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Capitolo 11 -
Camminavano
mano per mano, infischiandosene
degli sguardi straniti e disgustati della gente. Bill aveva deciso di
non
vestirsi più da donna. Aveva trovato l’amore della
sua vita. Non doveva avere
maschere; perché quel comportamento che stava assumendo, era
un modo per
potersi nascondere, per poter nascondere ciò che lui era in
realtà. Si
vergognava del suo modo di essere e del giudizio che, la gente, avesse
su di
lui. Ecco perché aveva trovato un modo per evitare che la
gente parlasse di lui
o lo giudicasse. Ora però, non aveva più alcun
timore, era tornato; lui era
tornato a proteggerlo, come
aveva sempre fatto.
Nessuno
proferì parola fino all’arrivo al
parco. Continuarono a camminare nel silenzio, ascoltando il lieve
fruscio del
vento che batteva sui loro volti. Era stranamente mite. Le strade non
erano né
troppo affollate, né troppo vuote. Loro, di certo, non
passavano inosservati.
Come potevano due ragazzi che si tengono per mano non passare
inosservati? Poco
però importava. Seppure Tom non avesse ancora le idee chiare
o non avesse
compreso bene la situazione nella quale era perfettamente coinvolto,
sentiva un
senso di pace e beatitudine nel stringere la mano di Bill,
nonché suo fratello.
Anzi, involontariamente, la strinse ancora più forte.
«Se
la stringi ancora più forte, rischi di
stritolarmela.» Disse Bill ridendo, per nulla intento a
mollare la presa ferrea
di Tom.
Lui
non disse nulla. Ricambiò il sorriso.
Camminarono
ancora un po’ lungo il parco, fino
a quando non trovarono una panchina in marmo – piuttosto in
disparte – dove,
successivamente, si sedettero.
Inizialmente
ci furono diversi istanti di
silenzio assoluto. Bill aveva lo sguardo chino sul terreno. Fissava le
punte
corrose delle sue Adidas bianche, stringendosi di tanto in tanto fra le
sue
spalle.
«Avanti,
Bill. Ti ascolto.» lo incitò a parlare Tom.
«Non puoi tirarti indietro, in
quanto, oramai, siamo giunti al termine e poi non credo che ti voglia
rimangiare la parola.» Tom posò una mano sulla
coscia magra del ragazzo,
stringendo per quanto gli fu possibile, nella speranza di trovare un
po’ di
grasso. «Io ti credo. Mi fido di te. Non ti nascondo che,
quando ti vidi la
prima volta, al supermercato, è come se avessi avuto un
déjà-vu. Sapevo di
conoscerti. Nell’inconscio ne ero certo.» tolse la
mano dalla coscia e, con due
dita, andò ad afferrare il mento del fratello,
costringendolo ad incrociare il
suo sguardo. Inizialmente trovò un po’ di
opposizione da parte sua, in quanto
era tremendamente imbarazzato. Poi però, decise di
arrendersi e permise a Tom
di trasportare verso l’alto il suo viso, dimodoché
potesse guardarlo negli
occhi. Nei suoi stessi occhi. «Io sono qui per te. Ti voglio
ascoltare.»
Bill
si rassicurò. Socchiuse gli occhi e
sorrise. Prese un bel respiro. Era arrivato il momento di parlare, per
quanto
gli fosse difficile e complicato.
«Oggi,
Tom. È successo tutto oggi. Ero… ero
nella soffitta e stavo portando fuori dei vecchi scatoloni. Ora non so
se è
stato il destino a volerlo, ma mentre gli stavo accatastando tutti
quanti, uno
me n’è caduto per terra, vuotando tutto
ciò che aveva al suo interno. Erano
degli album di fotografia.»
Bloccò
improvvisamente il racconto. Forse stava
attendo che Tom, dal canto suo, potesse proferir parola. Non lo fece.
Restò in
silenzio, in attesa che Bill potesse proseguire con il suo accaduto.
Vedendo
però che Bill si era magicamente spento, Tom lo
invitò a continuare. Protese la
mano destra in avanti, consentendogli di nuovo la parola.
Tirò un sospiro e si
accinse a concludere la vicenda.
«Non
li avevo mai visti quegli album. Tutte le
foto, ritraevano un ragazzino ed una donna; lo stesso ragazzino assieme
ad un
altro della medesima età. Ma non è questo il
punto.»
Un’altra
pausa. Un’altra interminabile pausa.
Tom non era stupido. Aveva capito cosa volesse dire Bill. Non voleva
però
cavargli le parole di bocca. Voleva che fosse lui a dirlo. Doveva
trovare il
coraggio di farlo. Seppure fosse una cosa del tutto complicata ed
estremamente
delicata.
«Qual
è il punto, Bill? Ho capito quel che è
successo. Lo so. Ma voglio che me lo dica tu.»
Bill
lo fissò dritto negli occhi. Ormai era
fatta. L’aveva ritrovato. Aveva ritrovato suo fratello. Non
era morto. Era
sempre stato qui. Fin dall’inizio. Non era mai andato via.
«Possibile
che nostra madre non ti abbia detto
nulla? Possibile che l’abbia tenuto nascosto anche a te? Come
può una cosa del
genere essere tenuta nascosta? Come si può mentire su
questo?» Si interruppe.
Cominciò a piangere. Afferrò con violenza lo
zaino, portandoselo sulle gambe.
Frugò voracemente all’interno di esso.
«Come?» ripeté, afferrando un album di
fotografia, per poi porgerlo con violenza non voluta, al fratello. Tom
rimase
pietrificato. Non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere.
Meglio, non
si sarebbe mai aspettato che Bill, gli portasse la prova che affermava
davvero il
loro legame. Inizialmente poteva pensare che Bill, preso da un violento
attacco
d’amore, si fosse inventato tutta questa storia. Ma con una
prova simile, non
poteva mentire. Era tutto vero.
«Ti
prego, Tom. Dimmi che ti ricordi. Dimmi che
ti ricordi di me!» la voce
gli
tremava; così come le mani e le gambe. Era tutto un brivido.
Eppure, quella
sera, non c’era quel solito e fastidioso freddo pungente.
Erano brividi di
terrore? Paura? Ansia?
Tom
cominciò a sfogliare gli album. Ad ogni
pagina, aveva degli spasmi. Gli si bloccava il respiro. Era lui. Quel
ragazzino
immortalato nella foto, era lui. La donna invece, era sua madre. Bill
non stava
mentendo. Non lo aveva mai fatto.
Bill
continuava a fissare il fratello con aria
interrogativa, in cerca di una possibile risposta, ma anche di un
semplice
cenno. Tom era muto.
«Allora,
Tom? Allora?» Bill lo invogliò a
parlare, a dire qualcosa. Il suo assoluto stato di silenzio, lo metteva
decisamente a disagio; gli dava ansia. Poi, finalmente, disse qualcosa.
«Quindi,
tuo padre, è anche mio padre. Mia
madre, è anche tua madre. »
«Tom,
sì, sono io! Sono io, Bill. Tuo fratello.
Ricordi l’incidente? Il camion?»
Tom
alzò gli occhi al cielo, poi li riposò
nuovamente su di Bill. Ricordava qualcosa?
«Stavamo
scappando, Tom. Stavamo andando via.
Quel maledetto giorno di novembre, avemmo una discussione a casa, molto
violenta ed accesa. Picchiasti papà. Mi prendesti per mano e
ce ne scappammo di
casa. La fuga non andò a buon fine. Ci travolse un
camion.»
Per
quanto chiara fosse la situazione, Tom
ancora non riusciva bene a focalizzarla. Sapeva
dell’incidente, lo ricordava,
ma sua madre Simone, gli aveva sempre detto che, con lui, non
c’era mai stato
nessuno. Eppure lui, all’inizio, ricordava. Ricordava che ci
fosse qualcuno in
macchina con lui. Lei aveva sempre mentito, sempre raccontato bugie.
Per
questo, adesso, la odiava con tutto se stesso. Aveva sempre portato
rispetto
per sua madre, e le aveva sempre voluto un gran bene. Lei, al
contrario, no.
Quale madre che amasse davvero un figlio mentirebbe sul fatto di avere
un
fratello gemello?
«Sei
sempre esistito.» una frase, una semplice
frase proferì dalla bocca di Tom. La ripeté
ancora, fissando negli occhi la
persona che aveva di fronte. «Non eri il frutto della mia
immaginazione. Era
vero. È sempre stato tutto vero. Dal primo momento che mi
tornò alla mente il
tuo nome.» Era chiaro. Era finalmente tutto chiaro: gli
strani comportamenti di
Simone nell’ultimo periodo, le bugie, i segreti.
Bill
non disse niente. Gli occhi gli si
riempirono di lacrime di gioia, dopodiché aggiunse:
«Sai,
Tom, c’è un vecchio mito giapponese...e
dice che: se due amanti sfortunati commettono un suicidio, si
reincarneranno
come gemelli.» fece una pausa. «Ed io sono convinto
che, quei due amanti, quei
due gemelli, siamo proprio noi due.» Non disse
nient’altro e, prima che Tom
potesse aggiungere qualsiasi cosa, lo baciò, battendolo sul
tempo. Si avventò –
ma sempre con delicatezza – sulle sue labbra semi schiuse.
Tom, ovviamente, non
si tirò indietro. Si lasciò baciare come se nulla
fosse. Ormai, aveva trovato
il suo equilibrio. Non aveva più nulla da perdere. Lui era
tornato. La persona
che, da diversi mesi a quella parte stava torturandolo in sogno, era
realtà;
esisteva per davvero.
«Ci
sei sempre stato, Bill. Non sei mai
andato.»
«Anche
tu, Tom.»
«Io
non so per quale assurdo motivo i nostri
genitori ci abbiano tenuti nascosti per due anni. Un padre e una madre
normali,
non lo farebbero mai.» Tom fece una pausa. Bill avvolse con
entrambe le braccia
il muscoloso bicipite di Tom e poggiò la fronte sulla spalla
e il rasta a sua
volta, poggiò la sua testa su quella di Bill.
«Nostro padre è venuto a trovare
me e la mamma, qualche giorno fa. Gli ho risposto male. Non sapevo
nemmeno che
cosa volesse.»
Bill
non disse nulla, si strinse nelle spalle
ed afferrò ancora più forte
l’avambraccio di Tom.
«Niente,
non voleva assolutamente nulla. Quel
figlio di puttana mi ha tenuto nascosto te, la mamma e ha tenuto
nascosto me.»
Cominciò a tremargli leggermente la voce. Cercò
di trattenere i singhiozzi e le
lacrime ma, ben presto, senza che se ne accorgesse, presero il possesso
sul suo
bellissimo e delicato viso.
Tom
sospirò. La situazione era maledettamente
difficile. Stava odiando sua madre e, suo padre, più di
quanto già non lo
odiasse prima. Per quale motivo avevano fatto una cosa simile? Quale
essere
ripugnante potesse nascondere un fratello, un gemello, un
amore.
«Ti
prometto che risolveremo tutto, Bill. C’è
sempre una soluzione ad ogni problema.» prese ad
accarezzargli i capelli,
dopodiché lo strinse ancora più verso
sé. «Adesso vieni a casa con me. Mamma
non c’è. Voglio recuperare tutto il tempo perso
con te. Voglio che tu mi faccia
rivivere quelle emozioni che solo tu mi facevi provare, quando facevamo
l’amore. Ricordo il profumo che avevi, subito dopo aver
finito; il sapore dei
tuoi baci, il suono del tuo respiro affannato, il calore del tuo corpo
sudato,
sul mio. Non ci avevo mai fatto caso, prima d’ora. Mai. Dopo
l’incidente, non
ho mai trovato l’amore. Quello vero. Ho sempre e solo fatto
sesso con una... o
più ragazze. Ma mai, mai fatto l’amore. Dentro di
me sapevo che il mio cuore,
appartenesse già a qualcuno. Non sapevo né chi
fosse, né che aspetto avesse.
Fino a quando, quel giorno al supermercato, non ho incontrato
te.» fece una
pausa. Una lunga ed interminabile pausa.
«Non
avrei mai immaginato che, un giorno,
saresti stato qui, fra le mie braccia. Quel bellissimo ragazzo che, per
timore
di essere giudicato male, aveva assunto le sembianze di una ragazza,
eri tu.
Mio fratello gemello. Non ho mai creduto al destino, Bill, mai. In
questo caso,
però, io credo che il fato abbia voluto che ci
rincontrassimo. Che tornassimo
ad amarci. Che ricominciassimo una nuova vita… insieme. Solo
io e te.»
Bill
lo stava guardando fisso negli occhi. Ad
ogni parola, sentiva il suo cuore esplodere, tremare, fremere.
«Andiamo via,
Tom. Scappiamo da questo mondo di merda. Possiamo ricominciare tutto da
zero,
come hai detto tu. Stasera stessa. Senza fare valige. Prendiamo la tua
auto, e
andiamocene. Senza lasciare né messaggi, né
lettere. Scompariamo dalla
circolazione. Senza lasciare traccia. Tanto, sono più che
sicuro, che nostro
padre lo dirà alla mamma. Io non voglio nemmeno dargli la
soddisfazione di
fargli leggere un biglietto d’addio. Dopo quello che ci hanno
fatto, si devono
solo vergognare. Mi fanno… non so nemmeno io cosa.
È un insieme tra schifo,
pena e vergogna. Al posto loro, io mi imbarazzerei
terribilmente.»
Tom
lo strinse ancora di più verso di sé.
Voleva sentirlo parte di lui, una volta per tutte. Nessuno, nessuno lo
avrebbe
più portato via. Nessuno gli avrebbe più
separati. «Ricordati che, io sono te,
e tu sei me. Siamo un’unica anima, in due corpi
differenziati. Se nessuno lo
vuole capire, che andassero al diavolo.»
«Io
non riesco a capire ancora il motivo, Tom.
Non riesco a capire. Perché hanno impedito che io e te ci
amassimo? Cosa cazzo
c’è di sbagliato?» Bill, in preda ad una
attacco isterico, non riusciva a
capire ciò che stesse dicendo. Lo sbaglio c’era, e
Tom lo sapeva.
Cercò
di tranquillizzare il fratello,
accarezzandogli dolcemente il capo, e tenendogli strette le mani.
Cercò di
farlo ragione.
«Bill…
sai benissimo che l’incesto non è
legale. Lo sai benissimo. Ora io non voglio prendere le difese dei
nostri
genitori, perché non lo meritano assolutamente.
Però, credo che tu conosca la
storia dei due fratelli, Patrick e Susan. È un po’
simile alla nostra storia;
solo che loro vennero separati sin dalla nascita. Si conobbero quando
lei aveva
sedici anni. Pensa, ebbero pure quattro bambini ma, una volta scoperto
il loro
legame di sangue, lui venne arrestato e lei invece rinchiusa in un
ospedale
psichiatrico.»
Tom
aveva ragione. L’incesto era una cosa
pericolosa. Si rischiava la galera e, se non peggio, la pena di morte.
Il loro
paese, governato da una dittatura, aveva un regime troppo rigido per
comprendere la loro relazione incestuosa e, per di più,
omosessuale. Ma niente,
nulla, li avrebbe divisi ancora. Per quanto sbagliato potesse essere.
«Tom,
ti ho già detto che a me non interessa
nulla. Cosa aspettiamo a sparire dalla circolazione? Io voglio stare
con te… in
qualunque modo possibile ed immaginabile. E se ciò comporta
una fuga, io sono
pronto a farla ora. Su due piedi. Senza pensarci minimamente.
È chiaro?»
Bill
disse quelle due parole con una così tale
sicurezza che Tom, non seppe cosa dire. Era convinto. Bill voleva
davvero
scappare con lui. L’avrebbe seguito in cima al monte Everest.
In qualunque
momento. In qualunque modo.
Tom
sorrise, gli cinse i fianchi e, sollevandolo
leggermente, lo fece mettere a cavalcioni su di lui. Bill
intrecciò le braccia
attorno al collo del fratello e, i due, restarono a fissarsi per un
tempo
immemore.
«Mio
dio. Mi ero quasi dimenticato la bellezza
del tuo sguardo.» cominciò Tom.
«È ancora tutto così strano. Ieri ero a
sbattermi qualche puttanella; ed ora, sono qui assieme a te.
L’amore della mia
vita. Sapevo... Sapevo che il mio cuore non avrebbe amato mai nessuno.
Era tuo.
Solo e soltanto tuo.»
Bill
sorrise ed abbassò lo sguardo imbarazzato.
«Andiamo
a casa, Bill. Andiamo a casa mia.»
Bill era scettico. Sapeva cosa sarebbe accaduto se fosse andato a casa
sua.
Eppure, non era mica la prima volta. Almeno, così vagamente
ricordava. Aveva
timore; timore di aver dimenticato che
cosa significasse fare l’amore. «Non ti
va?» domandò poi il rasta, vedendo che,
dall’altra parte non ci fu risposta.
«È
ovvio che voglio, Tom. Ho solo paura di aver
dimenticato come si faccia. Non ho mai avuto altri rapporti. Tu per me
sei
stato il primo e l’ultimo. Sono ancora vergine, Tom. Non mi
sono mai consesso a
nessuno. Mai. Son stato toccato solo ed esclusivamente da te. A nessuna
mano
impura ho dato la possibilità di toccarmi; anche
perché nessuno mai ha voluto
farlo. No ne ho avuto la possibilità, e non potevo far
scelta migliore.»
Strinse
la mano del fratello forte a sé. A Tom
bastò guardarlo negli occhi per capire la sua risposta. Era
un sì.
Non
appena Tom aprì l’uscio di casa, Scotty gli
andò incontro e, vedendo accanto al padrone
un’altra persona, cominciò ad
abbaiargli. Bill cacciò un lieve urlo e si
avvinghiò al braccio del fratello,
nascondendosi dietro di lui.
«Scotty,
chiudi la bocca. È un amico. Vedi?»
Tom cominciò a toccare Bill per far capire al cane che non
era assolutamente
una minaccia per lui. «Dammi la mano, Bill. Fatti
annusare.» così fece. Bill
porse in avanti la mano – seppure lievemente tremante
– e lasciò che il cane
sentisse il suo odore, in modo tale da fargli capire chi fosse.
Bastarono
pochi secondi prima che la mano di
Bill venisse completamente bagnata di saliva.
«Oddio
che schifo!» Disgustato ma, allo stesso
tempo divertito, Bill ritrasse velocemente la mano prima che Scotty
potesse
leccargliela nuovamente. Istintivamente, si pulì sulla
schiena di Tom. Continuò
tranquillo a pulirsi il dorso e il palmo della mano, mentre Tom, si
girò
lentamente per guardarlo con occhi spalancati e pieni di meraviglia. Cosa c’è? Domandò
Bill, continuando ad
usare la maglia del fratello come se fosse un’asciugamani.
«Stai
usufruendo della mia maglia preferita per pulirti dalla fottutissima
bava del
mio cane!» Tom era serio, ma si vedeva chiaro e tondo che le
sue intenzioni non
erano assolutamente così. Non appena Bill si rese conto di
quello che stava
facendo, ritrasse immediatamente le mani.
«Cazzo.
Devi scusarmi, Tom. Non l’ho fatto
apposta!» se le portò al petto, stringendole
forte. Abbassò lo sguardo per
l’imbarazzo e arrossì violentemente. Quella scena,
per Tom, fu una vera e
propria beatitudine. Vederlo così imbarazzato, gli fece
venire in mente…un
momento…stava ricordando qualcosa. Quella sua espressione
gli ricordò proprio…
8
Maggio 2004
«Cos’è
quel coso?» chiese Bill, guardando il
fratello con aria interrogativa.
«Servirà
per non farti sporcare da quella cosa
bianca che, quando mi tocco…in quel
punto, esce fuori.» Tom tolse dalla scatola rossa
un profilattico.
«Così
piccolo?»
«Se
aspetti, idiota, lo srotolo.» continuò poi
Tom, ridacchiando. Delicatamente, prese con il pollice e
l’indice di entrambe
le mani, le due estremità e, adagio, lo srotolò
fino a raggiungere la sua
lunghezza standard. Bill, intanto, lo continuava a fissare con aria
perplessa
ed interrogativa.
«Ma
perché te lo devi mettere? Non è
scomodo?»
«Mi
ha detto il farmacista che, il
profilattico, diminuisce il rischio di malattie e, soprattutto,
impedisce ad
una persona di rimanere incita.»
Non
appena sentì quella parola, Bill strabuzzò
gli occhi e cominciò a ridere. Disse che era un vero e
proprio idiota. Lui non poteva
restare incinta perché era un maschio. Tom, bruscamente,
rispose con un secco: lo so.
«Non
sono così imbecille e tonto come credi.
L’ho preso solo per evitare che venga nel tuo culo una volta
che sarò dentro!»
Non
fu una bella risposta quella che gli diede
Tom. Difatti, Bill, rimase davvero molto male. Stava semplicemente
scherzando.
Non appena Tom vide nello sguardo del fratello un profondo dispiacere,
provò
subito a scusarsi.
«Dio,
Bill. Perdonami. È solo che mi hai fatto
una domanda così stupida. Mi sono arrabbiato e non ho
ragionato. Scusami. Non
volevo offenderti.»
Il
moro abbassò lo sguardo e si portò le mani
al petto, stringendole quanto più forte possibile.
«Sei
uno stupido.» bisbigliò poi, stringendosi
fra le sue gracili ed esili spalle. Era rimasto alquanto male.
«Dicesti che la
nostra prima volta sarebbe stata come nei film. Di sicuro, nei film,
non dicono
queste cose alle persone che amano.»
Tom
era letteralmente mortificato. Abbassò lo
sguardo e sospirò.
«Mi
perdoni, amore?» sussurrò Tom, mentre
cominciò ad avvicinarsi pian piano al fratello. Bill
alzò gli occhi, ma non il
volto. Lo guardò dalla frangia nera che gli copriva gran
parte della fronte.
Sorrise lievemente e in maniera imbarazzata. Adorava quando il fratello
lo
chiamava ‘amore’.
«Non
lo so. Devo pensarci su.» lo canzonò Bill.
Tom lo afferrò per le spalle e lo costrinse –
sempre in maniera delicata – a
distendersi sotto di lui. Notò un leggero tremore.
«Stai
bene, Bill?»
Non
rispose. Socchiuse gli occhi e si inumidì
le labbra. Fece un cenno con il capo. Era tutto okay.
«È
solo che… sono un po’ impaurito. Ma voglio!
È chiaro che lo voglio. Sono solo leggermente
spaventato.»
Tom
gli accarezzò la fronte, scostandogli
qualche ciocca di capelli. «È normale, Bill. Lo
sono anche io.»
«Tom?»
«Cosa
c’è?»
«Ogni
qual volta faremo l’amore…non voglio che
tu utilizzi quell’affare di gomma. Sembra un palloncino
sgonfio. Puzza come un
palloncino sgonfio. Non voglio assolutamente che quell’affare
finisca nel mio
corpo. Voglio che il nostro rapporto sia assolutamente naturale.
Pulito. Vero.
Completo. Non voglio nulla che possa impedire il naturale corso del
rapporto.»
Tom
rise leggermente. Chiese come facesse a
sapere queste cose se, prima, gli aveva fatto una domanda
così idiota. Internet. Fu
la sua risposta.
«Però
non sai cosa si prova…durante l’atto.
Vero?» Scosse la testa. No che non lo sapeva!
Senza
ulteriori indugi, i due presero a
baciarsi. Dolcemente. Contemporaneamente, Tom prese a strofinarsi
contro il
leggero rigonfiamento del fratello. Si lasciò sfuggire un
leggero mugugno. Tom
sorrise nel bacio. Sapeva benissimo che gli stava cominciando a
piacere.
Intensificò i baci e cominciò a premere in
maniera più forte contro i jeans di
Bill, muovendo il proprio bacino in avanti e indietro.
Una
serie di mugugni cominciarono ad essere
soffocati dai baci profondi e forti che Tom gli stava regalando. Poteva
sentire
il respiro pesante e caldo del fratello nella propria bocca e, quella
sensazione, lo stava facendo letteralmente impazzire.
Prese
a sbottonargli i pantaloni con una mano,
mentre con l’altra, continuava ad accarezzargli i capelli.
«Dimmelo,
Tom. Dimmelo!» sussultò Bill, tra un
bacio e l’altro. Tom non capì. Domando cosa
dovesse dirgli, senza mai staccarsi
dalla sua bocca. «Dimmi che mi ami, Tom.» Tom
sorrise nel bacio e, come gli era
stato ordinato, gli sussurrò un leggero e soffice ti amo a fior di labbra.
«Ti
amo anche io. Cristo se ti amo!» intrecciò
le proprie gambe al bacino e le braccia al collo del fratello,
stringendolo
ancora di più verso di sé. «Mai dovrai
lasciarmi, okay?» Per un istante si
allontanò – seppure controvoglia – dalle
labbra di Tom, per poterlo guardare
dritto negli occhi. Attese una risposta. Una risposta che,
però, già sapeva.
«È
ovvio che non ti lascerò mai, Bill. Sei
l’unica persona che io possa amare. In questa vita e in
quelle a venire. In
nessun universo, galassia, pianeta, potrò amare qualcun
altro… se non te.» Non
disse null’altro. Ricominciò a baciarlo, con
più passione, fino a quando i due
non si ritrovarono completamente nudi.
*
«Tomi?
Tomi?» La magnifica voce di Bill lo
riportò alla realtà.
«Cosa?»
«Eri
sovrappensiero? A che pensavi?» Bill si
avvicinò leggermente, abbracciandolo da dietro.
Poggiò la guancia sulla schiena
e socchiuse gli occhi, ispirando ed espirando lentamente. Tom
ricambiò
l’abbraccio, seppure in maniera del tutto innaturale.
Portò le braccia
indietro, cercando di stringere – anche solo leggermente
– il gracile ed esile
corpo del fratello.
«Ho
avuto un ricordo. La nostra prima volta.
Almeno credo che… sia stata la nostra. Sono ancora
così confuso. Non ho le idee
molto chiare. Ho sempre avuto dei flashback, non sapendo
però chi fossero quei
due ragazzini che tanto si amavano. Perché era praticamente
palese che si
amassero. Chi l’avrebbe mai detto che, quei due ragazzini,
eravamo noi due. »
Finalmente,
Tom si girò e cinse delicatamente i
fianchi del fratello.
«Ti
amo.» ripeté Bill.
«Te lo ripeterei all’infinito. Non mi
stancherei mai di dirlo.» Sorrise, cinse il collo di Tom in
un tenero
abbraccio. Improvvisamente, Tom lo sollevò da terra,
prendendolo in braccio.
Bill, dal canto suo, intrecciò le gambe sul bacino del
fratello e strinse
ancora di più la presa sul collo.
«Bada
che non ti faccio cadere, sciocca
creatura.» Disse Tom ridendo.
«E
chi ti dice che io mi sia avvinghiato in
questa maniera per paura di cadere?» Non disse
null’altro. Prese a baciarlo
prima che Tom potesse aggiungere qualunque cosa.
Pian
piano, Tom cominciò a fare piccoli passi
verso il divano e, quando fu abbastanza vicino, si lasciò
cadere su di esso,
portando Bill, inevitabilmente, sopra di sé.
Continuarono
a baciarsi senza mai distaccarsi
l’uno dall’altra. Erano così in sintonia
che non avrebbero voluto né ora né mai
più, dividersi.
«Togliti
i vestiti…» ansimò Bill, mentre
continuava a baciare il fratello. Tom obbedì come un
cagnolino ammaestrato.
Portò le mani vicino la cerniera e, una volta abbassata
tutta, alzò leggermente
il bacino in modo tale da calarsi fino alle caviglie il suo jeans. Nel
frattempo, Bill lo copiò. Ben presto anche gli indumenti
superiore fecero
compagnia ai jeans, ormai gettati sul pavimento. I due, erano in
biancheria.
«Toglimelo
tu, Bill.» sussurrò Tom, ormai in
trance. Bill non se lo fece ripetere due volte e, una volta lasciato
nudo il
fratello, arrivò il suo turno.
Erano
nudi, sul divano, con Scotty che li stava
guardano con aria indifferente. Stavano per fare l’amore.
Prima però che
continuassero e che andassero oltre, Tom si fermò. Fece
alcune domande a Bill.
«Hai
paura?»
«No…»
«Ne
sei sicuro?»
«Sì»
«Vuoi
che vada avanti?» Fece scorrere una mano
per tutta la lunghezza della sua schiena, fermandosi sul sedere, tondo
e sodo;
fece scorrere anche l’altra mano. Afferrò i glutei
con forza, stringendoli
quanto più poteva, fra i suoi polpastrelli.
«Sì,
Tom. Voglio fare l’amore con te.»
annaspò
poi il moro, sentendosi mancare il fiato. Tom sorrise, non aggiungendo
altro.
Si sistemò in maniera più comoda, facendosi
leggermente più giù.
«Non
hai dimenticato come si fa, vero Bill?» un
lieve sussulto uscì dalle labbra di Tom, poggiate
delicatamente sul collo
diafano e madido di sudore, del moro, lasciandogli dolci e fragili
baci,
alternando di tanto in tanto, dei piccoli morsi.
«No,
Tom. Forse è l’unica cosa che non ho mai
dimenticato.» Tom avvicinò la sua
virilità al corpo del fratello e, senza
troppi indugi, si lasciò scivolare al suo interno. Venne
immediatamente
trasportato in un altro mondo. La sensazione di essere così
legato ad una
persona per cui provava sentimento, era un qualcosa di nuovo. Non era Bill ad essersi
dimenticato di cosa volesse
dire fare l’amore; era lui che lo aveva fatto. Negli ultimi
due anni, aveva
solo fatto sesso con la prima sgualdrina che gli capitava fra i piedi.
Qualche
sveltina in discoteca, nei bagni della scuola, in macchina, per strada
in un
vicolo. Non aveva mai portato nessuna a casa sua. Era la prima volta,
dopo
anni, che riviveva la comodità della casa, di un letto, di
un divano; ma
soprattutto, stava riprovando quelle emozioni che temeva di non provare
mai
più; quelle emozioni che, soltanto con la persona amata, si
potevano provare.
Lui finalmente ce l’aveva fatta.
Si
mosse con cautela, cercando di essere quanto
più delicato possibile. Aveva timore. Temeva di fargli del
male. Non lo avrebbe
trattato come le tante che si era portato a letto, perché
lui era diverso.
Sentì
un sussulto. Si fermò improvvisamente.
«Cosa
c’è? Ti faccio male?»
«No…»
«E
allora cosa, Bill?»
«Shh...
sta zitto e continua!» Posò l’indice
sul labbro del ragazzo in modo tale da fargli intendere di tacere. Tom
sorrise
nuovamente, riprendendo il ritmo precedentemente interrotto.
«È
stato il giorno più bello della mia vita,
Tom.»
Bill
era poggiato sul petto del fratello. Con
l’indice tracciava dei cerchi immaginari su di esso,
percorrendo i pettorali
scolpiti, l’addome molto pronunciato, la clavicola
leggermente sporgente.
«Mi
fai il solletico così!» sorrise
leggermente, muovendosi per via del prurito che stava sentendo. Bill
tolse la
mano e posò l’orecchio in prossimità
del cuore. Socchiuse gli occhi.
Tum
tum… tum tum… tum
tum…
Sentì
il suo battito, dolce e regolare. Il suo
capo si muoveva sinuosamente, in contemporanea con il respiro di Tom.
Il rasta,
dal canto suo, cominciò ad accarezzare i capelli nero
corvino che, per via del
sudore, erano leggermente attaccati alla fronte.
«Non
ho mai visto una persona più bella di te.
Dio mio… ma dove avevo la testa, prima?»
«Non
sapevi della mia esistenza, Tom. Non lo
sapevo nemmeno io. Adesso basta però. Non ci pensiamo
più. A me interessa che
adesso siamo di nuovo qui. Insieme. Questa volta, nessuno
più ci potrà
separare. Mai.»
Entrambi
si guardarono. Intensamente. Quegli
occhi che, per anni, si erano cercati; quegli occhi che, seppure
identici,
esprimevano emozioni completamente diverse; quegli occhi che,
finalmente,
potevano incrociarsi nuovamente. Senza più perdersi.
«Sai
che cosa dobbiamo fare. Vero, amore?» Tom
riprese ad accarezzare il capo del moro. Bill non rispose. Sorrise e
basta.
Aveva capito tutto.
Simone
aprì la porta.
«Tom,
sono a casa!» richiuse la porta dietro di
sé, poggiando il mazzo di chiavi sul comò
dell’ingresso. «Tom? Sei in casa?»
Non ebbe risposta.
Notò
che nemmeno Scotty le era venuto incontro.
Solitamente, ogni volta che qualcuno varcava la soglia della porta, era
il
primo a dargli il benvenuto. Quella sera, non c’era.
Provò a chiamare anche il
cane. Nessun segno di vita. La casa sembrava completamente desolata.
Si
sfilò la giacchetta e la posò
sull’appendi
abiti. Tolse via anche le scarpe e percosse i restanti metri per
arrivare alla
cucina, scalza.
«Tom?»
Nulla.
In casa non c’era praticamente nessuno.
Prese il cellulare dalla tasca e compose il numero del figlio. Nessuno
squillo.
Il cellulare risultava spento. L’ansia cominciò a
farsi sentire. C’era solo una
soluzione: chiamare Jorg.
Anche
Bill non c’è
più. Non è in casa. Non riesco nemmeno a
rintracciarlo telefonicamente. Non lo
vedo da ieri pomeriggio.
«Jorg..
temo.. temo che sia accaduto. Credo che
si siano rincontrati di nuovo..» la voce di Simone era cupa e
preoccupata.
Sapevano entrambi che, prima o poi, i loro figli si sarebbero
incontrati di
nuovo. Le menzogne, le bugie, sarebbero state tutte completamente
cancellate,
grazie all’amore inteso che li legava. «Credo che
non rivedrò mai più mio
figlio, Jorg. Ed è solo colpa nostra. Non potevamo
separarli. Dovevamo essere
meno egoisti. Pensare più a loro e meno a noi. Come ci si
può vergognare dei
propri figli? I figli bisogna accettarli, nel bene e nel male; con i
pregi e
con i difetti. Se davvero avessimo amato i nostri figli, li avremmo
lasciati liberi
di amarsi. Ora..» tirò su con il naso. Una lacrima
le rigò il viso. Andò per
continuare, ma la sua attenzione venne catturata da un post-it
attaccato al
frigorifero.
La
frase era troppo piccola per essere letta da
lontano. Disse a Jorg che l’avrebbe richiamato e, prima che
potesse ribattere,
terminò la chiamata.
Posò
il cellulare sul tavolo e si avvicinò al
frigo. Non appena lesse, il sangue le si gelò nelle vene.
Non avrebbe mai
immaginato che Tom, sarebbe stato capace di scrivere una cosa del
genere.
Scoppiò il lacrime.
‘‘Ti
odio. Non avrei
mai pensato che fossi capace di una cosa del genere. Stai pur certa che
tu, e
quell’essere che pretende di essere nostro padre, non ci
vedrete mai più.
Adesso ci siamo ritrovati e vi giuro che nessun altro.. tanto meno voi,
riuscirete più a dividerci. Addio. Bill e Tom. PS Scotty
resterà con me,
ovviamente. Non gli hai mai voluto bene, come no ne hai mai voluto a
me, o a
Bill.’’
Simone,
in quel momento, si sentì morire.
Avrebbe voluto urlare, gridare, piangere, distruggere qualunque cosa le
capitasse fra le mani, ma non fece nulla. Si limitò a
staccare il bigliettino,
ad accartocciarlo ed infine, cestinarlo. Prese nuovamente il cellulare
e
compose il numero dell’ex marito.
Pronto?
«Sono
andati via. Sono andati via insieme.»
Sapevo
che questo
giorno, sarebbe arrivato.
«Lo
sapevo anche io. Era solo questione di
tempo. L’amore, quello vero, non si può dividere.
Abbiam tentato per due anni,
ma non poteva durare a lungo.»
Noi
avevamo fatto del
nostro meglio.
Simone
sospirò. Tom, scrivendo quelle brutte
parole, non aveva affatto tutti i torti. Erano stati degli egoisti.
Degli
sporchi egoisti. Si sentiva ferita, distrutta, decisamente meschina.
Una madre
non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Lei, per vergogna, ne era
stata
capace. Sia lei, che Jorg.
«Siamo
stati dei pessimi genitori, e adesso,
abbiam perso per sempre i nostri figli.»
Almeno..
potranno
amarsi liberamente, adesso.
«Chissà
se un giorno… li rivedremo mai.»
Non
lo so, Simone.
Non lo so.
*
Si
tenevano per mano, come se nulla fosse. La
gente non prestava nemmeno loro attenzione. Era troppo presa a
trasportare i
propri bagagli o, soprattutto, scappare da una parte
all’altra per non perdere
il volo.
«Hai
preso tutto, amore?» disse Tom, stringendo
la mano del fratello ancor più forte di quanto
già non lo stesse facendo. Bill
non rispose. Fece cenno di ‘si’ con la testa.
Ultima
chiamata per
il volo 582 diretto per Los Angeles. Si invitano i signori passeggeri a
dirigersi nel corridoio quattordici per l’imbarco.
La
voce dell’altoparlante provocò un via vai di
gente ancora più confusionale di quello precedente.
«Pare
che molta gente voglia andare a Los
Angeles. Non trovi, Tom?»
«Molto
probabilmente, sono tutti in fuga dai
propri genitori perché non hanno la libertà di
amare chiunque vogliano.» disse
ridendo Tom. Bill ricambiò il sorriso e, istintivamente,
lasciò la presa del
fratello e afferrò dolcemente il suo viso tra le mani,
regalandogli un dolce e
delicato bacio sulle labbra.
«Ti
amo, Tom.»
Una
lacrima nera scese involontariamente lungo
la guancia destra. Tom gliel’asciugò con il
pollice.
«Ti
amo anche io.»
La
voce della hostess all’altoparlante, ripeté
per la terza volta lo stesso messaggio. Tom prese sia il proprio
borsone che
quello di Bill e si diressero all’ingresso quattordici.
«Dici
che Scotty starà bene? Temo che al mio
cucciolo non piaccia molto stare in gabbia.»
Tom
era un po’ preoccupato per il proprio
animale, ma Bill lo rassicurò dicendogli che sarebbe stato
bene e che, dodici
ore dopo, l’avrebbe abbracciato e rivisto. Tom non disse
nulla; sorrise e prese
fra la sua la mano del fratello.
«Stiamo
per dirigerci verso un nuovo inizio,
Bill. Sei pronto a passare il resto della vita assieme a me?»
Lo
guardò intensamente, conducendolo a due
posti liberi.
«Ero
pronto prima ancora di rincontrarti, Tom.»
Un ultimo sorriso ancora, dopodiché si sedettero, in attesa
di essere chiamati per
il loro volo diretti verso la libertà.
-
Fine -
******
Note: ed eccoci qui. Siamo giunti alla fine di questa storia che ho amato sin dal primo capitolo. Mettere la parola fine, è stato davvero, ma davvero triste. Questa è stata la prima vera FF che ho portato a termine e che ho scritto per bene, fino alla fine. Non ricordo nemmeno come mi venne in mente la trama.. L'iniziai a scrivere a luglio di due anni fa, per poi finirla verso luglio/agosto dell'anno scorso.. non ci posso credere che ho impiegato così tanto tempo ma, soprattutto, che siano già passati due anni da quando 'Ti ricordi di me?' è entrata a far parte della mia vita. Ma perchè do così tanta importanza a questa FF? Beh, è molto semplice. Togliendo il fatto che io AMO il twincest e sono pienamente convinta della sua esistenza, con questa FF, in un certo senso, ho voluto far capire a coloro che giudicano il twincest 'una porcata', che si sbaglia di grosso. Come avete visto, nella FF non ci sono scene di sesso (anche perchè, secondo il regolamento, sono vietate) ma anche e, soprattutto, non ci trovo nulla di interessante descrivere esplicitamente le scene di sesso fra i gemelli. Sì, okay, qualche scenetta hot ci può stare, ma non è affatto il genere di FF che scrivo. Con le mie storie, voglio farvi capire quanto amore ci sia fra Loro; cosa sarebbero disposti a fare l'uno per l'altra pur di difenderlo e proteggerlo; quanto sono in grado di spingersi, pur di mantenerlo in vita. 'Ti ricordi di me?', ha solo e soltanto questo scopo: far capire quanto sia importante e, in particolar modo, bello e genuino, l'amore che c'è fra Bill e Tom. Qualcuno lo può detestare, qualcuno può essere riluttante. Io, all'inizio, ero la prima ad odiare il twincest (vi parlo del 2007, quando li conobbi) ma poi, quasi un anno dopo, lessi un OS e, da lì, me ne innamorai perdutamente. Cominciai a frequentare forum, scrivere anche io qualche storiella su Loro due (orrendamente stupide e prive di senso XD) fino a quando poi, quasi quattro anni, dopo essermi fatta una certa cultura sul twincest e aver constatato della sua esistenza e della sua estrema bellezza, mi sono cimentata in questa FF. Detto questo, credo che vi abbia annoiato già abbastanza! Credo sia giunto il momento dei ringraziamenti.
Ringraziamenti: prima di tutto, vorrei ringraziare tutte coloro che, seppure in poche, hanno commentato la mia FF (quando la postai la prima volta, ottenne molte recensioni.. ma poi.. poi la tragedia D:) Vorrei ringraziare: xDado, Alien_To_Love, Rox_94, ILOVE2BAND, Potter_Alien e vale_TH00 . Ovviamente, vorrei ringraziare anche i lettori fantasma. So che ce ne sono e, sebbene non rilasciano nulla, sono comunque felicissima. Il mio unico scopo non è ottenere recensioni. Sì, fa sempre piacere leggere le opinioni, ma è altrettanto meraviglioso veder aumentare le visualizzazioni. Grazie ancora di cuore per avermi seguita dal primo all'ultimo capitolo. Per chi fosse interessato, sto già postando un'altra storia: 'The Cruise' ed ho già in mente un'altra FF che inizierò a scrivere a breve e che posterò quando The Cruise sarà quasi giunta al termine. Non mi piace lasciare il lavoro a metà (: Metto qui il punto. Ci vediamo nella prossima FF e, perchè no, al prossimo SpinOff di questa FF
PS per chi non lo sapesse, la OS A Christmas Carol, è il primo della serie degli spinoff che ho in mente. Un immenso bacio e.. grazie ancora a tutti, per tutto!
- Valentina -