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Autore: DK in a Madow    11/05/2014    3 recensioni
[Completa!]
...mi obbligo a guardare il cielo ormai buio sotto il manto della notte, ricacciando indietro le lacrime che spingono tra le ciglia. Non un bagliore, nessun segno, solo un grande buco nero sopra le nostre teste.
Il cielo delle città non ha stelle.

*
- Ah sì? – chiedo, ostentando una sicurezza che non posseggo solo per non mostrarmi vile di fronte alla sua sfacciataggine – Ma tu chi sei?
Abbassa la testa, come presa alla sprovvista, le sue mani che afferrano la gonna del vestito stringendola nervosamente. Poi i suoi occhi tornano sui miei, così vivi, così irreali.
- Grace. – risponde in un soffio.
Accenno a un sorriso senza denti, le labbra serrate che danno forma ad un ghigno.
- Strano. – dico, dando un tiro alla mia sigaretta – Da come parli si direbbe il contrario.

*
Imparare a vedere con gli occhi del cuore e scoprire che la paura d'amare è grande quanto quella di morire, così forte da impazzire, ma capace di farti rinascere.
Una breve long nata quasi dal nulla e che è cresciuta tra le note di The Rain Song.
Come sempre, nessuna pretesa.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jimmy Page, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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10.

Upon us all, a little rain must fall.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6 Giugno 1977

Sotto di noi, appena dietro nuvole basse, grigie e cariche d’afa, si nasconde New York. I miei occhi rintracciano, di tanto in tanto, punte di grattacieli che non vedevo da un po’, mentre a bordo domina il silenzio, interrotto solo dal russare soffiato di Robert e quello pesante di John. Jonesy, seduto nell’ultima fila, alle mie spalle, legge illuminandosi con una piccola torcia. Aveva la fronte corrucciata l’ultima volta che mi sono voltato a guardarlo, disegnando sulla pelle delle finte rughe fitte come le pagine di Lord Jim strette tra le sue mani. Non sopporto più il suo silenzio, è più pesante di qualsiasi colpa, più presente di qualsiasi rimprovero. Mi gratto il mento nervosamente, incontrando un leggero filo di barba, per poi scattare in piedi, dirigendomi verso di lui. È sempre lì, silenzioso, come immerso nel mare attraversato dalla nave di Lord Jim.

- Jonesy? – sussurro.

Alza lo sguardo come se stesse uscendo da una trance. Poi mi vede davvero e, stranamente, l’accenno di un sorriso attraversa le sue labbra.

- Hey, Jim! – dice a bassa voce, chiudendo il libro – Siediti! – dice, indicando il posto di fronte al suo. E così faccio, incoraggiato dal suo fare cordiale, mentre si mette il libro in grembo.

- Lettura interessante? – chiedo, indicando il romanzo con un cenno del mento, mentre Jonesy abbassa lo sguardo su di esso, l’ombra di un sorriso sulle labbra. Poi torna a guardarmi con aria malinconica e di rimprovero.

- Credo lo sarebbe di più per te. – risponde con calma – Somigli tanto al protagonista e non solo per il nome.

- Stronzate. – sussurro, buttandomi contro lo schienale del sedile – Lord Jim è un fottuto codardo travestito da marinaio che nel momento di pericolo abbandona la nave.

- E ti senti davvero così diverso? – sussurra Jonesy, abbassando lo sguardo, accarezzando la copertina con la punta delle dita – Non appena i giornali hanno iniziato a spalare merda su di noi ecco che ti rifugi nell’ero.

Sgrano gli occhi, fissandolo incredulo. Jonesy e i suoi occhi piccoli che mi osservano da lontano. Hanno capito tutto, molto più di Robert che mi segue e mi accudisce come una specie di balia.

- È così, vero? – chiede, severo.

Non ho nemmeno il coraggio di annuire. Sento solo le labbra tremare, nervose.

- Certo che è vero. Sei sempre stato fragile, Jim. – continua, come se stesse parlando ad un bambino – Ma sei troppo testardo per accettarlo. Così continui a sbagliare, a fare cazzate. Con la tua condotta non stai distruggendo solo te, ma anche noi. – aggiunge poi con tono di rimprovero, mentre serro la bocca e i pugni – E il peggio è che lo sai e non fai nulla per cambiare le cose. Proprio come Lord Jim. Lui ha posto rimedio quando ormai era troppo tardi, dopo anni passati a commiserarsi.

- Non lo è. – dico, il volto indurito – Non ancora.

- Certo che sì. – fa lui, guardandomi dritto negli occhi – Stiamo precipitando Jim, tu ci abbandonerai e, quando l’ero avrà compiuto il suo lavoro, finalmente ti libererai dei tuoi demoni. – e, nel momento in cui parla così, le luci si spengono, le mascherine dell’ossigeno pendono sopra le nostre teste, l’aereo viene inghiottito dal buio e il vento, che non si sa da dove proviene. John e Robert continuano a dormire, come se non stessero avvertendo nulla, Jonesy che mi fissa immobile, la torcia a illuminargli il viso, mentre io mi aggrappo al sedile, terrorizzato.

- Jonesy! – urlo – Jonesy, aiuto! Ti prego, John e Robert! Svegliamoli.

- Non puoi fare niente, ormai. – urla anche lui, anche se il volto resta disteso e inizia a ricamarsi di rughe e, nel momento in cui succede, l’aereo inizia a sbandare, il tetto che si apre squarciato dal vento, i miei capelli che vanno indietro. Butto un’occhiata sotto di noi.

L’oceano.

- Jonesy! – lo supplico – Aiutami, ti prego!

- È compito tuo. – dice, riaprendo il libro per leggerlo – Sta a te salvarci, o distruggerci Tuan Jim!

E, nel momento in cui sputa la sua sentenza, il mare è ormai a un soffio, mentre chiudo gli occhi, pronto a morire.

Ma non accade. Il mio corpo è bagnato, ma sotto di me c’è solo l’asfalto e la puzza di benzina e fogna.

Di nuovo la strada al centro di New York, la pioggia, io che muoio mangiando la polvere delle auto che mi sfrecciano intorno.

E sempre la stessa voce, una litania, le stesse parole.

Non ancora! Svegliati, Jim!

 

*

 

 

New York, 7 Giugno 1977

 

Ritorno al mondo, alla realtà. Sudato fradicio e i capelli incollati alla fronte. Mi libero delle lenzuola, rimasto intrappolato per via dell’agitazione, scalciandole fino a farle arrivare sul pavimento. Mi sollevo di scatto, mani tra i capelli, bocca spalancata per riprendere fiato.

- Cristo. – sbuffo, sputando a terra, pronto a digrignare i denti non appena sento una fitta sotto la pianta dei piedi, imprecando contro quello che è un crampo con i fiocchi. Gli occhi si stringono, mentre l’aria tra i denti ha il gusto amaro del cattivo risveglio.

- Vaffanculo! – urlo, buttandomi tra le lenzuola, lasciando che il dolore si mangi anche il polpaccio – Non ce la faccio più! – esclamo, mentre due lacrime mi rigano gli zigomi e qualcuno prende a bussare alla porta. Infastidito e dolorante, mi sollevo dal letto, zoppicando fino alla porta ma, quando la apro, ad aspettare c’è l’ultima persona che vorrei vedere.

- Hey Jim, ti ho portato qualcosa … - inizia a dire Richard, reggendo in mano, davanti ai miei occhi, una bustina stracolma di chissà quale merda.

- Vai all’inferno Cole! Tu e quella merda! – urlo e quasi potrei sputargli in faccia le corde vocali, ma l’unica cosa che chiudo sulla sua espressione da stronzo è la porta, che si chiude secca, con addosso la mia schiena che pian piano scivola verso il pavimento.

Sono stanco, provato, nemmeno la notte mi lascia riposo, così come l’ipocrisia si ostina a starmi dietro; così, mentre nel corridoio sento allontanarsi i passi di Richard, fisso le bottiglie di Jack abbandonate ai piedi del letto e ciò che resta delle mie “piccole” dosi di onnipotenza.

Vorrei sparire. Scappare.

Vorrei tornare a casa, oppure …

… morire.

 

 

*

 

 

- Quale onore! – tuona Bonzo, le guance piene di chissà cosa – Abbiamo Sir Page tra di noi.

Mi sforzo di sorridere, sedendomi tra lui e Robert.

- Ci siamo svegliati, bella addormentata? – sfotte, dandomi una pacca sulla spalla.

- Beh, direi. – sussurro, servendomi un cappuccino bollente e afferrando un pezzo di torta al cioccolato.

- Intanto. – continua Robert, dando un tiro alla sua sigaretta – Ieri non ti avrebbe svegliato nemmeno una bomba. Abbiamo dovuto prenderti in braccio per farti scendere dall’aereo. Sarebbe potuto precipitare e non te ne saresti nemmeno accorto.

Improvvisamente è come se nella sala di ristoro dell’hotel sia calato il gelo, mentre la tavola imbandita sembra sbiadirsi, un velo che si appoggia sui miei occhi mentre ritorna alla mente l’incubo di stanotte.

- Jim?

- Sì? – chiedo, stringendo gli occhi contro Robert.

- Ti senti bene? – fa, la sigaretta tra i denti – Sei impallidito.

- Ho sognato che l’aereo precipitava. – rispondo, senza nemmeno pensarci e sembra quasi che il peso dell’incubo stia pian piano svanendo.

- Sul serio? – chiede Bonzo – A noi sembrava che te la stessi spassando con Jonesy! – ride, battendo il pugno sul tavolo.

- Cosa?

- Hai urlato il suo nome. – dichiara Robert, sputando fuori il fumo e spegnendo il mozzicone sul piattino della sua tazza del caffè – E più volte. Che c’entrava Jonesy?

- Nulla. Gli chiedevo aiuto. – dico, omettendo gran parte del sogno. La conversazione sta diventando imbarazzante, mentre poco a poco mi rendo conto di non essere più in Florida. Il sogno mi aveva talmente sconvolto, da lasciarlo nei confini dell’irreale. Invece mi sbagliavo. Quando ho iniziato a sognare ero davvero sull’aereo. E nemmeno me lo ricordo. Così come non ricordo di essermi svegliato, scolato due bottiglie di Jack nella mia stanza, per poi crollare e riprendere a sognare lo stesso incubo.

Solo ora mi rendo conto di essere a New York.

A un passo da Grace.

- Bevi quel caffè, o si raffredda.

- Devo andare. – faccio, scattando in piedi e poggiando una mano sulla spalla di Robert.

- Ma … - fa, guardandomi con aria confusa e seguendo il mio percorso fino all’uscita - … dove?

Mi fermo, prendendo sul serio la sua domanda.

È stata sempre Grace a trovare me ed ora che sono nella sua città non so nemmeno dove andare a cercarla.

O forse sì.

- Mi sono appena ricordato che devo comprare una cosa per Scarlet. – sorrido, in pieno allenamento alla menzogna – Ci vediamo stasera.

 

 

*

 

 

Giro a vuoto. Le strade di New York sembrano tutte uguali mentre in una mano stringo una busta; dentro, un pacchetto dondola indisturbato, tenendo al sicuro la Polaroid che porterò a Scarlet una volta tornato in Inghilterra. Mi fermo al bordo di un marciapiede, sperando che un taxi si fermi davanti alla mia mano alzata.

- Mi porti allo Hudson River per piacere. – chiedo una volta riuscito nell’impresa.

 

 

*

 

 

È tutto come lo aveva descritto Grace.

Il fiume, New York, l’erba brillante sotto il sole e le panchine. Descritto alla perfezione. L’unica differenza è dettata da tante coppiette che si crogiolano al sole, sostituendo le scolaresche, mentre qui gli unici insegnanti, di vita, sono un gruppetto di vecchietti che si nascondono all’ombra degli alberi.

Niente tracce di un vestito a fiori o di capelli color grano lasciati sotto il sole. Nessun brivido ad annunciarla, a segnalare la sua presenza. Sbuffo, gli occhi che mi si stringono per via della luce, lasciandomi andare su una panchina.

Chissà se ci si è mai seduta.

Poggio il pacchetto di fianco a me, mentre con la mano sfioro distrattamente il legno del sedile con la punta delle dita, avvertendo sotto la pelle la presenza di incisioni lisce come graffi che si sono dolcemente trasformati in cicatrici.

Abbasso lo sguardo. Una scrittura sottile ed elegante.

JIMMY

Così è scritto.

- Sì. – sussurro – Sì, eri qui, Grace.

Rileggo le lettere incise, sfiorandole con dolcezza.

- Siamo qui. – sorrido – E ti troverò.

 

 

*

 

 

Ha iniziato a piovere. Anche qui, dal cuore del Madison Square Garden, il rumore dell’acqua è perfettamente udibile. Almeno per me. Sento come se mi portassi la pioggia proprio dentro al petto, da sempre. Una sorta di lavaggio dell’anima che, stranamente, invece di ripulirla, la insozza di fango denso, fino a rendermi solo una poltiglia di dubbi, rimorsi e colpe. Ogni tanto appare il sole; un accordo, un nuovo assolo, un giro di parole, il sorriso e il bacio della mia Scarlet, la voce di Robert. Attimi che mi ricordano il colore del cielo. Poi, il buio. Una malinconia che cade leggera, goccia a goccia, quasi silenziosa. La mia anima non ha bisogno di essere un temporale. Le piace rimanere un’incessante, sottile, pioggerella d’estate.

Mi guardo intorno, il mio sguardo che accarezza ogni volto in prima fila senza scorgere quello che sto cercando. Così mi avvento sulle corde, tentando di sfogare la rabbia e di scappare al senso di abbandono causate dall’assenza di Grace.

La Musica, lo spettacolo, il tempo intorno a noi, va avanti ed io sorrido, mi offro al pubblico. Lo avvicino per poi allontanarmi, in una sorta di danza di corteggiamento in cui gli unici a restare conquistati restano loro, che mi guardano con occhi vivi, lucidi o semplicemente sognanti. Robert è un fiume in piena e John ci trascina, dettando le regole del tempo. Jonesy, invece, sembra aver sotterrato l’ascia di guerra; mi guarda e, quando il suo basso incontra la mia chitarra, mi sorride, complice.

C’è qualcosa nell’aria.

E non è solo pioggia.

 

 

*

 

- Magnifico! – esclama Robert, entrando in macchina, il petto bagnato di sudore e pioggia, io che sistemo il mio ombrello ai piedi del sedile - È stato assolutamente incredibile.

- Già. – mi sforzo di sorridere, la dragon suite bianca ormai completamente appiccicata alla pelle.

- Finalmente ti ho riconosciuto stasera! – esclama, rivolgendomi un sorriso radioso e lasciandomi una pacca sulla spalla. Fuori piove ancora – Anche se dovresti mangiare qualcosa. Sei magro come un chiodo.

- E questo cosa c’entra? – dico, incrociando le braccia al petto con un sorriso sarcastico – Un passo alla volta, Percy.

- Già. – acconsente, abbassando il capo, per poi abbandonarsi sullo schienale.

L’auto parte, perdendosi nel traffico di New York.

- Sai. – dice Robert all’improvviso – Mi ricordo ancora quella volta nel ’73. Peter diventò una bestia quando scoprì del furto.

- Dio, che situazione di merda! – esclamo, seccato dal solo ricordo – Lui e Cole sembravano due fidanzatini adolescenti dopo che avevano rotto.

- Quando poi era colpa di quelli del Drake. Incompetenti del …

- Che cosa? – esclamo, il volto rivolto verso Robert, come pietrificato.

- Jimmy? – fa lui, scrutandomi stranito – Che succede?

- Il Drake! – esclamo, battendomi una mano sulla fronte – Era lì! È stato lì! – continuo, una mano che graffia il sedile sotto di me – Lei era lì! – sussurro, per poi guardarmi intorno, sotto lo sguardo confuso di Robert. Il Drake si trova solo a pochi isolati da qui.

- Ferma la macchina! – grido.

- Cosa? Ma, Jim…

- Ferma questa cazzo di macchina ho detto! – urlo, come impazzito, gli occhi di Robert che guizzano da me all’autista, mentre questo frena nel bel mezzo del traffico newyorkese ed io, senza nemmeno badare alla pioggia, mi tuffo tra le macchine che suonano impazzite, prendendo a correre come un folle. Dietro di me, il rumore di uno sportello che si chiude.

- Jimmy! – è Robert, ma non riuscirà a raggiungermi. Mi basta svoltare una volta a destra ed una a sinistra per ritrovarmi a pochi metri di distanza dal Drake, la sua insegna uguale come quattro anni fa. Fermo al centro della strada, le auto mi sfrecciano di fianco, le loro ruote che sollevano onde d’acqua che mi inzuppano le gambe. Domani avrò la febbre. Chi se ne fotte.

Davanti a me sembra si stia ripetendo un film a rallentatore. Anzi, un sogno. L’incubo che da molte (troppe) notti mi tormenta.

- Jimmy!

Mi volto. Robert è dietro di me.

Riprendo a correre, raggiungendo finalmente le strisce pedonali di fronte al maledetto hotel, credendo quasi di trovarci ancora delle strisce di sangue.

- Grace! – prendo a urlare, la pioggia che schizza sul mio volto – Grace!

Non c’è. Se n’è andata. Molto prima di questa notte.

Grace mi ha lasciato in una notte come questa, in cui a New York mancavano le stelle.

- Grace! – singhiozzo, il petto che mi si solleva, le mani contro la faccia. Lacrime e pioggia.

Poi un clacson, una luce accecante.

Non mi prende, ma cado comunque a terra.

- Jimmy! – l’urlo di Robert è straziato mentre il mio volto accarezza l’asfalto e chiudo New York fuori dai miei occhi, dietro le palpebre.

- Lasciami, Rob. – sussurro – Lasciami morire qui.

Una risata, all’altezza del mio volto. Ma non è la mia.

- Non ancora. – la sento sorridere, anche se non la vedo – Apri gli occhi Jim!

Lo faccio.

Poi, un urlo mi attraversa la gola.












Angolo della pazza:
Rieccomi!!! ^^
Ehm...sì, ecco... ce l'ho fatta.
Almeno spero.
Finalmente Jimmy ha capito chi è Grace! *^*
Questo capitolo è stato un tormento, nonostante lo avessi in mente da un sacco di tempo.
Ed è il penultimo...
Ehm, sì, la storia si avvicina alla fine! ç__ç
Ma avrà anche un epilogo, ergo mi aspettano ancora due capitoli.
Ehm, nulla. Spero tanto vi sia piaciuto questo e, come sempre, mi auguro di trovare tempo ed ispirazione per il prossimo.
Ringrazio Ire, che è ancora in piedi, e Zelda che aspetta e nel frattempo legge la biografia di Robbe! *^*
Awww, siete meravigliosi. Tutti quanti.
Vi aspetto al prossimo (ultimo, sigh) capitolo!
Un abbraccio,
Franny

   
 
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