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Autore: Martilampi    15/05/2014    2 recensioni
Hermione chiuse meglio la sua giacca e si alzò da quella panchina. La schiena le doleva e le gambe erano pesanti.
Si avviò verso casa, comprò una brioche e un cappuccino e si fermò a berlo nella caffetteria, vicino ad una grande finestra che dava sulla strada.
Non c’era ancora molta gente, quasi si dimenticò della realtà. Gli sembrava tutto bello con quella luce fredda, più pulito, più nuovo. Anche il marciapiede triste e sporco.
Riprese la strada verso casa quasi riposata. Quasi felice. Incontrò la donna del piano di sopra. Aveva il viso pallido e bello, i vestiti da sera. Le fece un cenno frettoloso col capo chino. Hermione rispose sorridendo.
Salì nella sua piccola stanza, e prese tutte le sue cose. Raccolse quelle sparse in giro, a terra, appoggiate sulla sedia, gli abiti nell' armadio. Tutte le creme e i libri. Prese ogni cosa e la infilò nella valigia.
Buttò gli avanzi della cena . Poi si lavò, si pettinò e si vestì.
Prese la sua valigia e scese velocemente le scale.
Aspettò un taxi, che ci mise molto ad arrivare e disse al tassista di portarla all’ aeroporto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kingsley Shacklebolt | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Prologo
Che fai ancora qui?



Si era alzata, parecchio infastidita , alle due di notte, dopo due ore di un sonno frammentato. I vicini ancora litigavano. L’uomo gridava come ogni notte,  la donna piangeva. Lei  la vedeva ogni mattina, uscire di casa come una che ha passato la notte dall’amante, i capelli scompigliati, i vestiti eleganti ,da sera. Lui non l’aveva mai visto.
 Nel suo piccolo appartamento le loro voci si mischiavano e balzavano sulle pareti.
Si vestì con stizza, strattonando gli indumenti, e uscì di casa, come quelli che escono solo per prendere la posta, come quelli che devono fare una commissione vicino casa. 
C’era  una luce pallida per le strade e una tenera brezza, quasi estiva. 
Camminò un po’ per stemperare il nervosismo e smettere di pensare ai drammi dei vicini.
La donna era giovane e bella, elegante e curata. Perché piangeva ogni notte?
Sapeva molto poco di loro, ma aveva costruito nella sua mente una storia fantasiosa, di un amore struggente.
Sapeva che lei piangeva in maniera così teatrale, da sembrare un’ attrice di Broadway e lui le rinfacciava sempre quello che immancabilmente trasformava la serata in un dramma.
Si diresse verso il parco, la bacchetta sotto la giacca, a portata di mano.
C’era un silenzio assoluto, così perfetto da sembrare incantato, neanche un increspatura.
Si sistemò su una delle panchine, guardando davanti a sé, non sapeva neanche lei cosa. Non pensava di tornare a casa. Non la sentiva sua quella stanza. Tutta quella città non sentiva sua. Solo i parchi sentiva suoi. Ci stava così bene che quasi sentiva di poterci vivere, senza pensieri, come un involucro meravigliosamente vuoto. Le palpebre divennero pesanti, i suoi pensieri più leggeri, il suo corpo poco a poco scivolò sulle assi scomode.


Un uomo , seduto sulla sua stessa panchina la scuoteva con gentilezza. Aveva un sorriso davvero tenero e la guardava come se fosse un papà.
Era vestito in maniera assai bizzarra, così strana che per poco non gli scoppiava a ridere in faccia.
“Hermione...“ la chiamava lui.
“Scusi lei chi è?” gli chiese più gentilmente possibile.
“Ah, come Hermione non mi riconosci?” disse lui sempre col sorriso bonario.
Hermione scosse la testa, mentre si stropicciava gli occhi.
“Che peccato!” esclamò “Beh , non ti pare che sia ora di andare a casa ? Che fai ancora qui?”
“Non mi va. Quella stanza è così brutta,” rispose quasi capricciosa.
“Tesoro, torna a casa tua. Che dici che potevo chiamare quella stanza orribile casa?”
“Ma non posso tornare. Io non ho capito nulla… ”
“eh beh?  Non puoi capire tutto ora. Credo che per te sia ora di tornare a casa e lo sai pure tu!” disse continuando a sorridere.
“Hai proprio ragione. Ora vado a casa, prendo tutto e me ne torno a casa mia” disse precipitosamente.
L’uomo gli accarezzò la testa con la mano grande e rugosa , finché a lei non sembrò di cadere di nuovo addormentata.


Quando si svegliò, erano forse passate ore e faceva freddo. La panchina era bagnata da piccole gocce chiare, il sole faceva capolino fra le nuvole veloci, ancora rossastro. Doveva essere l’alba.
Si ricordò del vecchio e lo cercò con lo sguardo.  Il suo era stato solo un sogno particolarmente intenso.
Chiuse meglio la sua giacca e si alzò da quella panchina. La schiena le doleva e le gambe erano pesanti.
Si avviò verso casa, comprò  una brioche e un cappuccino e si fermò a berlo nella caffetteria, vicino ad una grande finestra che dava sulla strada.
Non c’era ancora molta gente, quasi si dimenticò della realtà. Gli sembrava tutto bello con quella luce fredda, più pulito, più nuovo.  Anche il marciapiede triste e sporco.
Riprese la strada verso casa quasi riposata. Quasi felice.  Incontrò la donna del piano di sopra. Aveva il viso pallido e bello, i vestiti da sera. Le fece un cenno frettoloso col capo chino. Hermione rispose sorridendo.
Salì nella sua piccola stanza, e prese tutte le sue cose. Raccolse quelle sparse in giro, a terra, appoggiate sulla sedia, gli abiti nell’armadio. Tutte le creme e i libri. Prese ogni cosa e la infilò nella valigia.
Buttò gli avanzi della cena .  Poi si lavò, si pettinò e si vestì.
Prese la sua valigia e scese velocemente le scale.
Aspettò un taxi, che ci mise molto ad arrivare e gli disse di portarla all’aeroporto.
 

Ogni viaggio d’affari era stressante per lui. Odiava ogni cosa ed ogni cosa gli sembrava triste. Cenare con un perfetto sconosciuto, o peggio soli, e finire immancabilmente in albergo soli, o con qualche puttana che qualche partner si sentiva in dovere di procurargli.
Anche quel viaggio era arrivato al termine e poteva tranquillamente ritornare a casa.
Doveva prendere la passaporta alle diciotto, così gli avevano detto quelli dello staff.
Alle diciotto in punto, Draco prese la passaporta che lo portò direttamente a casa sua, al Manor.
Suo padre era nello studio, beveva Firewhisky, come sempre.
Ne studiò la figura ancora slanciata, i lunghi capelli chiari, i lineamenti aguzzi, gli occhi sottili su di lui.
“ Come è andato l’incontro?” chiese .
“ Bene”
“Potresti essere meno telegrafico?”
“ Bene. Avremo qualche trilione in più , ora che abbiamo acquistato la “ Dong Yi”. Ora capo, vado a stendermi, sono molto stanco”
Lucius mosse la mano infastidito, lui non gli diede neanche uno sguardo. Si gettò sul letto, senza riuscire a dormire.  Il corpo era stanco e lottava con la mente, tristemente sveglia.
Erano giorni malinconici, di una malinconia pura e semplice, che non derivava da nulla di particolare. Sai che ti alzi la mattina e lo senti dentro, e allora sono due le cose, o ti lasci cullare da quel languore un po’ triste, o ti lasci sopraffare. Spesso a Draco succedeva così.  E sempre più spesso il languore lo trasportava come una marea impetuosa. E gli lasciava, la risacca,  gli occhi colmi di tristezza, stanchi e inermi.
“Dormi Draco. Domani starai meglio.” disse ad alta voce. Da giorni quella grande tristezza lo assorbiva.
Forse era sua padre, il Manor, la sua vita, ma tutto sembrava estremamente grigio e tetro. "Che faccio ancora qui?" si chiedeva come un mantra, cullando quel pensiero timido e indifeso.
Allungò il braccio, prese la pozione sul comodino e ingoiò tre sorsi.
Buonanotte Draco. 
 
  
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