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Georg, nome in codice “Black Face”, diede fondo alla quinta tazza di caffè nel
giro di una giornata, se di giornata si poteva parlare, sprofondando
contrariato in una delle sedie dello stanzino attiguo all’area di
addestramento.
A bordo
della stazione spaziale l’orologio era l’unico strumento che permetteva di
percepire lo scorrere del tempo, e tutto era sempre maledettamente uguale a sé
stesso.
Da bravo
amalteco, il Comandante Georg Klopfer
amava le montagne, la vita all’aria aperta e la tranquillità della sua Otisa, una capitale per modo di dire che, come l’altro lato
della medaglia di realtà quali Kyrador e Volgorad, all’evoluzione data da una spasmodica ricerca di
nuove soluzioni sempre più avveniristiche ne aveva preferito una che coniugasse
passato e futuro, lasciando alla pietra, al legno e al mattone il ruolo loro
convenuto di strumenti con cui dare vita ad una superba città.
Lassù,
invece, era tutto diverso.
La
Stazione Spaziale Ares era ancora per buona parte in costruzione, con i soli
distretti residenziali e qualche settore operativo già completati e attualmente
in uso, ma nel giro di pochi anni la MAB contava di farne il proprio centro di
addestramento personale per ufficiali e reparti d’elite.
Dopotutto,
era per questo che Georg e la sua squadra erano stati convocati lassù.
Come
reparto scelto sperimentale in servizio nella regione di Otisa
avevano risolto diverse situazioni ingarbugliate, soprattutto inerenti ad
occasionali incidenti EDA, e negli anni avevano viaggiato il mondo in lungo e
in largo per addestrare altre unità e diffondere i loro metodi di intervento.
Ora gli
era stato chiesto di portare questa loro esperienza di ingaggio e di intervento
anche nello spazio aperto, dove erano stati inviati sia per addestrare un
nutrito gruppo di reclute selezionate sia per sottoporsi essi stessi ad un
nuovo programma di perfezionamento che sfruttava i limiti, ma anche le
potenzialità, di un ambiente così proibitivo e particolare.
Certamente
la sua era una squadra atipica, soprattutto per quanto riguardava la differenza
d’età; Georg ormai viaggiava a passo spedito verso la cinquantina, mentre di
contro dei suoi quattro inseparabili partner solo Vincent “Hawk
Eye” Trenton aveva già
spento trenta candeline.
Jacob
“Trigger” Keys si era fatto le ossa come tiratore scelto nella polizia; Helen
“Sleeping Beauty” Castaldi, capelli insolitamente argentei e occhi verdi che
tagliavano come lame, si era laureata a pieni voti all’accademia magica
dell’agenzia; Mayu “Tetsu” Marufuji, un visetto rotondo da bambina dominato da lenti
rotonde e folta ma corta chioma castano scura, veniva da una breve esperienza
nel mondo delle esibizioni aeree, e nonostante i suoi ventisei anni portava una
navetta da ricognizione orbitale con la semplicità di un’aeronave da turismo.
Ormai
erano passati sei mesi dall’inizio del corso, e Goerg
contava febbrilmente i giorni che mancavano al loro ritorno su Celestis, che come una sfera azzurra brulicante di vita si
stagliava oltre la vetrata dello stanzino.
In quel
momento stavano sorvolando l’isola di Zipangu,
nell’estremo est, una delle ultime terre a venire colonizzata, ed il cui
ingresso nelle Nuove Nazioni Unite risaliva ad appena un paio di decenni prima.
I
conterranei di Mayu l’avevano voluta tutta per loro,
perché dicevano di vedervi l’isola natale dei loro antenati sulla Terra, e
tutti erano stati ben felici di lasciargliela; forse abbondava di giacimenti
aurei, foreste vergini ricche di specie animali e paesaggi montani da mozzare
il fiato, ma fra terremoti e continue eruzioni dei vulcani che la costellavano
non poteva certo dirsi un’isola tutta quiete e serenità.
Intanto,
lui e i suoi colleghi avevano iniziato a stendere le valutazioni per i vari
membri del corso, ed in base al giudizio che avrebbero espresso per ciascuno di
loro si sarebbero aperte le porte di un impiego in prima linea o di una
bocciatura senza appello, perché per chi veniva escluso non c’erano seconde
opportunità.
Un
allievo in particolare aveva stimolato la curiosità e le aspirazioni del
nerboruto e ciclopico Capitano amalteco; Klaus Krietzmann, da lui soprannominato Il Rosso per il colore
acceso dei suoi capelli, aveva personalità, carattere e grande dedizione, oltre
ad un’abilità sia come soldato che come stregone che non gli faceva difetto, ma
a tutto questo faceva da contraltare un temperamento troppo scalmanato e
focoso, che solo il rispetto della gerarchia riusciva in qualche modo a tenere
a freno.
Lo aveva
visto rischiare in prima persona per salvare un ostaggio, gettarsi a capofitto
in una sparatoria per soccorrere i suoi compagni rimasti intrappolati, ma
troppo spesso quella testa calda confondeva il coraggio con la sconsideratezza,
mettendosi inutilmente in situazioni pericolose che nelle simulazioni potevano
anche essere tollerate, ma che in battaglia rischiavano di rivelarsi molto
pericolose.
«Giornata
storta?» domandò Vincent entrando nella stanza con in mano una scodella piena
di cereali.
«Se di
giornata si può parlare. Se non avessi un orologio, probabilmente sarei uscito
di testa tempo fa. E poi non sopporto questo postaccio angusto e stretto che puzza
di metallo verniciato».
Il suo
amico rise e si sedette, svuotando la scodella con poche cucchiaiate.
«Come
fai a ingurgitare quella merda?»
«Ehi
capo, non offendere i cereali Blueberry. I mirtilli
fanno bene alla vista e affinano la mente.»
«Te li
lascio volentieri.» e sbuffando il Capitano provò a bere il suo caffè, ma
dovette farsi forza per non sputarlo disgustato. «Da quale pozzo di catrame
tirano fuori questa schifezza? Se lo avessi saputo mi sarei portato dietro un
po’ del nostro caffè amalteco.»
«Avanti,
pensa che presto sarà finita. E poi, di cosa ti lamenti? Ci pagano
profumatamente per fare da babysitter a queste matricole. Molto meglio così che
schivare pallottole e scariche magiche sul campo di battaglia, no?»
«Dov’è
finito il letale tiratore scelto che si lamenta per un centimetro di errore e
mugugna se la missione finisce senza che abbia sparato?»
«Io sono
come un senzatetto. Prendo quello che arriva, mi godo quello che ho, e spendo
ogni singolo giorno succhiando dal capezzolo di questo mondo tutto il latte che
posso.
Perché
in fin dei conti, quelli come noi non sono mai sicuri di poter vedere il
sorgere della prossima alba.»
«Nessuno
può esserlo. Se così non fosse, vorrebbe dire che siamo tutti immortali».
Vincent
replicò con un sorrisetto sarcastico, ma non per questo offensivo, e dopo pochi
attimi il discorso venne interrotto dal trillare del comunicatore interno.
«Non si
può neanche fare colazione in santa pace?» brontolò Georg vedendo apparire
sullo schermo il volto tridimensionale del Sergente Castaldi.
«Desolata
di fare la guastafeste, ma ci sono problemi in sala mensa, e temo avrò bisogno
di una mano.»
«E chi
devo ringraziare per questa seccatura?»
«Ti do
tre possibilità, ma te ne basterà una».
Il Capitano
si passò una mano sulla faccia contrariato.
«Krietzmann» sibilò, e assieme a Victor lasciò rapidamente
la stanza.
Klaus con il suo
atteggiamento un po’ sopra le righe e la tendenza a prendere fuoco per la cosa
più piccola si era fatto parecchi nemici, e pur sapendo quello che poteva
costargli si faceva trascinare in qualche scazzottata con una frequenza
disarmante.
Quella
mattina, memori della cattiva prestazione nell’ultima prova pratica, i membri
di un altro team non avevano perso occasione per punzecchiarlo, e lui come al
solito aveva risposto alle provocazioni con un vassoio del pranzo dritto sul
naso.
Ne era
nata così una rissa furibonda, con gli altri studenti che assistevano in
disparte mentre Klaus si faceva riempire di botte, distribuendone però a sua
volta.
Quando
Georg, Vincent ed Helen arrivarono in mensa la situazione era degenerata già da
diversi minuti.
Due di
quelli che avevano cercato la rissa erano già nel mondo dei sogni, uno con la
testa infilata in un forno a microonde aperto l’altro a terra con attorno i
resti di una scodella di vetro che gli era stata spaccata sulla fronte; dei
quattro superstiti, tre se la stavano vedendo con Klaus, mentre un quarto era
tenuto a bada da Joe Debois, il fedele compagno di
squadra del Rosso, atteggiamento gelido ma abilità da combattente quasi
sovrumane; l’altra loro compagna, Amanda Gerth,
assisteva impotente, lanciando di quando in quando inutili ed inascoltati
richiami alla calma.
Vincent
fece per intervenire subito, ma Georg inaspettatamente lo trattenne, almeno
fino a quando Klaus, ormai esausto, non venne afferrato saldamente da uno dei
suoi aggressori, mentre il terzo, il caposquadra Ulrich
Drassimovic, un giovane Sottotenente eybaniano dal grande avvenire ma un po’ troppo incline alla
superbia, lo tempestava ininterrottamente di pugni.
«Basta
così!» si decise finalmente a comandare.
Tutti si
misero sull’attenti, ma Klaus dovette essere aiutato da Amanda per rimettersi
in piedi, anche se in presenza del Capitano il giovane si ostinò a rifiutare il
supporto riuscendo, pur con molta fatica, a stare in piedi sulle sue gambe.
«La
solita rissa di colazione, Krietzmann?».
Lui non
rispose, sorreggendosi sull’attenti, ma quello che Georg leggeva ogni volta nei
suoi occhi non gli piaceva per niente.
«Nel mio
ufficio tra venti minuti. Prima però vai in infermeria a farti rimettere
assieme.
Amanda,
accompagnalo.»
«Sissignore.»
rispose rispettosamente la ragazza.
Anche la
squadra che aveva cercato la rissa, o almeno quelli di loro che assieme a Ulrich riuscivano ancora a contare fino a dieci, furono
trascinati a rapporto, ma la lavata di capo che il Capitano intendeva riservare
loro non era nemmeno paragonabile a quella che aveva in mente per Klaus.
Klaus si presentò in
ufficio dopo qualche ora, trovando come al solito il suo superiore seduto alla
scrivania, lo sguardo truce e l’espressione funerea, anche più del solito.
Aveva
qualche livido in giro per il corpo, una fasciatura di poco conto
all’avambraccio sinistro e ferita abbastanza seria sopra l’occhio destro mezzo
tumefatto, che era stata chiusa con un paio di punti; la dottoressa Stern
sapeva davvero fare miracoli con la sua magia rigenerativa e curativa,
altrimenti per il turbolento Sergente il decorso, dopo tutte quelle botte,
sarebbe stato decisamente più lungo.
Klaus
fece il saluto, mettendosi sull’attenti.
«Sergente
Klaus Krietzmann a rapporto, signore.»
«Cosa
c’è che non funziona in quella tua testa bacata?» sbottò immediatamente Georg
quasi capottando la scrivania nell’atto di alzarsi.
Con due
passi fu appresso al suo allievo; Klaus non era certo un mingherlino, ma anche
così sembravano Davide e Golia.
«Il tuo
stato di servizio è a dir poco encomiabile. Hai partecipato a più operazioni ad
alto rischio di ogni altro membro del tuo distretto, collezionando note di
merito e riconoscimenti ufficiali.
Ciò
nonostante, sei stato buttato fuori da quattro diversi corsi d’aggiornamento
per la promozione ad Agente scelto, e ogni volta per lo stesso motivo. Scarsa
disciplina, poco autocontrollo. E una preoccupante predisposizione ad alzare le
mani. Ti avrebbero buttato fuori dall’Agenzia tempo fa se non fosse stato per
le tue indubbie qualità, ma la fortuna è come il vento: non gira sempre nella
stessa direzione.
Se solo
ti dessi una regolata, se imparassi un accidente di disciplina, potresti
arrivare ad ufficiale prima ancora dei trent’anni, battendo ogni record.
Giusto
che non ho mai visto nessuno buttare via una promettente carriera come stai
facendo tu».
Klaus
ascoltava in silenzio, sempre sull’attenti, ma nei suoi occhi Georg poteva
leggere varie diverse emozioni.
«Cerca
di goderti quello che resta di questo corso, ragazzo» sussurrò tra i denti.
«Non credo che ne vedrai altri».
Solo a
quel punto Klaus ebbe una reazione, serrando i denti dietro le labbra
appiccicate l’una all’altra e facendo roteare leggermente gli occhi come a
voler evitare lo sguardo del suo superiore.
«Questo
è tutto. Puoi andare, Sergente».
Fatto il
saluto Klaus lasciò l’ufficio, apparentemente impassibile. Come fu lasciato
solo, Georg si buttò nuovamente a sedere sulla poltrona, sospirando di
delusione: dopotutto, si diceva, era anche colpa sua se quel ragazzo non era
riuscito a sfruttare l’ultima opportunità che gli era stata data per mettersi
in riga e raddrizzare la sua carriera.
Ma era
destino che per quel giorno non gli fosse dato di potersi concedere un minuto
di riposo per riordinare i pensieri.
«Capitano
Klopfer.» disse un attendente apparendo in ologramma
al centro della scrivania. «Il Direttore Shane vuole vederla.»
«Arrivo
subito.» rispose il nerboruto istruttore.
Il Direttore Nathan Shane, Colonnello
dell’aeronautica militare amalteca, era un uomo tutto
d’un pezzo, di quelli che si erano fatti da soli ed amavano rammentarlo agli
altri, anche solo ostentando la propria presenza.
Non era
supponente né arrogante, cosa difficile a dirsi per qualcuno che partendo dal
nulla era arrivato ad avere tutto o quasi, e proprio per questo i capoccia di Otisa lo avevano voluto come proprio alto rappresentante
all’interno dell’Agenzia.
Forse la
MAB aveva subodorato qualcosa, un’intrusione nelle alte schiere con il
tentativo da parte di una realtà esterna di mettere il naso in questioni
strettamente private; fatto sta che dopo pochi anni dal suo arrivo Nathan era
stato sì promosso Direttore, ma subito dopo si era visto assegnare
quell’incarico di Direttore del programma di addestramento avanzato ed era
stato spedito in orbita a meno di due mesi dalla sua nomina.
Molti
altri Direttori, soprattutto tra i suoi colleghi collaboratori, avrebbero
pagato oro per un posto simile, che garantiva alti guadagni al prezzo di
pochissimi rischi e rogne amministrative, ma per Nathan quello era come una
sorta di limbo, una trappola in cui era stato rinchiuso perché non potesse
nuocere.
Se non
altro, aveva avuto la possibilità di scegliere personalmente i propri
collaboratori, anche se non era sicuro che il Capitano Klopfer
avesse gradito quella nuova sistemazione.
Ciò
nonostante i due avevano profonda stima l’uno dell’altro, incentivata forse dal
fatto di essere connazionali, e tenevano sempre in considerazione i rispettivi
punti di vista, pur senza mai far venire meno la catena del comando.
Già il
fatto di essere stato convocato in sala conferenze fu per Georg la conferma che
doveva essere accaduto qualcosa, ma quando, una volta entrato, oltre al Direttore
trovò ad attenderlo anche il Direttore Esecutivo Nolan,
membro del Consiglio di Sicurezza dell’Agenzia, il ministro della marina
mercantile amalteca Robson
e il viceComandante dell’esercito di Amaltea Generale Loy, fu chiaro
al Capitano che si trattava senza dubbio di una cosa seria.
Il Direttore
Shane era in piedi, la sua adorata pipa chiusa in una mano ed il fare altero,
quasi ascetico, da vero soldato; quanto agli ospiti, seduti attorno al tavolo
ovale al centro della stanza abbastanza lontani l’uno dall’altro, Georg aveva
già avuto modo di conoscerli in passato, ma dei tre l’unico che avesse mai
incontrato in prima persona in più occasioni era il Direttore Quintus Nolan.
Facendo
un paragone con il Direttore Shane, lui e Nolan erano
come il diavolo e l’acqua santa; Nolan veniva da una
famiglia prestigiosa, e la sua carriera gli era stata praticamente servita su
di un piatto d’argento; aveva mancato per ben due volte la promozione a Direttore
Generale, ma secondo i più il terzo tentativo sarebbe stato sicuramente quello
buono. Non che questo lo si potesse considerare un bene; infatti, secondo
Georg, la MAB aveva tutto da perdere nel mettersi nelle mani di un tipo simile.
«Benvenuto,
Capitano.» disse Shane «Si accomodi.»
«Grazie,
signore. Preferisco stare in piedi.»
«Sempre
integerrimo e ligio al dovere, eh Klopfer?» domandò Nolan con una punta quasi di sarcasmo, cui il Capitano non
parve fare attenzione
«Come
preferisce. L’abbiamo convocata perché è sorto un problema inaspettato, e c’è
bisogno di qualcuno che ci aiuti a fare chiarezza.»
«Sono a
vostra disposizione, signori. Cosa posso fare per voi?».
I tre si
consultarono con lo sguardo, e Robson in particolare
sembrava quantomeno nervoso; fu lui a prendere la parola, quasi imbarazzato.
«Quattro
giorni fa abbiamo perso i contatti col Megonia.»
«Perso i
contatti?» domandò Georg un po’ incredulo. «Com’è possibile?»
«La nave
si trovava nella zona d’ombra tra Neos ed Erithium per assistere alla Nascita di Venere. Avrebbero dovuto
ripristinare i contatti due giorni fa, dopo essere usciti dal buco nero, ma da
allora non siamo più riusciti a stabilire un collegamento.
Inoltre,
il segnale lanciato dal tracciatore e intercettato dalle torri di controllo ha
appurato che il Megonia si trova molto lontano dalla
rotta prestabilita».
Al
centro del tavolo comparve una proiezione tridimensionale delle due lune, con
una linea verde tratteggiata a segnare la rotta del Megonia
e un puntino giallo lampeggiante che invece ne indicava l’attuale posizione, al
termine di una seconda linea sempre gialla.
«Le
trasmissioni sono ancora parzialmente disturbate a causa della tempesta di
radiazioni prodotta dalla Nascita di Venere,» spiegò Loy
«ma l’ultimo segnale ricevuto indicava il Megonia in
questo settore, ancora al limitare della zona oscura.»
«Per
quale motivo dovrebbero trovarsi in un posto simile?» si chiese Georg «Quel
settore brulica di detriti spaziali, e oltretutto sono pericolosamente vicini a
Neos. Di questo passo rischiano di venire catturati
dalla luna e schiantarcisi.»
«La
rotta che si ritiene possa avere seguito è molto irregolare e discontinua.»
disse Shane «È altamente probabile che in questo momento la nave stia andando
alla deriva».
Non era
la prima volta che capitava una cosa del genere, soprattutto in quella porzione
di spazio.
Celestis ed
il suo popolo erano lontani ancora anni luce dallo sviluppare una tecnologia
che permettesse di ridurre significativamente la durata dei viaggi spaziali, e
per quanto riguardava i tempi di percorrenza della rotta con la Terra i cento e
passa anni della prima spedizione erano ancora immutati; tuttavia, grazie alla
tecnologia del warp, che consentiva di percorrere
notevoli distanze siderali in tempi relativamente ristretti azzerando la teoria
della relatività e la curvatura dello spazio-tempo, era stato possibile se non
altro esplorare vaste zone del Sistema Noesis,
costruendo varie piattaforme e stazioni orbitali e anche qualche installazione
terrestre per studi scientifici, seppur interamente gestita dai computer.
Non
tutte queste realtà extraplanetarie però erano note alle forze di sicurezza, e
con l’aumentare delle spedizioni, sia turistiche che commerciali, era
ricomparso anche il fenomeno della pirateria, con bande di saccheggiatori che
assaltavano occasionalmente vascelli civili e mercantili, arraffando tutto il
possibile per poi dileguarsi e nascondersi in qualche stazione illegale, magari
riadattata e rimessa a nuovo tra quelle non più operative.
«Pensate
ad un abbordaggio?»
«È una
delle ipotesi.» rispose il ministro Robson «Ma anche
così c’è qualcosa che non torna.»
«Cosa
vuole dire?»
«Come ha
fatto candidamente notare anche lei,» disse Nolan col
medesimo tono di poco prima «Quella zona è particolarmente pericolosa, quindi
nessuna delle altre navi in transito nella zona è stata in grado di avvicinarsi
a sufficienza da scorgere il Megonia.
Tuttavia,
alcune di loro sono riuscire a scattare delle foto sufficientemente accurate, e
analizzandole i tecnici dell’Agenzia hanno riscontrato che le scialuppe di
salvataggio sembrano essere ancora tutte al loro posto.»
«Volete
dire che i passeggeri potrebbero essere ancora a bordo?»
«È
possibile, anche se non ci spieghiamo il perché.» disse Robson
«Ed è
qui che entra in gioco lei, Capitano.» intervenne il Generale Loy «Sulla superficie si sta già preparando una spedizione
di salvataggio, ma prima gli alti comandi dell’Agenzia e il governo di Amaltea vorrebbero capire bene cosa è realmente successo. A
quanto ne so, della sua squadra fa parte anche un eccellente pilota. Vorremmo
che lei e i suoi uomini raggiungeste il Megonia per
accertarvi della situazione.»
«Con il
dovuto rispetto signore, non sarebbe più semplice accelerare i tempi e inviare
subito i soccorsi? Quella gente potrebbe avere bisogno di aiuto.»
«Lei
deve capire, Capitano,» disse Robson, «Questa
operazione costerà milioni e milioni di kylis. Le
circostanze ci suggeriscono che potrebbe essere effettivamente successo
qualcosa di serio, e dobbiamo considerare anche la peggiore delle ipotesi.
In base agli
accordi gli armatori e le compagnie assicurative dovranno coprire le spese di
soccorso, ma prima di poterlo fare vogliono avere un quadro chiaro della
situazione. Spendere soldi non piace a nessuno, soprattutto se si parla di
cifre a otto zeri».
Il Capitano
aggrottò le sopracciglia e serrò i pugni; alla fine di tutto, si tornava sempre
lì. Al denaro.
Il Megonia poteva sempre essere recuperato in un secondo
momento, o nella peggiore delle ipotesi se ne poteva anche costruire un altro,
a condizione ovviamente che non vi fossero dei naufraghi da salvare.
Ma lui e
i suoi uomini erano solo soldati, e in quanto tali dovevano obbedire agli
ordini.
«Ai
vostri ordini, signori.» disse facendo il saluto «Farò mobilitare subito la mia
squadra.»
«Avrà
tutte le informazioni e l’equipaggiamento che le occorrono, Capitano.» disse il
Direttore Shane «Troverà ogni cosa ad attenderla a bordo della navetta.»
«Sissignore.
Grazie, signore.»
«Può
essere soddisfatto, Capitano» intervenne ancora Nolan.
«Avrà la possibilità di testare i suoi programmi di allenamento.»
«Signore!?»
replicò Georg come confuso.
«Il
Consiglio di Sicurezza caldeggiava da tempo la possibilità di mettere alla
prova i suoi ragazzi, e questa occasione è capitata a fagiolo.
Quale
modo migliore per farlo se non con una prova sul campo?».
Georg
non aveva mai fatto venire meno il significato della catena del comando, ma in
quell’occasione non se la sentì di stare zitto.
«Signore,
questi ragazzi non hanno ancora completato l’addestramento. Non sono pronti per
una prova di questo tipo, senza contare che molti di loro non hanno mai neppure
partecipato ad una vera operazione.»
«Vale lo
stesso discorso del ministro Robson, Capitano Klopfer» replicò Nolan col tono
di chi non ammetteva repliche. «Questo programma sta costando una somma
notevole all’Agenzia, e nel caso non l’avesse capito non siamo una società di
volontariato.
Il
Consiglio le ordina di portare con sé quattro dei suoi allievi. Potrà scegliere
quelli che preferisce. Mi auguro sia consapevole che dall’esito della missione
e dal rapporto che ne verrà fuori dipenderà il futuro del suo progetto.
E con
questo, ho finito.
Buona
giornata, Capitano».
Detto
questo, e lanciato al Capitano un sorrisetto da far prudere le mani, Nolan scomparve come l’ologramma che era, seguito poco dopo
anche dal ministro Robson e dal Generale Loy.
«So
quello che stai pensando» mormorò il Direttore Shane. «Lo sto pensando anch’io.
Nolan è un
maledetto arrivista, ma è anche il nostro capo, senza contare che, per quanto
mi scocci ammetterlo, ha ragione. I nostri ragazzi sono qui per diventare dei
soldati, non per mettersi in mostra davanti alle telecamere come quel bastardo
arrogante.»
«Per
quale motivo fanno intervenire noi?» replicò Georg tenendo lo sguardo basso.
«Il Megonia è una nave di Amaltea.
Perché non se la risolvono da soli?»
«Noi
siamo la MAB, Capitano» rispose il Direttore quasi con astio. «Il nostro
compito è garantire la pace e la sicurezza di tutti gli abitanti di questo
mondo, e di proteggerli da ogni possibile minaccia.
Lo
ricorda il motto della nostra agenzia, vero?».
Georg
temporeggiò, poi con un filo di voce pronunciò le nove parole che capeggiavano
in calce ad ogni stemma dell’Agenzia.
«Per la
pace. Per il mondo. Per l’umanità.»
«Si
prepari, Capitano. La missione parte alle dodici e zero zero.»
«Sissignore».