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Autore: Meretrice_Thomisus    13/05/2014    1 recensioni
Ognuno di loro ha provato e causato sofferenze.
Ognuno di loro ha conosciuto la paura.
La storia di alcuni ragazzi si intreccerà, mostrando come la vita può essere sconvolta improvvisamente senza lasciarti la possibilità di cambiare le cose.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!
 

Capitolo XII 
 
Jesus

24 Dicembre 2006
 

Spesso mi chiedevo se mia madre avesse programmato la mia nascita in modo che cadesse il giorno di Natale, come Gesù. Se così era veramente, allora aveva sperato in troppo. Ero nato due giorni prima delle sue aspettative. Non avrei comunque ricevuto regali. Mia madre si rifiutava di considerare il Natale come la festa commerciale che era diventata.
«Figlio mio, preparati, è quasi mezzanotte e dobbiamo andare alla messa.»
Aveva il vestito delle feste, quello che indossava ogni domenica e che la faceva apparire come la brutta copia di una suora. Per via dell'occasione, però, si era messa anche degli orecchini dorati e la medaglietta regalatale al suo battesimo, più di cinquanta anni fa. Quanto era ridicola. Presi tutto il coraggio che avevo. 
«No. Non voglio venire.»
Ero stanco di vivere la mia vita in chiesa, dietro a mia madre che mi trattava come una marionetta da muovere a suo piacimento. In più, se Pedro o altri mi avessero visto insieme a lei, mi avrebbero preso sicuramente a bastonate per la mia insignificanza.
«Come hai detto? Non ti ho sentito bene.»

Mi fissava con le narici dilatate, la bocca serrata e gli occhi cinerei. La bocca così chiusa le metteva in risalto quei disgustosi baffi che si ritrovava. Strinsi i pugni sino a farmi diventare bianche le nocche.
«Ho detto che non voglio venire!»
Digrignò i denti come una belva, incominciando a guardarmi con gli occhi spalancati. Ero terrorizzato, ma non potevo cedere proprio in quel momento.
«Lo sapevo che eri maledetto! Tutte queste punizioni che ti vengono inflitte sono sempre state un segno, lo sapevo, LO SAPEVO!»
Si accasciò a terra e si coprì le mani con il volto.
«Il giorno del Signore, il giorno della nascita del Signore, il giorno della nascita del Signore! Mio figlio non vuole lodare e rendere grazie al Signore!»
A quel punto tirò fuori il suo fedele rosario e lo strinse tra le mani, non curante dei segni che le si stavano formando sulla pelle per la troppa forza della stretta. Quella scena era scioccante. Come finì la sua litania si alzò bruscamente e mi afferrò per un braccio.
«Sei maledetto, Jesus, mi rifiuto di avere un figlio dannato come te! Maledetto, MALEDETTO!»
Urlava ed era fuori di se, ma quella non era semplice rabbia, era pazzia! La scrollai di dosso, mettendomi subito a correre verso la mia stanza, chiudendola a chiave.
«Esci, dannato! ESCI!»
Aveva cercato di rendermi ciò che voleva per tutto questo tempo e ora che si stava accorgendo di avere fallito, la disgustavo. Persi anche io la pazienza, dopo anni di obbedienza.
«Basta, BASTA! Non voglio più vivere questa vita del cazzo! Non credo più a Dio! Non esiste, hai capito? NON ESISTE. Ho sofferto per anni, preso di mira da tutti per colpa tua! PER COLPA TUA CHE MI HAI RESO UN CAZZO DI SFIGATO ASOCIALE!»
Era la verità solo in parte. Credevo ancora in Dio, allora perché avevo detto quelle cose? Come risposta ci fu solo il silenzio e un
rumore di passi pesanti che si allontanavano. Passai un'ora intera a girovagare sfinito nella mia stanza, senza avere neppure le forze per disegnare. Uscii poco dopo e mi aggirai per il corridoio. Cercavo tracce di mia madre, per capire se fosse in casa oppure no. Trovai solo le foto di famiglia, dove la mia faccia era stata segnata da una croce fatta con un pennarello rosso. Erano state pasticciate da poco. Nessuna foto ne era priva. Rimasi attonito per un po', poi realizzai l'odio che mia madre ormai provava per me. Mi riempii di dolore. La porta d'ingresso si aprì cigolante, facendo entrare mia madre che trascinava con violenza mio padre in casa. Era un ometto di piccola statura, molto più basso di mia madre, i cui capelli erano stati portati via dal tempo e dallo stress. Da quando ero piccolo non faceva che essere passivo e affranto, con rari casi in cui sorrideva, come se non gli fosse mai importato di essere sottomesso da mia madre. Quest'ultima alzò la testa, puntando su di me i suoi occhi freddi ridotti a fessura.

«Jesus, tu non vivrai più con noi. Dirò a tuo zio di prenderti con se. Tu per me non esisterai più, hai capito?»
Tutta la tristezza che provavo sfumò, trasformandosi in una furia cieca. Come spinto da una forza oscura, corsi in cucina e senza pensarci incominciai a lanciare e rompere tutto ciò che poteva essere frantumato: bicchieri, ciotole, piatti.
«IO RESTERO' QUI! NON ADRO' DA QUELLO SCHIZZATO CON LA PASSIONE PER I CANI!»
Urlavo con tutto il fiato che avevo, mentre la gola mi bruciava per lo sforzo che stavo facendo con la voce.
«Non guardarmi e non parlarmi più, se mi disprezzi così tanto, ma non me ne andrò! QUESTA E' CASA MIA!»
Appena sfogai tutta la rabbia ritornai in camera mia. Incominciai a piangere con disperazione. Non lo facevo da anni. Ricordo quando non era ancora così. Tutto era cambiate quando, qualche tempo dopo la mia nascita, ebbe un aborto spontaneo. Lo ritenne una punizione di Dio per un qualcosa che aveva fatto e da allora il suo comportamento nei miei confronti si stravolse. Era la prima volta che mi ribellavo a lei, e forse l'ultima volta che le avrei potuto rivolgere la parola.

Paoletta


Non ero così felice da un sacco di tempo. Di solito il Natale lo passavo da sola con mia madre, ma non quell’anno. Eravamo tutte riunite, Rosy, io e le nostre madri. Avevamo organizzato un cenone a casa mia, che seppur piccola, era adatta ad una festicciola così intima e semplice. Mia madre aveva passato una settimana per realizzare dei maglioni bianchi con una renna ricamata sul fronte. Aveva voluto che lo indossassimo tutte. Rosy, che non voleva apparire ridicola, non era per nulla d'accordo e tenne il muso per un po' per evitare di metterlo. Per convincerla le avevo rinfacciato la storia delle sopracciglia, come facevo ogni giorno da quando accadde. La madre di Rosy era una donna piuttosto particolare, coi capelli rosso tinti e spettinati, e il rossetto un po' troppo carico. Era su di giri e raccontava aneddoti della sua infanzia con in mano un bicchiere di vino. Mi chiesi se fosse esso a farla comportare in quella maniera o se fosse una persona molto espansiva ed euforica di per se. Ormai avevamo finito di cenare e Rosy ed io guardavamo la TV, prendendo in giro i ragazzi di X-Factor. Entrambe avremmo fatto di meglio, dato che entrambe eravamo bravissime a cantare. Le nostre madri stavano ancora ridendo sguaiatamente e finendo l'ennesima bottiglia di vino, forse stavano esagerando. Senza accorgermene Rosy, continuando a cantare e a guardarmi, si avviò verso sua madre urtandola. Il bicchiere di vino che quest'ultima teneva le si rovesciò addosso.
«Mannaggia, il vino nel maglione no! Ora mi toccherà toglierlo!» Disse con finta indignazione.
Saltellò sino al bagno, ma mia madre la fermò, porgendogliene un altro uguale.
«Rosy, ne avevo fatto uno in più! Mettiti pure questo!» Le disse allegramente.
Rosy rimase a bocca aperta per la pessima notizia. Le strappò il maglione di mano e lo trascinò sul pavimento sino al bagno. Sentii la porta chiudersi due volte, una per entrare, l'altra per far rimanere incastrato il nuovo maglione. Non capivo come facesse ad odiarlo, era così grazioso.

Scoccata la mezza notte ci facemmo gli auguri e, dopo altre chicchere, Rosy e sua madre se ne andarono via. Era stata davvero una bella serata. Come entrai in camera mia riguardai il regalo che Rosy mi aveva fatto: un kit da estetista. Rabbrividii al pensiero di ciò che mi avrebbe fatto con tutti quegli arnesi. Decisi di prendere una boccata d’aria, così mi avvicinai serenamente alla finestra aperta. Il cielo era tappezzato di stelle. Ero incantata a guardarle, quando udii qualcosa di insolito. Una voce, all’inizio appena impercettibile, divenne successivamente più forte.
«Hei, Lesula!* »
Sarebbero potuti passare anni, ma Raphael, la cui voce avevo immediatamente riconosciuto, mi avrebbe sempre e comunque associato ad una scimmia. Guardai in basso sinché non mi apparve di fronte il suo viso. Restai sorpresa per un po’, non capivo cosa ci facesse appeso alla mia finestra di notte fonda.
«Sono venuto a portarti un regalo. Sto facendo il giro nelle case di chi mi importa, e mancavi solo tu alla lista.»
Gli importava di me? Il mio cuore cominciò a battere. Era un po’ stupida come cosa, in fondo mi aveva solo portato un regalo. Notai che indossava un cappellino di Natale, che lo faceva apparire piuttosto buffo.
«Sono ridicolo, vero? Effettivamente mi sento un po’ come Babbo Natale, solo che lui almeno ha un mezzo di trasporto e qualche chilo in più.»
Sorrise e io ricambiai un po’ stordita. Mi porse in seguito un piccolo pacchetto viola, che presi con le mani tremanti. L’avrei dovuto aprire sul momento o no? Apparivo come una stupida, ed effettivamente lo ero.
«Andiamo, aprilo!» Mi sollecitò Raphael.
Certo che dovevo aprirlo. Incominciai a scartarlo, ma la tensione era talmente tanta che non riuscivo a non distruggere malamente la carta. Come accortosi della mia ridicola difficoltà, lui allungò una mano per aiutarmi, mentre con l’altra si reggeva alla finestra. Le nostre mani si sfiorarono e sentii una scossa. Non potei fare a meno di far cadere il regalo a terra. Dovevo smetterla con quella scena pietosa. Mi inchinai e presi velocemente il pacchetto, scartandolo una volta per tutte. Mi ritrovai con un piccolo pupazzo di scimmia. Era veramente carino. Lui rise di gusto.
«Dai, stupida, non è questo il vero regalo!»
Incominciò a cercare con una mano nello zaino che portava. Esso gli fece peso e Raphael non riuscì più a tenere la presa e cadde. Urlai. Corsi velocemente giù per le scale (la mia stanza era al primo piano) ed uscii dalla casa. Raphael era sdraiato sul pavimento. Mia madre doveva aver sentito il tonfo e il mio urlo, perché arrivò anche lei a vedere la scena.
«Che cosa è successo?!» Mi chiese lei confusa.
«Stavamo parlando alla finestra…ed è caduto!
» Risposi estremamente preoccupata.
Mia madre si girò a guardarmi con le sopracciglia aggrottate.
«COSA CI FACEVA ALLA TUA FINESTRA?»
Sussultai.
«Cosa diavolo stavate facendo voi due?! Non credevo che fossi così, Paoletta!»
Non mi aveva mai urlato in quella maniera. Provai a ribattere, ma finii solo per balbettare.
«Ma… mamma… io…»
«E poi proprio lui! Non mi piace per nulla, già dalla prima volta che l’ho visto!
» Disse con disprezzo.
«Mi stava solo portando un regalo… non lo aspettavo neppure. » Riuscii finalmente a dire.
Mia madre esitò.
«… Non poteva entrare dalla porta? »
Non risposi, mi limitai a scrollare le spalle.
«… Mmmh…»
Mi ricordai di Raphel a terra, che incominciò ad emettere suoni doloranti. Senza rendermene conto gli avevo preso la mano. Mia madre, nel mentre, era andata a prendere un bicchiere d’acqua, borbottando tra se e se
«Che stupidi ‘sti ragazzini d’oggi… stupidi!»
Intanto Raphael si stava riprendendo.
«… Che cazz…»
«RAPHAEL!»
«… La sai una cosa?»
«… Dimmi…» Dissi ansiosamente.
«Questa è davvero l’ultima volta… che salgo dalle finestre…»
E si rimise in piedi lentamente e con difficoltà, con qualche gemito soffocato.
«Sei sicuro di non voler andare all’ospedale? O… o di passare qui la notte? C’è il divano e puoi riposarti per rimetterti in sesto!»
Sul volto di Raphael si dipinse un’espressione di dolore.
«Tua madre mi ucciderebbe nel sonno, lo sento.»
Sorrisi divertita, sempre un po’ agitata per le sue condizioni.
«Magari un altro giorno.» Aggiunse con un occhiolino malizioso.
Distolsi rapidamente lo sguardo. Arrossii. Capii che stava bene.
«Ora vado… ah, dimenticavo il tuo regalo!»
Nel frattempo mia madre era tornata con il bicchiere, restando a fissarci senza fiatare. Afferrai frettolosamente il pesante e rettangolare pacchetto.
«Grazie…»
Si accorse di mia madre e comprese che era meglio andare via.
«Bhè, auguri Paoletta…»
Mi sorrise, per poi correre via zoppicando. Mi aveva chiamato per nome per la seconda volta da quando ci eravamo conosciuti. Mia madre si avvicinò con un’espressione severa sul volto.
«Non mi piace quel ragazzo, te l’ho già detto. Mi ricorda qualcuno. Devi stare attenta! Lo sai che i ragazzi vogliono solo una cosa.»
Rimase un attimo in silenzio in cui cercò di farsi coraggio per dirmi
«Ha chiamato tuo padre, vuole venire in città per parlarci…»
Spalancai sia gli occhi che la bocca a quella notizia.
«… Mio… padre?!»


Note: 
*Lesula - Specie di scimmia.


 
 
 
  
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