare ma devi promettermi che non tornerai mai più..-
Le lacrime presero a scivolare di nuovo lungo le guance. Anche se avessi voluto come potevo tornare indietro? Non ero abbastanza forte per attraversare l’oceano usando l’Arte dell’Acqua e di infiltrarsi clandestinamente in qualche barca non se ne parlava. L’unica cosa che mi rimaneva da fare era andarmene lontano, cercare un altro posto da chiamare casa. Un altro posto a cui appartenere.
Il capitano si scostò appena per farmi passare e mi sorrise, come per incoraggiarmi. Sgattaiolai fuori con la coda tra le gambe e corsi su per le scale, verso il ponte.
-Buona fortuna!- mi urlò mentre me ne andavo
Mi girai verso di lui e lo ringraziai con un cenno del capo, per poi sbucare sul ponte e superarlo a gran velocità, saltando sul molo a cui era approdato.
Marinai e commercianti mi guardavano esterrefatti mentre sfrecciavo tra i moli e le bancarelle e i bambini mi indicavano sorridenti mentre le mamme se li trascinavano dietro, cariche di borse. Mi ricordarono mia madre. La mia guancia pizzicò appena, quando mi ricordai di quello schiaffone che mi aveva rifilato pochi giorni fa. Lei, la mia mamma, la persona che amavo di più e che pensavo mi amasse. Ringhiai di rabbia e continuai a correre fino a raggiungere i limiti di un fitto bosco, che si estendeva per chilometri sparendo all’orizzonte. Sospirai e mi avventurai al suo interno, senza una meta né un obiettivo preciso.
 
Camminai per giorni e giorni, lungo la strada incrociai molto creature, molte persone e anche qualche ninja della foglia che però mi limitai ad evitare mimetizzandomi con la vegetazione circostante. Era un’altra delle abilità che scoprii in quella rigogliosa foresta, oltre alla profonda connessione che avevo con la natura. Non ci avevo mai fatto caso prima, forse perché non ascoltavo. Non sentivo o più semplicemente non capivo. Potevo captare i movimenti di una lepre a centinaia di chilometri di distanza grazie al mio udito, al mio olfatto e alle vibrazioni che il terreno mandava alle mie zampe. Durante la notte scoprii di possedere una vista a infrarossi potentissima, che illuminava a giorno anche i luoghi più oscuri e in qualche modo mi faceva sentire più sicura. Avevo sempre avuto paura del buio.
Finalmente, dopo settimane, il bosco si diradò e davanti a me comparve una praterie d’erba immensa che, all’orizzonte, terminava con una fila frastagliata di bassi rilievi rossicci. In un solo giorno superai la distesa d’erba che sembrava quasi infinita ed arrivai ai piedi dei rilievi rocciosi, colorati dalla luce arancione del sole. Il caldo cominciava a farsi sentire sempre di più e, prima di avventurarmi in quel luogo spoglio e secco, riempii lo stomaco di acqua, bevendo da un ruscello che scorreva vivace tra le rocce. I lupi potevano resistere a lungo senza acqua né cibo, ma quanto ci avrei impiegato a superare quello che sembrava essere un deserto? Ma che mi importava? Aveva poi tanta importanza la mia vita, ora?
Corsi per due giorni interi senza fermarmi, con le zampe che affondavano nella sabbia alzando al mio passaggio una scia di polvere dorata. Il sole batteva feroce sulla mia testa aumentando il mio bisogno di acqua e di riposo, ma io non mi fermavo, continuavo a correre senza un preciso motivo, come se volessi consumarmi lentamente. Non smisi di correre nemmeno quando la stanchezza mi annebbiava gli occhi e stringeva in una morsa dolorosissima i muscoli delle gambe. Davanti a me, infine, comparvero le imponenti mura di quello che sembrava un villaggio. Un villaggio costruito nel bel mezzo di un deserto. Mi fermai e ansimai cercando di inumidire la gola con la poca saliva che avevo in bocca. Mi trascinai in mezzo a dei piccoli cespugli e caddi a terra sfinita, gli occhi mi si chiudevano e non riuscire a comporre dei pensieri razionali. Forse era solo un miraggio quella città o forse no, e in quel luogo avrei potuto cominciare una nuova vita.
 
Riaprii gli occhi a fatica e mi umettai le labbra. La sete fu il primo pensiero, appena sveglia. Era notte fonda, dovetti aver dormito per quasi un giorno interno, eppure i muscoli mi dolevano ancora di più. Rimasi distesa tra i cespugli, incapace di muovermi, e con il freddo pungente della notte che mi trafiggeva il corpo come mille lame.
All’improvviso il rumore di un pianto raggiunse le mie orecchie. Corrugai le sopracciglia e girai la testa di lato. Un bambino sedeva a terra, un pupazzo a forma di orso stretto in un braccio e la testa nascosta tra le ginocchia. M rialzai a fatica e mi avvicinai lentamente, annusando l’aria circostante. Non sembrava pericoloso, era solo un bambino, per di più della mia stessa età. Guaii per attirare la sua attenzione e lui alzò di colpo la testa, guardandomi con le iridi cristalline circondate da profondi segni neri. Si asciugò le lacrime e mi guardò in silenzio, più sorpreso che spaventato. Mi avvicinai ancora un po’ e mi accucciai a terra, inclinando la testa. Lui sorrise appena e allungò la mano verso di me, dopo un attimo di esitazione tesi la testa e le sue dita affondarono nella mia pelliccia color sabbia.
-Ciao lupetto.. almeno tu non hai paura di me..- sussurrò ritraendo la mano
Raddrizzai le orecchie e mi misi seduta, continuando a guardarlo confusa.
-Io… sono un mostro- aggiunse abbassando lo sguardo demoralizzato
Guaii e gli sfiorai i folti capelli rossi. Una strana sensazione mi pervase, l’istinto di protezione mi diceva di stargli vicino, di non abbandonarlo mai più. Anche lui come me era stato abbandonato? O aveva una casa? Quasi sicuramente viveva dentro le mura di quel villaggio, ma perché era così lontano da casa?
-Avrai sete!- esclamò rialzandosi velocemente –Vieni! Fuori dalle mura c’è un pozzo!-
Acqua! Era proprio quello che mi serviva! Gli corsi dietro e arrivammo al pozzo. Con fatica sollevò la corda e tirò fuori il secchio colmo d’acqua, appoggiandolo a terra. Affondai il muso nell’acqua fresca e bevvi a grandi sorsi, spazzando via l’arido nella mia gola. Mi leccai le labbra e mi sedetti di nuovo, mentre il bambino mi guardava soddisfatto.
-Chissà da dove vieni, e se hai un nome..- pensò ad alta voce inginocchiandosi davanti a me
Non me la sentivo di trasformarmi proprio in quel momento, avevo paura di spaventarlo e di farlo scappare via, non volevo che se ne andasse.
-Comunque non ti lascerò qua fuori al freddo.. vieni, andiamo a casa mia..- mi disse con un sorriso
Mi alzai pronta a seguirlo. Un letto su cui dormire non mi sarebbe dispiaciuto e di sicuro non avrei declinato l’offerta. Lo seguii all’interno delle mura del villaggio, superammo le alte costruzioni di pietra dai tetti a cupola e arrivammo ad un elegante palazzo che si ergeva sopra tutti gli altri, in tutta la sua imponenza. Supposi che fosse il palazzo del capo del villaggio, ma sembrava strano che un bambino così piccolo vivesse là. Forse era il figlio del Kage.
-Non dare troppo nell’occhio va bene?- si raccomandò
Entrammo nel palazzo e salimmo per le ampie scale di pietra, percorrendo lunghi corridoi illuminati dalla luna che filtrava dalle finestrelle ritagliate sulle pareti. Aprì una grossa porta di legno e mi fece segno di entrare. Guardai la stanza incuriosita, era molto spaziosa, con un grande letto dalle lenzuola candide addossato ad una parete, sotto una finestra dalla quale si poteva ammirare il cielo stellato.
Qualcuno bussò alla porta ed io mi nascosi sotto il letto impaurita –Gaara? Sei tornato?- domandò la voce di un ragazzo
-Si zio, adesso vado a letto..- rispose lui
-Va bene, buonanotte..-
Gaara si distese davanti a me e ridacchiò –Era solo mia zia, non avere paura..-
Raggiunse il tavolo e mi portò un piatto colmo di carne, appoggiandolo a terra –Questa era la mia cena, non avevo molta fame..-
Annusai la bistecca e mi leccai le labbra, addentandola. Era molto buona e la mangia velocemente ripulendo perfino l’osso. Gaara corse in bagno e tornò con indosso il pigiama per la notte, saltò sopra il letto e si coprì con le coperte fino a sotto il mento.
-Dai salta su! E’ ora di dormire!- mi disse sbattendo una mano sul letto
Non è che avessi proprio sonno ma comunque i miei muscoli erano stanchi ed il corpo scosso da brividi di freddo. Saltai sul letto e mi distesi al suo fianco, appoggiando il muso tra la sua spalla e il collo. Lui mi circondò il corpo con le mani e affondò la testa nella mia pelliccia. Non dormì per tutta la notte, chiudeva gli occhi per qualche minuto poi li riapriva di scatto e si stringeva a me. Rimasi a vegliare su di lui, incapace di trovare una soluzione alla sua insonnia. Fu così anche per le altre notti, era come se qualcosa lo tormentasse, oltretutto gli altri bambini lo odiavano. Più che odio era paura, lo evitavano come se fosse un mostro. Ma più lo guardavo più mi convincevo del contrario. Così piccolo ed indifeso, con i capelli rossi arruffati e gli occhi cristallini sempre lucidi. Ma c’ero io con lui, e l’avrei protetto ad ogni costo.
Fu durante una delle nostre passeggiate nel deserto che decisi di dirgli tutta la verità. Stavamo distesi tra la sabbia, a guardare le stelle come facevamo tutte le notti.
-Il mio unico vero amico fino ad ora sei tu.. e sei un lupo.. riuscirò mai a trovare qualcuno come me, che mi voglia bene?- chiese fissando il cielo
Lo guardai e sorrisi, come potevo non ascoltarlo? Così mi trasformai e continuai a rimanere distesa affianco a lui, con i capelli che si confondevano tra la sabbia. Allungai una mano e gli scostai i capelli rossi dal viso, lui sgranò gli occhi e girò la testa verso di me.
Gli sorrisi e lui scattò a sedere, senza togliermi gli occhi di dosso –Ma tu sei!!-
-Scusa se non te l’ho detto prima..- dissi rialzandomi e abbassando lo sguardo
-Non importa..- sussurrò concedendomi un sorriso –Come ti chiami?-
-Haruka!- risposi sorridendo mentre la luna illuminava i miei occhi blu notte
Gaara inclinò la testa pensoso –Come sei arrivata fin qua?-
Sospirai e frugai nelle tasche, tirandone fuori il copri fronte della Nebbia e porgendoglielo.
-Vieni dal Villaggio della Nebbia? Ma che ci fai qua allora?-
-Ho fatto una cosa terribile e mi hanno cacciata..- spiegai con le lacrime agli occhi
Lui abbassò lo sguardo triste –Così anche te sei un mostro come me..-
-Ma tu non sei un mostro! Sei un bambino normale!-
-No..-
-Perché no?-
Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime –Io..-
La voce di sua zia ci interruppe e tornai subito in forma di lupo. Perché non me lo voleva dire? Perché non mi diceva cosa lo tormentava? E perché tutti lo evitavano?
-Ti prego non andare via!- mi supplicò
Scossi la testa –No, non ti preoccupare!- risposi seguendolo alle porte di Suna
Lo zio lo rimproverò ordinandogli di tornare a casa. Lui era l’unico che gli stava vicino, l’unico che forse gli voleva veramente bene.
-Vieni Haruka..- mi chiamò Gaara mentre raggiungevamo il palazzo
-Così le hai trovato un nome..- commentò lo zio sorridendomi
-Si..- tagliò corto Gaara guardando a terra
Una volta arrivati a palazzo raggiungemmo la camera e finalmente potemmo parlare.
-Devi stare attenta.. potrebbero scoprirti e mio padre ti manderebbe via subito..-
Feci spallucce –Sono abituata ad essere cacciata..-
Lui mi abbracciò stretta –Sono contento di averti come amica..-
Gli leccai una guancia bagnata di lacrime –Anch’io-
 
Quei mesi passati al fianco di Gaara mi aiutarono a superare il trauma, non riuscii mai a dimenticare, ma almeno ero riuscita a raggiungere una quasi felicità. Decisi che non me ne sarei mai più andata da quel posto e mai avrei lasciato il mio amico. Ma il destino, come sempre, era a mio sfavore e la mia felicità non era destinata a durare. Tutto successe in una calda sera d’estate, la luna piena splendeva alta nel cielo e illuminava con la sua pallida luce la città di Suna. Noi due, seduti su una piccola terrazza, eravamo intenti ad ammirare il panorama. Appoggiata sulle ginocchia di Gaara mi stavo quasi addormentando, cullata dalle sue leggere carezze sulla pelliccia.
-Oggi ho provato a chiedere scusa a quel bambino.. ma non ha voluto sapere..- mi disse con voce spezzata
Alzai la testa e lo guardai negli occhi –Non è colpa tua.. lui ha esagerato..-
-Anche io.. gli devo aver fatto molto male..-
Scossi la testa e la riappoggiai sulle sue gambe –E’ solo un pappamolle..- borbottai
Gaara sorrise appena ma la sue espressione tornò subito triste –Comunque ha ragione.. sono un mostro..-
Quelle parole mi fecero male, non erano vere. Lui non era un mostro, gli altri erano mostri. Anch’io ero stata ferita dalle persone che amavo ma almeno lui aveva me e suo zio, noi gli volevamo bene.
Un sibilo improvviso mi fece scattare a quattro zampe e un muro di sabbia si alzò dietro le spalle di Gaara. Il suo viso sbiancò e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
-Che cosa è successo?- chiesi spaventata
Non rispose. Balzai giù dal muretto e mi guardai attorno. Sul muro di sabbia erano conficcati circa dieci shuriken, li aveva tirati un individuo col volto coperto. Gli ringhiai contro pronta a balzargli addosso e lui mi tirò un altro shuriken che mi colpì di striscio sulla zampa. Guaii e intanto Gaara rispedì tutti gli altri shuriken indietro, colpendo l’uomo. Indietreggiò fino ad incontrare il muro e scivolò a terra, completamente insanguinato. Gaara ed io ci avvicinammo e lui scostò la maschera dal viso per scoprire il viso pallido di suo zio. Indietreggiò incredulo scuotendo la testa mentre io rimasi a guardarlo piena di rabbia e rancore.
-Zio.. perché? Perché??- urlò scoppiando in un pianto disperato
Ringhia contro lo zio, che cercò di colpirmi, ma Gaara lo intrappolò in un cumulo di sabbia. Lo guardai spaventata mentre, con lo sguardo pieno di rabbia, stringeva i pugni, ordinando alla sabbia di muoversi. Questa schiacciò il corpo dello zio per poi farlo ricadere a terra, privo di vita.
Indietreggiai guaendo, cercando di scorgere lo sguardo dolce di Gaara in quello di odio che dipingeva il suo viso.
-Nessuno.. nessuno mi ama..- singhiozzò abbassando la testa
Le sue lacrime gocciolavano a terra e quando rialzò lo sguardo, un incisione sulla sua fronte sanguinava copiosa tra gli occhi. Che cosa si era fatto? Si era scritto “Ai” sul viso.. amore.
Indietreggiai ancora –Gaara?- chiamai
-BASTA!- urlò ancora mentre il suo corpo si tramutava in qualcosa di orribile
Sembrava che un demone si fosse impossessato di lui. I suoi occhi da azzurri divennero gialli e crudeli, sul suo viso comparve una strana corazza marroncina con venature violacee e due grosse orecchie spuntarono da sopra la testa. Il suo corpo si gonfiò sempre di più finchè i vestiti non esplosero e al suo posto si erse una mostruosa creatura con un enorme coda guizzante, ricoperta da grosse scaglie appuntite.
Il terrore mi impediva di muovere un solo muscolo, la voce non usciva e rimasi a guardare. Mi sentii proprio come quando morì Misaki, impotente. Dov’era finito il mio Gaara? Dov’era finito il bambino a cui volevo così bene? Era un mostro, era per questo che tutti lo evitavano al villaggio.
Non potevo abbandonarlo, avevo promesso di restargli affianco per sempre, ed era quello che avrei fatto. Provai ad avanzare lentamente –Gaara! Ci sono ancora io!- urlai
Il mostro abbassò la testa verso di me e spalancò la mascella nera, pronto a inghiottirmi. Balzai via velocemente e provai a colpirlo con l’arte dell’acqua.
I miei proiettili acquatici non gli fecero neanche un graffio ma servirono solo a farlo arrabbiare ancora di più.
-Non è vero che non c’è nessuno che ti ama! Io ti voglio bene!-
La bestia si fermò per un attimo, fissandomi con i minuscoli occhietti ambrati.
Mi avvicinai ancora –Fidati di me..- sussurrai mentre le lacrime mi pizzicavano gli occhi
Con uno scatto impercettibile alzò la zampa e la calò verso di me, squarciandomi il viso con un artiglio. Venni sbalzata giù dalla terrazza e caddi malamente a terra, rompendomi un braccio e qualche costola.
Mi sfiorai il viso con la mano. Lo squarcio partiva dalla tempia e percorreva il lato sinistro del viso, per poi finire sotto la clavicola. Quella cicatrice non scomparve mai, era sempre lì, come se volesse ricordarmi ogni giorno cosa avevo passato.
Non ricordo molto di quello che feci dopo essere stata colpita. La mia mente era annebbiata dalla paura e feci l’unica cosa in cui riuscivo meglio, scappare. Per mesi non avevo fatto altro che scappare. Scappare dal pericolo, dalla paura.. dal dolore. Era l’unica cosa che sapevo fare.
Così, con le ultime forze che mi rimanevano, mi rialzai a fatica e scappai più veloce che potevo. Superai i cancelli di Suna e arrancai tra la sabbia bollente del deserto mentre i ruggiti spaventosi di Gaara mi rimbombavano nella testa, facendomi tremare il petto.
Mi lascia alle spalle quella che pensavo fosse una nuova vita. Ora avevo un altro peso da portare sul cuore, un’altra voragine nello stomaco. Mi chiesi come avrei potuto superare tutto quello che mi stava succedendo. Mentre correvo per il deserto pensai a qualsiasi cosa, mi venne perfino in mente di tornare a casa. Ero disperata, sola ed impaurita.
Per caso arrivai ad uno strapiombo di roccia, mi avvicinai al bordo e mi sporsi. Era altissimo e nel fondo potevo scorgere  la linea azzurrina di un fiume, oltre ad esso si estendeva una foresta di pini verdi smeraldo che si perdeva all’orizzonte. Il sole stava tramontando, donando al paesaggio un’atmosfera silenziosa e malinconica. Piansi le ultime lacrime rimaste, e i singhiozzi che scuotevano il mio petto cessarono.
Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? Non trovai una risposta, non vedevo più niente nel mio futuro. Avevo perso ogni speranza, ogni emozione.. c’era solo il dolore. Un dolore che mi bruciava dentro. Non ce l’avrei mai fatta ad andare avanti, mai.
Così, mi avvicinai lentamente al bordo dello strapiombo e guardai il sole scomparire dietro ai picchi dei pini, privando il paesaggio della sua luce calda e confortevole, che calò nell’ombra. Anche la luce nella mia anima era tramontata per sempre e non sarebbe mai più ritornata.
Chiusi gli occhi e mi feci cadere nel vuoto con le braccia spalancate, pronta ad accogliere la morte.


ANGOLO AUTRICE:
Nuovo capitolo, nuova parte dell'infanzia di Haruka! :D Questo è il penultimo flashback, spero vi sia piaicuto ;) Gaara sarà molto importante nel corso della storia, lo vedremo rispuntare un po' più avanti ma non ancora, prima voglio concentrarmi su Haruka e cercare di definirla psicologicamente al meglio così da farvici anche un po' affezzionare ^.^ Bhe che dire ancora, Grazie a tutti i lettori eeee alla prossimaa :D
  
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