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Autore: Calenzano    11/05/2014    1 recensioni
Keana, intellettuale del distretto 5, introversa e inquieta. Con tanta passione per i grandi ideali quanta sfiducia in sé stessa. E con il tacito desiderio di una sorella minore. Non certo il tributo ideale per i Giochi. Ma quando Capitol City va a colpire nel profondo, non può più permettersi di restare a guardare.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E mentre marciavi con l'anima in spalle

vedesti un uomo in fondo alla valle

che aveva il tuo stesso identico umore,

ma la divisa di un altro colore.”

(F. de Andrè, “La guerra di Piero”)

 

 

Prevengo le sue domande con un gesto, devo assolutamente riprendere fiato. Una volta al sicuro qualche strada più in là, mi getto a sedere per terra, finchè riprendo a respirare normalmente. Il cannone tuona improvviso. Quando sono di nuovo in grado di parlare, le dico, con un tentativo di sorriso: “Sei stata bravissima.” Codrina mi ringrazia, ma vuole sapere cosa sia successo. Le racconto tutto mentre torniamo verso il cantiere, nel buio ormai fitto.

“Era la senior del 12.” Dice lei, quando le riferisco della ragazza incrociata.

“Credo sia caduta dalla terrazza, nel tentativo di scappare da Wolwerine.” Commento a mezza voce. O forse, realizzo, si è gettata giù, vistasi spacciata. Sto cercando di non pensare al fatto che le ho tirato addosso io il suo assassino. Codrina invece è assorta nei calcoli. “Siamo la metà, adesso. Dodici.”

Giunti al nostro riparo crollo addormentata appena toccata terra, e mi sveglio che è mattina inoltrata. Svuoto quanto resta della nostra borraccia di fortuna, sento la bocca più arida di un coccio, e le labbra screpolate. E' inevitabile un'altra pericolosa gita al silo, per rifornirla. Per fortuna tutto fila liscio, e la bevuta è così paradisiaca che vale tutto il rischio.

 

Nel pomeriggio siamo d'accordo: dobbiamo cercare qualcosa da mangiare. Riempirsi lo stomaco d'acqua non può funzionare a lungo. Io in particolare, dopo la folle corsa di ieri, mi sento uno straccio. Prossimo obiettivo, dunque, il centro commerciale. Con circospezione ormai familiare sbuchiamo sulla Rambla, il grande viale. Dall'altro lato si intravedono le torri in vetro del nostro obiettivo. Una vigile e provvida paura è la madre della sicurezza. Speriamo, per il momento la mia sicurezza latita alquanto. Attraversiamo velocemente e in breve ci troviamo in un grande spiazzo, che in condizioni normali verrebbe usato come parcheggio, ma qui è desolatamente vuoto. Tiro un bel respiro e dico a Codrina di aspettare. Tesa al massimo, mi approssimo all'entrata, e getto un'occhiata dentro con cautela. Detriti e cartacce penetrati attraverso la porta automatica spalancata giacciono nella galleria interna, che però sembra sgombra. Faccio un cenno di via libera a Codrina, che mi raggiunge di corsa. Entriamo.

I nostri passi sembrano rimbombare amplificati dal grande spazio. I vani dei negozi, infatti, sono desolatamente vuoti, o ingombri di macerie. Dei manichini spuntano assurdamente qua e là. Sento lo sconforto salire man mano che avanziamo, qua non c'è proprio niente da mangiare, e neppure di utile. Due occhi femminili contornati di rimmel, tutto ciò che resta di un cartellone pubblicitario sbiadito e lacerato, ci fissano languidi al di sopra di uno slogan ormai illeggibile. Arriviamo a un grande arco metallico, che introduce in una corte. Dall'altra parte vengono dei riflessi strani, ed entriamo. Quello che ci troviamo davanti è così irreale da farmi dubitare dei miei occhi. Un grande acquario rettangolare, alto più di me e di vetro brunito, occupa il centro della corte. L'acqua manda barbagli danzanti riflettendo i raggi del sole che penetrano dalla cupola di cristallo in alto, e numerosi pesci, grandi e piccoli, vi nuotano dentro guizzando. Non mancano neppure le alghe, che ondeggiano placide. L'effetto è da fiaba, ed è incredibilmente fuori posto in mezzo a tutta questa desolazione.

“I pesci...” La voce entusiasta di Codrina mi fa riscuotere. E' vero, abbiamo il cibo, e abbiamo pure l'acqua. Mi metto subito alla ricerca di qualcosa su cui poter salire, e lo trovo in un rottame poco fuori la corte. Con questo arriviamo agevolmente a pelo d'acqua, e beviamo a lunghe sorsate, prima di riempire la borraccia. Quindi Codrina scende per lasciarmi posto, e io provo a catturare uno dei pesci più grossi, ma quello ovviamente mi sguscia tra le mani. Tento ancora più volte, ma riesco solo a provocare ondate di spruzzi, peraltro piacevoli.

“Serve una mano?” Fa Codrina, gentile come sempre, ma con un malcelato sorriso divertito.

“Tutto sotto controllo.” Sbuffo.

“Eppure mi pareva ci fosse il sole, qui invece piove...” Insiste lei. Fingendomi offesa, le lancio uno schizzo d'acqua, e lei si schermisce ridendo.

Di buonumore, torno a concentrarmi sui pesci. Medito di cercare un bastone e di legarvi il coltellino creando una sorta di arpione, ma poi ho un'idea migliore. Recupero la giacca, e non appena l'ombra di un pesce passa sotto di me la affondo in acqua come se fosse una rete. Tirandola su grondante la sento agitarsi: è fatta! Lancio la preda sul pavimento, è un bel pesciolino blu tropicale, che sbatte la coda ancora un po' prima di immobilizzarsi definitivamente. Con questo sistema riesco a catturarne altri tre. Strappo anche qualche alga. Mentre li sto riponendo nello zaino, dico a Codrina di cominciare a cercare qualcosa per fare scorta d'acqua. “Meglio se grande, ci deve bastare...”

“Keana.” Mi interrompe. Alzo gli occhi, la vedo che fissa l'arco dell'entrata, e seguo il suo sguardo fino al junior del 7, fermo sulla soglia.

 

Ha in mano qualcosa che sembra un coccio, triangolare e dai bordi taglienti, e sta fissando Codrina in maniera sinistra. In questo momento lei, così dolce e inoffensiva, è un nemico, è un ostacolo alla sua uscita di qua. Senza riflettere, senza esitare, salto giù, e in un attimo mi paro tra lei e lui. Non ho altro che il mio coltellino in tasca, ma devo avere un'espressione così minacciosa che quello arretra di qualche passo. “Vattene.” Mi esce in un ringhio irriconoscibile.

Lui esita, e per un lunghissimo istante mi trovo a fissare i suoi occhi nocciola, disperati, poi accenna a voltarsi. Ho un'ispirazione improvvisa, e senza perderlo di vista apro lo zaino, prendo uno dei pesci, e glielo getto ai piedi. Quello mi fissa sbigottito, e io gli faccio un brusco cenno col mento, prendilo e sparisci. Poi, mentre lui si china per raccogliere il pesce, qualcosa si muove ai margini del nostro campo visivo. Uno dei manichini è emerso dall'ombra e sta avanzando verso di noi, lentamente, beccheggiando come se sotto i piedi avesse piccole ruote. Restiamo interdetti a guardare, mentre raddirizza braccia e testa con scatti meccanici. Solo allora mi rendo conto che dove dovrebbero trovarsi le mani ci sono due lame circolari, sporgenti. Come in una sequenza dell'orrore, le vedo attivarsi con un rumore ronzante e iniziare a ruotare vorticosamente, il junior del 7 che si rialza di colpo, fa un passo indietro, e l'automa, come reagendo al suo movimento, che gira improvvisamente la testa senza volto nella sua direzione, scatta in avanti e sfreccia a una velocità spaventosa contro di lui. Non so di chi sia l'urlo di terrore che risuona nella corte, se suo, mio o di Codrina, ma la sto già cercando freneticamente con gli occhi per dirle di scappare. Incitamento superfluo, sta già lanciandosi fuori in una corsa folle, a cui mi unisco all'istante. Attraversiamo il corridoio quasi volando, facendolo riecheggiare dei nostri passi, mentre alle nostre spalle le urla riempiono la volta a vetri. L'orrore mi mozza il fiato in gola, ma quando percepisco un movimento con la coda nell'occhio rischio di dare di matto. Tutti i manichini del centro commerciale si sono animati, e stanno attivandosi al nostro passaggio. Qualcuno si è già lanciato all'inseguimento, e il ronzio sempre più forte è da incubo. L'uscita sembra spaventosamente lontana, quasi un miraggio. Forse urlo qualcosa a Codrina, o forse è il colpo di cannone; ma è solo quando usciamo nella luce abbagliante che le dico di girare verso la galleria sopraelevata. L'ho fatto senza riflettere, ma per quanto correre sulle scale in salita sia faticoso, l'imboccatura stretta ostacola il gran numero di manichini che cercano di entrarvi dietro di noi, che si urtano e si ostacolano ammassandosi, e qualcuno si rovescia a terra. Passiamo a razzo sopra le chiome degli alberi della Rambla, calpestando i vetri rotti, e scendiamo dall'altra parte. Solo allora mi accorgo che il rumore ronzante è cessato, e che i manichini assassini non sono più in vista. Ma mi ci vuole parecchio prima di riuscire a togliermelo dalle orecchie.

 


Quella sera festeggiamo lo scampato pericolo con pesce arrostito. Non c'è stato bisogno di accendere pericolosi fuochi: è bastato poggiarlo su una lamiera lasciata al sole. Mangio di gusto, nonostante il sapore stopposo e insipido, e Codrina pure. Pensare che a casa avrei storto la bocca di fronte a un piatto del genere. D'un tratto, mentre mastichiamo in silenzio, lei mi fa: “Kea... posso chiederti una cosa?”

“L'hai già fatto.” Scherzo. “Comunque dimmi.”

Lei però è seria. “Perchè gli hai dato il pesce?” Non c'è polemica nella sua voce.

Capisco al volo che si riferisce al tributo del 7. Sono disorientata, e rispondo di getto: “Perchè se ne andasse. Probabilmente anche lui era in cerca di cibo.”

“Se ne stava andando comunque, l'avevi spaventato a sufficienza.”

Non so cosa dire. Ripenso al suo sguardo angosciato, e le parole mi escono da sole. “Anche quello è un figlio di madre. Aveva fame. Cosa c'era da riflettere?

Codrina mi guarda perplessa. “Un racconto. Magari quando torniamo te lo faccio leggere.” Dopo una pausa, riprendo: “Non so come andrà a finire, te l'ho detto la sera prima di venire qui. Ma so che se permettiamo a quello che succede qua dentro di cambiarci, non so se riusciremmo più a essere come prima. E se cambiamo tanto da perdere di vista ciò che c'è di più vero, di più bello e giusto, avremmo perso in ogni caso.” Ho parlato seguendo il filo dei miei pensieri, ma credo che lei abbia capito ugualmente. Di più non posso dire, non devo scordare che Strateghi e sponsor sono in ascolto. “Vorrei che lo ricordassi, se mi dovesse succedere qualcosa.” Aggiungo a mezza voce. Lei annuisce, seria.

Siamo ormai coricate per la notte, quando nel buio mi fa: “Grazie per tutto quello che fai. E' proprio così che immaginavo, insomma, avere una sorella.”

Eccomi basita. In poche parole ha risposto a tutti i miei dubbi, le mie paure, le mie pene. I tuoi sbattimenti mentali! Direbbe Baria, fine come sempre. Sento il cuore che si allarga incredibilmente, ho l'impulso di prendere questa ragazzina dolcissima e strapazzarla di baci. “Vale anche per me, sai?” Sorrido, sporgendomi a farle una carezza. La sua mano scivola a prendere la mia, e la lascio solo quando la sento allentarsi, poco a poco, nel sonno.



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E.N.P.
Chiusura col tenerometro (e filosofometro) a mille, ma serviva per allentare un po' dopo l'allegra scena al centro commerciale.

Nel caso non fosse chiaro, detesto i manichini. Hanno un che di inquietante. A proposito, ne approfitto (ruffianamente) per un omaggio al mio fido recensore Ser Balzo e alla sua eccelsa storia "Dopo la chiusura", che raccomando a tutti, automofili o meno!


P.s. Mi scuso per le ripetute morti fuori scena, per evidenti motivi di regia. Nel prossimo capitolo, un po' di sangue in diretta (ride sinistramente).
  
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