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Autore: L0g1c1ta    13/05/2014    1 recensioni
Dieci ragazzi e una professoressa.
Ognuno di loro ha una storia. Ognuno di loro ha un passato.
Passano insieme quattordici giorni di vacanze all'estero e insieme decidono di fare un rito per entrare nel Regno dell'Incubo, risvegliando l'Uomo Nero ed entrando nel suo mondo.
Mano a mano che esplorano il luogo si rendono conto che anche i Guardiani e altri spiriti si trovano costretti ad abitare in quest'isola ove sono ricercati dalla reale padrona del Regno: Macula Sanguinea.
Tra umani e spiriti si cuciranno rapporti d'amicizia o inimicizia.
Riusciranno a tornare a casa?
Riusciranno a sfuggire dalle mani della megera Macula Sanguinea?
Riusciranno a scampare alla morte?
Genere: Angst, Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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“Vossignoria, si sente bene? Riesce ad alzarsi?” non so come abbia fatto, ma prima giuro che avevo sentito la mia schiena spaccarsi in due. Ora, invece, riesco anche ad alzarmi dal lettuccio. Il mio piccolo medico si fa avanti, anche se con timidezza. A parte nel libro di favole russe di mia madre e nei videogiochi, non ho mai visto una personcina così particolare.

È una sorta di folletto, immagino, alto la metà di me. È vestito con una sorta di camice da infermiere troppo largo per lui, infatti vedo che le sue mani fanno fatica ad uscire dalle maniche. Il suo viso è ovale e marroncino chiaro, molto chiaro. I suoi occhi sono grandi e rotondi, ma credo che ci sia solo l’iride in quei occhi scuri, sembrano gli occhi di un topolino, ora che ci penso. Ha in testa uno strambo cappello lungo e a punta, tutto rosso, che cade all’indietro.

“…chi sei…?” lui intanto pulisce una ciotola con dello strano liquido verdastro all’interno. Credo che l’abbia usata su di me.

“Un folletto della foresta di Schwarzwald, in Germania. In italiano, se ricordo bene, viene nominata Foresta Nera” sono ancora in quella specie di camerino da palcoscenico, ma i cadaveri e il sangue sono spariti e anche Mino e il coniglio gigante.

“…il ragazzo e lo spirito che erano qui, dove gli hai portati…?” alza il muso verso di me. Non ha un naso, ma due buchini che, immagino, siano delle narici.

“Non si deve preoccupare per loro, vossignoria. Nikolaj in questo momento, probabilmente, avrà finito di medicarli” un possibile compatriota di mia madre è qui? Interessante...

“…quanti siete…?” ripone le bende dentro un comodino che non avevo visto prima.

“Non molti, in questo momento. Ma spesso vengono qui altri spiriti ad aiutarci portando risorse e cibo. Poco fa, infatti, sono giunti dal Territorio di Halloween Jack O’Lantern con la maggior parte dei suoi collaboratori” Jack…Jack…Jackie…ah…

“…immagino che sia lo stesso Jack O’Lantern che mi ha fatto volare dall’altra parte di questa stanza, erro…?” esita per un momento.

“No, non erra. Non lo prenda in odio il signor Lantern, è sempre stato un giovine (in verità non è molto giovine…) eccessivamente impaziente, anche nel discutere. Mi ha incaricato di consegnarle questo, immagino per scusarsi” fa uscire dalla manica una lettera un po’ sgualcita.

“Se permettete ho altre faccende a cui metter occhio. Non v’è bisogno che v’insegni la strada, non è difficile trovare l’ufficio di Kolja (parlo sempre di Nikolaj, signora mia). Probabilmente avrà bisogno di un nuovo vestito, il suo è stato bruciato, purtroppo…Spero che si senta meglio” detto questo se ne và. Per un po’ ascolto i suoi passettini inciampare negli scalini.

Prendo la lettera di quel dannato aggressore. È bianca, un po’ giallastra e con uno strano timbro che dovrebbe rappresentare una zucca. Non sono sorpresa…

 

Mi dispiace per questo piccolo incidente, spero che la prossima volta potrò essere un tantino più gentile con te.

Non so come sia potuto accadere.

Mi spiace anche per aver distrutto il vestito.

Jackie

 

P.s  ora non vorrai cercarmi per tutta l’isola e appendermi a testa in giù ad un albero per questo, vero?

 

Chi lo sa, Jackie… Con questa pessima lettera di scuse, ti consiglierei di prenotarti una bara e un funerale decente…

 

 

 

 

 

 

In effetti non è stato difficile trovare l’infermeria. C’erano cartelli piazzati ovunque e i corridoi sono facili da ricordare, almeno per me che sono abituata ai labirinti impossibili di città e foreste. Mi sento molto bene, strano… Non so se esistano le erbe magiche, ma quella che ha usato quel folletto credo che lo sia per davvero.

Apro la porta. C’è Mino e…Carmen…?...ma perché diavolo è qui…?

Lei si volta, tutta arrossata. Sorride…

“FABI!!! Estàs bien? “ si butta verso di me per abbracciarmi. La respingo.

“Avevo detto…che se non tornavo in dieci-quindici minuti, dovevi fare dietro front e scappare!” mi guarda per un attimo sbigottita, ma ritorna la solita Mini con il suo ghigno.

“E lasciarti sola con quei idioti? Non credo proprio pequena!” ci rinuncio...Carmen Sanz sarà sempre Carmen Sanz...non serve a niente ragionare con una come lei...dopotutto...un rametto storto non si può mica raddrizzare...

Mi avvicino verso Mino. È messo piuttosto male: è pallidissimo, ha le occhiaie dalla paura e trema un continuo. I suoi vestiti sono stati distrutti o, come nel caso dei bottoni e del sacchetto di monete, rubati. È rimasto solo con il panciotto e i pantaloni un po’ malandati. Senza scarpe né calzini. I suoi occhi fissano il vuoto, sembra che non mi abbia notato.

“Stai bene?” comincia a fissarmi attentamente, mi siedo vicino a lui, sul lettino. Mi guarda malissimo. Non posso fare a meno di guardarlo a mia volta. I suoi occhi sembrano più piccoli senza gli occhiali.

Digrina i denti...

...

...alza una mano...

...

...la fermo in tempo...

...

...la lascio andare...

“Hey! Estàs loco?!” a momenti mi dava uno schiaffo, ma non troppo forte.

“MA TI SEI RINCRETINITA?! HAI IDEA DI COSA HAI FATTO?!”

Por què? Che ha fatto...?” non immaginavo che si ricordasse dell’accaduto, dopotutto era in stato confusionale.

“...Gelsomino...abbassa la voce...non siamo mica a casa nostra...”

“QUESTO NON È UNO STRAMALEDETTISSIMO VIDEOGIOCO! POTEVANO AMMAZZARTI! Ecco, ti hanno ammazzato la pancia. Ecco! Ecco!” dice, indicando la mia pancia, dove quella sottospecie di carbonella mi ha bruciato il corpetto del vestito, ormai rovinato.

“...una benda sullo stomaco e una piccola scottatura non significano niente...”

“NON SIGNIFICANO NIENTE?! FABIOLA! NON TI PENTI?” so di cosa parla e anche di chi parla.

“Shshsshsh...! Abbassa la voce…!” Mini cerca di farlo stare zitto. È completamente inutile…

“Mino, erano delle bestie all’interno di corpi umani...è un bene se siamo morti” vuole dire altro, ma sembra non farcela.

...alza ancora la mano...

...lo lascio fare...

...

...questo era potente...mi ha fatto rigirare la testa tanto era forte...

“Mino!” Carmen cerca di prendermi e portarmi lontano da lui. Le faccio cenno di fermarsi. Deve ancora finire di parlare. Se deve sfogarsi tanto meglio se lo fa ora.

“...dillo di nuovo e ti faccio diventare rossa...” non mi pento. Padre Luigi era un assassino, nel suo senso...e anche il suo assistente era un assassino...lui portava i bambini da lui...quelli senza madre, di solito...il prete invece gli rovinava...Non mi pento. Non mi pento. Dovevo affondare il coltello più lentamente, invece.

“Non mi pento” un’altra frustata in faccia. Non posso fare a meno di guardare per terra.

“Mino!”

“Oh, sta zitta tu!” mi strattona per i capelli. Mi costringe a guardarlo in faccia. Il suo viso si è colorato di rosso. Occhi, bocca, mani sono da animale. Mi mostra i denti. Non voglio guardarlo in faccia...mi fanno male i suoi occhi...

“GUARDAMI!” lo guardo. Non ho paura, ma non mi piacciono per niente i suoi occhi. Non so che espressione ho in viso, ma si calma, anche se poco.

“Ti sto rimproverando perchè hai giocato in questo modo con la tua vita! Sei solo fortunata, se tu sei ancora qui!” questo è vero però... Lascia i miei capelli...non ho niente da dire... Passa un bel pò di tempo. Mino sospira.

“Vieni qui...” mi abbraccia. Non mi piace questo abbraccio...mi sento tesissima...il mio corpo crede ancora che mi possa picchiare…e dire che quel piccolo episodio dovrà essere soltanto il primo di tanti altri...devo imparare di nuovo a combattere...mi serve assolutamente...

Sento la porta cigolare dietro di me.

“Va...va tutto bene...?” entra dentro un gigantesco coniglio che zoppica. Mini sembra essersi ripresa dalla sfuriata di cui, sicuramente, non ha capito niente.

“CALM!” si butta verso la porta. Il coniglio inorridisce. L’abbraccio tra me e Mino si scioglie.

“Mini, no!!!” troppo tardi. Mini si butta, letteralmente, su di lui. Il coniglio cade all’indietro e sbatte la zucca per terra. Mini, intanto, continua ad abbracciarlo.

“MINI!” è arrabbiatissimo, ma lei lo ignora. Lo abbraccia manco fosse un pupazzetto di pezza. Credo che lo soffoca.

“Levati da me!” la spinge via con un calcio, per niente forte. Mini rotola all’indietro. Il coniglio non riesce a rialzarsi.

“Scusa! Ora ti aiuto. Ecco...una zampa...un’altra ancora...no no no no...Fermo...!” non l’ascolta. Si alza di scatto e sbatte la testa contro il ripiano sopra di lui. Inoltre gli cadono addosso, soprattutto sulla testa, tanti libri, probabilmente di medicina, e tutti sanno quanto sono pesanti i libri di medicina.

Il coniglio è furioso. Credo che se fossimo in un cartone animato gli uscirebbe del fumo dalle orecchie. Mini non lo nota.

“Mi sei mancato mucho, mi conejito!!!” lo stritola. A momenti lei si mette a piangere.

“...ahhahha...” si accorge di quello che sta facendo e lo molla subito.

“Scusa!” il coniglio riprende fiato.

“...perchè sei qui...?! Dovevi scappare lontano da loro!” sembra essersi offesa.

“E ti lasciavo da solo contro di loro?! Senza armi?! Certo che no!” alza la testa con superiorità. Fa sempre così quando si offende.

“A proposito...dov’è il mio bumerang?!” si setaccia nervosamente la schiena e il petto peloso. Mini esita.

“...està aquì...” fa uscire dalla giacca di pelle un gigantesco bumerang. È la prima volta che ne vedo uno, dal vivo. Il coniglio socchiude gli occhi.

“Dove l’hai preso...?” chiede con tono poco raccomandabile. Mini fa un sorrisetto, anch’esso poco efficace.

“...l’ho...preso in prestito...” credo che il coniglio abbia un tic all’occhio, che sparisce subito con un sospiro.

“Mini...” disse schiaffandosi il muso con la zampa.

“Ma mi sei mancato moltissimo! Credevo di non rivederti mai più!” e si butta di nuovo su di lui, questa volta mettendosi a piangere per davvero. Meglio che lo aiuti o andremo troppo per le lunghe.

“...non dovete credere di essere il primo ad essere stato abbracciato da Carmen Sanz in questo modo...” quando avevo fatto fare quella scalata sull’albero a Farut, Mini mi aveva abbracciato nello stesso modo. So bene quanto può essere soffocante.

“Ah, tu sei...” abbassa le orecchie. Mini si stacca da lui, mi guarda interrogativa e con gli occhi rossastri.

“...si...sono io...Maria Fabiola Santarcangelo, è un piacere Coniglio di Pasqua” dico tendendo la mano verso di lui. Esita, ma la stringe poco dopo. La sua zampa, meglio chiamarla così d’ora in avanti, è molto soffice e calda...tra poco anch’io avrò voglia di accarezzarlo.

“…erm…Dammi del “tu” e chiamami Calmoniglio…” guarda la mia mano di sottecchi come se fosse una tagliola. Credo che il mio salvataggio non gli sia piaciuto. È molto nervoso. Ritira subito dopo la zampa con nervosismo. È davvero molto alto per essere un coniglio, lo immaginavo un po’ più basso.

Sento dei passi pesantissimi e veloci per il corridoio.

La porta si spalanca poco dopo.

Esce fuori un omone gigantesco, più alto del coniglio. Ha la barba lunghissima e bianca, anche per i capelli, le guance paffute e un po’ rosse, gli occhi azzurri e le sopracciglia nere con un pizzico di bianco. Se non è russo, allora non so proprio da dove dovrebbe venire. Assomiglia moltissimo al fratello di mia madre, Ivan, solo che lui non è così robusto e non ha questa passione per il rosso.

“CALMONIGLIO!” dice questo con felicità e l’abbraccia…si, è proprio russo.

“…ahhahaah…” si sente un CRAC poco raccomandabile dalle ossa del roditore gigante. L’omone lo molla sbigottito. Mi faccio avanti, cerco di fare un sorriso.

спасибо за помощь моих друзей” mi fissa per un po’ sbattendo ripetutamente le palpebre. Spero che io non abbia sbagliato lingua…

нет проблем!” mi sorride, non so il perché ma ho anch’io voglia di sorridere.

 

 

 

 

Questo posto è un teatro.

Un gigantesco teatro abbandonato.

E Nikolaj è il capo di tutto questo ambaradam.

Siamo nel suo ufficio. Non è una stanza molto grande ma nemmeno troppo piccola, di giusto tipo. C’è una scrivania, strapiena di fogli e lettere, una sedia un po’ cigolante, delle librerie piene di libri polverosi e due sedie. Mi siedo su una di quelle, lui invece sull’altra di fronte a me. Non c’è molta luce, solo tre candele. Si sentono dei fuochi d’artificio in lontananza. C’è una piccola finestrella da cui si vedono i botti di mille colori. Ricordo cosa mi aveva detto il folletto.

“…la festa allora non serve solo a fare soldi, no…?” chiedo in russo. Sembra che l’omone abbia preso simpatia per me, mi parla sempre nella lingua di mia madre, anche ora.

“Si, questo è anche un modo che abbiamo per comunicare fra di noi senza essere presi dalle guardie. Ci abbiamo pensato per molto tempo io e Jackie!” dice con un certo orgoglio. Effettivamente è abbastanza ingegnoso come piano, non troppo ma col giusto effetto. Quindi, in teoria, io avrei parlato con degli spiriti che si fingevano travestiti per una festa e, come ho visto dalle due bambine, non sembra che abbia attirato dei sospetti alla gente in città. Ci sono delle cose che non capisco… Mi giro verso di lui.

“Ma perché vogliono…catturarci…?” crede che io sia uno spirito come lui. L’ho notato quasi subito. Anche gli altri suoi simili immagino che pensano allo stesso modo, non so cosa credono invece di Mino e Mini, ma la cosa non mi preoccupa. Si fa serio, ma sento in lui molta tensione per la domanda.

“Non lo sappiamo nemmeno noi. Non sappiamo nemmeno per quale motivo siamo qui. Sappiamo solo che chi viene catturato sparisce nel nulla. Non so il perché ma Macula Sanguinea vuole noi Guardiani” conosce già quella donna, forse sono più avanti in confronto a me.

“E cosa mi sai dire di quei ragazzi? Cosa vuole lei da dei mortali?” si liscia la barba pensieroso. Non riesce a nascondere la tensione dentro di lui. A quanto pare ne ha passate più di quante ne ho passate io e anche gli altri spiriti.

“Credo che abbia qualcosa in mente anche per loro, suppongo. Sai perché sono qui?” gli racconto parte della verità e parte no. Gli dico che sono uno spirito reincarnato da poche settimane, gli dico il mio nome, quello vero, e da dove vengo, e del rito e che stavo seguendo per caso, di quei ragazzi e come sono finita qui e perché ho intenzione di proteggerli.

“Credi che sia giusto fare questo?” annuisco.

“Si, credo sia la cosa giusta da fare” mi guarda serio per un bel po’. Questo silenzio è nauseante.

“Credi che c’entri qualcosa Pitch Black?” strabuzza gli occhi e mi guarda perplesso.

“Ma…come fai a conoscerlo se sei uno spirito da poco?” ho previsto che me l’avrebbe chiesto. Raccontare storie è sempre stata una cosa normale per me. Ma dette solo in fin di bene, non bisogna mai dimenticare chi sei veramente e cosa pensi in realtà.

“Lo conoscevo già da molti anni, per così dire, e so anche cosa vi ha fatto. Tu cosa ne pensi? È una possibilità?” si riprende subito. I suoi piedi si muovono ritmicamente e le sue iridi si muovono in a scatti, cercando per terra qualcosa su cui soffermarsi, invano.

“Probabilmente no…forse si…beh, stiamo parlando di Pitch Black, è imprevedibile!” non sa niente nemmeno lui…la mia speranza è andata a farsi benedire… Sospiro.

“Almeno hai qualche spiegazione a tutto questo?” lo dico con troppa rabbia, questa situazione mi sfinisce, oltre che ho una fame del diavolo e ho anche voglia di dormire… Sembra dispiaciuto. Non riesce più a trattenere il suo nervosismo. Lo noto troppo tardi.

“Scusa, Fabiola, ma non abbiamo la minima idea né dove ci troviamo e né del perché siamo qui. Non possiamo fare altro che rimanere in questo teatro. Le lettere non sono nemmeno un buon metodo per mandare dei messaggi. Se usciamo, anche solo per pochi minuti, ci catturano e finiamo chissà dove. Inoltre la barriera invisibile sulle nostre teste dimezza i nostri poteri, la nostra velocità, la nostra magia e ogni abitante di quest’isola riesce a vederci, adulti inclusi. Non possiamo fare nulla. Non so nemmeno se gli altri Guardiani stanno bene…” quest’ultima affermazione la dice con tristezza e frustrazione. Si guarda le ginocchia per molto, troppo tempo. Anch’io mi sento stressata. Mi trovo in un luogo che non conosco, con gente che non conosco e, soprattutto, contro la mia volontà. Anch’io voglio rivedere mio fratello sano e salvo, e mio cugino e tutti gli altri ragazzi… Mi dispiace di essermi arrabbiata con Nikolaj, non è colpa sua dopotutto…posso sempre rimediare. Poggio la mia mano sulla sua. È uno scricciolo in confronto. Si…glielo dico…dopotutto…devo fare anch’io una buona azione una volta ogni tanto.

“…Sandy sta per Sandman…?” alza gli occhi di scatto. Gli sorrido.

“Si è rifugiato in una casetta in campagna insieme a me e…” mi interrompe alzandosi di scatto dalla sedia. I suoi occhi stanno per uscire dalle orbite. Si mette in ginocchio di fronte a me e mi prende per le mani.

“Come sta? Sta bene? Non gli è accaduto niente?” mi chiede a mitraglietta. Sorrido ancora.

“In ottima salute, una sera mi ha anche chiesto di ballare” e a momenti si commoveva tanto era felice, ovviamente non glielo dico. Si rimette in piedi, sembra che si sia tolto un grande masso dal cuore. Gli luccicano gli occhi…non riuscirà a trattenere tutta quella felicità da solo. Mi avvicino a lui e lo abbraccio.

Sa di biscotti alla cannella e menta e anche di legno. Il suo pancione è morbidissimo, posso affondarci la testa.

“Non è ancora finita, Kolja…” credo che d’ora in avanti lo chiamerò così. È brav’uomo, non merita di soffrire. Troverò gli altri Guardiani per lui e insieme andremo via da questo posto. Mi abbraccia anche lui, ma con più forza. È diverso dall’abbraccio di Gennarino, i suoi soffocavano, è anche diverso dall’abbraccio di Mino, il suo è asciutto, senza consistenza, quasi invisibile, inesistente. Con questo, invece, mi sento asfissiare nella cannella…è una bella sensazione…vorrei che anche mamma mi desse questi abbracci…

“Devo scrivergli qualcosa…subito! Fabi, io gli scrivo una lettera, si? E tu puoi mandarla da Sandy? Puoi?” dice cercando freneticamente in quel mare di fogli uno bianco. Credo che anche lui, d’ora in avanti, mi chiamerà così.

“Certamente” è ancora più felice di prima. Trova un foglio e una penna d’oca con dell’inchiostro.

“Allora…allora…allora…cosa scrivo? Cosa scrivo?” si martella il mento con le dita.

“Troverai le parole giuste” alza la testa dal foglio. Fissa il mio vestito e anche la benda, ormai l’hanno vista tutti.

“Prima devi trovare un vestito buono! Non puoi uscire così!” corre verso la porta ed esce. Mi fa cenno di seguirlo e andiamo verso i numerosi corridoi. Dopo poco tempo ci troviamo in un altro spogliatoio, molto più grande del primo che avevo visto.

“Astrea! Sai già tutto, trova un vestito per questa bambina! Portala da me appena hai finito” e se ne va sbattendo la porta. Davanti allo specchio c’è una ragazza. Ora che ci penso, non è proprio una ragazza.

Credo sia una fata, molto particolare. Ha i capelli lunghissimi, quasi fino al bacino, come i miei. Sono blu, anzi, azzurri con riflessi bianchi e luminosi come la pelle e il vestito. Sembra fluttuare ad ogni movimento che fa. Si avvicina a me, i suoi piedi non toccano terra, eppure le sue ali di pizzo non si muovono.

“Allora cosa ti vuoi mettere?” sembra che abbia saputo già tutto da chissà chi. Lasciamo stare…

“…non so…” in genere io e i vestiti non andiamo d'accordo. Non sono mai comodi e nove volte su dieci mi sembra di avere ai piedi dei blocchi di cemento. Fosse per me camminerei senza scarpe. Qui ci saranno almeno una ventina di abiti, tutti da femmina

“Beh, fai un giro e poi ti aiuto a metterti qualcosa” dice piazzandosi davanti allo specchio e prendendo una spazzola. Scuoto la testa. Si comporta come Mini… Vado un po’ in giro curiosando.

Sono tutti abiti da donna…disgustosi…almeno per me… Beh, se le cose si mettono male allora dovrò accontentarmi di uno di questi, anche se ora la gonna comincia a darmi seriamente fastidio. Forse trovo qualcosa all’ultimo secon…

…ma che…?

…no no no…

…quello…insomma…ho visto male…

Prendo il vestito in mano. È uno di quelli. Ma…era solo un videogioco…impossibile…

“Non vorrai provare quello straccio…?” non capisco come possa definirlo straccio. È incredibile, invece. Forse non è quello che sto pensando. Forse, visto sulla gruccia, è diverso che visto addosso.

“…si…”

“Ma è l’unico che ho scartato apposta…”

“…come si mette…?” soffia seccata. Comincio a togliermi il mio vestito regionale.

 

 

“Toglitelo è orrendo…però a te non sta male” mi sta da sogno, invece. È uno di quelli. Non so come sia possibile…a provarlo c’è anche una cintura con il simbolo. Ma per quale stramaledetto motivo non c’è qui Gianni?!

“Prendo questo. Puoi farmi una treccia? Una tipica russa?” mi piacciono le trecce russe che mi fa mamma. Spero che anche lei sappia farla e spero che riuscirò a ricordarmi come farla da sola.

“Un attimo” dopo un po’ me la fa…una treccia a spina di pesce che parte dall’inizio della testa. Non riesco a staccarmi dallo specchio. È comodissimo e anche morbido. La seta e la pelle non sono appiccicosi come i soliti vestiti che indosso. Non è né troppo freddo e né troppo caldo. Il cappuccio è spettacolare… il colore nero e rosso mi sta bene…non ci posso credere che lo sto indossando…non posso crederci che sarà mio. Devo calmarmi. Devo calmarmi subito.

“Fabi, ho finito la lettera!” per poco non svengo. Ero troppo concentrata sul vestito. Non devo rifarlo mai più.

“Ti ha fatto indossare un vestito da assassina?!” mi guarda perplesso. Ma come diavolo fa a conoscerli anche lui?! Avevo previsto ogni cosa…ogni stramaledetta cosa, tranne questo. Non immaginavo che gli spiriti fossero talmente umani da vedere dei videogiochi.

“Veramente mi ha costretta lei…” zitta, Mini 2. Questo me lo tengo a vita…sto esagerando…per fortuna che non si vede la mia agitazione…

Kolja mi passa la lettera. È pesantissima, manco fosse una busta.

“Fabi! Dove hai trovato quel vestito?! Sembri una serial killer! Ti si addice molto!” esce fuori Mini e Mino. L’ultimo mi guarda perplesso, appena lo guardo in viso il mio corpo s’irrigidisce, probabilmente ricorda ciò che è successo poco prima. Probabilmente Kolja gli ha portati qui o sono venuti qui da soli. Non importa… Le guance di Mino sono un po’ rosa, credo che si senta meglio.

“L’ho già visto questo…non mi ricordo dove…” questa, invece, me l’aspettavo. È un videogioco molto famoso, dopotutto.

“Non è difficile, provaci!” non ci arriva. Lo aiuto.

“Assassin’s Creed. È un vestito da assassina e neanch’io posso crederci che è mio e non riesco nemmeno a capire perché sia qui e soprattutto come” nessuno riesce a capirmi. Mino ad un certo punto s’illumina dicendo un lunghissimo, ah! Gli sorrido. Dopo un po’ anche Mini comincia a capire, ma il suo sorriso svanisce quasi subito.

“Ma…è un videogioco vero?! Allora esistono i serial killer incappucciati?! Eso es genial!!! Mi giro verso lo specchio.

È un vestito molto aderente, ma per niente ingombrante, mi ci è voluto un po’ per mettermelo. Ovviamente indosso dei pantaloni in pelle; il busto è stretto fino al bacino dove sembra che l’abito si apra in diverse direzioni come se fosse una gonna, ovviamente non lo è. Ho dei guanti senza polpastrelli, per niente appiccicosi, lo stesso per la stoffa un po’ gonfia che avvolge le braccia; poi dalla mano fino a metà braccio c’è della pelle che aderisce moltissimo, ma non sento dolore; infatti copre le bende e quasi non le sento addosso. Per il resto è un abito da assassina nero con dettagli rossi. E con un gran bel cappuccio.

“Ma…i soldi…?” mi si spegne il sorriso. Anche quello degli altri è scuro.

“Prima…quelli hanno detto che gli avevano presi…con i bottoni e tutto quello che avevo addosso…” dice più a sé stesso che a me.

Como farai a tornare indietro? E tu come puoi andare con Fabi conciato così?” sospiro. Mino è preoccupato. La sua espressione diventa tetra.

“Mino, tu detto che sei bravo con macchinari” Mino alza la testa interessato, sempre con sguardo tetro. Non sembra molto sicuro di sé in questo momento.

“Ho molti lavoretti da fare e non riesco a fare tutti, puoi lavorare qui e poi tornare a casa dopo. Ti darò soldi per cibo e altro. Stasera puoi dormire qui!” anche Mini si mette in mezzo. Guardo un attimo Kolja. Ho impressione che abbia pensato a questo già molto tempo prima.

“Non ti offendere, Fabi, ma voglio restare anch’io qui con il mio conejito

“…non mi chiamare CONIGLIETTO!” si sente nel corridoio, ormai si comprende chi sia il proprietario della voce.

“HO DETTO CONEJITO, NON CONIGLIETTO!” urla anche lei con un ghigno sinistro in bocca. Tipico…

“MINI!!!” non faccio a meno di sorridere alla risata maligna della ragazza latina. Sono d'accordo. Penso a Sandy e a Farut…chissà cosa diavolo stanno facendo laggiù…e chissà che cosa pensano che ci sia successo…Farut sarà furioso con me…poco ma sicuro…

“Allora siamo d'accordo. Mino, però domani voglio che tu torni a casa, e il prima possibile: Farut sicuramente mi vorrà morta dopo questa escursione” Mino scuote la testa.

“Non finchè ci sarò io, Fabì! Torna a casa tranquilla…pensi…di sapere come tornare indietro?” anche a questo avevo pensato. Credo di sapere come andare. Se viaggio sui tetti nessuno mi vedrà e saprò come tornare alla casetta. Inoltre la festa terrà occupata la maggior parte dei cittadini e potrò muovermi tranquilla, ma non credo che ce la farò…a momenti svengo dalla stanchezza…ho dormito per poco troppo tempo in questi giorni. Kolja sembra leggermi nel pensiero. Di sicuro vorrà che la lettera raggiunga il destinatario.

“Fabi, vieni, seguimi”

 

 

 

 

 

“Lei è Yaja, è molto più di una mula, credimi!” mi dice in russo. Dopo aver salutato i ragazzi, Kolja mi ha portato in questa piccola stalla. Davanti a me c’è una mula che mi fissa in modo strano come per dire: e questa qui da dove viene?

“…grazie…ma io non so cavalcare…” non solo: detesto i cavalli. Una volta, quando ero piccola, la mia famiglia e quella di Gianni vivevano in campagna. Mi piaceva stare lì, era un posto molto calmo e tranquillo. Una volta mio zio, Mario, padre di Gianni, ha voluto che io andassi sopra ad un cavallo insieme a lui. Per un po’ è andata bene, ma poi il cavallo si era imbizzarrito e avevo sbattuto pesantemente la testa. Sono dovuta andare in ospedale per quel ronzino…il sangue scorreva a fiumi.

“Non c’è bisogno! Lei è molto intelligente, te ne renderai conto!” avevo sempre paura dei cavalli da quel giorno, ma ora non più. I cavalli, ora lo so, non pestano gli zoccoli sugli esseri umani e se s’imbizzarriscono c’è sempre un motivo; infatti quella volta il cavallo si era spaventato per colpa di un cane.

“Vai su! Ti aiuto” mette una coperta violacea sopra la groppa del quadrupede come se fosse una sella. Mi issa su. La mula mi fissa per un momento un po’ perplessa.

“Allora, dov’è la tua casa?”

“Fuori l’entrata principale. Poi sempre dritto per mezz’ora, nella campagna”

“Allora, hai sentito, Yaja? Portala a casa!” dice felice. La mula sbuffa. Non credo proprio che una vera mula si comporterebbe così. Ho avuto a che fare con gli animali di cortile, quadrupedi compresi, e questa qui è assai strana.

Saluto Kolja, ormai lontano dalla visuale e la mula mi porta verso la giusta direzione, non molto velocemente. Siamo usciti dal vicolo buio e fetido dov’era l’uscita della stalla. Non avrei mai immaginato che Babbo Natale fosse russo.

Penso un po’ a tutto quello che è successo oggi. Che diavolo…anche loro sono qui…non mi sorprendo per niente, anzi, fosse il contrario sarebbe una sorpresa. Si sente in lontananza la folla che urla per i fuochi. Per il resto la città è completamente buia e senza alcun’anima viva, non c’è nemmeno un lampione che funziona, le uniche luci sono le stelle e la luna piena. È un po’ malinconico come paesaggio. Mi calo il cappuccio. È molto profondo e l’interno è rosso fuoco, non c’è bisogno di dire che l’adoro. Mi guardo i guanti senza polpastri che ho addosso. Non posso pensarci che un videogioco possa corrispondere alla realtà. Capisco che alcuni videogiochi sono ispirati a fatti realmente accaduti, ma Assassin’s Creed è un racconto immaginario. Capisco che i Templari sono realmente esistiti, ma questa è un’esagerazione, se vista da questo punto di vista. Forse gli Assassini sono realmente esistiti e questo vestito ne è la prova come il simbolo che ho sulla cintura…o forse no…o forse è qualcosa che non scoprirò mai…

Mi brontola la pancia. Due fette di pane non possono saziare lo stomaco, nemmeno per un giorno. Siamo vicini alla porta d’entrata che abbiamo visto io e Mino. La sorpassiamo lentamente, ma non troppo.

Ну, если вы голодны, ешьте!” trasalgo. Non ho capito da dove veniva la voce, ma di sicuro si riferiva a me. Mi giro lentamente un po’ ovunque.

Nessuno.

Forse veniva dall’alto…

Я говорю вам, барышня!” no…veniva dal basso… guardo la mula, lei guarda me corrucciata. Credo di aver capito.

“…ah…” tendo le orecchie al massimo, la mula su cui sono seduta credo che abbia voglia di parlare.

“Ho detto: se hai fame, allora mangia!” mi dice spazientita. Mi aspettavo di tutto…forse anche questo in verità…mi rimetto subito.

“Dove trovo da mangiare, allora?” assottiglia gli occhi. è abbastanza buffo da vedere, in verità. La tipa mi parla in russo come Kolja.

“Nella sacca, no? C’è anche dell’acqua se vuoi…Ma vedi di non farmi traballare, ho una certa età io!” sbatto le palpebre più volte, è abbastanza insolita come scena. Mi chino un po’ verso il fianco dell’animale. In effetti c’è una borsa e sembra strapiena. Forse per la stanchezza non l’ho notata. La prendo senza far sbilanciare la mula. La apro.

Il profumo di dolci mi invade le narici. La mio tallone d’Achille è in questa borsa. Ce ne sono di tutti i tipi e di ogni grandezza e colore. La mia lingua non può fare a meno di sfiorarsi le labbra. Ne agguanto uno e lo ficco in bocca, quasi senza masticare. Ho una fame bestia. Ne mangio un altro, con più calma. Poi un altro. Un altro ancora.

“Senti tu, al posto di fare la mangiona altezzosa ed egoista, potresti anche offrirmi qualcosa!” finisco il dolce al cioccolato e ne passo uno a Yaja. Sbuffa.

“Ma che diavolo è questa schifezza?!” quando parla non muove la bocca, come se parlasse con me tramite pensiero.

“Un bombolone al cioccolato con granella al cocco” sono un’esperta in questo campo. Mia zia, Pinuccia, madre di Gianni, sa cucinare i dolci che sono la fine del mondo, altro che 2012. Vorrei lasciare due dolci per Sandy e Farut…anche loro meritano qualcosa di buono da mangiare. La mula mi guarda supplichevole e abbastanza stupita.

“C’è solo questo? Dolci…? Non c’è qualche carota o mela…?” setaccio la borsa. A parte i dolci e una lettera non c’è nient’altro. Ci sono anche i miei coltelli all’interno. Gli aggiungo alla cintura dell’abito.

“No, solo dolci e questa” finisco io il bombolone. Yaja solleva lo sguardo verso la lettera.

“Beh, che aspetti, leggi!”

La apro.

 

 

Sono sempre io, il tizio coi capelli bianchi e gli occhi neri.

Spero che ti piacciano, gli ho fatti io.

Buon appetito!

Jackie

 

P.s  Scusa ancora per il vestito e per il “volo”

P.p.s  Lo sai che sei molto carina?  J

 

 

Strappo la lettera in tanti piccoli pezzettini e li butto per aria con teatralità. Non posso crederci che mi abbia fatto anche uno smile…

Jackie…spero che il prete sia pronto per la cerimonia…

“Ebbene, chi era?”

“Jack O’Lantern…ha fatto lui i dolci…”

“Non mi sorprendo, gli abitanti di Halloween sono secondi dopo di lui a fare i dolci per i bambini…è stato anche un cioccolatiere in vita quel giovane uomo…mestiere da pochi soldi per l’epoca” dice rigirando gli occhi.

Riconosco gli alberi di mele vicino alla nostra casetta. Siamo stati velocissimi: poco più di cinque minuti. Yaja guarda le mele affamata.

“Guarda lassù, quello si che è cibo. Altro che dolcetti di quella squallida città!” dice alzando il muso.

“Te ne prendo qualcuna?”

“Puoi arrivare lassù?”

“Ovviamente” scendo dalla mula e mi arrampico sull’albero. Mi sento una vera assassina, l’abito è adattissimo al mio hobby preferito e non mi dà alcun fastidio. Scendo con tre mele, le più rosse e succose. Zì Pinuccia da piccola mi ha insegnato come si scelgono i frutti migliori da prendere sugli alberi. Non è mai stata una cosa tanto difficile da fare. Yaja sembra soddisfatta. Gli mastica felice. E poi ero io la mangiona…gli divora in poco tempo. Appena finisce salto in groppa a lei e procediamo per il boschetto. Sembra molto più tetro di notte. Le stelle non riescono a filtrare tra i rami e a malapena vedo qualcosa, ma riusciamo ad uscire in fretta. Vedo la casetta. Le luci sono spente.

“È quella?” le dico di si e ci avviciniamo abbastanza velocemente.

“Senti un po’, ragazzina, le prossime volte portami alcune di quelle mele. Dopotutto anch’io devo mangiare!” scendo dalla mula.

“Si, mi sembra giusto. Per ora ti porto nella stalla, va bene?” poco prima di partire con Mino, avevo visto una stalla dietro alla casetta e credo sia un buon posto per mettere Yaja. Sbuffa impaziente. La porto dentro e chiudo la porticina. Appena le tolgo la copertina viola si addormenta, in piedi. Anch’io vorrei dormire. Vedo qualcosa luccicare legato a Yaja insieme alla borsa. Mi avvicino.

Una spada.

Una spada che di solito vedo nei film di samurai. E una lettera. La apro. Diavoli…è in russo…

“…Yaja…una cortesia…” agita il muso per svegliarsi.

“Beh, che c’è?! non si può più dormire in pace?!” mi guarda arrabbiatissima.

“…me la puoi leggere…?...non riesco a capire…” mi fissa spazientita.

“Cosa? Non sai più leggere?”

“…è in russo, però…” mi guarda sbigottita. Esita per un momento.

“Cosa cosa cosa?! Non sai leggere una lingua che sai parlare?! Che stai parlando con me?!” mia madre non ha mai avuto il tempo di insegnarmi a leggere e scrivere in russo, e, no, non lo trovo per niente imbarazzante.

“…no…”

“Oh, bene! E allora che cosa sai fare, signorina?” questo però è un po’ troppo. Raddrizzo il busto, abbastanza offesa, in verità.

“Se fosse la mia lingua madre capirei” se avesse delle sopracciglia ne alzerebbe una.

“Ah si? E quale lingua sai allora?”

“L’italiano, prima di tutto. Poi l’inglese, un po’ di francese, latino e un po’ di greco antico” mi guarda come si guarda una snob. In effetti sto andando un po’ troppo oltre.

“Va bene, fammi sentire qualcosa d’italiano, visto che sei italiana…però la tua faccia non ha molto d’italiano…” ci penso un po’ su… Mi viene in mente Giacomo Leopardi.

 

D’in su la vetta della torre antica,

passero solitario, alla campagna

cantando via finchè non more il giorno;

ed erra l’armonia per questa valle.

Primavera d’intorno

Brilla nell’aria, e per i campi esulta,

sì ch’a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar…

 

“Basta, basta! È sufficiente…per stasera”

“E la lettera?” sbuffa più forte delle volte prima.

“Apri le orecchie, piccola analfabeta:

 

Sono Kolja (usare un diminuitivo…quell’uomo non lo capirò mai…),credo che ti serva qualcosa con cui proteggerti oltre ai coltelli (vorrei vederla io una bambina non troppo bambina proteggersi con dei coltelli…). Non so di chi appartenga questa spada, ma penso che sia adatta a te! (fai male a crederci…)

Buona fortuna, Fabi! (non credo che le serva, Nicholas…)

Nikolaj (ma che razza di firma è mai questa?!)

 

Soddisfatta? Ora sparisci, o ti faccio diventare io un passero solitario!”prendo la spada e la borsa con le due lettere e i due dolcetti e la metto a mo di marsupio, dietro al sedere. Sparisco in fretta. Questa mula è più divertente di quello che sembra.

Mentre entro in casa indosso, dietro la schiena, la fodera con la spada all’interno. È tutto buio e scuro qua dentro. Mi giro un po’ attorno e salgo le scale. Mi sento inquieta…è accaduto qualcosa qua dentro. Sfodero i coltelli e cammino silenziosamente per il corridoio arrivando alla mia stanzetta. La porta è semi-aperta.

Spio un po’ all’interno. C’è qualcuno.

Sandy.

Entro dentro. La porta scricchiola.

Sandy è affacciato alla finestra, non riesco a vederlo in volto. Appena ha sentito lo scricchiolio della porta si è voltato come una scheggia. Il suo viso è pietrificato. Hanno qualcosa di sbagliato i suoi occhi, in genere sempre calmi. Mi sento molto tesa…come se fossi di fronte ad un estraneo…in verità lui è un estraneo…sono io che mi sono affezionata troppo a lui… Le sue iridi si muovo velocemente verso le mie mani armate, sempre con lo stesso sguardo. Ho capito. Sono io l’estranea per lui. Ho un cappuccio in testa, un abito da assassina che, forse, non conosce ma che comunque rappresenta una minaccia per lui. Sono armata, mentre invece lui no. E non mi riconosce, vestita così.

Cerco di dire qualcosa per tranquillizzarlo, ma non ci riesco.

Sandy mi butta addosso una palla gialla che mi si schianta sulla testa, ma senza farmi nulla.

…uh…?

…perché…

…ho tanto…

…sonno…?

…faccio dei passi indietro…ho sonno…ho tanto sonno…

…sbatto la schiena per terra…

…i coltelli cadono lontani da me…

…Sandy mi fluttua vicino…

…mi prende i coltelli…

…li butta lontano dalle mie mani…

…non…

…devo…

…assolutamente…

…dormire…

…buio…

…qualcuno mi chiama…

…la conosco questa voce…

 

 

  
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