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Autore: MrsGreyC    10/05/2014    5 recensioni
Lumache alla vaniglia parla di due ragazzi giovani e impazienti che subito dopo essersi conosciuti si lasciano coinvolgere dalla passione e dalla scintilla che scoppia tra loro. Una storia romantica, fatta di cuori e fiori in stile vaniglia. Tuttavia Janet si renderà conto ben presto che il suo Etienne non è quello che crede e, che a coinvolgere lui e altri esponenti dell’Angle du Paradis, c'è molto più di quanto si aspetti!
-Claudia
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo in(s)contro

Nell’affollato vagone della metropolitana, i passeggeri mi guardano entrare correndo, sui miei tacchi dodici, un attimo prima che le porte si chiudano alle mie spalle.
In metropolitana si sente un buon odore di frittura. All’angolo del vagone, una affabile signora mantiene due grosse teglie di fiori di magnolia e un pentolone contenente piselli lessati con olio e cipolle.
Le due contrastanti fragranze invadono il vagone rendendo affamati tutti i passeggeri, me compresa.
Dall’altra parte del vagone, il profumo non arriva a causa del nauseante odore di sudore di un ciccione. -Suvvia, Janet, si dice ‘uomo in carne’- Uomo in carne, grazie al cazzo.
Mancano solo due fermate e il panico mi sovrasta.
Da ben due settimane ho affrontato diversi colloqui in ospedale e in altri centri di cure, ma fino ad ora niente mi attira particolarmente. Ritengo che la maggior parte di quelli visitati sia da riformare dalle fondamenta.
In questo dannato vagone puzza e mi viene un enorme senso di nausea. Non vedo l’ora di scendere.


Guardo accigliata il display del mio smartphone cercando di capire dove diavolo mi trovo. –Hmm, Route de le fenouil …-
Sul mio dizionario italiano/francese, la parola fenouil la traduce in finocchio.
“1. Fenouil [finocchio] 2. fam. offens [omosessuale] pédé m.”


Stringo gli occhi a fessura, cercando di interpretare il significato e scoprire in quale assurdo posto mi trovo.
Dopo aver realizzato che “fenouil” non centra nulla con “pédé”, inizio a seguire le indicazioni.

Arrivo alle tre meno dieci, alquanto sollevata di non essere in ritardo e mi ritrovo davanti un enorme palazzo di diciassette piani, tutto in vetro e acciaio.
Sull’insegna di vetro, davanti l’entrata c’è in caratteri molto sobri la scritta “L’angle du Paradis”.
Mi inoltro nell’imponente atrio, con il fiatone e, mentre cerco di interpretare le indicazioni riguardanti la disposizione degli uffici, vedo una splendida signora sulla quarantina che mi sorride amabilmente. Indossa un elegante tubino blu e tortora di Calvin Klein e mi raggiunge con quel suo raffinato portamento.
La donna mi conduce in un’enorme sala d’attesa e mi fa accomodare, prendendo la mia giacca nera di Elisabetta Franchi. Poi chiede il mio nome e l’appuntamento.
«Mi chiamo Janet Dumas, ho un colloquio all’oncologico/pediatrico».
La signora dai lunghi capelli scuri, mi rivolge improvvisamente un sorriso caloroso e io ricambio esitante.
 «Oui, mademoiselle Dumas, la stavamo aspettando. Prego attenda qualche minuto. Sono subito da lei».
La vedo scomparire per un attimo dietro la reception e poi ritornare verso di me: «Prego da questa parte. Mi segua» . Mi accompagna in un corridoio lungo kilometri. Dopo aver percorso mezzo corridoio, mi fa cenno di prendere l’ascensore sulla destra.
L’ufficio del caposala Daniel Perrain si trova in fondo al corridoio, al quinto piano. Prima di entrare, la signora mi porge un cumulo di scartoffie da compilare durante l’attesa. Firmate tutte le scartoffie, mi avvicino un po’ goffamente all’ascensore, con gli occhi incollati su quei fogli.
Leggere mentre si cammina non è proprio un’idea brillante.
Premo il pulsante e dopo qualche secondo, le porte si aprono. Faccio per dirigermi all’interno, sempre intenta a leggere la pila di sciocchezze che reggo con entrambe le braccia, ma prima di riuscirci, inciampo in un maledetto mobiletto ai miei piedi e perdo l’equilibrio, finendo tra le braccia di qualcuno che sta uscendo dall’ascensore. Impreco mentre i fogli sfuggono alla mia presa e iniziano a volare ovunque.
Poco prima di cadere a terra rovinosamente tiro fuori una qualche specie di urlo per lo spavento preso. Bene, e dopo aver dato spettacolo, posso etichettare la giornata come “normale”. –Cazzo!- divento paonazza per la vergogna mentre mi maledico mentalmente.
Alzo gli occhi per vedere chi mi ha salvato miracolosamente l’osso sacro e mi ritrovo dinanzi a un ragazzo alto, biondo, con gli occhi di un azzurro così intenso da ricordare il colore del mare artico.
«Tutto bene?» chiede mentre prova a rimettermi in piedi.
«Bene… Scusami… Grazie…». Sento  le guance avvampare.
«E’ stato un piacere. Non capita tutti i giorni che le donne mi cadano tra le braccia».
Che figuraccia! Mi fissa con un sorriso splendido stampato sul viso e io voglio solo sparire dal disagio.
«Grazie ancora per avermi salvato …». Mi abbasso e cerco di raccogliere tutti quei fogli inutili. Il ragazzo posa il grosso pacco che porta in grembo e tenta di aiutarmi. Gli faccio cenno di non preoccuparsi ma insiste. Infine, recupero la borsa che mi è caduta nell’urto e mi rimetto in piedi, chiamando in fretta l’ascensore nella speranza di potermi nascondere dal suo sguardo.
«Se avrai voglia di precipitare ancora, spero di essere nei paraggi». Ha un delizioso accento francese. Mi rivolge un ampio sorriso e io resto nuovamente paralizzata. Faccio per guardarlo furtivamente. È un figo da paura. “Accidenti!”
Mi infilo nell’ascensore lanciandogli un sorriso imbarazzato. Lui aspetta la chiusura delle porte, e sempre con il sorriso stampato in faccia, mi saluta con la mano.
Ora, parliamo della sua mano. Quanti pensieri perversi mi sono venuti in mente dopo quella visione strabiliante. Oh, vorrei quella mano su tutto il mio corpo … – Via, Janet, tieni a freno questi ormoni pazzi!- mi rimprovera la mia dea interiore.
Oddio.
Non riesco a scrutarlo bene, ma inquadro chiaramente il suo abbigliamento:  camicia di lino bianca con le maniche arrotolate fino al gomito e jeans che gli cadono sui fianchi in quel modo decisamente attraente. È-così-sexy.
Porta un enorme scatolone che probabilmente deve consegnare a qualcuno che lavora nell’edificio. Un fattorino. –Mhmm, cazzo al fattorino!-

Salgo in ascensore fino al quinto piano e quando le porte si aprono, mi ritrovo in una sala molto spaziosa, un po’ spoglia con le pareti tutte colorate. Sono nel reparto pediatrico, il reparto in cui vorrei dedicare la mia intera vita.
Attraverso l’atrio e poi svolto a destra. Mi fa sorridere amabilmente la vista di tutti i gioiosi bambini che ridono e scherzano nonostante la flebo. Bisognava essere davvero forti per alcuni da sorridere in quel modo nonostante i casi tristi e, talvolta, disastrosi.
Raggiungo finalmente l’ufficio del dott. Daniel Perrain. A causa della precedente imbarazzante figuraccia ho una paura matta. Mi tremano le gambe, accidenti. Non credevo si potessero bruciare tutte queste calorie stando ferma, con le spalle strette e i brividi freddi che corrono sulla mia schiena. Il mio tailleur di Audrey Hepburn può confermare.
Busso con la mano tremante. Una voce calda e confortevole mi risponde «Entri pure».
Una ragazza bionda, con un caschetto esagerato viene ad aprirmi la porta. Mi accoglie dentro ed esce, chiudendo la porta alle mie spalle.
Entro e vedo un’enorme scrivania tutta in legno intrecciato. L’ufficio è arredato con gusto decisamente moderno. Ci sono moltissimi trofei, ma ad attirare la mia attenzione è un quadro. È l’imitazione dell’Urlo di Munch. Fisso l’opera che da sempre è la mia preferita. A quanto ne so, l’originale è in mostra al pubblico in occasioni straordinarie, mentre solo le imitazioni costano una cifra spropositata.
Dietro la scrivania, c’è un bell’uomo sulla quarantina vestito in abito scuro intento a fissarmi.
«Le piace il mio Munch, mademoiselle?».
«Si, ho sempre amato questo quadro. Per me ha un preciso significato». Difatti, l’Urlo era uno dei quadri preferiti di mio padre. Egli era anche un discreto pittore e, prima di partire per l’Africa, iniziò la sua imitazione del quadro. Purtroppo non riuscì a finirla, ma non smisi mai di ammirarla.
«Conosco il suo volto, mademoiselle. Dove ci siamo già incontrati?» mi pietrifica con uno sguardo piuttosto freddo ma gentile.
«Salve, Dott. Perrain. Dopo la cerimonia di laurea all’università di medicina di Milano, c’è stato un incontro tra alcuni esperti con i rappresentanti delle varie facoltà tra cui io. Lei ha risposto a delle domande che le ho rivolto personalmente sullo sviluppo prenatale. Dopo la riunione le ho personalmente fatto domanda per un colloquio in questo settore. Mi ha dato appuntamento per oggi».
«Oh, ora ricordo. Mademoiselle Dumas, che piacere incontrarla nuovamente! Inizialmente non l’avevo riconosciuta, ha cambiato taglio di capelli?» lo guardo stranita. Scuoto il capo.
«Ehm, in realtà no … Comunque mi piacerebbe entrare in questo settore. Sono venuta per il colloquio. Ci sono posti disponibili?» ammicco.
«Ma per lei, mademoiselle, certo che ci sono posti. Se n’é appena liberato uno nella nursery. Può avere a disposizione anche un ufficio qui all’oncologico-pediatrico.»
«T-tutto qui?» gli rivolgo un’occhiata alienata, ma delusa dal colloquio.
«Intende il colloquio? Oh, non si preoccupi. Ho avuto modo di conoscere il suo livello,  alla cerimonia di laurea. Ho subito capito che sarebbe stato un privilegio averla qui».
«La ringrazio, sono molto lusingata».
«Allora, se mi vuole seguire un attimo, le faccio visitare il settore».
«Dopo di lei …».
 
La visita dura circa un’oretta. In questo lasso di tempo, ho osservato a lungo le condizioni dei bambini, ho provato dispiacere per alcuni e mi sono congratulata con due donne che avevano appena partorito. Il caposala Perrain, mi lascia da sola a gironzolare nel reparto. «Poi passa nell’ufficio del  dott. Stern, devi compilare alcuni moduli». Ha già acquistato confidenza, ma meglio così.
Mi metto a guardare addolcita tutti i neonati nella nursery. Il mio sguardo è distratto a osservare le meravigliose minuscole creature che ospitano quei seggi alle spalle di una grande vetrata.
A un certo punto, mi arriva un messaggio e, mentre sono intenta a prendere il cellulare, dirigo lo sguardo nella mia borsa. Prima ancora di riuscire a posare gli occhi sul mio cellulare, vedo uno scatolone in primo piano. Guardo meglio.
Ed eccolo. Di nuovo lui. Per un attimo mi sento un mito a non sbatterci contro.
Stavolta ha in mano uno scatolone più grosso di quello di prima. È senza dubbio il fattorino più carino che abbia mai incontrato.
Si avvicina a me con il suo sorriso perfetto e gli occhi divertiti.
«Ci si rivede … Sono contento che questa volta tu riesca a reggerti sulle tue gambe».
Mi sento un’imbecille.  In momenti come questi non faccio altro che desiderare  una botola che si apre sotto di me, facendomi sprofondare nelle cantine e sparire per sempre.
«Si … Ecco, mi sto sforzando di mantenere l’equilibrio» rispondo, cercando di essere spiritosa. Continua a fissarmi con insistenza e, per sfuggire al suo sguardo di ghiaccio, mi metto a studiare i corridoi così da non perdermi al ritorno.
«Ti sei persa?», mi chiede gentilmente avvicinandosi. Ha un buonissimo profumo, dio. È così virile. Potrei  saltargli addosso.
 –Te ce meni tu o te ce butto io?- mi scuote sbavando la mia dea interiore, con un accento romano.
Cerco di reprimere un attimo quel pensiero e alzo lo sguardo. «Non proprio. Ho appena finito il colloquio con il Dott. Perrain. Sono stata assegnata in questo settore, così stavo dando un’occhiata in giro. Tra poco devo passare dal Dott. Stern a compilare dei moduli» rispondo entusiasta e con il sorriso a mille.
«Che coincidenza! Anche io sono diretto nell’ufficio del Dott. Stern. Vieni, ti faccio strada». Il suo accento è molto elegante ed anche terribilmente sexy.  Mi perdo al pensiero di camminare accanto a Mr. Occhioni stupendi – Cazzo, cazzo, cazzo!-
Prendiamo nuovamente l’ascensore, indirizzato al piano di sopra.  L’ascensore si ferma al piano e lui galantemente mi invita a entrare. L’idea di dividere con lui quell’ascensore soffocante fa fremere la parte più profonda di me. Devo far ricordo a tutte le mie forze per resistere all’impulso di saltargli addosso e incidere un segno di rossetto rosso sul suo colletto bianco. – Calma, calma, calma-
Noto che mi fissa con quei suoi mari in volto e cerco di concentrarmi su qualsiasi  altro punto che lo escluda dalla mia vista. Penso che sto per collassare qui. – No, resisti. Non puoi cadere di nuovo. Respira e vedi di stare dritta!- mi ammonisco.
Devo assolutamente riscattarmi dalla figura pessima di due ore fa.  Voglio essere gentile e dimostrargli che non sono una completa idiota.
«Deve essere un bel lavoro il tuo» commento sorridendo. Mi guarda un po’ perplesso. «Be’, consegnare pacchi in giro per Parigi … conoscere un sacco di gente», mentre pronuncio queste parole mi rendo conto di quanto ridicole possono sembrare alle orecchie di uno sconosciuto.
E infatti ride: «Oh, oui. E’ veramente un bel lavoro, si incontrano molte persone interessanti» ammicca fissandomi con quei suoi occhi grandi come fanali. Divento paonazza e mi guardo le mani.
«Sono molto pesanti i pacchi che consegni?»  – Bel colpo, Janet! Sai fare domande davvero intelligenti … - cerco di zittire la mia dea interiore ma con scarsi risultati.
«Be’, consegno pacchi di ogni tipo: grandi, piccoli, enormi». Sorride e non mi stacca un secondo gli occhi di dosso. Il suo sguardo è magnetico. Vorrei ringraziarlo per la cortesia delle sue parole e per non aver permesso ulteriori figure imbarazzanti. Mentre cerco di nascondere il rossore sul viso, le porte si aprono. – Finalmente cavolo!-
«Prima le signore» mi fa l’occhiolino.
«Signorina» preciso, con fare saccente. Lui ride.
Mi conduce fuori dall’ascensore e mi fa strada verso l’ufficio del Dottor Stern. A quanto pare, deve consegnare proprio a lui l’enorme scatolone che sta trasportando.
«Sei molto carina quando cammini senza inciampare». Mi coglie alla sprovvista e ricomincio ad arrossire in un solo istante. – Accidenti, lo fa apposta-
«Grazie … Ti assicuro che di solito non crollo tra le braccia di sconosciuti», dico fissandomi i piedi per non incrociare il suo sguardo.
Giungiamo davanti alla porta del dottore. Mr. Bellissimo bussa leggermente per segnalare la sua presenza, poi entra.
«C’est moi!» mi viene da urlare come una liceale al suono del suo francese.
«Vieni pure» risponde una voce giovane dall’interno. Dall’altro lato della scrivania, posizionata al centro della stanza vedo un sorridente ragazzo della mia età, con indosso un paio di jeans e una T-shirt dei Clash.
«Ti ho portato ciò che stavi cercando» dice il fattorino con tono sicuro. «E poi ho trovato un nuovo acquisto presso la nursery».
Mi fissano entrambi, sorridendo. – Ma anche una cosa a tre non mi dispiace-, la mia perversa vocina interiore non fa che dire cose oscene che non erano poi tanto da lasciar perdere che ignoro.
«Lei deve essere la nostra nuova risorsa milanese» dice Stern, scrutandomi e indicandomi una sedia sulla quale accomodarmi.
«Sono Janet Dumas e in realtà sono nata a Parigi» replico.
«E’ un piacere conoscerla, Janet. Se permette, potremmo darci del tu».
«Volentieri».
«Grazie Étienne», dice al principe dagli occhi blu, dopo aver appoggiato lo scatolone sulla scrivania. «Spero di rivederti presto, Janet, magari al prossimo giro in ascensore», rivolgendomi uno sguardo ironico. «Ah, tanti auguri per il posto» termina sorridendo. Ricambio il suo con un sorriso timido. – Étienne, Étienne, si chiama Étienne!- urlo dentro.
«Ti ringrazio» mi sento un po’ a disagio. Étienne ci lascia soli chiudendosi la porta dietro di sé. Paul Stern mi scruta per un momento, poi inizia: «Dunque, tu hai frequentato il liceo di letteratura classica, poi sei entrata nell’università di medicina a Milano e ti sei laureata con i voti migliori d’istituto nella facoltà oncologica. Hai frequentato un corso pediatrico per un anno sempre a Milano e ora ti sei trasferita qui a Parigi». Mai sentito riepilogo più veloce della mia vita, escludendo la presenza di uomini e puttanelle da quattro soldi. Chiedo venia per il linguaggio indecente e poco consono. Ogni riferimento a Marco e Marika è puramente casuale.
«È esatto» gracchio intontita.
«Bene, Janet, firma qui» mi indica tre spazi bianchi su diversi fogli. Firmo senza leggere. Mi consegna le copie dei fogli e mi invita a prendere un caffè in onore della mia ammissione.
«Ti ringrazio, Paul, ma magari un’altra volta» rifiuto e mi pento di colpo. – Étienne è andato via, idiota! Paul pure è molto *%&£*$%*? – inizio a dare i numeri.
«Quando vuoi, cherì. Siamo a Parigi» sorride al massimo che può e io mi avvio verso la porta.
Nel prendere l’ascensore, stavolta, sono un attimo esitante. Lo chiamo e aspetto l’apertura delle porte con fare vigile, nella speranza di non combinare altri disastri. Chissà se lo incontro. Sogno. – Suvvia, ragazzina! È andato via, ficcatelo in testa! -
L’ascensore si apre e io tiro un sospiro di delusione nel trovarlo vuoto. Prima di alzare lo sguardo ed entrare, qualcuno mi picchietta la spalla con il dito. Mi volto di scatto, tremante, quasi sul punto di inciampare nei tacchi. – Non può essere  -
«Cercavi me?» ed eccolo di nuovo. Étienne. Étienne. Étienne. Étienne. Étienne. Cazzo Étienne.  Étienne. Étienne.
Resto quasi senza fiato. Voltandomi, mi ritrovo a pochissimi centimetri da quello sguardo di ghiaccio. Avvampo.  – Oddio-quanto-sei-sexy - ripete la mia coscienza. «Cazzo, si!» esclamo a voce flebile, in risposta alla mia dea interiore.
«Che cosa? Non ho capito», dice cominciando nuovamente a fissarmi. Siamo talmente vicini che se mi protendo un altro po’, riesco a toccargli la punta del naso -quel bellissimo naso- con il mio.
Indietreggio di un passo, rossa peperone.
«Ehm … Ci si vede ancora!» quasi urlo dall’imbarazzo.
Lui ricambia la mia affermazione con un sorriso dolcissimo. Accidenti, mi ha sicuramente sentita.
«Hai da fare … Ehm … Ti va un caffè? Devo farti le mie congratulazioni». Ebbene si, mi ha appena invitato a prendere un caffè. Per parlare. Per conoscerci. Per- Oddio. Ho bisogno di una settimana per riprendermi. Qualcuno mi faccia aria, per favore. Potrei morire felice, nonostante non vada molto d’accordo con il caffè.
Ho appena rifiutato lo stesso invito da parte di Paul e se lo venisse a sapere si offenderebbe. Sono esitante. – Ma chi se ne frega!- Scusa Paul, ma in circostanze del genere, sfido chiunque a rifiutare Mr. Perfezione. Magari poi portami in un posto isolato, mi va bene anche in ascensore per la nostra prima volta, davvero!
 - Janet Dumas, non farti pensieri sconci, non farti pensieri sconci. È solo un caffè. Solo.Un.Caffè. - E grazie al cazzo.
Alla fine mi decido. Prendo un respiro lunghissimo nella speranza di rispondere con una voce passabile e accetto l’invito. «Ti ringrazio, mi piacerebbe molto».
 
 
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Spazio autrice: Come avevo promesso, rieccomi qui. Avete presente quei momenti in cui vi sentite dei miti per l'eroica impresa appena compiuta? Ecco, mi sento esattamente così. Riscrivere da capo una storia, cambiando praticamente quasi tutto è stressante, però sono molto contenta dei risultati. Stavolta sto cercando di rendere il contesto molto più lento. (nella versione originale facevano sesso il primo giorno O.O) Stavolta cercherò di tirarla moooolto per le lunghe. E che altro, vi ringrazio per aver letto questo primo noiosissimo primo capitolo. Grazie a tutti se vorrete continuare a leggere la storia, se vorrete aggiungerla tra le storie preferite e se vorrete (Dio, ti supplico) recensire. ^^ Mi sono impegnata un sacco. Nel prossimo capitolo vedrete una svolta. Non voglio correre, difatti voglio dare solamente un'impressione. Non aspettatevi una corsa nel lettuccio!
Al prossimo capitolo!
Claudia 
  
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