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Autore: Carlos Olivera    12/05/2014    1 recensioni
Tratto dal Capitolo 1
In tutta Celestis non c’era vascello più splendente del Megonia.
Era nato inizialmente come vascello militare, ma a seguito dell’approvazione delle nuove limitazioni sugli armamenti orbitali l’aeronautica amalteca aveva deciso di riconvertirlo ad uso civile, facendone la nave da crociera più lussuosa ed innovativa che si fosse mai vista.
Essendo nata come nave da guerra non raggiungeva le dimensioni delle altre sue sorelle battenti bandiera di Caldesia, di Eyban o di Alepto, ma ciò nonostante era considerata la più bella astronave che Celestis avesse mai prodotto.
La sua forma lunga e affusolata, simile ad un veliero vero e proprio, la rendeva agile e veloce, oltre che esteticamente più bella della maggior parte delle altre navi civili; di vetrate panoramiche ne aveva solo una, una scintillante cupola che emergeva elegantemente dalla fusoliera color panna, proprio sopra il grande salone centrale.
A poppa, enormi e suggestivi barbigli emergevano dalla chiglia, protendendosi oltre il bordo poppiero da cui sbucavano le turbine a propulsione, rassomigliando alle ali di un angelo.
Nelle pubblicità delle agenzie di viaggio, il Megonia era decantato come un angolo di paradiso; ora, invece, era divenuto l’anticamera dell'Inferno
Genere: Fantasy, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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2

 

 

Georg, nome in codice “Black Face”, diede fondo alla quinta tazza di caffè nel giro di una giornata, se di giornata si poteva parlare, sprofondando contrariato in una delle sedie dello stanzino attiguo all’area di addestramento.

A bordo della stazione spaziale l’orologio era l’unico strumento che permetteva di percepire lo scorrere del tempo, e tutto era sempre maledettamente uguale a sé stesso.

Da bravo amalteco, il Comandante Georg Klopfer amava le montagne, la vita all’aria aperta e la tranquillità della sua Otisa, una capitale per modo di dire che, come l’altro lato della medaglia di realtà quali Kyrador e Volgorad, all’evoluzione data da una spasmodica ricerca di nuove soluzioni sempre più avveniristiche ne aveva preferito una che coniugasse passato e futuro, lasciando alla pietra, al legno e al mattone il ruolo loro convenuto di strumenti con cui dare vita ad una superba città.

Lassù, invece, era tutto diverso.

La Stazione Spaziale Ares era ancora per buona parte in costruzione, con i soli distretti residenziali e qualche settore operativo già completati e attualmente in uso, ma nel giro di pochi anni la MAB contava di farne il proprio centro di addestramento personale per ufficiali e reparti d’elite.

Dopotutto, era per questo che Georg e la sua squadra erano stati convocati lassù.

Come reparto scelto sperimentale in servizio nella regione di Otisa avevano risolto diverse situazioni ingarbugliate, soprattutto inerenti ad occasionali incidenti EDA, e negli anni avevano viaggiato il mondo in lungo e in largo per addestrare altre unità e diffondere i loro metodi di intervento.

Ora gli era stato chiesto di portare questa loro esperienza di ingaggio e di intervento anche nello spazio aperto, dove erano stati inviati sia per addestrare un nutrito gruppo di reclute selezionate sia per sottoporsi essi stessi ad un nuovo programma di perfezionamento che sfruttava i limiti, ma anche le potenzialità, di un ambiente così proibitivo e particolare.

Certamente la sua era una squadra atipica, soprattutto per quanto riguardava la differenza d’età; Georg ormai viaggiava a passo spedito verso la cinquantina, mentre di contro dei suoi quattro inseparabili partner solo Vincent “Hawk EyeTrenton aveva già spento trenta candeline.

Jacob “Trigger” Keys si era fatto le ossa come tiratore scelto nella polizia; Helen “Sleeping Beauty” Castaldi, capelli insolitamente argentei e occhi verdi che tagliavano come lame, si era laureata a pieni voti all’accademia magica dell’agenzia; MayuTetsuMarufuji, un visetto rotondo da bambina dominato da lenti rotonde e folta ma corta chioma castano scura, veniva da una breve esperienza nel mondo delle esibizioni aeree, e nonostante i suoi ventisei anni portava una navetta da ricognizione orbitale con la semplicità di un’aeronave da turismo.

Ormai erano passati sei mesi dall’inizio del corso, e Goerg contava febbrilmente i giorni che mancavano al loro ritorno su Celestis, che come una sfera azzurra brulicante di vita si stagliava oltre la vetrata dello stanzino.

In quel momento stavano sorvolando l’isola di Zipangu, nell’estremo est, una delle ultime terre a venire colonizzata, ed il cui ingresso nelle Nuove Nazioni Unite risaliva ad appena un paio di decenni prima.

I conterranei di Mayu l’avevano voluta tutta per loro, perché dicevano di vedervi l’isola natale dei loro antenati sulla Terra, e tutti erano stati ben felici di lasciargliela; forse abbondava di giacimenti aurei, foreste vergini ricche di specie animali e paesaggi montani da mozzare il fiato, ma fra terremoti e continue eruzioni dei vulcani che la costellavano non poteva certo dirsi un’isola tutta quiete e serenità.

Intanto, lui e i suoi colleghi avevano iniziato a stendere le valutazioni per i vari membri del corso, ed in base al giudizio che avrebbero espresso per ciascuno di loro si sarebbero aperte le porte di un impiego in prima linea o di una bocciatura senza appello, perché per chi veniva escluso non c’erano seconde opportunità.

Un allievo in particolare aveva stimolato la curiosità e le aspirazioni del nerboruto e ciclopico Capitano amalteco; Klaus Krietzmann, da lui soprannominato Il Rosso per il colore acceso dei suoi capelli, aveva personalità, carattere e grande dedizione, oltre ad un’abilità sia come soldato che come stregone che non gli faceva difetto, ma a tutto questo faceva da contraltare un temperamento troppo scalmanato e focoso, che solo il rispetto della gerarchia riusciva in qualche modo a tenere a freno.

Lo aveva visto rischiare in prima persona per salvare un ostaggio, gettarsi a capofitto in una sparatoria per soccorrere i suoi compagni rimasti intrappolati, ma troppo spesso quella testa calda confondeva il coraggio con la sconsideratezza, mettendosi inutilmente in situazioni pericolose che nelle simulazioni potevano anche essere tollerate, ma che in battaglia rischiavano di rivelarsi molto pericolose.

«Giornata storta?» domandò Vincent entrando nella stanza con in mano una scodella piena di cereali.

«Se di giornata si può parlare. Se non avessi un orologio, probabilmente sarei uscito di testa tempo fa. E poi non sopporto questo postaccio angusto e stretto che puzza di metallo verniciato».

Il suo amico rise e si sedette, svuotando la scodella con poche cucchiaiate.

«Come fai a ingurgitare quella merda?»

«Ehi capo, non offendere i cereali Blueberry. I mirtilli fanno bene alla vista e affinano la mente.»

«Te li lascio volentieri.» e sbuffando il Capitano provò a bere il suo caffè, ma dovette farsi forza per non sputarlo disgustato. «Da quale pozzo di catrame tirano fuori questa schifezza? Se lo avessi saputo mi sarei portato dietro un po’ del nostro caffè amalteco

«Avanti, pensa che presto sarà finita. E poi, di cosa ti lamenti? Ci pagano profumatamente per fare da babysitter a queste matricole. Molto meglio così che schivare pallottole e scariche magiche sul campo di battaglia, no?»

«Dov’è finito il letale tiratore scelto che si lamenta per un centimetro di errore e mugugna se la missione finisce senza che abbia sparato?»

«Io sono come un senzatetto. Prendo quello che arriva, mi godo quello che ho, e spendo ogni singolo giorno succhiando dal capezzolo di questo mondo tutto il latte che posso.

Perché in fin dei conti, quelli come noi non sono mai sicuri di poter vedere il sorgere della prossima alba.»

«Nessuno può esserlo. Se così non fosse, vorrebbe dire che siamo tutti immortali».

Vincent replicò con un sorrisetto sarcastico, ma non per questo offensivo, e dopo pochi attimi il discorso venne interrotto dal trillare del comunicatore interno.

«Non si può neanche fare colazione in santa pace?» brontolò Georg vedendo apparire sullo schermo il volto tridimensionale del Sergente Castaldi.

«Desolata di fare la guastafeste, ma ci sono problemi in sala mensa, e temo avrò bisogno di una mano.»

«E chi devo ringraziare per questa seccatura?»

«Ti do tre possibilità, ma te ne basterà una».

Il Capitano si passò una mano sulla faccia contrariato.

«Krietzmann» sibilò, e assieme a Victor lasciò rapidamente la stanza.

 

Klaus con il suo atteggiamento un po’ sopra le righe e la tendenza a prendere fuoco per la cosa più piccola si era fatto parecchi nemici, e pur sapendo quello che poteva costargli si faceva trascinare in qualche scazzottata con una frequenza disarmante.

Quella mattina, memori della cattiva prestazione nell’ultima prova pratica, i membri di un altro team non avevano perso occasione per punzecchiarlo, e lui come al solito aveva risposto alle provocazioni con un vassoio del pranzo dritto sul naso.

Ne era nata così una rissa furibonda, con gli altri studenti che assistevano in disparte mentre Klaus si faceva riempire di botte, distribuendone però a sua volta.

Quando Georg, Vincent ed Helen arrivarono in mensa la situazione era degenerata già da diversi minuti.

Due di quelli che avevano cercato la rissa erano già nel mondo dei sogni, uno con la testa infilata in un forno a microonde aperto l’altro a terra con attorno i resti di una scodella di vetro che gli era stata spaccata sulla fronte; dei quattro superstiti, tre se la stavano vedendo con Klaus, mentre un quarto era tenuto a bada da Joe Debois, il fedele compagno di squadra del Rosso, atteggiamento gelido ma abilità da combattente quasi sovrumane; l’altra loro compagna, Amanda Gerth, assisteva impotente, lanciando di quando in quando inutili ed inascoltati richiami alla calma.

Vincent fece per intervenire subito, ma Georg inaspettatamente lo trattenne, almeno fino a quando Klaus, ormai esausto, non venne afferrato saldamente da uno dei suoi aggressori, mentre il terzo, il caposquadra Ulrich Drassimovic, un giovane Sottotenente eybaniano dal grande avvenire ma un po’ troppo incline alla superbia, lo tempestava ininterrottamente di pugni.

«Basta così!» si decise finalmente a comandare.

Tutti si misero sull’attenti, ma Klaus dovette essere aiutato da Amanda per rimettersi in piedi, anche se in presenza del Capitano il giovane si ostinò a rifiutare il supporto riuscendo, pur con molta fatica, a stare in piedi sulle sue gambe.

«La solita rissa di colazione, Krietzmann?».

Lui non rispose, sorreggendosi sull’attenti, ma quello che Georg leggeva ogni volta nei suoi occhi non gli piaceva per niente.

«Nel mio ufficio tra venti minuti. Prima però vai in infermeria a farti rimettere assieme.

Amanda, accompagnalo.»

«Sissignore.» rispose rispettosamente la ragazza.

Anche la squadra che aveva cercato la rissa, o almeno quelli di loro che assieme a Ulrich riuscivano ancora a contare fino a dieci, furono trascinati a rapporto, ma la lavata di capo che il Capitano intendeva riservare loro non era nemmeno paragonabile a quella che aveva in mente per Klaus.

 

Klaus si presentò in ufficio dopo qualche ora, trovando come al solito il suo superiore seduto alla scrivania, lo sguardo truce e l’espressione funerea, anche più del solito.

Aveva qualche livido in giro per il corpo, una fasciatura di poco conto all’avambraccio sinistro e ferita abbastanza seria sopra l’occhio destro mezzo tumefatto, che era stata chiusa con un paio di punti; la dottoressa Stern sapeva davvero fare miracoli con la sua magia rigenerativa e curativa, altrimenti per il turbolento Sergente il decorso, dopo tutte quelle botte, sarebbe stato decisamente più lungo.

Klaus fece il saluto, mettendosi sull’attenti.

«Sergente Klaus Krietzmann a rapporto, signore.»

«Cosa c’è che non funziona in quella tua testa bacata?» sbottò immediatamente Georg quasi capottando la scrivania nell’atto di alzarsi.

Con due passi fu appresso al suo allievo; Klaus non era certo un mingherlino, ma anche così sembravano Davide e Golia.

«Il tuo stato di servizio è a dir poco encomiabile. Hai partecipato a più operazioni ad alto rischio di ogni altro membro del tuo distretto, collezionando note di merito e riconoscimenti ufficiali.

Ciò nonostante, sei stato buttato fuori da quattro diversi corsi d’aggiornamento per la promozione ad Agente scelto, e ogni volta per lo stesso motivo. Scarsa disciplina, poco autocontrollo. E una preoccupante predisposizione ad alzare le mani. Ti avrebbero buttato fuori dall’Agenzia tempo fa se non fosse stato per le tue indubbie qualità, ma la fortuna è come il vento: non gira sempre nella stessa direzione.

Se solo ti dessi una regolata, se imparassi un accidente di disciplina, potresti arrivare ad ufficiale prima ancora dei trent’anni, battendo ogni record.

Giusto che non ho mai visto nessuno buttare via una promettente carriera come stai facendo tu».

Klaus ascoltava in silenzio, sempre sull’attenti, ma nei suoi occhi Georg poteva leggere varie diverse emozioni.

«Cerca di goderti quello che resta di questo corso, ragazzo» sussurrò tra i denti. «Non credo che ne vedrai altri».

Solo a quel punto Klaus ebbe una reazione, serrando i denti dietro le labbra appiccicate l’una all’altra e facendo roteare leggermente gli occhi come a voler evitare lo sguardo del suo superiore.

«Questo è tutto. Puoi andare, Sergente».

Fatto il saluto Klaus lasciò l’ufficio, apparentemente impassibile. Come fu lasciato solo, Georg si buttò nuovamente a sedere sulla poltrona, sospirando di delusione: dopotutto, si diceva, era anche colpa sua se quel ragazzo non era riuscito a sfruttare l’ultima opportunità che gli era stata data per mettersi in riga e raddrizzare la sua carriera.

Ma era destino che per quel giorno non gli fosse dato di potersi concedere un minuto di riposo per riordinare i pensieri.

«Capitano Klopfer.» disse un attendente apparendo in ologramma al centro della scrivania. «Il Direttore Shane vuole vederla.»

«Arrivo subito.» rispose il nerboruto istruttore.

 

Il Direttore Nathan Shane, Colonnello dell’aeronautica militare amalteca, era un uomo tutto d’un pezzo, di quelli che si erano fatti da soli ed amavano rammentarlo agli altri, anche solo ostentando la propria presenza.

Non era supponente né arrogante, cosa difficile a dirsi per qualcuno che partendo dal nulla era arrivato ad avere tutto o quasi, e proprio per questo i capoccia di Otisa lo avevano voluto come proprio alto rappresentante all’interno dell’Agenzia.

Forse la MAB aveva subodorato qualcosa, un’intrusione nelle alte schiere con il tentativo da parte di una realtà esterna di mettere il naso in questioni strettamente private; fatto sta che dopo pochi anni dal suo arrivo Nathan era stato sì promosso Direttore, ma subito dopo si era visto assegnare quell’incarico di Direttore del programma di addestramento avanzato ed era stato spedito in orbita a meno di due mesi dalla sua nomina.

Molti altri Direttori, soprattutto tra i suoi colleghi collaboratori, avrebbero pagato oro per un posto simile, che garantiva alti guadagni al prezzo di pochissimi rischi e rogne amministrative, ma per Nathan quello era come una sorta di limbo, una trappola in cui era stato rinchiuso perché non potesse nuocere.

Se non altro, aveva avuto la possibilità di scegliere personalmente i propri collaboratori, anche se non era sicuro che il Capitano Klopfer avesse gradito quella nuova sistemazione.

Ciò nonostante i due avevano profonda stima l’uno dell’altro, incentivata forse dal fatto di essere connazionali, e tenevano sempre in considerazione i rispettivi punti di vista, pur senza mai far venire meno la catena del comando.

Già il fatto di essere stato convocato in sala conferenze fu per Georg la conferma che doveva essere accaduto qualcosa, ma quando, una volta entrato, oltre al Direttore trovò ad attenderlo anche il Direttore Esecutivo Nolan, membro del Consiglio di Sicurezza dell’Agenzia, il ministro della marina mercantile amalteca Robson e il viceComandante dell’esercito di Amaltea Generale Loy, fu chiaro al Capitano che si trattava senza dubbio di una cosa seria.

Il Direttore Shane era in piedi, la sua adorata pipa chiusa in una mano ed il fare altero, quasi ascetico, da vero soldato; quanto agli ospiti, seduti attorno al tavolo ovale al centro della stanza abbastanza lontani l’uno dall’altro, Georg aveva già avuto modo di conoscerli in passato, ma dei tre l’unico che avesse mai incontrato in prima persona in più occasioni era il Direttore Quintus Nolan.

Facendo un paragone con il Direttore Shane, lui e Nolan erano come il diavolo e l’acqua santa; Nolan veniva da una famiglia prestigiosa, e la sua carriera gli era stata praticamente servita su di un piatto d’argento; aveva mancato per ben due volte la promozione a Direttore Generale, ma secondo i più il terzo tentativo sarebbe stato sicuramente quello buono. Non che questo lo si potesse considerare un bene; infatti, secondo Georg, la MAB aveva tutto da perdere nel mettersi nelle mani di un tipo simile.

«Benvenuto, Capitano.» disse Shane «Si accomodi.»

«Grazie, signore. Preferisco stare in piedi.»

«Sempre integerrimo e ligio al dovere, eh Klopfer?» domandò Nolan con una punta quasi di sarcasmo, cui il Capitano non parve fare attenzione

«Come preferisce. L’abbiamo convocata perché è sorto un problema inaspettato, e c’è bisogno di qualcuno che ci aiuti a fare chiarezza.»

«Sono a vostra disposizione, signori. Cosa posso fare per voi?».

I tre si consultarono con lo sguardo, e Robson in particolare sembrava quantomeno nervoso; fu lui a prendere la parola, quasi imbarazzato.

«Quattro giorni fa abbiamo perso i contatti col Megonia

«Perso i contatti?» domandò Georg un po’ incredulo. «Com’è possibile?»

«La nave si trovava nella zona d’ombra tra Neos ed Erithium per assistere alla Nascita di Venere. Avrebbero dovuto ripristinare i contatti due giorni fa, dopo essere usciti dal buco nero, ma da allora non siamo più riusciti a stabilire un collegamento.

Inoltre, il segnale lanciato dal tracciatore e intercettato dalle torri di controllo ha appurato che il Megonia si trova molto lontano dalla rotta prestabilita».

Al centro del tavolo comparve una proiezione tridimensionale delle due lune, con una linea verde tratteggiata a segnare la rotta del Megonia e un puntino giallo lampeggiante che invece ne indicava l’attuale posizione, al termine di una seconda linea sempre gialla.

«Le trasmissioni sono ancora parzialmente disturbate a causa della tempesta di radiazioni prodotta dalla Nascita di Venere,» spiegò Loy «ma l’ultimo segnale ricevuto indicava il Megonia in questo settore, ancora al limitare della zona oscura.»

«Per quale motivo dovrebbero trovarsi in un posto simile?» si chiese Georg «Quel settore brulica di detriti spaziali, e oltretutto sono pericolosamente vicini a Neos. Di questo passo rischiano di venire catturati dalla luna e schiantarcisi

«La rotta che si ritiene possa avere seguito è molto irregolare e discontinua.» disse Shane «È altamente probabile che in questo momento la nave stia andando alla deriva».

Non era la prima volta che capitava una cosa del genere, soprattutto in quella porzione di spazio.

Celestis ed il suo popolo erano lontani ancora anni luce dallo sviluppare una tecnologia che permettesse di ridurre significativamente la durata dei viaggi spaziali, e per quanto riguardava i tempi di percorrenza della rotta con la Terra i cento e passa anni della prima spedizione erano ancora immutati; tuttavia, grazie alla tecnologia del warp, che consentiva di percorrere notevoli distanze siderali in tempi relativamente ristretti azzerando la teoria della relatività e la curvatura dello spazio-tempo, era stato possibile se non altro esplorare vaste zone del Sistema Noesis, costruendo varie piattaforme e stazioni orbitali e anche qualche installazione terrestre per studi scientifici, seppur interamente gestita dai computer.

Non tutte queste realtà extraplanetarie però erano note alle forze di sicurezza, e con l’aumentare delle spedizioni, sia turistiche che commerciali, era ricomparso anche il fenomeno della pirateria, con bande di saccheggiatori che assaltavano occasionalmente vascelli civili e mercantili, arraffando tutto il possibile per poi dileguarsi e nascondersi in qualche stazione illegale, magari riadattata e rimessa a nuovo tra quelle non più operative.

«Pensate ad un abbordaggio?»

«È una delle ipotesi.» rispose il ministro Robson «Ma anche così c’è qualcosa che non torna.»

«Cosa vuole dire?»

«Come ha fatto candidamente notare anche lei,» disse Nolan col medesimo tono di poco prima «Quella zona è particolarmente pericolosa, quindi nessuna delle altre navi in transito nella zona è stata in grado di avvicinarsi a sufficienza da scorgere il Megonia.

Tuttavia, alcune di loro sono riuscire a scattare delle foto sufficientemente accurate, e analizzandole i tecnici dell’Agenzia hanno riscontrato che le scialuppe di salvataggio sembrano essere ancora tutte al loro posto.»

«Volete dire che i passeggeri potrebbero essere ancora a bordo?»

«È possibile, anche se non ci spieghiamo il perché.» disse Robson

«Ed è qui che entra in gioco lei, Capitano.» intervenne il Generale Loy «Sulla superficie si sta già preparando una spedizione di salvataggio, ma prima gli alti comandi dell’Agenzia e il governo di Amaltea vorrebbero capire bene cosa è realmente successo. A quanto ne so, della sua squadra fa parte anche un eccellente pilota. Vorremmo che lei e i suoi uomini raggiungeste il Megonia per accertarvi della situazione.»

«Con il dovuto rispetto signore, non sarebbe più semplice accelerare i tempi e inviare subito i soccorsi? Quella gente potrebbe avere bisogno di aiuto.»

«Lei deve capire, Capitano,» disse Robson, «Questa operazione costerà milioni e milioni di kylis. Le circostanze ci suggeriscono che potrebbe essere effettivamente successo qualcosa di serio, e dobbiamo considerare anche la peggiore delle ipotesi.

In base agli accordi gli armatori e le compagnie assicurative dovranno coprire le spese di soccorso, ma prima di poterlo fare vogliono avere un quadro chiaro della situazione. Spendere soldi non piace a nessuno, soprattutto se si parla di cifre a otto zeri».

Il Capitano aggrottò le sopracciglia e serrò i pugni; alla fine di tutto, si tornava sempre lì. Al denaro.

Il Megonia poteva sempre essere recuperato in un secondo momento, o nella peggiore delle ipotesi se ne poteva anche costruire un altro, a condizione ovviamente che non vi fossero dei naufraghi da salvare.

Ma lui e i suoi uomini erano solo soldati, e in quanto tali dovevano obbedire agli ordini.

«Ai vostri ordini, signori.» disse facendo il saluto «Farò mobilitare subito la mia squadra.»

«Avrà tutte le informazioni e l’equipaggiamento che le occorrono, Capitano.» disse il Direttore Shane «Troverà ogni cosa ad attenderla a bordo della navetta.»

«Sissignore. Grazie, signore.»

«Può essere soddisfatto, Capitano» intervenne ancora Nolan. «Avrà la possibilità di testare i suoi programmi di allenamento.»

«Signore!?» replicò Georg come confuso.

«Il Consiglio di Sicurezza caldeggiava da tempo la possibilità di mettere alla prova i suoi ragazzi, e questa occasione è capitata a fagiolo.

Quale modo migliore per farlo se non con una prova sul campo?».

Georg non aveva mai fatto venire meno il significato della catena del comando, ma in quell’occasione non se la sentì di stare zitto.

«Signore, questi ragazzi non hanno ancora completato l’addestramento. Non sono pronti per una prova di questo tipo, senza contare che molti di loro non hanno mai neppure partecipato ad una vera operazione.»

«Vale lo stesso discorso del ministro Robson, Capitano Klopfer» replicò Nolan col tono di chi non ammetteva repliche. «Questo programma sta costando una somma notevole all’Agenzia, e nel caso non l’avesse capito non siamo una società di volontariato.

Il Consiglio le ordina di portare con sé quattro dei suoi allievi. Potrà scegliere quelli che preferisce. Mi auguro sia consapevole che dall’esito della missione e dal rapporto che ne verrà fuori dipenderà il futuro del suo progetto.

E con questo, ho finito.

Buona giornata, Capitano».

Detto questo, e lanciato al Capitano un sorrisetto da far prudere le mani, Nolan scomparve come l’ologramma che era, seguito poco dopo anche dal ministro Robson e dal Generale Loy.

«So quello che stai pensando» mormorò il Direttore Shane. «Lo sto pensando anch’io.

Nolan è un maledetto arrivista, ma è anche il nostro capo, senza contare che, per quanto mi scocci ammetterlo, ha ragione. I nostri ragazzi sono qui per diventare dei soldati, non per mettersi in mostra davanti alle telecamere come quel bastardo arrogante.»

«Per quale motivo fanno intervenire noi?» replicò Georg tenendo lo sguardo basso. «Il Megonia è una nave di Amaltea. Perché non se la risolvono da soli?»

«Noi siamo la MAB, Capitano» rispose il Direttore quasi con astio. «Il nostro compito è garantire la pace e la sicurezza di tutti gli abitanti di questo mondo, e di proteggerli da ogni possibile minaccia.

Lo ricorda il motto della nostra agenzia, vero?».

Georg temporeggiò, poi con un filo di voce pronunciò le nove parole che capeggiavano in calce ad ogni stemma dell’Agenzia.

«Per la pace. Per il mondo. Per l’umanità.»

«Si prepari, Capitano. La missione parte alle dodici e zero zero

«Sissignore».

 

  
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