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Autore: Tomocchi    13/05/2014    1 recensioni
Raccolta di One-Shot della storia Another Way- un altro modo di essere vampiro
Niklas Reiter è un vampiro e un nerd.
Ma com’era la sua vita prima che Jackie la bimbaminkia gli rompesse le scat…ehm, lo rendesse un vampiro bello come doveva essere?
Questa raccolta contiene vecchi ricordi, ma anche avventure di personaggi secondari, più o meno divertenti.
Queste storie possono anche essere lette senza essere a conoscenza della storia principale…vi auguro buona lettura e divertimento! :3
Genere: Commedia, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Another Way- Un altro modo di essere vampiro'
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ANOTHER WAY
UN ALTRO MODO DI ESSERE VAMPIRO

 

Capitolo Bonus 2
Sorridi, Ranocchia!

 

Provincia di Dublino, 13 Febbraio 2014, casa di Niklas Reiter.

Regnava un silenzio quasi innaturale in quella casa dove stavano convivendo ben quattro vampiri di diverse nazionalità.
Taylor, il più giovane e ultimo trasformato tra quei quattro –relativamente parlando, perché dimostrava circa vent’anni, tre più di Niklas, il padrone di casa- si alzò, verso inizio pomeriggio, per fregare dalla dispensa una delle sacche di sangue di Stoyán, il più anziano nonché mentore di tutti loro: li aveva aiutati nei momenti più duri, era il loro amico più prezioso, ma il languorino che aveva lo costringeva a placare presto quella sua sete di sangue, e di uscire non ne aveva proprio voglia.
Prima di recarsi in cucina, andò prima in bagno, desideroso di darsi una rinfrescata al viso.
Solo che, quando aprì la porta, gli si presentò davanti uno spettacolo niente male.
Charlotte, l’unica donna della casa, era appena uscita dalla doccia, completamente nuda; l’unico asciugamano della stanza era sui suoi lunghi capelli castani, che li stava frizionando con la salvietta per asciugarli un po’ prima di passare al phon.
La vampira francese era di schiena, e nonostante il vapore dovuto all’acqua calda alleggiasse per il bagno, si vedevano fin troppo bene le sue forme sinuose e abbondanti.
Taylor rimase qualche secondo a fissarla, completamente perso in quella visione, prima che la ragazza si accorgesse della sua presenza, probabilmente avvenuta per uno spiffero freddo dovuto alla porta aperta.
Si girò di scatto, coprendosi velocemente con l’asciugamano e cacciando uno strillo imbarazzato, seguito da un: “Taylov!” detto con rimprovero e sorpresa.
Il vampiro dai corti capelli color sabbia si riscosse, borbottò delle scuse smozzicate e richiuse immediatamente la porta alle proprie spalle, appoggiandosi ad essa con un sospiro.
Cavoli, doveva ammettere che Charlotte era insopportabile, quel suo difetto di pronuncia irritante, però… in quel momento aveva maledetto quel particolare che i vampiri non potevano riflettersi allo specchio, perché in quel caso avrebbe potuto dare una sbirciata anche al suo gran davanzale…
Scosse il capo, per mandar via quei pensieri che solitamente non aveva.
Lui non sopportava lei, lei non sopportava lui, solo Stoyán faceva loro da tramite e tutto questo andava più che bene.

“Sei un guavdone.” Soffiò irritata la vampira, una volta asciugata e vestita, ravvivandosi indietro i vaporosi capelli castani, mentre faceva il suo ingresso nell’ampia stanza che comprendeva cucina a destra e salotto a sinistra.
Taylor inarcò le sopracciglia, alzando la testa per guardarla meglio.
“Scusa, che hai detto? Parla bene, invece di gracidare, Ranocchia.”
Ranocchia era il suo personalissimo insulto/nomignolo nei confronti di Charlotte.
Perché Ranocchia?
Ovviamente era tutto collegato: Francia, cibo, ranocchie. I francesi mangiavano le ranocchie e dato che lei era francese era risultato molto semplice associarla a quella parola.
Okay, mangiavano solo le cosce, ma sempre rane erano.
“Io non gvacido! E non sono una vanocchia!” ribatté ancora la giovane donna, stringendo le mani in pugni, pronti a colpire, se necessario.
“Come no… guarda lì, hai pure la faccia verde.” la prese ancora in giro, indicandola con un gesto circolare dell’indice.
Ci provava davvero gusto a provocarla, era uno spasso.
“Ah!” esclamò trionfante la vampira: “Qui sbagli, cavo mio! Quello con la faccia vevde di solito sei tu con le tue vidicole mascheve di bellezza!”
Aehm.
Touché.” Ammise, alzando le mani in segno di resa, prima di riprendere a bere il sangue della sacca fregata a Stoyán.
In effetti, faceva spesso uso volentieri dei prodotti per la pelle, che fossero creme, maschere, o tanto altro. Ci teneva a tenere bella la sua epidermide: il fatto che fosse morto e resuscitato come cadav- ehm, vampiro, non voleva automaticamente dire di tenersi male, vedi Niklas.
Quell’austriaco girava peggio messo di un barbone… non per niente si nutriva della maggior parte della gente di quel determinato ceto sociale.
Vide Charlotte sorridere soddisfatta di quella sua piccola vittoria giornaliera.
“Così sembri proprio la rana dalla bocca larga, con quel sorriso da un orecchio all’altro…” quella sua ultima frase riaccese la discussione, causando il risveglio di Stoyán che rispedì a letto entrambi i giovani, rabbioso.

A fine giornata, ovviamente era giunta la sera.
Niklas salutò con un grugnito, borbottando qualcosa sul fatto che doveva uscire a mangiare.
Stoyán aveva salutato a sua volta prima di recarsi al lavoro: era stato assunto come addetto alle pulizie serali in un ufficio, e così Charlotte e Taylor si erano ritrovati a casa da soli, seduti sul divano.
Non era la prima e nemmeno l’ultima volta che succedeva, ma il silenzio imbarazzante che cadeva ogni volta era un po’ sfiancante.
Così Taylor decise di rompere quella routine, con…
“Ti va… di uscire fuori? A bere, dico.” Si affrettò di aggiungere, salvo fraintendimenti.
La castana lo fulminò con lo sguardo, fissandolo con aria critica, come a captare una qualche trappola.
Rimase con quell’espressione per un paio di minuti buoni, prima di dare il suo responso.
“D’accordo.” Sibilò, alzandosi per andare a prendere il cappotto.
Il vampiro alzò gli occhi al soffitto, esasperato, maledicendo la volta che aveva aperto bocca.
Nonostante tutto, si preparò a sua volta, passando circa tre quarti d’ora in bagno prima di farsi trovare davanti alla porta.
“Ci hai messo una vita!” lo rimproverò lei, aprendo l’uscio per recarsi fuori dalla abitazione.
“Dovevo finire di farmi la barba e mettermi la crema, darmi una sistematina alle unghie…” si lagnò il ragazzo, prima di venir interrotto da un beffardo: “Potevi favlo pvima.” Della coinquilina.
“Prima non ne avevo voglia, ranocchia, pensaci prima di aprir quella bocca larga.” La schernì subito l’altro, acido come del latto rancido lasciato per mesi in frigo.
Come poteva permettersi di fargli la predica?
Lui non si lamentava mai quando lei occupava il bagno, sapeva tutte le implicazioni che c’erano nello prepararsi, e solo perché lui era un uomo non voleva dire che doveva metterci poco tempo.
“La smetti di chiamavmi vanocchia? È pesante.” Sbottò Charlotte, mentre il rumore delle sue scarpe con il tacco risuonavano sull’asfalto della strada come schiocchi, facendo un gran rumore.
“Dici Ranocchia? Ti si addice. O preferisci gallina, in riferimento all’antica Gallia? O ancora, peripatetica, in rappresentanza della tendenza di voi francesi ai facili costumi? Lumaca? Ma no, quello lo userò solo quando sbaverai dietro Stoyán…” rise di gusto, tanto da tenersi la pancia con le mani, soddisfatto di tutti gli epiteti che era riuscito a trovare.
Solo che doveva aver detto una parola di troppo, perché la donna si fermò, lasciandolo proseguire da solo per qualche metro.
“Ehi, che ti prende? Andiamo, scherzavo.” Non erano dette con cattiveria, erano semplici… insulti.
Come quando lei chiamava lui donnicciola, fighetta.
“Mi hai dato della pvostituta. ” il tono era piatto, privo d’espressione.
Taylor si fermò e si voltò per riavvicinarsi un po’.
“Ho detto che scherzavo. Dai, torno a ranocchia, va bene?”
“Tu che ne sai delle pvostitute?” ora era fredda, distante, altezzosa. “Cosa ne sai tu di quello che costvinge una donna a fave la pvostituta? Non nego che ci sia qualcuna che lo faccia per piaceve, ma c’è anche chi è costvetta a fave quella vita, a sovbive chissà quali pevsonaggi, finché qualcuno non avviva a toglievla dalla stvada.”
“Ehi, così sembra che l’hai presa sul personale.” Cercò di sdrammatizzare il ragazzo, alzando appena l’angolo della bocca.
“Non sembva. Lo è.” Ringhiò la francese, dandogli uno spintone così forte da mandarlo dritto disteso a terra.
Una volta a contatto con la strada, Charlotte lo tenne sull’asfalto piantandogli il tacco proprio sullo sterno, con forza.
“Vai a quel paese, Taylov. O fovse dovvei chiamavti…”
“Non dire quel nome!” la bloccò l’interpellato con un tono strozzato.
Odiava il suo vero nome e odiava sentirlo pronunciare.
La donna lo guardò sprezzante, prima di lasciarlo e voltarsi offesa, ripercorrendo la strada fatta poco prima per tornare a casa.
Probabilmente quella stupida avrebbe digiunato…

Il giorno dopo, San Valentino, venerdì mattina, sempre a casa di Niklas.

Charlotte si era davvero rifiutata di uscire a mangiare pur di non incontrare Taylor.
La giovane donna si era chiusa nella propria stanza e si rifiutava di uscire.
Niklas non ci aveva badato granché, pensava fosse solo un capriccio ed era andato a scuola senza farsi troppi problemi.
Taylor invece era rimasto a rimuginare sull’accaduto, mentre si massaggiava la parte lesa dal tacco a spillo, cercando un qualche pensiero che non lo facesse sentire in colpa.
Se lei aveva ammesso che se la era presa perché la cosa era appunto personale, voleva dire che lei stessa o qualche sua conoscenza aveva vissuto da prostituta.
Aveva venduto il suo corpo e la sua dignità per sopravvivere.
Prima o dopo l’essere diventata un vampiro? Ma questo non aveva importanza.
Il punto era che lui era uno sciocco e si era spinto oltre, troppo oltre, quella volta.
Si morse il labbro, indeciso.
Avrebbe potuto chiedere a Stoyán aiuto, ma l’uomo stava dormendo e non voleva disturbarlo.
Così, dopo essersi imbacuccato a dovere per affrontare la giornata, uscì.
Il tempo sembrava dalla sua parte: nuvoloso. Ottimo inizio, non rischiava di morir bruciato.
Si tolse il cappellino che si era messo e se lo infilò in tasca, tenendosi comunque gli occhiali da sole come sicurezza. Non avrebbero fatto molto, ma lo rendevano figo e tanto bastava.
Si recò a passo svelto fino alla piazza del paesino e si guardò attorno, alla ricerca del negozio che faceva al caso suo.

***

Quell’insulso e maledetto Taylor.
Lui e quella sua boccaccia!
E poi Stoyán si chiedeva perché loro non potevano andare d’accordo… ah!
Sarebbe morta prima di riuscire a stare con lui nella stessa stanza senza insultarlo.
E ci teneva parecchio alla propria pelle, quindi quel rapporto sarebbe rimasto così per parecchio tempo.
Sapeva solo “scherzare”, il cretino!
Perché lui non aveva vissuto nulla del genere. Non era stato preso dalla sua famiglia e poi abbandonato dal proprio creatore.
Anzi, quello sì. In effetti avevano quella cosa in comune.
Ma lui poi era stato raccolto e allevato da Stoyán, mentre lei aveva patito le pene dell’inferno, sotto luride mani, prima di essere salvata da Ginevra e Artorius, la coppia di vampiri che l’avevano accolta come propria figlia.
I due poi l’avevano abbandonata di nuovo, e lei si era sentita nuovamente perduta, prima che il vampiro bulgaro giungesse in suo aiuto.
E grazie a lui, di recente, aveva ritrovato i due suddetti vampiri e aveva scoperto il perché della loro fuga improvvisa.1
Strinse le labbra e si asciugò una lacrima sfuggita al suo controllo, tamponandosi l’angolo dell’occhio con un fazzoletto, in modo da non danneggiare il trucco presente ancora dalla sera prima.
Non ci teneva ad andare in giro in modalità panda depresso.
Strinse il lenzuolo tra le dita, stesa sul letto, quando un bussare alla porta attirò la sua attenzione.
Fissò quel pezzo di legno con astio, prima di tornare a guardare ostinatamente il muro, imbronciata.
Non voleva vedere nessuno, e nessuno sarebbe entrato.
Era ancora troppo presto perché Niklas fosse tornato da scuola, e troppo presto perché Stoyán fosse già in piedi. Perciò, l’unico, poteva essere solo…
“Ranocchia, aprimi.”
“No, Taylov. Vattene.” Sibilò, mentre l’idea di azzannarlo e di farlo a brandelli la allettava più che mai. Altro che tacco a spillo sullo sterno, avrebbe dovuto renderlo paraplegico.
Lo sentì sospirare, afflitto.
“Vabbeh, toh.”
Spinta dalla curiosità –maledizione!- alzò il capo appena in tempo per vedere un foglietto scivolare sotto la porta.
Un foglietto.
Doveva esserci scritto qualcosa, non poteva essere bianco, no?
Si alzò, quatta quatta, e lo prese lesta, tornando a rannicchiarsi sul letto per aprirlo.
Erano una serie di lettere maiuscole e minuscole con numeri a casaccio, di circa otto cifre.
Non poté trattenersi dal chiedere spiegazioni, anche se una idea ce la aveva: “Cos’è?” domandò, sospettosa.
“Se mi apri te lo dico, altrimenti nulla.” Pose come condizione quello stupido.
La curiosità è donna.
Ma la curiosità uccise il gatto.
Se la curiosità è donna, Charlotte era la curiosità, e in tal caso avrebbe ucciso il gatto, ovvero Taylor, che continuava a stuzzicarla imperterrito.
Si accostò alla porta e aprì appena uno spiraglio, pronta a graffiargli la faccia, che si trovò davanti un piccolo mazzo di giacinti color porpora.
Oh.
“Mi dispiace, ranocchia. Non volevo offenderti. Cioè, anche ora, lo sai che è il tuo nomignolo…” borbottò il vampiro dai capelli color sabbia, grattandosi la nuca un po’ a disagio.
Lei prese i fiori e aprì un po’ di più la porta, rivelandosi la sua mise.
Babydoll rosa praticamente trasparente con mutandine di pizzo dello stesso colore, che fecero voltare Taylor da un’altra parte.
“La solita… non potresti metterti in tenuta da casa come fa Nik? Una semplice maglietta e pantaloni della tuta, mica devi andare ad una sfilata…” mugugnò, coprendosi gli occhi con una mano.
“Io mi tvovo bene così, sto comoda così.” Rispose piccata la francese, per poi mostrare il biglietto.
“Ho chiesto: Che cos’è?” domandò, con un tono indecifrabile. Sembrava disagio misto paura con un pizzico di riconoscenza.
“Uhm… è la password del computer di Niklas. Hai ancora due ore prima che torni, così puoi giocare a quel robo che fai finta di odiare quando in realtà si vede che sei una nerd nascosta.” Spiegò, mentre lei lo guardava a bocca aperta.
Ma…! Ma…!
“Non mi piace!” sbottò ad alta voce, prima di sentire un verso lamentoso di Stoyán provenire dalla camera accanto ed abbassare i toni.
“Io non… non gioco a…. non mi piace quella voba…” disse a denti stretti, mostrando i canini.
Odiava quella parte di sé e odiava che quella fighetta ne fosse a conoscenza.
“Sì, sì, e io odio andare dall’estetista…! Ma va’ a giocare e zitta!” la provocò lui, con un sorrisetto che sembrava dire Coraggio, picchiami!
Ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
“D’accovdo, d’accovdo! Contvollo se sono avvivate email e poi chiudo!” borbottò lei, scostandolo malamente per poter raggiungere il divano e mettersi sulle gambe il portatile.
“E… questi a cosa sevvono?” domandò poi, titubante, agitando il mazzolino che, senza accorgersene, si era portata dietro.
Doveva ammettere che quelle scuse le avevano fatto piacere e l’avevano rabbonita un po’ nei suoi confronti. E anche i fiori, sì.
“Sono giacinti. Per farmi perdonare.” Buttò là il giovane, per poi guardarla di sottecchi.
“Che c’è? Che hai da guavdave?” soffiò indispettita la vampira per tutta quella attenzione nei suoi confronti.
Taylor sbuffò divertito.
“Sorridi, ranocchia! Non mi offendo mica, sai.”
Ah, voleva pure la soddisfazione di sapere che lei lo aveva perdonato.
Ma non così in fretta.
Avrebbe dovuto sopportare ancora un po’ i suoi sensi di colpa, così imparava.
Richiuse il portatile, alzandosi per tornare in camera a prepararsi.
“Pvima povtami a beve da qualche bell’uomo decente.” Disse, pizzicandogli il naso per dispetto, cosa che provocò una piccola smorfia sul volto di Taylor.
“Poi ne vipavliamo.” Concluse, ancheggiando fino a sparire nella stanza, non prima di aver lanciato un sorrisetto divertito all’indirizzo del coinquilino, che ricambiò con un altrettanto sorriso soddisfatto.
“ E muoviti a pvepavavti, che poi il bagno lo devo usave io, fighetta!”

 

1 Per saperne di più, se non lo avete fatto, leggere Secrets from the past
AskAnotherWay
Il gruppo Facebook
Parla Tomocchi:
uhm. Da dove iniziare. Questa Os (un po’ missing moment, perché è ambientata comunque all’interno della storia principale e spiega perché Char e Tay a S. Valentino non erano in casa –Stoyán si sa che era al lavoro-)  è nata dal post di Ludovica/Blackrose_96 sul mio gruppo FB, che recitava “Secondo me Taylor e Charlotte hanno avuto (o avranno) una relazione *fugge via dalla lapidazione*” sostenuta da commenti come “Chi si odia si ama. Vedi Niklas con Jackie U.U” oppure “Anche a me hanno dato quest’impressione *-*”… poi mi è stata suggerita una trama eh… come potevo dire di no? Dopo circa un mese e mezzo (il post ho notato che risale al 30 marzo x°D) ho partorito dopo 5 ore e mezza di travaglio questa creaturina. Spero che le fan di AW siano contente x°D non è nulla di troppo romantico, e i fiori ci stanno sempre, secondo me. Il vero regalo per farsi perdonare è la pass del pc di Nik x°D
I giacinti color porpora, nel linguaggio dei fiori, significano proprio “Perdonami”, un tentativo di comprensione e di scuse, mi pare.
Sappiatemi dire °3°

   
 
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