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Autore: lupacchiotta blu    12/05/2014    1 recensioni
Valentina è una ragazza come ce ne sono tante: i suoi genitori la amano, ha un cane fedelissimo, un migliore amico-fratello, è determinata, intelligente,pratica uno sport che ama... ma che cosa succederebbe se il suo mondo cambiasse, se venisse invaso dagli zombie? E se la sua famiglia non volesse seguirla? Cosa farebbe lei? Scapperebbe impaurita o farebbe l'eroina della situazione? Questo è un mistero, ma ha dalla sua parte un'arma formidabile: è un po' paranoica, e non si può prenderla alla sprovvista.
Genere: Avventura, Azione, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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11 marzo 2014, tardo pomeriggio-sera
 

Cazzo, sento che mi viene l’ansia, faccio fatica a respirare. Quei cosi si muovono all’interno della gabbia, sbattendo contro le sbarre e mordendo alla cieca.
Sono marci ma non tantissimo, segno che sono stati protetti durante le piogge e le gelate: i militari devono essere qui da un bel po’, forse da prima di noi!
< Andiamo via, dobbiamo parlare di questa faccenda > sussurro. Non ce la faccio più, ho già la nausea.
Camminiamo in silenzio religioso attraverso il bosco, ma la mia faccia deve dire tutto, tanto è vero che Francesca mi tiene per mano per tutto il tragitto.
Sono sicura di essere bianca come un lenzuolo, ho la bocca asciutta e non riesco a smettere di torturarmi le pellicine della mano libera.
Com’è possibile che abbiano portato degli zombie qui?! Questa dovrebbe essere una zona sicura! Lo sanno che rischiano di infettare tutta la montagna?
Per tutto il viaggio di ritorno non faccio altro che pensare a quanto vorrei che non fossero mai arrivati qui, non avrebbero creato tutti questi problemi.
Quando entriamo in casa, mi butto sul divano senza dire una parola, fissando il vuoto.
Mi viene quasi da piangere.
Gli altri discutono, ma le loro voci mi sembrano solo borbottii indefiniti. Una mano mi scuote.
< Hey, sorellina, cos’hai? >.
< Come sarebbe a dire cos’ho?! Cosa ti pare che abbia, eh? Sono così felice di aver visto quei cadaveri ambulanti che la gioia mi ha sfinito! > urlo ironicamente.
< Hey, non rispondermi cosi! >.
< Rispondo così alle domande stupide! Prova a farmene una intelligente, magari mi degno di usare un po’ di gentilezza! >.
< Finiscila di urlarmi contro, Ti ho solo chiesto cos’hai! > sbraita Davide più forte.
< Ho che ne mi sono rotta i coglioni di morti che camminano e sindaci puttanieri che fanno i delinquenti, ecco cos’ho! Contento?! >.
< Contento un cazzo! Sei troppo nervosa, ti arrabbi per niente! >.
< Dai, calmatevi > si intromette Francesca < Non litigate >. Noi la ignoriamo completamente, siamo troppo concentrati a battibeccare.
< Non sono nervosa, semplicemente non ne posso più di questa situazione, possibile che tu non capisca?! >.
< Ma cosa credi, che a me piaccia sapere che ci sono quattro zombie nel bosco? Neanche per me è facile sopportarlo! > dice sbattendo i pugni sui braccioli della poltrona.
Mi alzo di scatto dal divano e mi piazzo davanti a lui, Giuseppe mi blocca tenendomi per le spalle:
< A quanto pare non ti dà così fastidio, visto che non riesci a capire quanto io odi questa situazione di merda! Non te ne importa niente! >.
< Allora, visto che non mi importa, sai che ti dico? Vaffanculo, bastarda! >.
< E sai io cosa ti rispondo? Vai a cagare, stronzo! > urlo chiudendo la conversazione.
Mi libero dalla presa di Giuseppe, prendo la giacca ed esco di casa sbattendo la porta. Sento che stanno urlando qualcosa dalla porta di casa, ma col cazzo che mi fermo!
Procedo a grandi passi, con le mani in tasca e la testa infossata nelle spalle. Calcio i grumi di neve che mi si parano davanti e pesto con decisine le pozzanghere ghiacciate fino a romperlo.
“Cos’hai?”. Ma che domande sono?! Li ha visti pure lui gli zombie, dovrebbe capire anche senza chiedere!
Stringo i pugni dalla rabbia, vorrei tirargli un bel cazzotto dritto dritto sul muso.
Come se non bastasse, ho una fame che non ci vedo: non so cosa darei per un pezzo di pane.
Immersa nei miei pensieri, non mi accorgo nemmeno di essere arrivata a scuola, dove mia mamma occupa una stanza.
Entro e salgo al primo piano, la prima aula è dove vive lei. La porta è aperta, quindi busso appena per annunciarmi:
< Mamma >.
< Valentina! > mi corre incontro felice < Mi fa piacere che tu sia venuta a trovarmi! >.
Mi fa qualche domanda, mi offre del tè caldo, l’unica cosa che non venga rubata da quei bastardi, e mi fa sedere su una sedia di scuola.
Lei è felice di vedermi, con la scusa del lavoro ormai la vedo poco, ma capisce al volo che sono di cattivo umore. Si siede sul pagliericcio che usa come letto e mi invita ad accomodarmi accanto a lei.
< Dimmi tutto > mi propone. Vorrei dirle che non c’è niente, che non si deve preoccupare ma sarebbe una bugia.
< Ho litigato con Davide >.
Alza entrambe le sopracciglia in un’espressione di stupore: le volte in cui io e lui abbiamo litigato si contano sulle dita di una mano.
Le spiego che tutto è iniziato per una mia rispostaccia ma che lui non avrebbe dovuto chiedermelo, avrebbe dovuto saperlo.
La mamma sospira e scuote la testa poi, sorridendo, mi dice:
< Vale, lo sai che agli uomini bisogna dire tutto >.
< Mamma, Davide non è - > mi fermo immediatamente: stavo per dire papà. No, meglio lasciar stare, ha già abbastanza problemi di suo.
< Davide non è come tutti gli altri, è un po’ più sveglio > dico a mia madre < per questo è diventato mio amico >.
< Lo so, lo so. La mia era solo una battuta > risponde accarezzandomi i capelli < Lui era solo preoccupato per te, sei come una sorellina da proteggere >.
Adesso comincio a sentirmi un po’ in colpa.
“Bel colpo venire dalla mamma Valentina, bel colpo! Adesso hai pure i rimorsi!” Penso innervosita.
< E poi > riprende lei < Sai benissimo di arrabbiarti troppe per nulla certe volte >.
< Hey, non mettertici anche tu >.
< Sto solo dicendo che a volte ti fai prendere dalle emozioni, tutto qui >.
Purtroppo ha ragione: quando stavamo scappando, mangiavo poco per via dell’ansia, quando ho visto papà tra gli zombie sono andata via di testa e adesso ho litigato con Davide.
< Ascolta > mi dice < Adesso stai un po’ qui, così ti calmi completamente, e poi vai a casa e fate pace, va bene? >.
< Sì ma… se lui non volesse? >.
Scoppia in una fragorosa risata:
< Ma figurati! Adesso Francesca e Giuseppe ne staranno parlando con lui, spiegandogli che siete tutti nervosi in questo periodo >.
Già, sapessi perché. Se anche tu sapessi della merda che c’è sotto il furto di cibo, diventeresti più irascibile di una cinquantenne in menopausa.
< È solo che i digiuni e i pasti inadeguati fanno incattivire chiunque, voi non siete gli unici > conclude.
Chiacchieriamo ancora un po’ e mi convince a darle una mano a preparare i tavoli per la cena, apparecchiando con tovaglie e stoviglie.
Le tovaglie sono solo vecchi teli trovati nella cantina della scuola e le posate e i piatti sono tutti diversi tra loro: un po’ erano della mensa e la maggior parte sono stati donati dai cittadini.
Mi sembra quasi di essere tornata ai primi giorni: fianco dolorante, diffidenza verso tutti, lavoro come cameriera. Bleah.
La mamma sta cucinando quello che è andata a prendere questa mattina: riso e verdure in scatola. Vado a vedere a che punto è. La trovo che mescola energicamente il risotto in una pentola enorme, assieme ad alte quattro o cinque cuoche che fanno la stessa cosa.
Con una scusa, mi segue in un’altra stanza, dove mi dà di nascosto una lattina di pomodori sott’olio.
< Mamma, non posso accettarlo. Tutti hanno bisogno di mangiare e io- >.
< Portalo a casa e basta. Non ti permetto di fare la fame, capito? >.
< Io… >.
< Obbedisci a tua madre e basta > mi dice con tono falsamente autoritario.
Le sorrido e la ringrazio. Sta male nel vedermi così abbattuta e vuole tirarmi su di morale.
< Adesso vai a casa e fai pace con Davide. Buon fortuna > dice facendomi l’occhiolino.
 
Per strada fa già buio e inciampo un paio di volte in pezzi di ghiaccio nascosti dalla neve. Per fortuna sono uscita con la giacca perché fa un freddo cane.
Sono vicina ormai, non me ne ero neanche accorta. Cosa dirò adesso? E se non volesse fare pace?
Queste domande mi perseguitano da qualche ora e se continuo a pensarci va a finire che non combino nulla.
Faccio un respiro profondo, apro la porta e saluto:
< Hey! Sono tornata! >.
  
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