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Autore: Egle    23/12/2004    13 recensioni
E' la sera di Natale e la neve cade silenziosamente su Diagon Alley, adagiandosi sulle spalle di un uomo solo e ormai cieco ai colori delle tante luci natalizie, almeno finchè non incontra un vecchio amico...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi stringo nel mantello talmente logoro e frusto, che non riesce più a proteggermi dal vento pungente dell’inverno

COLORBLIND

 

Mi stringo nel mantello talmente logoro e frusto, che non riesce più a proteggermi dal vento pungente dell’inverno. I fiocchi di neve si adagiano silenziosamente sulle mie spalle e sui miei capelli, come cristalli d’argento, sciogliendosi a contatto con la mia pelle. Il mio respiro si condensa davanti al mio naso in una nuvoletta bianca.

Fa davvero freddo.

Abbasso di poco la testa, per evitare che il vento mi faccia lacrimare gli occhi, avanzando nelle strade affollate di Diagon Alley.

Tutti in cerca dell’ultimo regalo. Tutti vocianti. Chi si lamenta per la fitta nevicata. Chi si lamenta di dover andare alla tradizionale cena con i parenti. Chi sogna di ricevere il regalo tanto desiderato. Chi sogna di trascorre la vigilia di Natale con la persona amata.

Continuo a camminare tra la folla con lo sguardo puntato sul marciapiede spruzzato di neve, incurante delle fugaci occhiate che mi vengono lanciate.

Non so perché sono uscito questa sera. Forse per non sentire più il ticchettio della pendola rimbombare nella casa vuota. Per non guardare le pareti ingrigite dal fumo. I miei pochi e malridotti libri abbandonati accanto alla poltrona rappezzata da toppe multicolori. La tazza scheggiata e macchiata appoggiata sul tavolino, vicino a un piatto di biscotti ammorbiditi dall’umidità. Bel modo per passare la Vigilia di Natale!

Ho appeso un rametto di vischio sul caminetto e una stella di plastica, ricordo della mia infanzia. Sono gli unici addobbi natalizi che possiedo. Non posso permettermi nessun albero di Natale.

Non mi sono mai sentito così solo in vita.

La solitudine non è mai stata un grave peso per me, forse perché ha da sempre fatto parte della mia esistenza.

Da bambino ero solo, rintanato nel vano di una finestra a leggere. Solo chiuso in una stanza a ululare alla luna, che disegnava il contorno delle inferiate alla finestra sul pavimento.

Solo nella mia vita di adulto. Solo seduto nella mia cucina a bere un tè. Solo a vagare per le strade, attorniato da sconosciuti.

Ci si abitua a tutto nella vita…anche alla solitudine.

Ma stasera il suo peso mi grava sulle spalle come se si fosse lentamente accumulata in tutti questi anni, aspettando di deporsi sulla mia schiena in un momento di vulnerabilità. Ebbene, l’ha trovato…il mio momento di vulnerabilità.

Mi fermo un attimo davanti alla vetrina di un negozio, osservando il mio viso riflesso.

Da quanto tempo non mi guardo allo specchio?

Anni forse…da dove spuntano quelle rughe? Da quando sono così vecchio?

Ma non sono tanto i segni sul mio viso, quanto più la desolazione che sento crescere dentro di me. La stanchezza di una vita sempre uguale. Sempre a lottare per racimolare i soldi per arrivare a fine mese. Sempre schivato ed evitato da tutti.

Se non per il mio essere licantropo, per i miei abiti miserabili, il mio viso segnato ed emaciato, il mio pallore, il lieve tremore delle mie mani dovuto alla spossatezza dopo il plenilunio, le vecchie cicatrici che deturpano il mio corpo, indelebile ricordo delle mie sofferenze.

Guardo il mio fiato condensarsi sul vetro in un alone circolare. Nell’aria aleggia un jingle natalizio e molte luci colorate risplendono attorno a me, ma non sono in grado di vederle.

Una bambina mi passa vicino, tenendo per mano sua madre. Due lunghe trecce bionde le spuntano dal cappello rosa e una manciata di lentiggini punteggia le sue guance. Mi fissa per un attimo, arrestandosi di fianco a me prima che la madre le dia uno strattone per farla camminare.

“stagli alla larga” sento mugugnare alla donna all’indirizzo della bambina.

Come se io fossi pericoloso! O malato…

La seguo con lo sguardo sparire dalla mia vista. Sorrido brevemente, chinando il viso.

Io? Pericoloso? Già potrei mordere…

Entro con passo stanco in una caffetteria. Ci vengo ogni tanto. E’ un posto tranquillo e poco frequentato. Sconosciuti mi circondano anche qui, ma non riesco a vederli. Come non riesco a vedere i colori delle luci di Natale. È tutto grigio, intorno a me. Tutto monocromatico.

Mi siedo al bancone e ordino una cioccolata. No, la voglio senza panna. Il cioccolato è buono perché è cioccolato. Se si mischia con qualcos’altro il suo sapore si attenua e non fa più effetto. Il barista mi lancia un’occhiata sospettosa, asciugandosi le mani nel grembiule e poi mi allunga quello che ho chiesto. Assaporo con calma la mia cioccolata, chiedendomi che cosa mangerò domani, dato che gli ultimi soldi che avevo da parte me li sto bevendo in questo momento. Tacchino, un grande e polposo tacchino. E patate . Molte patate tagliate a cubetti e lasciate a rosolare nel forno. E cioccolato. Tanto cioccolato. Così tanto cioccolato da poter scoppiare. Appoggio la tazza sul piattino e guardo l’uomo stanco e solo che è seduto di fronte a me. Non sembra un uomo felice. Sembra un miserabile. Uno che si è preso tante batoste nella sua vita, ma ciononostante continua ad andare avanti, cercando di mantenere quella poca dignità che possiede nei suoi abiti lisi, nel suo appartamento spoglio.

Distolgo lo sguardo dal mio riflesso e lascio i soldi per la cioccolata sul bancone. Mi sistemo il mantello sulle spalle, quando la voce del barista mi richiama.

“Buon Natale, signore” mi dice, continuando ad asciugare un bicchiere nell’asciugamano.

“Buon Natale anche a lei” dico con voce roca, sorridendo.

L’uomo non risponde al mio sorriso. Forse si sta chiedendo che cos’ho da sorridere.

Perché un uomo solo e triste dovrebbe sorridere?

Non lo so. Forse perché è così che ho sempre affrontato le cose.

Quando esco dal locale una folata di vento mi fa rabbrividire. Mi avvolgo nel mantello, immergendo il mento nel bavero, senza riuscire a scaldarmi.

Le strade si sono spopolate. I negozi stanno chiudendo. Le luci si spengono.

E la neve continua a cadere fitta e silenziosa, deponendosi sulle mie spalle.

Una campana suona da qualche parte. Mi fermo un attimo a guardare la vetrina di un negozio di articoli per il Quiddicth. È uscito il nuovo modello della Nimbus. James impazzirebbe per quella. Mi sembra di sentire la sua voce, mentre, quasi vent’anni fa ci fermavamo davanti a questo stesso negozio e lui diceva che avrebbero vinto sicuramente anche il campionato dell’anno successivo.

E come fai a esserne tanto sicuro?” chiede Sirius.

Beh perché ci sono io in squadra” risponde James passandosi una mano tra i capelli incasinati.

mi sembra ovvio” aggiungo io, con un tono che ci fa scoppiare a ridere. 

Sorrido ai fantasmi di noi tre, riprendendo a camminare. Inspiro profondamente l’aria che sa di neve, sollevando il viso verso il cielo. I fiocchi di neve turbinano tutt’intorno a me, coprendo la strada di un manto bianco e uniforme.

Chiudo gli occhi e rimango immobile sotto la neve.

Sono così stanco.

Percorro con calma i vicoli bui che mi riconducono a casa, dove ho solo la mia stella di plastica che mi aspetta. Cerco le chiavi nella tasca del mantello, quando vedo qualcosa di inaspettato. Un grosso cane è accucciato davanti alla mia porta, illuminato dall’unico lampione della strada. I fiocchi di neve si adagiano piano sul suo pelo nero. Vedendomi alza la testa e comincia a scodinzolare, con la lingua a penzoloni fuori dalla bocca.

Lo fisso inebetito, incapace di muovermi. Non può essere lui. Non può essere qui a Londra. Silente non gli avrebbe permesso…già, Silente. Come se ci fosse essere umano sulla faccia della terra che possa impedirgli di fare quello che quella sua testaccia dura gli suggerisce.

“c-che cosa ci fai qui?” mormorò con voce roca.

Il cane getta la testa all’indietro e abbaia forte.

“Non dovresti essere qui. È pericoloso” lo sgrido, fermandomi accanto a lui.

Il cane afferra un lembo del mio mantello e lo strattona, ringhiando.

okay ho capito” dico, scoppiando a ridere. Il cane tira più forte, scodinzolando con la folta coda nera.

“va bene. Ho capito”.

Gli strappo il mantello dalla bocca e infilo la chiave nella serratura. Il cane sgattaiola tra le mie gambe e s’infila dentro, abbaiando allegro.

Accendo la luce con un colpo di bacchetta e lo vedo scrollarsi, infradiciando anche me, la poltrona e il tappeto costellato di buchi. Storco il naso per la puzza di cane bagnato, tendendo le braccia per cercare di ripararmi dalle goccioline che sfuggono dal pelo del cane.

“Ah Sirius! Piantala!” sbotto, mentre lui si ritrasforma in essere umano.

“ah è tutto quello che sai dire a un vecchio amico! Ma che bella accoglienza! Dopo che sono stato tre ore qua fuori ad aspettarti! Uno dei tuoi vicini voleva chiamare l’accalappiacani, lo sai?”

Mi metto a ridere, mentre Sirius gesticola, facendo cadere dell’altra acqua sul mio tappeto.

“togliti quella roba da addosso, mentre io cerco qualcosa da darti da mangiare” dico, voltandogli le spalle e aprendo un armadietto che so desolatamente vuoto.

Il mio cervello impiega una manciata di secondi a comprendere quello che ho di fronte: l’armadietto è pieno di roba da mangiare. C’è anche…

“Tacchino in scatola” dico prendendo una confezione grigia e verde “ehi Sirius, questa…” lo chiamo voltandomi verso di lui. Si è tolto la maglia e si è tirato i capelli bagnati all’indietro.

ma secondo te, sono così scemo da restare sotto la neve per tre ore, senza entrare in casa tua? Ero appena arrivato!” ribatte senza darmi il tempo di finire la frase. “ho mandato Grattastinchi a fare la spesa” aggiunge, voltandomi le spalle e mettendo dell’altra legna nel caminetto. La linea della spina dorsale è in evidenza sotto la pelle pallida e tirata. Riesco a contagli tutte le costole senza difficoltà. Se io non me la sono passata bene, nemmeno lui deve aver goduto di molti pasti decenti ultimamente.

“Sirius?” lo chiamo piano, con ancora il tacchino in scatola in mano.

Lui mi guarda da sopra la spalla con un’espressione indecifrabile.

“Buon Natale”

“Buon Natale anche a te, Moony”.

 

 

****

Spero che questa fanfic vi sia piaciuta…è un po’ triste e un po’ malinconica…

Auguro a tutti un buon Natale…e non abbuffatevi troppo in queste feste^^;

Un abbraccio forte forte

Egle

   
 
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