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Autore: h e r o i n e    11/05/2014    4 recensioni
''Argo allunga una mano e gioca con le punte dei miei capelli.
La sua idea mi spiazza, mi ha offerto un’ulteriore risposta alla mia domanda esistenziale, e l’ha liquidata in sette secondi.
Forse è un paradosso, ma l’infinitamente piccolo non è poi così diverso dall’infinitamente grande. Quando l’incertezza emotiva – ma anche fisica, se penso che non so cosa farò in questo posto - in cui navighi è sconfinata, arrivi ad un certo punto dove basta una piccola cosa a farti da appiglio.
Qualche parola.
O il braccio muscoloso di un ragazzo.''

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Dove trovare se stessi?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
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- CAPITOLO SETTE -

So che sto sognando perché sono con la mia famiglia, nella casa in cui sono nata e cresciuta. Ne sono più o meno consapevole, mentre rido e parlo con i miei genitori e con mio fratello. Sono esattamente come li ho visti l’ultima volta e come ho deciso di ricordarmeli. Sembra Natale, ma non vedo decorazioni in giro.
Posso godere della loro presenza, ma sentirmi reale non rende loro tali. Non voglio svegliarmi, a meno che quando apro gli occhi non sia lì con loro davvero, a Seattle.
In quel quadretto idilliaco improvvisamente succede qualcosa. Non capisco perché, ma cala la tristezza come un ombra che oscura il sole, mentre gli occhi dei presenti non sono più illuminati dai riflessi delle candele accese sul camino ma da torbidi e penetranti sguardi d’accusa.
 
Spalanco gli occhi e mi alzo come un automa dal letto, negandomi il tempo di pensare a qualsiasi cosa. Mi si appanna subito la vista come ogni volta che mi alzo troppo velocemente e non lascio tempo alla pressione sanguigna di regolarsi. I piedi nel frattempo mi portano comunque alla finestra, della quale apro le ante per illuminare la camera di luce naturale.
Il cielo è ancora coperto di nuvole. Non mi ricordo l’ultima volta che ho visto il sole, realizzo, immobile a guardare la vegetazione spoglia.
La casa è stranamente silenziosa e quindi probabilmente Noah sta dormendo. Faccio il letto.
È comico, penso, che quando abitavo con la mia famiglia fare il letto era un’attività che mai avrei fatto volontariamente. Tornando indietro lo farei probabilmente. Tiro il lenzuolo tra la testata di legno e il materasso.
Dopo essermene andata e stabilito che non sarei tornata – e che non avrei potuto farlo, la mia speranza è quella di essere almeno stata una buona figlia, per quei quindici anni. Ma non scommetterei troppo neanche su questo.
A volte mi piace pensare che la decisione che ho preso io sia stata quella che avrebbero preso anche i miei genitori. Ho imparato che però far dire agli altri quello che vuoi non è altro che una bella e consolatrice illusione.
Posso solo immaginare il dolore di una madre e di un padre che vedono andare via di casa il secondo figlio di seguito, lasciando solo un vuoto incolmabile.
Logan aveva diciotto anni quando se ne era andato, accompagnato solo dal tipico desiderio di indipendenza di quell’età. Lo odio per aver fatto una scelta a cui io invece sono stata obbligata.
Ma mi manca comunque. Mi mancava anche quando dovevo accontentarmi di vederlo poche volte al mese, durante le sue rade visite o le festività. A casa, intanto la ragazzina di dieci anni che aveva lasciato cresceva e iniziava a capire.
Mi mancava perché non era più il Logan che era sempre stato al mio fianco da piccola, perché quello non mi avrebbe mai lasciata. Tradita, è così che mi ero sentita per anni. Poi ho perso il diritto di giudicare. Ora, perché i miei genitori dovrebbero provare qualcosa di diverso nei miei confronti? Io sono addirittura sparita nel nulla, affidando le mie spiegazioni ad una lettera infilata nella cassetta delle lettere.
Continuo a convincermi di non aver avuto alternative, ma se così non fosse?
Vedo Noah che esce di casa e si relaziona con gli altri senza problemi, mentre io arranco senza avere un posto da chiamare casa. Non mi sento più a casa da nessuna parte.
Chi penserebbe che dietro una scelta egoista ci sia un motivo altruista?
Stringo i denti perché so come va a finire, se continuo questo viaggio mentale.
Mai come ora ho avuto bisogno di distrarmi. Prima che rabbia e rancore si uniscano in un mix letale.
Apro lentamente la porta e sbircio fuori. Silenzio e immobilità. La porta di Noah è quasi chiusa.
Facendo meno rumore possibile – e non capisco se lo faccio perché non voglio dare fastidio o non voglio compagnia – raggiungo le scale. Scricchiolano subito. Noah però deve esserci abituato.
Mi immobilizzo in cima al primo gradino, rendendomi conto che Argo potrebbe essere tornato a casa e, in questo momento, essere sul divano a dormire. Qualcosa mi dice che però lo saprei, se così fosse.
Questa consapevolezza mi è stupidamente sufficiente per procedere.
Il salotto, col camino spento, sembra ancora più vuoto e freddo di quello che è senza persone. Sono vicino alla porta d’ingresso e sulla mia traiettoria visiva c’è la porta delle cucina. Per quanto tenda le orecchie, non riesco a sentire niente di rilevante. Niente, a dirla tutta. La posizione della casa impedisce al rumore del traffico di raggiungerla, gli uccelli hanno troppo freddo per uscire a cantare.
O forse è troppo presto, ipotizzo mentre riprendo a camminare. Sul forno, l’orologio segna le dieci passate. È strano. Strano è quello che non è abitudine. Essendo qui da poco tempo, non puoi sapere cosa è strano e cosa è abitudine. Mi ammonisco, soffocando la paranoia.
Anche se l’atmosfera tetra non mi lascia indifferente, posso approfittarne.
Essere curiosa è sempre stato nella mia natura, qualunque essa sia. E credo di avere il diritto di sapere dove ho intenzione di restare.
Decido di partire con qualcosa di discreto e torno in salotto.
Il camino si impone nel mio raggio visivo, come un buco nero nel muro da cui nelle favole spuntano fuori i mostri, terribilmente spettarle e coperto di fuliggine scura.
Alzo lo sguardo ed un centinaio di libri mi stanno fissando dalla parete sotto le scale. A prima vista si capisce che alcuni sono chiaramente vecchi, altri nuovi. Riconosco qualche titolo famoso. Sembrano sistemati in modo disorganizzato, probabilmente secondo ordine di lettura, come farei io. Mi avvicino, sicura della mia posizione strategica. Da sotto le scale posso sentire se qualcuno scende e non farmi trovare a ficcanasare.
Faccio passare le dita sulle testate dei libri del primo scaffale che incontro, solo per il piacere di sentirne la consistenza. Copertine lisce, titoli in rilievo, corde di rilegatura.
Leggere è forse l’unica cosa che amo e che ho avuto l’opportunità di tenere con me, di fare sempre. Qualcosa che mi è rimasto e che non sono stata costretta ad abbandonare.
A Bothell Coleen leggeva molto e io avevo molto tempo libero.
Con la testa inclinata passo in rassegna anche lo scaffale seguente, leggendo nomi e titoli che mai ho sentito. Non tutti.
Il lupo e il filosofo. Mark Rowlands.
Sorrido. Probabilmente l’unico libro a sfondo filosofico che sia mai riuscita a finire e che abbia amato fino in fondo. La sua lettura risale ai tempi in cui non ero ancora ciò che sono ed ora, quelle enormi lettere blu che formano la parola ‘lupo’ mi sembrano così ironiche.
Chissà chi l’ha letto, qui.
Nel frattempo potrei trovare qualcosa da leggere sul serio, effettivamente.
Sposto lo sguardo più a sinistra e noto un avanzo di segnalibro sbucare dalla parte superiore di un libro. Sembra di carta stampata. Le pagine tra cui è inserito appartengono ad un volume abbastanza corposo ma di piccola forma, con la copertina verde. Antichi Miti Greci.
Ma non è il titolo ad attirare la mia attenzione.
Riconosco nero su bianco i caratteri gotici da intestazione di quotidiano stampati sulla carta del segnalibro, a quanto pare improvvisato.
La curva  di una ti stilizzata, l’acca che si allunga nella seconda stanghetta, la e spigolata. E poi una esse.
Mi acciglio e afferro il libricino, dimenticandomi di tutto il resto. Con i polpastrelli liscio il bordo di destra fino ad aprirlo dove mi serve. Il rettangolo cartaceo porta una scritta che ho visto moltissime volte. Ma non in Canada.
The Seattle Times.
Lo sfilo e lo prendo in mano, confusa.
- Noto con piacere che hai trovato la libreria.-
Sobbalzo vistosamente e mi giro verso Noah, sulla porta e senza maglietta.
Approfitto del movimento per accartocciare il foglietto e ricacciarlo nel libro.
- Pensavo stessi dormendo. Ero scesa per cercarti. – anche se suona molto stupido, riacquisto un po’ di sicurezza, per non sembrare strana. – Ma il richiamo della cultura è stato troppo forte.
Alza le spalle. – Fai pure. Ma dimmi la verità … - il suo sguardo si affila.
Ingoio la saliva in eccesso.
- Mi stavi aspettando per i pancake.
Faccio un sospiro di sollievo, mascherandolo con una finta colpevolezza. – Proprio così. Nel frattempo mi stavo intrattenendo.
Noah si avvicina. Ha i capelli biondi spettinati e forse dovrei ignorare il fatto che sia mezzo nudo.
- Ah si? Con cosa?
Gli porgo il libro che ho tra le mani, leggermente sudate. È stupido, ma sono nervosa, come se avessi scoperto qualcosa che non dovrei. Attendo. Noah lo squadra disinteressato e, ridandomelo, mi guarda.
- Cultura classica?
Mi mordo l’interno della guancia. – Già. Fino ad ora ho letto molto di letteratura inglese e bestseller vari. Non ho mai avuto occasione di studiare il classico, anche se mi piacerebbe.
Sorridi. Suona logico. Sorrido.
La prima a parte è vera, la seconda no. Il mondo latino e greco mi è indifferente.
- Oh, leggilo pure. – dice lui.
Aspetto che prosegua, sperando che si lasci sfuggire qualcosa riguardo al libro.
- Mi hai anche tolto il compito di proportelo. La libreria è a tua disposizione, Gwen.
Cosa ci fa un pezzo del giornale di Seattle in una baita a Chilliwack?
-Grazie – rispondo, con naturalezza.
Perché qualcuno dovrebbe ritagliare il titolo di un quotidiano di un altro paese?
Dubito che lo scopo sia quello di avere un segnalibro alternativo. Non ha senso. Lo avrebbe se ci fosse attaccato un articolo da conservare, per esempio. Ma non è una scritta esteticamente più bella o diversa di quella del New York Times.
- Bè, se hai fame sarà il caso che ti insegni a farli, i pancake. – Assume un espressione bonaria. – Non ci sarò sempre io.
Mi rendo conto che la foga del momento mi ha fatto apparire come una bambina che vuole la colazione a letto e questo non va bene.
- Hai ragione, ma in realtà ora non ho più troppa fame – mi affretto a dire. Devo cambiare argomento. – Perché non hai la maglietta?
Si guarda il petto, come se se ne fosse dimenticato. – Sono andato a fare un giro. A quattro zampe. – si porta una mano dietro la nuca. – Ti avrei chiesto di venire, ma …
Mi chiedo quando riproverò a trasformarmi e per un momento penso che me lo stia per chiedere anche lui.
- Suona come un appuntamento – lo interrompo con un espressione sardonica.
Sorride. – Non lo è te lo assicuro. Cioè - si fa serio – non che non lo farei.
Si blocca, diffidando da quello che potrebbe uscirgli di bocca. Scelta saggia.
- Okay Noah. Non preoccuparti. – Poi cerco di imitarlo. – Non che non accetterei, eh.
Lo supero, diretta verso la cucina.
- Però mettiti una maglietta. – aggrotto le sopracciglia. – Ci saranno quindici gradi.
 
Argo arriva con la neve nel primo pomeriggio.
Le due ore che separavano il mio risveglio ed il pranzo sono passate tra una cosa e l’altra. Piccoli lavori e aiuti domestici, perlopiù.
Ho imparato ad orientarmi meglio nella casa e mi sento molto più tranquilla di quando sono arrivata, ma anche solo della mattina stessa, quando ho rovistato tra i libri.
Dopo pranzo mi sono ritirata in camera per stare un po’ sola e mi sono ricordata che se anche mi piace tanto, non è camera mia. Il libro di Noah è appoggiato sul comodino in parte al letto e non sono riuscita a tenermi lontana, da esso e dal suo contenuto.
Rigiro il ritaglio del The Seattle Times tra le mani, quando un rumore di motore sempre crescente rompe il silenzio. Tuttavia, affacciata alla finestra, la moto compare solo dopo un minuto buono.
Tenui fiocchi di neve mi attraversano prepotentemente il campo visivo.
Dopo essersi tolto il casco, un ragazzo moro in giacca e cravatta scende dalla sella.
Mi faccio prendere un po’ dall’ansia. Vado verso la porta e non riesco ad evitare di guardarmi fugacemente allo specchio.
Sei comunque meglio di come ti ha vista l’ultima volta.
Un colorito umano. Capelli decenti.
So che devo andare a salutare e non passare per quella che spende la giornata a dormire sul letto di qualcun altro. Odio essere sedentaria.
Indugio sulla cima delle scale mentre sento la porta di ingresso aprirsi. La folata di freddo arriva fin dove mi trovo.
Penso che sia quasi impossibile non sentirsi in qualche modo in difetto di fronte a qualcuno  che ti ha salvato la vita.
Stringo il passamano di legno e ringrazio che sia liscio e incerato, altrimenti avrei già qualche scheggia infilzata nel palmo della mano.
I miei piedi sbattono sui gradini ed è troppo tardi per tornare indietro.
- Ciao Gwen – mi saluta Argo, non appena me lo trovo davanti. Sembra rilassato.
Eccola ancora, quella sensazione. Come se fosse un magnete, un richiamo incessante nella mia testa.
Apro la bocca per rispondere, ma Noah irrompe in salotto. – E se non si chiamasse più Gwen?
Anche se la sua presenza e la sua familiarità mi mettono sicurezza, vorrei che non lo avesse detto e gli lancio un’occhiataccia.
Il suo amico non dice niente per qualche interminabile secondo.
- In tal caso, benvenuta in Canada.- mormora poi, con un sorriso un po’ inespressivo.
-Ora – esordisce Noah attraversando la stanza – è il caso che ci dici dove sei stato non ti pare?
Argo si allenta la cravatta.- Dove ti sembra che sia stato? Al lavoro. Mi sono dovuto trattenere a Vancouver.
- Senza cappotto – dice Noah, a braccia conserte.
- Sono uscito di fretta – risponde annoiato. Come me, non vuole ricordare quando e come e perché se n’è andato. -E poi, non ho problemi col freddo. Considerando anche che non sono stato all’aperto.
Deglutisco e mi faccio avanti, tirando in ballo l’unico argomento di cui posso avere voce in capitolo e cioè la giacca. – Quello credo di averlo io di sopra.
Entrambi i ragazzi mi guardano.
- In camera mia? – Argo alza le sopracciglia e inclinando la testa mi sorride. Il suo sorriso è diverso da quello ingenuo di Noah.
Sposto lo sguardo. – Ecco, a tal proposito …
- Potevi almeno rispondere al cellulare – dice Noah, freddamente.
L’amico sospira. – Mi dispiace. Ti ho detto che sono stato occupato. – Poi cambia tono. –Smettila di essere ossessivo.
Noah si rassegna.-Okay, hai ragione. Sei a casa, quindi apposto.
L’atmosfera, però, non si allenta. Rimango in silenzio. Una disputa davvero breve.
Poi Argo si rivolge a me educatamente. – Devi andare in camera, Gwen?
Il mio atteggiamento, di rimando, è altrettanto composto. – No, no. Vai pure.
Condividere una camera senza condividerla davvero ha un qualcosa di assurdo.
- Dietro la porta dovresti trovare anche la tua giacca di pelle. – aggiungo.
Lui sale le scale e nella mia testa spero di aver lasciato tutto in ordine. L’unica cosa fuori posto è il libro, ma credo sia un dettaglio – sempre se lo nota-  a cui rimarrà indifferente. O forse no?
Aspetto di sentire la porta della camera muoversi per avvicinarmi a Noah.
- Non prenderla sul personale. – lo rassicuro. - Al massimo sono io a dovermi sentire in colpa.
Noah si gira verso di me. – Pensi di essere tu il problema?
- No non lo penso. Cioè, forse si. – Il mio scopo però è tutt’altro che essere melodrammatica– A conti fatti si comporta così da quando sono qui. – Così come? Cosa stai dicendo? – E non mi sembrava molto contento della mia nuova cittadinanza.
Non ci credo neanche io fino in fondo, ma mi servono delucidazioni.
Ho cercato di modulare la mia voce affinchè sembrasse meno triste possibile, perché l’ultima cosa che voglio sono due amici che litigano.
Fa una risatina stizzita. –In realtà è un po’ che sragiona, ma se è come pensi tu, dovrà farselo andare bene. È casa mia. Decido io. E decido che avete lo stesso diritto di stare qua. – Sentenzia Noah e una determinata parte di lui che non avevo ancora avuto modo di incontrare. Probabilmente si accorge di essere stato troppo grave e assume la sua solita espressione. – Non preoccuparti.
Vorrei dirgli che continua a ripetermelo, quando invece mi sembra di essere io la più rilassata. Anche se forse non dovrei esserlo, visto che non ha smentito la mia ipotesi.
- Vado a chiedergli di andare a prendere della legna. – Noah guarda il camino e poi sospira.
Scusa interessante. Sprofondo nel divano e tendo le orecchie.
Qualche secondo e scricchiolio dopo inizio a distinguere le parole.
- Se mi vuoi far credere che sei debole di stomaco tanto da non riuscire a vedere una ragazza che vomita, non me la bevo. – La voce di Noah mi arriva attutita. La abbassa e non riesco a cogliere quello che dice dopo.
- … in moto, in pieno inverno, senza valigia o un giubbotto. E senza farti la barba. - sento poi.
Fortunatamente Argo alza la voce. – Sai quanti crimini vengono commessi a Vancouver? Furti, effrazioni? Specialmente prima di Natale e in tempo di crisi? E guarda caso sono anche inaspettati. Sono stato impegnato con gli imprevisti. Smettila di farmi da madre e soprattutto di guardarmi come se fossi un alcolista uscito dalla disintossicazione.
In effetti la figura di avvocato è indice di tutto il contrario, solitamente.
Guardo la libreria e noto il buco da cui manca il libro che ho preso. Visto che ho ancora il pomeriggio davanti potrei seriamente andare a leggerne un po’.
Sento un lavandino aprirsi e scendere le scale.
Mi alzo immediatamente e vedo che è Argo.
-Stai andando a prendere la legna? – chiedo.
Indossa un maglione bordeaux e dei pantaloni grigi. Ha in mano una giacca marrone. Ora che ho ben in mente il suo amico, posso dire con certezza che Noah è più magro. O meno muscoloso. Sebbene venticinque anni non li dimostri fino in fondo, si vede dai lineamenti più decisi che è più maturo di qualche anno.
- Già. Tra poco avrai un camino acceso – scherza.
–Okay vengo anche io. – Assumo un espressione metodica. – Non ci sarà sempre qualcuno ad accendermi il camino. Sarà il caso che impari a fare qualcosa.
Tipo i pancake, sento Noah che dice nella mia testa.
- Bene allora – si mette la famosa giacca di pelle e apre la porta, verso la quale mi dirigo senza indugio.
- Non è il caso che tu ti metta qualcosa? – mi chiede, ma sono già fuori di casa. Mugugno una negazione.
La neve ha già lasciato un primo strato velato sul terreno e su qualsiasi superficie, così sottile che basta un orma per ridare colore a quello che c’è sotto.
C’è silenzio. Il tipico silenzio tetro e affascinante di quando nevica, a cui ho sempre cercato di dare una spiegazione. Il tempo sembra fermarsi, forse perché la neve copre tutto, uniformandolo e nascondendo i movimenti.
Fiocchi bianchi si incastrano tra i miei capelli.
- Di qua – mi dice Argo da dietro una nuvoletta di condensa che gli esce dalla bocca.
Lo seguo. Giriamo l’angolo della casa e mi porta sul retro. Devo trattenermi dal guardarmi troppo intorno come una bambina. È un posto troppo suggestivo per essere ignorato.
- Qui ci sono le cataste. – spiega. Contro la parete della casa, sono raggruppati e messi uno sopra l’altro in modo ordinato pezzi di legno di differente grandezza e colore. Sono disposti su tre blocchi, più un contenitore di rametti sul lato. Mi avvicino e tocco una sezione di un grosso ramo.
- Visto che sei qua ne approfitto per prenderne di più. – prende due casse di legno, di quelle per la frutta, e me ne porge una.
La afferro. – Quanta legna prendo?
- Riempila. Siccome inizia a fare freddo davvero, prendi l’abete. Scalda di più. O comunque meglio di tutte le conifere che abbiamo qui in Canada. – suggerisce e inizia a fare la sua parte.
- Okay. – rispondo, mentre mi rendo conto di non aver la più pallida idea di cosa renda il legno di abete diverso dagli altri. Osservo i pezzi che prende Argo e inizio a riempire la mia cassa con quelli che ci somigliano.
Lui lo nota subito da come ride sotto i baffi.
- È questo bruno chiaro. Con le venature rossastre. – Ne prende uno – Vedi?
Riprendo a mettere il legname nella cassa cercando di non sbagliare ancora.
- Sai, tu e Noah dovreste ricordarvi che anche io ho gli ultrasuoni, quando parlate in un’altra stanza. – esordisco, per fare un po’ di spirito. Non sto pensando solo a quello che è successo poco prima ma anche a qualche giorno fa.
Lui ride. Bene. Capisce le battute ed è meno serioso di quello che vuole sembrare. – Anche tu. Quindi, Alcatraz – ci fermiamo entrambi e mi guarda con i suoi occhi verdi – lasciami dire di persona che non sei tu il problema.
Arrossisco, ma sono pronta a dare la colpa alla temperatura se me lo fa notare.
- Anzi, non c’è proprio nessun problema! – esclama lanciando un ramo nella cassa. – E’ solo Noah che è paranoico. Anche se scommetto che in questi due giorni ha fatto il fratellone premuroso. – conclude poi, di buon umore.
Mi schiarisco la voce. – Si. Ed ho visto la città. Carina.
Credevo che fosse eccezionale il fatto che mi sentissi tranquilla con Noah, ma stare con Argo mi fa altrettanto bene. Il lupo è un animale da branco, l’uomo pure, quindi a maggior ragione dovrei sentirmi a mio agio. Sarà che prima avevo associata solo la paura, ma mi sto sostanzialmente meravigliando dell’ovvio.
E poi quando sono con lui aleggia quel soffocante e interminabile senso di legame, che ho spiegato solo con il fatto che mi ha salvato la vita.
- Anche io ho visto Seattle – The Seattle Times. Ha una logica. Ha preso un quotidiano e già che c’era l0 ha usato come segnalibro per un libro che si era portato in vacanza. – Come la maggior parte delle grandi città americane. Ma preferisco il Canada.
Anche io. Anche io?
- Comunque sei autorizzato a tornare in camera tua. E non voglio obiezioni. – sentenzio, decisa nelle parole. – Non posso farti dormire sul divano. Io invece lo trovo molto comodo. E ci sto. Ed è vicino alla libreria. – continuo. Ho preso a blaterare.
Immobile, Argo non ha mosso gli occhi di un millimetro e la sua espressione quasi divertita non è mutata. – Okay.
- Okay? – chiedo stupita della sua veloce resa.
- Sì. – si china per tirare su la sua cassa di legno – Andrò a stare nella camera di Blake. In realtà visto che è sparito è tornata ad essere di Noah. In ogni caso se dovesse tornare almeno se la prenderà con me invece che con te.
- Se la prenderebbe con una ragazza senza casa? – scherzo.
Argo però si fa serio e sospira. – Ne sarebbe capace.
Mi chino a raccogliere la mia cassa.
- Ma qualche litigio ogni tanto mi esalta. – aggiunge allegro.
Soffoco una specie di risata che Argo la scambia per un tremolio e quindi mi chiede di nuovo se ho freddo.
- No. No davvero. Lo so che stai per offrirmi la tua giacca, ma il freddo è un grande amico che ho imparato a sopportare. - E dovresti saperlo. – E dovresti saperlo – mormoro cercando di trasformare le mie parole in una battuta.
- È un bene che inizi a sdrammatizzarci su. – risponde lui di rimando, mentre si incammina verso la parte anteriore della casa.
Faccio lo stesso, facendo attenzione a mantenere in equilibrio i pezzi di abete in cima al mucchio che ho raccolto.
L’ultima cosa che voglio è che l’argomento del mio salvataggio sia un tabù e motivo di imbarazzo per entrambi, penso.
- Un giorno mi dovrai raccontare di questo Blake. – dico, buttandomi in quello che spero non sia un argomento delicato – Visto che l’immagine che ho di lui al momento è chiaramente negativa.
- La cosa più imparziale che riesco a dirti è che è semplicemente un idiota, libertino e irrispettoso. Non ha ucciso nessuno, che io sappia, ma calza nella mia definizione di brutta persona. – chiude il discorso.
Annuisco. Deve avere le sue ragioni.
Nevica con più intensità e penso già a trasformarmi per correre nella neve. Perciò mi fermo a guardare l’entrata del bosco, con la luce negli occhi.
- Potrai guardare inebetita la natura morta anche dietro una finestra, ma entra prima di ammalarti di nuovo. – sussurra Argo, dandomi una lieve spallata.
Mi scuoto subito al contatto.
- Mi era sembrato di vedere qualcosa – invento, per sembrare meno idiota.
Intanto siamo arrivati alla porta della baita.
Entro e lascio la cassa vicino al camino, mentre guardo il ragazzo accendere il fuoco. 

r e a d m e please
Ciao a tutti! 
Scusate il ritardo assurdo lol
Scusate il rosso ma devo dire una cosa importante, e cioè che ho deciso - per varie ragioni - di MANTENERE LA STORIA INEDITA.
Questo vuol dire che la continuerò sicuramente, ma non pubblicherò più capitoli sul sito.
 
Tuttavia, se siete interessati a continuare a leggerla - perchè comunque ci tengo ad avere qualche parere e ne ho bisogno lol - basta che mi contattate :)
Grazie a tutti e soprattutto come sempre a Elena e le sue recensioni <3
A presto!
  
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