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Autore: LaMicheCoria    09/05/2014    2 recensioni
2011. Pari a meccanismi di un autonoma, le iridi immobili si animarono, misero a fuoco, rotolarono lungo il bordo delle palpebre e gli si ficcarono addosso.
2013. “Tu che arrivi, ogni volta, come un baluardo di salvezza, un eroe da copertina. Sono tagliato fuori dal mondo, da tutto e da tutti, e l'unico che mi è rimasto, alla fine, sei stato tu. Ci sei sempre tu.”
«Lo sai, no? Gli incidenti capitano.»
Genere: Angst, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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{ Gli Incidenti Capitano ~ File 0.2 }

 

 

Los Angeles Mercy Hospital.
2013.

 

 

«I dottori hanno detto che ti rimetterai.»
«Lo so.»
«Hanno detto che ti rimetterai presto.»
«Lo spero.»
«…Quanto presto, Pep?»
E qui Virginia non riuscì a trattenersi dall’alzare gli occhi al soffitto. Per l’ennesima volta si ritrovò a contare le fascette azzurrine che si rincorrevano sulla sommità delle pareti e che si riunivano agli angoli con una rifinitura blu più scura ed elegante. Il sole si rovesciava dalle ampie finestre dell’ospedale sull’intonaco bianco a bande verde acqua, che dallo zoccolo del pavimento risalivano fino alla metà dei muri, rendendoli accecanti e difficili da guardare. O forse era soltanto il pesante mal di testa e il dosaggio astronomico di medicinali a renderla fotofobica.
Gli stessi intrugli che le avevano impedito di mettere le mani al collo di Tony, a dire il vero. Almeno uno dei due poteva dirsi soddisfatto dell’effetto dei tranquillanti.
«Non lo so, Tony, è inutile che lo chiedi.» lo riprese Pepper, nel torcere il collo sul cuscino per fissarlo eloquente negli occhi.
Capiva la preoccupazione di Stark e ne era anche lusingata, in un certo qual modo, pur tuttavia stava iniziando a non sopportare più gli assalti logorroici del suo datore di lavoro su quanto aveva male, quando sarebbe tornata, se voleva qualcosa da leggere, quando sarebbe tornata, se il guanciale era ben sprimacciato e, ciliegina sulla torta, quando sarebbe tornata. Non che vegetare in un lettino d’ospedale fosse la massima aspirazione del mese, ovvio, ma più Tony continuava ad assillarla, meno aveva di sedersi dietro la propria scrivania alle Stark Industries.
«Diciamo…Due settimane? Tre?»
«Tony…»
Ringraziando la morfina, era troppo imbottita di oppiacei o qualunque altra cosa gli avessero iniettato nelle vene per replicare con più di un blando richiamo. Non poteva negare a se stessa come il ricorso ad un vocabolario non consono ad un Amministratore Delegato suo pari le avrebbe giovato volentieri alla salute –E all’umore. Purtroppo, articolare una frase di senso compiuto era uno sforzo decisamente mastodontico per la lingua quanto per il cervello, figurarsi riempirsi la bocca delle peggiori volgarità a disposizione sul mercato.
Sapeva che, per le Stark Industries come per Tony, la propria invulnerabilità era diventata leggendaria: in pratica, la consideravano più inattaccabile dell’armatura di Iron Man. Virginia poteva vantare inoltre un curriculum di tutto rispetto. Era sopravvissuta ad Obadiah Stane, a Vanko, all’invasione dei Chitauri e, punta di diamante, apice della propria carriera esistenziale, aveva vissuto fino a quel momento al fianco del genio, miliardario, playboy, filantropo Anthony Edward Stark senza essere sbattuta in cella con l’accusa di omicidio premeditato.
La notizia che Virginia Pepper Potts, l’intoccabile, la Magnifica Virginia Pepper Potts era finita in ospedale per un tassista maldestro che le aveva fratturato il bacino e giocato a frisbee coi menischi, doveva essere stato un fulmine a ciel sereno per l’intero staff delle Industries.
Happy, che non mancava mai di farle compagnia –Tranne quando c’era Stark accanto a lei- e non scordava mai di portarle un mazzo di fiori per augurarle in maniera più sommessa, e gradevole, una buona guarigione, ecco, Happy le aveva raccontato che Tony, alla notizia, aveva reagito con aplomb ragguardevole: aveva distrutto soltanto cinque tazze di caffè nel tentativo di prepararsi qualcosa per mantenere la calma. Il giorno in cui Virginia gli aveva annunciato la fine della loro storia ne aveva spaccate dieci.
In azienda, invece, era stato lo sfascio. Gente che si metteva in malattia, segretarie che si licenziavano o preparavano diffide per molestie prefabbricate, addirittura, si diceva, il povero ragazzo che le portava ogni mattina ginseng e colazione macrobiotica aveva mollato tutto, era scappato e adesso vendeva Kebab in una losca stradina di Manhattan. Questi pettegolezzi, sempre riportarti dal fedele e leale Happy, erano un toccasana per Pepper, che li ascoltava deliziata e con un caloroso sorriso sulle labbra.
Certo, la maggior parte delle situazioni erano inventate di sana pianta o ingigantite a dovere, ma era inconfutabile che la degenza obbligatoria dell’Amministratore Delegato avrebbe provocato ben più di un problema. Non tanto perché chi vi lavorava avesse poca fiducia nei confronti di Tony Stark, ma perché Tony Iron Man Stark non aveva dalla propria il tempo necessario per occuparsi delle Industries e intanto prendere a repulsori in faccia il cattivo di turno. Era stato già un miracolo che, saputa la notizia dell’incidente, Tony avesse acconsentito ad un trasferimento imprevisto a Malibu e all’abbandono dei lavori di ricostruzione alla Stark Tower.
Insomma, con tutti questi preamboli e le variabili future del caso, una segretaria non diventava una necessità: era un bisogno quasi fisico.
Per fortuna, a quello aveva pensato lo S.H.I.E.L.D. Non per buona disposizione d’animo nei confronti di Tony –Virginia era dell’idea che Fury avrebbe usato contro di lui la benda a mo’ di fionda, se solo avesse potuto- quanto come una sorta di ultimo favore in memoria dell’Agente Coulson –Oh, Phil.
La scelta, comunque, era qualcosa su cui Tony non perdeva occasione di lamentarsi, di solito dopo aver lanciato invettive gratuite al servizio sanitario, alla programmazione della ABC e al caffè imbevibile delle macchinette.
«Non mi piace che tu sia qui.» commentò Tony, reclinando la nuca all’indietro sulla seggiola in plastica  e osservando Virginia di sbieco «L’ufficio è vuoto, senza di te.»
Fossero stati ancora in una relazione stabile, Virginia sarebbe arrossita. Visto che così non era, optò per un più politicamente corretto sorriso d’accondiscendenza.
«Colin è valido quanto me.»
Stark torse la bocca, modellando le labbra in una smorfia grottesca che accentuava pericolosamente le borse sotto gli occhi e il colorito pallido del volto smagrito.
«Questo è ancora tutto da vedere.»
«Me lo ha raccomandato lo S.H.I.E.L.D.»
«Lo S.H.I.E.L.D. non è molto bravo con segretari e affini. L’ultima era una spia, assassina e pure russa, se la memoria non mi inganna.»
Un piccolo sospiro fuggì il petto affaticato e stanco di Virginia. Senza dire una parola di più, tese mollemente il braccio destro e allungò le dita, il capo appena reclinato nella direzione del magnate. Questi, dopo aver atteso un tempo prestabilito di cinque secondi per non intaccare dignità e compostezza, agguantò i lati della seggiola e si spinse in avanti, facendo sgrattare e arrancare e stridere le gambe metalliche. Pepper gli rivolse un’occhiata ammonitrice, subito dissolta da un’espressione più dolce e serena mentre, cintogli le spalle e convintolo ad appoggiarle la fronte sul ventre, gli lasciava un bacio appena sussurrato fra i capelli e una carezza accennata alla base della nuca.
«Via, Tony, non essere drammatico. Non è niente di che.» tentò di scherzare «Lo sai, no? Gli incidenti capitano.»

 

Località Sconosciuta.
2011.
Appunti del Medico.

 

Il soggetto ha dimostrato una capacità di recupero invidiabile. Pur concordando col dottor Marlowe che si tratta solo di ordinaria di amministrazione e non è nulla di così eclatante come ci aspettavamo, devo ammettere che l’idea di poter studiare questo caso sarebbe più di quanto immaginato anche nei miei sogni più reconditi.
Il soggetto è arrivato in impianto refrigerato direttamente dal luogo di ritrovamento ed è stata subito allestita una equipe specializzata per occuparsene. Da quel che ho potuto capire, il progetto è di massima segretezza e il dottor Marlowe è stato incluso come supporto psicologico per affrontare la tensione derivante dalla reclusione e la totale mancanza di rapporti con l’esterno.
Ero curioso di sapere come ai vertici avrebbero spiegato l’assenza ingiustificata di parte della sezione medica, ma dopo averne discusso col dottor Marlowe ho capito che sono questioni meramente burocratiche, del tutto al di là del mio interesse e del mio ambito lavorativo.
Questa mattina abbiamo cominciato il processo per consentire al soggetto di recuperare il suo calore, nella speranza che il suo sangue sia ancora idoneo per le analisi. Non ho mai assistito personalmente alla cosa, ma ho letto di casi dove un corpo rapidamente congelato è stato completamente rianimato.
Nonostante i fondi stanziati e le conoscenze che ci sono state messe a disposizione, non so se i vertici siano più interessati alla rianimazione o ai suoi fluidi vitali, secondo il dottor Marlowe chiederselo va oltre l’entità del nostro stipendio. E io sono d’accordo con lui.
Per quanto la mia equipe fosse dubbiosa sul recupero da parte del soggetto, quanto sta accadendo va oltre le mie più rosee aspettative: la temperatura corporea del soggetto è stata aumentata nel corso di parecchie ore e le sue ferite sono state suturate per evitare emorragie. Quando la sua temperatura è stata vicina ai valori normali, le nostre supposizioni hanno trovato conferma...tessuti e sangue erano ancora vitali. Gli abbiamo somministrato elettricità, farmaci cardiopolmonari e adrenalina direttamente nel cuore.
Stento ancora a crederci, il soggetto è ancora vivo. E si è risvegliato.

 

 

Località Sconosciuta.
Telecamera di sicurezza.
2011.

 

Un laboratorio. Un lettino al centro. Sei medici intorno. Macchinari alle pareti, un supporto circolare con innesti luminosi posizionato sopra il volto del soggetto disteso. Uno dei medici, dopo aver somministrato un farmaco tramite siringa nel braccio del soggetto, solleva la schiena e si allontana di un passo dal lettino.
I medici si guardano tra loro. Guardano le macchine. Uno dei medici scuote il capo e si toglie la mascherina, rivelando un volto di donna con labbro leporino e naso schiacciato. Dice qualcosa e subito il medico davanti a lei, si presume il capo dell’equipe, le punta l’indice contro. Il medico capo si strappa la mascherina con gesto irato e continua ad abbaiare alla collega.
La situazione si scalda, potrebbe degenerare, quando uno dei macchinari –Un elettrocardiogramma- ha un picco e poi ricade. Gli astanti si immobilizzano. L’elettrocardiogramma ha un guizzo. E poi un altro. E un altro ancora. Ripetuti. Costanti.
L’attenzione dell’equipe è ora tutta rivolta al soggetto disteso sul lettino. Nessuno dice o fa nulla per lunghi minuti, poi un brivido sembra percorrere unanime la squadra. Un movimento dei muscoli del soggetto, un guizzo di vene che partono dal polso destro e percorrono l’avambraccio.
Il medico capo fa segno ai colleghi di farsi indietro.
La gola del soggetto si solleva bruscamente e poi rimane immobile. Alcuni secondi di attesa. Le palpebre si stringono. Gli occhi, dietro di esse, hanno un fremito appena percettibile. Il polso trema. E poi, lentamente, ecco, il soggetto solleva piano le ciglia, le pupille si dilatano e si restringono, s’assottigliano, si spalancano, una ruga gli incide la fronte. Alza le spalle, si mette a sedere, si guarda intorno. L’espressione, dapprima confusa, comincia a diventare diffidente mano a mano che la vista mette a fuoco gli oggetti e il cervello comincia ad elaborare i dati e le circostanze in cui è venuto a risvegliarsi.
Il medico capo allarga le braccia, a volerlo accoglierlo e rassicurarlo. Il soggetto non dice nulla, ma una contrazione guardinga è ben visibile alla mascella, che illividisce. I medici devono essersi accorti del suo disagio e dell’atmosfera sempre più tesa che si sta creando. Tentano di alleggerire, provano a dire qualcosa anche loro.
Il soggetto diventa ancora più vigile, gli occhi guizzano uno alla volta ai visi dell’equipe e da lì si drizzano a osservare, registrare ogni cosa lo circondi, ogni cosa sia sopra la testa, davanti a sé, ai lati. Il medico capo abbassa appena le mani non appena nota l’elettrocardiogramma schizzare e lampeggiare impazzito. Il suono del macchinario ha messo in allarme il soggetto: subito si volta verso di esso, torna a fissare il medico, lo sguardo è affilato, i pugni serrati.
Il soggetto china appena la fronte e solleva appena le spalle prima di scendere con un salto dal lettino e cominciare a tirare calci e pugni per liberarsi dalla presa improvvisa dei medici. I colpi sono calcolati, i movimenti fluidi, è come una danza tale è la naturalezza con cui il soggetto si muove e cerca di farsi strada fino all’uscita del laboratorio.

 

Croydon Avenue, Los Angeles.
2013.

 

Darma si torceva le mani mentre camminava a passettini lungo Croydon Avenue. Era notte inoltrata, forse le due, forse le tre del mattino, non sapeva dare una definizione precisa dell’ora, se fosse giorno in ritardo o sera infinita, senza visione futura di stralci di luce o frammenti di alba.
Si asciugò la fronte con un fazzolettino viola già lercio di sudore e macchie di caffè, lo appallottolò tra le dita grassocce e continuò ad avanzare, girando il collo tormentato da vene rigonfie e bollicine per vedere se qualcuno lo stesse seguendo, se qualche altro lo stava fissando da dietro le tende, se c’era un cane ad annusare la sua scia impaurita da dietro i cespugli o se un borseggiatore avesse deciso di fare di lui una vittima di lavoro.
Quasi sperava che qualcuno si accorgesse della sua presenza lì, su quello stradone infinito affiancato da grigi, monotoni prefabbricati che svettano attorno a lui come cassoni mostruosi, con grandi occhi di vetro e corna di tegole spigolose e fauci di legno, artigli d’erba tosata, scaglie e squame di recinzione dipinte di bianco latte. Sperava che una casalinga inghirlandata di bigodini uscisse di corsa fuori, si fermasse sul viottolo e dalla gola spenzolante carne molla erompesse un garrulo e stridulo grido “E’ lui! E’ il tassista che ha investito quella povera ragazza!” e Darma avrebbe fatto di sì con la testa e ninnoli sul petto avrebbero ondeggiato e tintinnato e lui avrebbe teso i polsi e accettato il giusto arresto.
Perché avrebbero dovuto arrestarlo, di questo Darma ne era sicuro. Aveva compiuto un’azione riprovevole, l’aveva compiuta per mero compenso e ora, adesso, era logico che pagasse. La poverina era finita in ospedale, Darma l’aveva sentito per caso mentre ciabattava pendulo dietro l’ampia schiena del proprio salvatore, e lei non gli aveva fatto niente per meritare di finire in un lettino asettico, magari intubata, magari in fin di vita, magari in coma…Era stato spinto dalla cupidigia, dalla ricompensa e dalla prospettiva di passare ogni cosa liscia, di uscirne indenne e continuare a scarrozzare turisti qua e là per Los Angeles senza noia alcuna da parte dei poliziotti.
Gli piaceva scarrozzare turisti di qua e là per Los Angeles senza noia alcuna da parte dei poliziotti, e poi qualche dollaro in più –Tanti dollari in più- non gli sarebbero dispiaciuti. E nemmeno a sua moglie. E Darma ci teneva a Batari, voleva farla felice.
Ah, chissà che avrebbe detto sua moglie, la sua dolce Batari, sapendo che lui era lì, a bighellonare, tremante come un topo e coi capelli appiccicati alle tempie, alla ricerca di un indirizzo e di un uomo che non gli riusciva di trovare! E’ che aveva paura e la bocca dello stomaco grufolava e guaiva.
Però l’uomo che doveva incontrare era l’uomo buono che l’aveva salvato alla centrale, col viso gentile e gli occhi chiari, quindi cosa mai temere?
Dopo innumerevole scartoffie, prese in giro sull’Indonesia, ore ad aspettare sotto lo sguardo ironico, prepotente degli altri poliziotti, il signor Shea era comparso davanti a lui come un’epifania divina e Darma si era subito fidato del suo volto buono e dei suoi occhi chiari.

Vieni con me gli aveva detto e il cuore di Darma si era sciolto Sono venuto a prenderti. Andiamo via di qui.
Gli aveva messo una mano sulla schiena, il signor Shea, lo aveva fatto alzare, gli aveva offerto il caffè e scambiato uno sguardo di intesa con un collega. Un poliziotto aveva cercato di protestare, dicendo che Darma doveva essere interrogato e per nessuna ragione al mondo lo avrebbe lasciato andare, che la poverina era in ospedale e che era necessaria un’inchiesta.
Il signor Shea, col suo bel sorriso e il volto gentile e gli occhi chiari, si era chinato a sussurrare qualcosa all’orecchio del poliziotto, che era sbiancato, balbettato, spalancato le palpebre come un pesce e poi annuito. Darma era stato in grado di contare le goccioline di sudore appese ai baffi marroni del poliziotto mentre il signor Shea lo osservava soddisfatto e procedeva oltre. Aveva portato Darma fuori dalla centrale, gli aveva detto di non preoccuparsi, gli aveva chiesto se poteva aiutarlo in qualche modo e infine, prima di lasciarlo con una stretta di mano, gli aveva detto di presentarsi per al massimo le tre notte in un dato indirizzo di Croydon Avenue. Lì, gli aveva assicurato, avrebbe ricevuto l’altra metà di compenso per il lavoro così egregiamente svolto.
Vicino al signor Shea era sembrato tutto perfetto e senza fallo. Poi, via via che il tempo passava e si avvicinava l’ora dell’incontro, a Darma le cose non era parse più così cristalline e lodevoli. Al contrario, aveva cominciato a sentir montare il panico, il senso di colpa, e l’idea che un ingranaggio, nel meccanismo losco e complice in cui si era proprio malgrado trovato in mezzo, non fosse al posto in cui doveva stare. Chi erano le persone che l’avevano ingaggiato? Chi era il signor Shea? Perché aveva accettato? Oh, Batari, Batari…!
«Per fortuna, temevo non arrivassi più.»
Darma sobbalzò alla voce calma del signor Shea, dietro di lui.
«Non l’ho sentita arrivare.» si scusò Darma e la bocca divenne arida nell’incontrare gli occhi dell’uomo.
Non era più gentili e caldi: erano freddi, gelidi, lame, dischi di metallo, proiettili. Lo aspettava con le braccia conserte al petto, la testa appena sporta in avanti e nessuna espressione sulle labbra affilate.
Darma deglutì ed ebbe paura.
Raggomitolata sotto le coperte, la guancia affondata nel cuscino e gli occhi fissi all’alone perlaceo dei lampioni sulla finestra, Batari non ebbe neanche il più vago sentore di essere appena diventata vedova.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note                                            

Abbiamo cominciato il processo per consentire al soggetto di recuperare il suo calore, nella speranza che il suo sangue sia ancora idoneo per le analisi. Non ho mai assistito personalmente alla cosa, ma ho letto di casi dove un corpo rapidamente congelato è stato completamente rianimato. ; non so se i vertici siano più interessati alla rianimazione o ai suoi fluidi vitali ; Per quanto la mia equipe fosse dubbiosa sul recupero da parte del soggetto, quanto sta accadendo va oltre le mie più rosee aspettative: la temperatura corporea del soggetto è stata aumentata nel corso di parecchie ore e le sue ferite sono state suturate per evitare emorragie. Quando la sua temperatura è stata vicina ai valori normali, le nostre supposizioni hanno trovato conferma...tessuti e sangue erano ancora vitali. Gli abbiamo somministrato elettricità, farmaci cardiopolmonari e adrenalina direttamente nel cuore. (Ed Brubaker’s Collection – Il Soldato d’Inverno )

   
 
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