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Autore: Artemide12    15/05/2014    7 recensioni
"La prima cosa di lei che li colpì furono gli occhi. Erano di un incantevole azzurro cielo e potevano appartenere ad uno solo di loro.
Poi, in cerca di altri indizi rivelatori, notarono i capelli. Lunghi e fluenti, erano di un nero vivo e brillante e allo stesso tempo di una delicatezza particolare e potevano appartenere ad uno solo di loro.
Ultimo, ma non ultimo, c'era la pelle. Nonostante la villa si trovasse sulla costa e il sole estivo illuminasse l'intera zona, era di un colore latteo e immacolato e, così come quel sorriso beffardo, poteva appartenere ad uno solo di loro."

-§-
Dopo la scomparsa della madre, Luna Momoyma, 17 anni, si trova costretta a dover rintracciare il padre che non ha mai conosciuto.
La madre, però, non le ha lasciato un nome, bensì 3 e starà a lei scoprire chi tra Mark, Ryan e Ghish è l'uomo che cerca e a cui deve dare la lettera che la madre le ha affidato.
Genere: Commedia, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premetto che questo è un capitolo di assestamento, non particolarmente attivo, ma necessario.

 

Casa

 

Luna si chiuse la porta di casa alle spalle e si fermò sulla soglia, guardandosi intorno.

Avrebbe potuto muoversi in quell'appartamento anche ad occhi chiusi.

Ci era cresciuta. Era ampio, luminoso, anche lussuoso, ma non esageratamente.

L'aereo per New York era partito in orario.

Il volo era stato silenzioso, per tutti.

Solo Mina, Mark e Luc – gli ultimi con un decisione all'ultimo minuto – erano rimasti.

Era pomeriggio inoltrato. Fuori c'era ancora luce, ma le serrande abbassate ne lasciavano filtrare pochissima.

A lei piaceva così.

La luce dorata-rossastra era ridotta a singoli raggi che facevano stagliare le figure dei mobili e illuminavano i granelli di polvere che li attraversavano.

Era immersa in un silenzio quasi surreale che sembrava accoglierla con riverenza.

Se tendeva le orecchie poteva sentire i rumori della città, qualche piano più in basso, ma al momento si accontentava dell'udito umano.

Sembrava di essere dentro una bolla.

Tutto ciò che era fuori era lontano e attutito, tutto ciò che era dentro vicino e rimbombante.

Era il posto perfetto per rimanere soli con i propri pensieri.

Luna lasciò cadere il borsone a terra.

Si mosse silenziosamente, come al solito. Fece scorrere distrattamente la mano sulla spalliera del divano, sullo stipite della porta, sulla carta da parati azzurra a tratti ruvida e a tratti liscia.

Nella penombra carica di polvere e ingombrante silenzio ritrovò la sua stanza.

Una sottile striscia di luce incolore filtrava sotto la finestra, di rifletteva sulle gocce di vetro appese qua e là e si disperdeva per la stanza sotto forma di tanti piccoli arcobaleni.

Era grande quasi il doppio di quella della casa al mare e, essendo almeno cento volte più ordinata, sembrava molto più vuota.

Troppo vuota.

Rispecchiava il suo umore.

Si sentiva come se le avessero sottratto tutto ciò che aveva dentro lasciando solo l'involucro esterno.

Niente più dolori. Niente più sensazioni di alcun tipo.

Come sarebbe stato trasferirsi nell'appartamento di Ryan? Lasciare Mina, lasciare la casa in cui era cresciuta.

Era sempre nella stessa città, ma New York era così grande...

Tanto grande che sua madre aveva potuto viverci tranquillamente e allo stesso tempo nascondersi da tutti gli altri. Si era confusa tra la folla. E nessuno l'aveva più trovata.

Si sarebbe confusa anche lei tra la gente? Sarebbe diventata una delle tante ragazze che vivono con il padre?

No. Quasi sentì la voce di sua madre.

Quante volte le aveva ripetuto quanto fosse speciale, unica, insostituibile?

Era pur sempre la stessa Luna di prima.

Si guardo allo specchio.

Era cresciuta ancora.

Ormai avrebbe superato la madre di quasi dieci centimetri. Per non parlare di Mina.

Scosse lentamente la testa.

Sì, se ne sarebbe andata. Era quello che aveva sempre voluto infondo.

Se ne sarebbe andata. E avrebbe lasciato lì, tra quelle mura, il suo dolore e la sua malinconia.

Fissò i proprio occhi riflessi e vi lesse una nuova luce, una che non brillava da tanto tempo.

Sorrise.

E il sorriso che le illuminò il volto era carico di forza rinnovata.

Tornò nell'ingresso, ritrovò il borsone.

Aprì una tasca interna.

Tirò fuori la lettera ancora chiusa e firmata da sua madre.

Di nuovo in camera sua, aprì uno dei cassetti della scrivania.

Sollevò i disegni vivaci che aveva fatto da bambina e vi seppellì sotto la lettera.

L'avrebbe lasciata lì. Dov'era il suo posto.

 

Dopo tre ore di volo in cui avevano chiacchierato ininterrottamente, Joy e Flo erano crollate addormentate appena arrivate a casa.

Paddy e Tart le avevano portate in braccio fino in camera.

Tart si appoggiò allo stipite della porta mentre Paddy sistemava le bambine nei loro letti e poi usciva in punta di piedi chiudendosi la porta alle spalle.

Sospirò e si avvicinò alla finestra che dava sul parco.

Tart la abbracciò da dietro e lei appoggiò la testa sulla sua spalla.

«A volte mi chiedo come possa per gli altri essere tutto così difficile.» sussurrò la ragazza.

Tart la fece voltare lentamente, ma senza sciogliere l'abbraccio.

Essere di nuovo a casa, nonostante tutto quello che era successo, trasmetteva loro un senso di tranquillità.

«Forse siamo noi quelli fortunati.» rispose accarezzandole una guancia.

Paddy sorrise.

Era così bella quando sorrideva. Avrebbe potuto guardarla sorridere per giorni interi senza stancarsi.

Sì, erano loro i fortunati.

Tra loro non c'erano mai stati equivoci, dubbi, complicazioni.

Avevano preso al volo tutte le buone occasioni che venivano, non avevano mai contestato nulla. Non avevano mai avuto nulla da contestare.

Fece scorrere la mano fin sulla sua nuca.

Paddy si alzò in punta di piedi per poterlo baciare meglio.

Non c'era fretta in quel bacio, né impazienza, né pretese.

Solo felicità, e tanto tanto amore.

Sì, loro erano stati particolarmente fortunati.

Loro erano quelli che se ne stavano tranquillamente abbracciati sul divano mentre gli altri si innamoravano, litigavano, si odiavano, e poi si amavano di nuovo.

 

Lory e Pai trovarono Paddy e Tart ancora abbracciati. Non fecero caso a loro.

Lory si diresse in punta di piedi verso le scale.

Pai per un attimo tenne le loro mani unite, come se non volesse lasciarla andare.

Lei lo fissò con sguardo interrogativo.

«C'è qualcosa che devi dirmi, Lory?» le chiese.

Lei risalì i pochi gradini che aveva sceso.

«Spero di no, Pai.» ammise «Ma se ci saranno cambiamenti non esiterò a parlartene.»

Lui la fissò ancora per qualche istante, poi la lasciò andare.

Si fidava di lei.

 

«Casaaa!» strillò Alexia lasciando la valigia sulla porta e correndo a tirare su le serrande.

Axel si stiracchiò, poi portò le valigie nella loro camera.

Kyle si attardò a chiudere la porta, mentre Pam si guardava intorno.

Non si era mai sentita così a casa.

E pensare che quella avrebbe potuto essere una delle ultime volte che...

La mano di Kyle strinse la sua.

No. Quella non sarebbe stata nessuna ultima volta.

Ancora non riusciva a capacitarsene.

Kyle la strinse a sé e lei ricambiò l'abbraccio.

Rimasero così molto a lungo.

Poi lui raddrizzò la testa, senza però allentare la presa.

«C'è una cosa che devo fare.» le disse.

«Anche io.» sussurrò lei.

Lui si allontanò leggermente per guardarla in faccia.

«Tranquillo. Non ho nessuna fretta. Lei non va da nessuna parte. Non più ormai.»

Kyle le sorrise e annuì.

«Allora vado a mettere le cose a posto. Così non ci saranno più complicazioni.»

Si riavvicinò alla porta.

«Kyle?» lo richiamò Pam.

«Sì?»

«Grazie

Quando fu uscito Pam fece un respiro profondo.

Sentiva le voci di Axel e Alexia, sopratutto di Alexia, venire dall'altra stanza.

Decise che era il caso di dare una spolverata alla casa.

Aveva appena cominciato quando sentì bussare alla porta.

Fremette. E provò la forte tentazione di non aprire.

Poi però andò alla porta.

«Chi è?»

«Pam? Sono Rose.»

Sospirò di sollievo e aprì.

«Credevo fossi a casa.» disse, dopo che si furono date dei baci sulle guance per salutarsi.

«Senza Luc è così vuota... e poi c'è una cosa che voglio fare e mi serve il tuo aiuto.»

«Per te farei di tutto Rose.»

«Oh, questo è un favore semplice semplice. Ti piacerà.»

 

Kyle avrebbe saputo trovare la strada da casa sua al laboratorio ad occhi chiusi.

E in un certo senso fu quello che fece.

Svuotare la mente.

Come se dentro ci fosse chissà che cosa.

Il laboratorio si articolava in due livelli, il piano rialzato e il seminterrato. Tre, se si includeva l'appartamento di Ryan al primo piano. In realtà c'erano altri due piani, ma erano completamente vuoti.

Era una palazzina in una molto soleggiata e il maggior numero di pareti possibile era stato sostituito da vetrate. I terrazzi circondavano l'edificio come anelli.

Le luci del primo piano erano spente. Perciò Ryan doveva essere senz'altro nel seminterrato.

Non c'era un accesso diretto, per arrivarci bisognava passare per il piano rialzato.

Lì c'erano per di più uffici.

Erano deserti, o quasi.

Kyle sentì delle voci e le seguì.

Un ragazzo piuttosto giovare era in piedi dietro una scrivania. Era arrabbiato, e allo stesso tempo a disagio.

Difronte a lui c'era Lory.

Kyle, grazie ai vetri, poteva vedere entrambi di profilo.

Sembravano nel pieno di una discussione.

Purtroppo i vetri erano anche isolanti e Kyle non poté sentire cosa si stavano dicendo.

Lory era infervorata. Agitava le mani mentre parlava.

Kyle non l'aveva mai vista così.

Quando si accorse di lui, la MewMew si immobilizzò di colpo.

Uscì dallo studio.

«Ciao Kyle.» lo salutò cordialmente, ma si sentiva che era ancora alterata.

«Lory.» ricambiò lui.

«Non mi aspettavo di vederti da queste parti.»

«Devo parlare con Ryan.»

«Credo sia di sotto. Kyle?»

«Sì?»

«Potresti non dirgli che sono qui?»

Il ragazzo dietro di lei borbottò qualcosa, esasperato.

Kyle annuì e ritrovò le scale per scendere di sotto.

Ryan era nel suo studio.

Un fioco raggio di luce filtrava dall'unica finestra socchiusa e si infrangeva proprio sull'angolo di divano in cui era seduto.

Aveva un gomito appoggiato al bracciolo e la fronte sulla mano.

Sembrava assente.

Non si accorse dell'amico finché non gli fu davanti.

Alzò lo sguardo sorpreso, ma non spaventato.

Conosceva Kyle da quando era piccolo.

La sua presenza gli era estremamente familiare.

«Come stai Ryan?»

«Abbastanza bene.» il biondo si raddrizzò.

Kyle si sedette sulla poltrona di fronte a lui, nella penombra.

«Dobbiamo parlare Ryan.»

Il biondo aggrottò le sopracciglia.

«Di cosa?»

Poi, forse dall'espressione di Kyle, sembrò capire.

«Ah.» il suo era più che altro un verso. Un'auto-accusa.

Non distolse lo sguardo. Continuò a fissare Kyle come un ragazzo che si aspetta una sgridata dal padre.

Ryan non si tirava indietro di fronte a niente.

Kyle lo sapeva bene.

«Pam è mia moglie.» disse solo. Con voce ferma. Non era una rivendicazione. Era un dato di fatto.

Ryan chiuse gli occhi e espirò dal naso.

«Lo so.»

Per un attimo il suo tono calmo fece imbestialire Kyle. Fu un attimo, però.

«La cosa non migliora la situazione.» si limitò a fargli notare.

Il biondo riaprì gli occhi.

«E cosa vuoi che ti dica? Che non mi ero accorto che vi siete sposati?» fece una pausa per riprendere il controllo «So cosa ho fatto. So che ho sbagliato. E so che non c'è niente che mi possa giustificare, specialmente difronte a te. Allo stesso tempo, però, non posso mentirti. La amavo.»

Kyle non si scompose.

Infondo, era venuto per quello.

Era esattamente il discorso a cui si era preparato.

«Così come amavi Strawberry? E Lory?»

«Già.» per un momento sorrise «Sono stato particolarmente sfortunato, eh?»

Kyle non rispose.

Non sorrise nemmeno.

Anche Ryan tornò serio.

«Mi dispiace Kyle. È insensato, lo so. Ma non ci si può confessare se prima non si pecca, no? Lascerò stare Pam. Te lo prometto Kyle.»

L'uomo continuò a rimanere in silenzio.

Mentre i suoi occhi urlavano per lui.

«Non andrò da lei.» Ryan si chinò in avanti. «Ma non mi opporrò se lei verrà da me.»

«Se succederà,» disse Kyle con tono definitivo «se verrà volontariamente da te, allora sarò disposto a farmi da parte.»

Ryan annuì leggermente.

«È nobile da parte tua Kyle. Ma sia tu sia io sappiamo che non lo farà.»

«Lo spero fortemente.»

Per la prima volta Ryan sembrò sorpreso.

«Non ti fidi di lei?»

Kyle chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale.

«Io la amo. E l'amore è fiducia.»

Anche Ryan si lasciò andare contro il divano.

Pam aveva detto la stessa cosa quando lo aveva respinto.

Non c'erano dubbi.

Pam sarebbe rimasta con Kyle.

Il biondo rimase in silenzio, immobile e con gli occhi chiusi.

Sentì l'amico alzarsi e andarsene.

Tornò ad essere solo.

Ancora per poco, si disse.

Luna sarebbe venuta da lui la mattina dopo. Avrebbe finalmente riempito quella casa così vuota.

Sorrise tra sé e sé.

 

Ghish si materializzò sul tetto del palazzo più alto.

Glix si guardò intorno confusa.

«Dove siamo?»

«Non ne ho idea.»

«E allora perché mi hai portata qui?»

Ghish non la guardava. I suoi occhi d'oro erano fissi sull'orizzonte.

Si limitò ad indicare il cielo di fronte a sé.

Il sole stava tramontando e appariva come un disco rosso proprio sull'orizzonte.

«Vengo qui spesso.» disse Ghish e d'istinto parlò a bassa voce, come se alzandola il tramonto potesse infrangersi e scomparire davanti ai suoi occhi.

«Ci veniva anche con lei?» chiese timidamente Glix.

Ghish annuì senza distogliere lo sguardo.

«Lei capiva.» bisbigliò, lasciando intendere che invece Glix non poteva fare altrettanto.

Lei rimase il silenzio finché il sole non fu sceso completamente sotto l'orizzonte.

L'arancione del cielo si rifletteva negli occhi di Ghish rendendoli ancora più belli del solito.

Non c'era da stupirsi che a Strawberry il tramonto piacesse.

«Cosa hai intenzione di fare Glix?» le chiese infine e lei sentì nella sua voce che farle quella domanda era per lui un peso e una liberazione allo stesso tempo. «Dopo...»

«Vuoi che me ne vada, vero?»

Ghish fece per negare, ma lei scosse la testa intimandogli di non rispondere.

Capiva.

Aveva assolto al suo compito.

Sapeva bene che lei per Ghish non era altro che una punizione che si era auto-inflitto. Voleva averla vicina per ricordarsi sempre dei suoi errori.

Ma ora sapeva che Strawberry lo aveva lasciato ed era sparita perché era incinta di Ryan. Non era colpa di Ghish.

E lei non aveva motivo di rimanere.

«Non lo so.» ammise dopo diverso tempo.

«Devi decidere. Non me lo perdonerei mai se...»

«Non succederà. Io non sono come mia sorella. Tre anni sono lunghi. Troverò qualcosa.»

«Lo scorrere del tempo è tutt'altro che regolare.»

«L'ultima cosa che voglio è continuare ad essere un peso.» questo non sembrò convincerlo «Me la caverò, Ghish, davvero.»

Lui la fissò negli occhi.

«Me lo prometti?»

Lei quasi si commosse nel leggere nei suoi occhi quell'affetto che provava per lei.

Anche senza volerlo, si era affezionato a lei. Almeno un po'.

«C'è una cosa che volevo proporti.»

«Davvero?» si sorprese.

«Mi è venuta in mente sentendoti parlare con Luna.»

«Ti ascolto.»

 

Ryan uscì dal laboratorio quando era ormai buio.

Ormai nel piano rialzato c'era solo Jack.

Il ragazzo stava finendo di riordinare il laboratorio.

«Per oggi basta così, Jack, puoi andare.»

Il ragazzo sollevò la testa. Era davvero giovanissimo. Si era laureato quell'estate con ben tre anni di anticipo.

I capelli chiarissimi, praticamente incolore, incorniciavano il viso rotondo in cui spiccavano gli occhi nerissimi, così scuri da rendere impossibile distinguere iride e pupilla.

Stava spesso chiuso in casa e la sua carnagione era molto pallida, ma cambiava facilmente colore a seconda delle sue emozioni.

In quel momento aveva il viso arrossato e non sembrava essersi accorto di lui.

Sorrise goffamente e andò a recuperare la sua roba.

Si fermò un attimo prima di uscire.

«Ah, capo?»

«Sì?»

Il ragazzo estrasse una busta da lettere chiusa da una cartella.

«Questo è il test del DNA che mi avete chiesto di fare qualche giorno fa. L'ho stampato senza guardarlo e ho cancellato il file.»

«Grazie, Jack, non c'era bisogno.»

Lui scrollò le spalle.

Ryan prese la lettera e il ragazzo se ne andò dopo aver indugiato per qualche secondo.

Prima di uscire si mise un cappello nero con visiera in testa.

Ryan si rigirò la busta tra le mani mentre saliva le scale.

Era sicuro di essere il padre di Luna. Ma se invece il risultato del test avesse detto il contrario?

Luna sarebbe comunque venuta a vivere da lui o no?

Stava per aprire la busta quando si bloccò.

Nel suo appartamento le luci erano accese.

Chi diavolo c'era a casa sua?

Luna?

Impossibile. Aveva detto chiaramente che non si sarebbe fatta viva fino al giorno dopo.

Allarmato, ma non spaventato, spinse la porta senza sorprendersi più di tanto nel trovarla aperta.

Le luci accese venivano dal soggiorno.

Vi si diresse con passo rapido e felpato.

Si guardò intono.

Non c'era nessuno.

Ma regnava un ordine leggermente insolito.

«Mi sono permessa di sistemare qualcosa qua e là mentre ti aspettavo.»

Ryan si voltò stupito.

«Chi ti ha dato le chiavi?»

Rose, appoggiava allo stipite dalla porta, lo guardava leggermente di sbieco, con i suoi occhi verdi.

I lunghi capelli rossastri, ora piastrati ma non del tutto lisci, le ricadevano sulle spalle e sulla schiena. Le curve generose erano esaltate dal vestitino di jeans che indossava.

Gli mostrò una chiave che aveva in mano.

«Pam.» rispose «E ha anche detto che potevo tenermela perché lei non la vuole più.»

Ryan si avvicinò e fece per prendergliela di mano, ma lei fu più svelta.

«È la chiave di casa mia

Rose gliene mise in mano un'altra.

«E questa è della mia. Così siamo pari.»

Ryan fece per reagire, ma poi si fermò a fissare quella chiave argentata e quello che rappresentava.

«Ora siamo pari?» ripeté scettico.

Lei si morse il labbro più o meno provocantemente.

«no»

Ryan la fissò dritta negli occhi.

Dannazione! Si disse.

Ma poi la prese per i fianchi e l'avvicinò a sé.

La baciò prima con cautela, poi con slancio crescente.

Era la prima volta che si sentiva davvero desiderato da una donna.

Si allontanò per riprendere fiato.

«E ora?» chiese in un sussurro, il sorriso sulle labbra «Ora siamo pari.»

Rose, gli occhi socchiusi e il respiro già un po' affannato, gli risalì velocemente il petto per mettergli le mani intorno al collo.

«Non ancora.» bisbigliò riavvicinandosi a lui.

Ryan le cinse i fianchi con le braccia per poi risalirle la schiena per stringerla di più a sé.

Ognuno voleva sentire il corpo dell'altro contro il proprio.

Tutto il resto svanì all'istante.

Senza i tacchi, Rose era più bassa di Ryan di qualche centimetri. Si trovò ad indietreggiare fino a sentire il divano dietro di sé.

Non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.

Ryan se ne accorse eccome.

Seppur controvoglia, si fermò.

Appoggiò la propria fronte a quella di Rose mentre riprendeva fiato.

«Ci sono già passato.» soffiò «È finita che lei è rimasta incinta ed è sparita senza dirmi niente.»

«Non ho alcuna intenzione di sparire.» assicurò Rose.

Si riavvicinarono, si strinsero più di prima, se era possibile.

Le loro labbra si ritrovarono subito, voraci, desiderose e passionali.

I loro battiti, così vicini da confondersi, accelerarono all'unisono.

E ripresero da dove si erano interrotti.

 

Ormai non c'era quasi più luce, ma per lei non era un problema.

Lasciò il sentiero asfaltato e camminò sulla terra battuta.

L'erba fresca spuntava a ciocche qua e là.

Ritrovò il posto.

Si inginocchiò a terra.

«Ciao mamma.» sussurrò Luna.

Era la prima volta che andava al cimitero da quando sua madre era morta.

Mina era andata a riconoscere il corpo all'ospedale, per quanto fosse superfluo.

Lei si era rifiutata.

Ciò che la rendeva sua madre, in ogni caso, non era più lì. In quel corpo.

«Vado a vivere da Ryan sai?» non sapeva neanche bene che dire. «Potrebbe essere mio padre, no?» si portò una mano al petto «Io non capisco, mamma. Perché? Perché lo hai fatto? Perché mi hai nascosto?»

«Luna!»

La ragazza sussultò per poco non le venne un infarto.

«Pam! Vuoi farmi morire? Che ci fai qui?»

«Scusa, non volevo spaventarti. Il tuo è un orario un po' insolito per andare al cimitero.»

«Anche il tuo se è per questo.»

«Io ho solo preferito aspettare che Kyle tornasse a casa. Tu piuttosto...»

«Sono venuta a trovare mia madre. Per la prima volta. Tu?»

Pam distese le labbra in un sorriso stanco, ma sereno.

«Sono venuta a trovare mia madre.» disse «Per la seconda volta.»

La donna si inginocchiò davanti ad una tomba poco distante da quella di Luna.

Pam spostò lo sguardo sulla lapide accanto.

«Non sei l'unica ad essere cresciuta senza un genitore.» Pam sembrava parlare più a se stessa. Sia lei che Luna tenevano lo sguardo basso, sulla terra «Anzi, sei stata fortunata. Hai avuto una madre di cui fidarti. E tuo padre è vivo, chiunque sia.»

Luna fece alcuni respiri profondi.

Pam decise che era il caso di andarsene.

Si alzò e si allontanò velocemente.

Lasciò Luna sola con sua madre.

Lei sollevò finalmente lo sguardo e le sorrise.







Ciaoooooo
scusate il ritardo con cui aggiorno, ma questo ultimo mese di scuola si sta rivelando il più duro.
Mhm... che mi dite del capitolo?
Ne mancano solo due!! Yeeeeee
Noooooo
Scusate, sbalzi di umore. ;)
A presto,
Artemide


p.s.
lei, più o meno, è Rose
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