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Autore: Moony16    14/05/2014    3 recensioni
«allora … hai trovato quello che cercavi in America?» gli chiese. Voleva sapere almeno se tutta quella sofferenza fosse servita a qualcosa.
***
«allora io vado, … ci vediamo»lei sbuffò
«si fra, dieci anni» lui sorrise
«in realtà, fra appena due giorni. Ci sarò anche io alla cena di famiglia di Domenica. Albus mi ha invitato» lei parve scioccata, così lui, godendosi quella piccola vittoria, uscì dalla stanza. Dopotutto, lui voleva ancora farla impazzire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus, Severus, Potter, Alice, Paciock, Jr, Louis, Weasley, Rose, Weasley, Scorpius, Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Scorpius sospirò guardandosi attorno. La solitudine gli piombò addosso come un secchio d’acqua gelata, fin dentro le ossa. Lui, in quella squallida camera d’albergo, non voleva più starci. La odiava, con tutto se stesso. Era voluto tornare in Inghilterra, convinto che non gli avrebbe fatto poi così male, dicendo di essere desideroso di vedere i suoi vecchi amici e i luoghi in cui era cresciuto.
Erano balle, se ne rendeva conto ora. L’unica cosa che voleva era rivedere Rose, perché non sopportava l’idea che avesse un ragazzo fisso.
La verità era che lui era talmente complicato, un gomitolo nero intrecciato a uno bianco, che non riusciva a capirsi neanche lui. Seguiva gli istinti animaleschi tipici di ogni uomo, cercando dopo di dare una spiegazione ragionevole. E troppo spesso doveva ammettere, almeno con se stesso, che era stato guidato solo dall’impulso. Difendi il tuo territorio. Quello era il vero motivo per cui era tornato. La ragione però diceva un’altra cosa.
La ragione, o forse un istinto più forte, che non riusciva a controllare.
Scorpius era sempre stato coraggioso, un fiero grifondoro, ma non poteva difendersi da qualcosa che non capiva. Non poteva combattere una battaglia di cui non sapeva l’esistenza.
Abbandonò i vestiti in giro per la stanza, già in un disordine madornale, per poi aprire la doccia e tuffarsi dentro. Adorava l’acqua calda nella pelle, riusciva a schiarirgli le idee, almeno in parte. Si sentiva meno sporco sotto quel getto d’acqua bollente e di sapone. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella sensazione: il mondo sparì e restarono solo lui, il rumore dolce dell’acqua e il vapore che inondava la stanza.
Quando uscì, stava meglio. Si sentiva più a suo agio e il caos aiutava molto. Aveva sempre amato la confusione, non riusciva a tenere una stanza in ordine. E non perché fosse pigro, ma perché gli piaceva.
Non sapeva dire qual era il vero motivo. Forse, l’ordine maniacale gli ricordava troppo villa Malfoy. Quella che avrebbe dovuto essere una casa, trasformata in una prigione.
Ma non era sempre stato così. C’era un tempo, nella sua prima infanzia e che adesso era solo un ricordo sbiadito, che era considerato un bambino solo un po’ strano.
Era stato perfetto, fino all’età di otto anni. I capelli biondissimi, quasi bianchi, il colorito marmoreo e il nasino dritto lo rendevano un perfetto Malfoy. I vestiti che era obbligato a indossare gli risaltavano il colorito pallido e lo facevano sembrare un piccolo principe del male. Ma lui non era così.
Scorpius era diverso dai bambini della sua età che frequentava. Draco e Astoria non ci fecero subito caso, perché più che altro lo avevano tirato su elfi domestici e precettori. Non erano mai stati due genitori molto presenti, ma neanche spietati, caratteristica che acquisirono dopo, con il tempo. Lo consideravano solo un po’ desideroso di attenzioni.
Ne combinava di tutti i colori, dal catturare le cavallette e metterle nel pranzo domenicale al disegnare draghi sui muri. La cosa più strana però era, almeno secondo Draco, che non sembrava scoraggiarsi dopo le punizioni, sempre più severe con il passare del tempo.
Le vere preoccupazioni comunque nacquero quando Scorpius aveva circo otto o nove anni.
Era filato tutto liscio, finché non aveva iniziato con le domande. Perché la gente li fissava, per strada? Perché non poteva stare con gli altri bambini? Che cosa era il tatuaggio nel braccio del padre? Che cosa significava mezzosangue?
Tutte domande cui i genitori non sapevano che rispondere. Come spiegare certe cose a un bambino? Eppure lui insisteva, e tanto anche. Più volte si era beccato punizioni per aver esagerato con le domande: ma non importava. Era più testardo di un mulo, ingenuo alle volte, sprezzante del pericolo e impulsivo.
E non era cambiato per niente in tutti quegli anni. L’unica cosa che nel suo carattere era cambiata era la fiducia negli altri. Aveva imparato a non contare su nessuno tranne che su se stesso e in quel modo aveva fatto strada.
Scorpius si sdraiò nel letto, ancora sfatto, con solo una tovaglia a coprirlo. Faceva freddo, ma non importava. Era piacevole, anzi, stare lì mentre i brividi di freddo gli percorrevano il corpo. Masochista forse, ma fondamentalmente piacevole.
Aveva un fisico asciutto, quasi perfetto. Aveva preso l’abitudine di sfogare la rabbia correndo, già dal terzo anno di scuola, così aveva finito per avere il corpo di un atleta. La cosa non gli dispiaceva per niente. Sul viso i lineamenti tipici dei Malfoy, un tantino effemminati, erano stati coperti con un filo di barba, che insieme ai capelli lunghi fino alle orecchie e sempre spettinati, gli dava quel tocco da maschio che suo padre non aveva mai avuto. Era bello e ne era consapevole, molto meglio del padre, perché aveva le labbra piene e la mascella più prorompente.
La cosa di lui che però attirava tanto le ragazze non erano la bocca carnosa o gli occhi grigi, ma l’aria da dannato che si portava dietro, il mistero che lo avvolgeva e quella sua indifferenza alle loro avance. Era ancora tranquillamente steso sul letto, quando suonò il telefono della stanza. Stupito, si affrettò a rispondere.
Rose era nella hall di quello squallido albergo. Era nell’ultimo posto in cui sarebbe voluta essere, ma doveva farlo. Doveva controllare che Albus non fosse neanche lì.
Lei aveva sempre avuto un legame particolare con Albus. Avevano la stessa età e avevano condiviso tutto, sin dalla culla. Erano più che cugini o amici e persino più che fratelli. Erano semplicemente Rose e Al, inseparabili. Si capivano a uno sguardo, sapevano sempre se l’altro era nei guai e capivano sempre al volo dove trovarsi. Quella era la prima volta che lei non riusciva a rintracciarlo. Gli aveva mandato una miriade di lettere, prima incazzata nera, poi sempre più preoccupata. Il giorno prima infatti Alice, la sua migliore amica, le aveva detto che avevano litigato e lei lo aveva cacciato da casa. Non aveva detto il perché, ma lei aveva intuito che la colpa fosse di Albus poiché la ragazza era a dir poco sconvolto.
Si era ripromessa di fargli una bella strigliata “made in nonna Molly”, ma quando lo aveva cercato, non c’era. Da nessuna parte. Né a casa di qualcuno della loro innumerevole famiglia, né in nessun hotel o locanda dove potesse alloggiare. Sparito nel nulla. A meno che non fosse con il suo migliore amico.
E quindi eccola lì, sicura di trovare il cugino ma riluttante a presentarsi nella camera di Malfoy. Si stava aggrappando con tutte le sue forze alla speranza di trovare lì Albus, perché altrimenti non avrebbe saputo dove cercarlo. E stava seriamente iniziando a preoccuparsi che avesse fatto qualche sciocchezza.
«cosa posso fare per lei?» le chiese un ragazzo gentilmente
«potete chiamare il signor Scorpius Malfoy?» chiese con sicurezza, nonostante le traballassero le gambe, per la paura e anche un po’ per l’ansia di rivedere quegli occhi grigi. È stato importante per me, è ovvio che non mi sia indifferente. Si diceva. E un poco, non ci credeva nemmeno lei. Nonostante ciò, continuava a sperare che lui sparisse dalla sua vita, per tornarsene alla sua piatta normalità. Non voleva più neppure vederlo di sfuggita in qualche vecchia foto.
Il ragazzo la guardò malizioso e fece il numero della camera.
«Pronto?» Scorpius era sicuro di aver risposto esattamente. Aveva deciso di studiare babbanologia a Hogwarts perché aveva capito che gli sarebbe stato utile mimetizzarsi con i babbani e non aveva avuto torto. L’hotel, a due stelle, era di quelli di periferia, squallido e mal ridotto, eppure era perfetto: nessuno lo avrebbe cercato lì. Per questo era tanto stupito per quella chiamata.
«il signor Scorpius Malfoy?»
«si sono io. C’è qualche problema?» chiese con tutta la calma possibile. Chi era venuto da lui senza neppure avvisarlo?
«c’è qui una ragazza …Rose Weasley che dice di doverle parlare. Posso darle il numero della camera?» il cuore gli fece un salto. Rose, lì?
«che cosa vuole?»
«dice che è urgente» ovviamente si ritrovò a pensare. Sospirò e poi rispose
«la faccia salire, grazie» dopotutto non poteva resistere alla curiosità, né alla voglia di vederla. Si affrettò a mettere la tuta e la felpa larga che usava come pigiama e uscì. Aveva ancora i capelli bagnati, ma non se ne curò: sapeva bene che a lei piacevano così. Uscì e si appoggiò allo stipite della porta, aspettandola. Quando lei girò l’angolo, il suo cuore perse un battito. Non aveva mai visto nessuna così bella.
Eppure sapeva che il suo non era un parere soggettivo. Rose non aveva quel tipo di aspetto per cui ogni essere di sesso maschile si girava a guardarla quando camminava. Non era alta, non arrivava al metro e sessanta, e neanche magra, giacché portava un’odiata quarantaquattro. I suoi capelli rossi spesso erano alzati in una coda disordinata e non si truccava mai, né tanto meno faceva caso ai vestiti che indossava. Eppure lui adorava tutto di lei. Amava il colore così intenso dei suoi capelli e gli occhi azzurri, limpidi come il cielo, attraverso le quali sapeva leggere ogni sua emozione. Amava il suo naso all’insù pieno di lentiggini e quel neo sulla schiena. Amava il modo deciso con cui camminava e le espressioni che faceva quando si arrabbiava. Si sarebbe perso nel suo corpo morbido, caldo. Ricordava ancora il calore che emanava: nessuna era mai riuscita a riscaldarlo come lei. Lei, che lo mandava a fuoco.
Vedendola avvicinare Scorpius si stampò sul viso un’espressione indifferente e un po’ maliziosa, che sapeva Rose odiava, aspettando una sua reazione. Ma lei neanche perse tempo a guardarlo: si fiondò nella camera.
«quanta fretta, Rose»
«dov’è Albus?» Scorpius strabuzzò gli occhi. Si sarebbe aspettato tutto, ma non quello
«a casa sua immagino. Se ti serviva una scusa per venire, potevi inventarne una migliore» le rispose chiudendo la porta
«non è a casa sua: Alice l’ha buttato fuori! Hanno litigato, non so per cosa. Ed io lo cerco da due giorni» Scorpius barcollò per tutte quelle notizie.
«che significa che l’ha buttato fuori?» chiese infine, sconcertato. Che fine avevano fatto i due piccioncini innamorati?
«non lo so! Fino a qualche giorno fa erano normalissimi e andavano d’amore e d’accordo! Non avevano nessun problema … tutto questo non ha senso. E Alice non vuole neanche dirmi cosa diamine è successo» Scorpius si sedette sul letto e si coprì il viso con le mani.
«hai provato a vedere se è in qualche hotel?» lei annuì
« in tutta Londra, sia babbana sia magica. Non c’è»
«Grimaould Place? È abbandonato, solitario e malinconico. Io andrei lì, se fossi nella sua condizione»
«già fatto. Anch’io pensavo di trovarlo lì. Ho visto anche alla Tana, la vecchia casa dei nonni» lui stette per qualche momento zitto, poi parlò con voce grave
«Rose vuoi un consiglio? Lascia stare. Se non è da nessuna di queste parti, significa che non vuole essere trovato. Lascialo solo»
«ma …»
«se voleva il nostro aiuto, lo avrebbe chiesto. Quando sarà pronto, verrà lui»
«non possiamo rinunciare così e basta»
«e che proponi di fare? Cercare in tutta l’Inghilterra? O magari in tutto il mondo? Potrebbe essere dappertutto a quest’ora» Rose sospirò, abbandonandosi all’evidenza. « e va bene. Ma se non si fa vivo entro una settimana denuncio la sua sparizione e vado a scovarlo, dovunque lui sia» lui si avvicinò e le mise una mano sulla spalla
«ovviamente sarò con te. Al è la mia unica famiglia, mio fratello» lei annuì
«grazie, allora»
«grazie a te per avermelo detto» lei fece un sorriso tirato
«te lo dovevo. Allora, buonanotte?» disse, dirigendosi verso la porta
«anche a te» le disse con un sorriso. Lei uscì e lui chiuse la porta alle sue spalle.
Avrebbe tanto voluto non doverlo fare. Si appoggiò a quell’unica cosa che li divideva e ascoltò i passi che si allontanavano.
Si odiò per questo. Lui non doveva volerla, non poteva punto e basta. La verità però era che avrebbe voluto stringerla tra le braccia e non lasciarla andare via mai più.
  
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