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Autore: sarahrose    16/05/2014    0 recensioni
William Bruce Bailey, 17 anni.
Intelligente, sensibile e dotato.
Cresciuto a torte di mele, Sacre Scritture e cinghiate nei denti.
Figlio di Stephen L. Bailey, Pastore Pentecostale, Ministro del Culto della Lafayette Holy Roller Country Church, e di Sharon Bailey, casalinga frustrata e dedita agli antidepressivi.
Vittima di abusi dal padre-padrone e dell'indifferenza della madre.
Un unico amico su cui contare: Jeff Isbell.
E la Musica. Quella del Diavolo.
Il rock. Quello vero. Brutto, sporco e cattivo. E terribilmente proibito.
Questa è la storia di un mito. Di una leggenda.
William Bruce Bailey. Da Lafayette, Indiana, a Los Angeles in autostop.
Per diventare W. Axl Rose.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axl Rose
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 2
 
 
 
WILLIAM BRUCE BAILEY (BILL)
A hard case that is tough to beat
Non dategli retta a quel vecchio trombone.
Spara un sacco di cazzate.
Io non sono un mostro.
Non sono un serial killer.
Non sono un tossico alcolizzato.
Sono suo figlio, che gli piaccia o no.
Anche se lui continua a chiamarmi bastardo.
Niente male per un Servo di Dio…
O no? Eh? Che ve ne pare?
Già, perché il mio paparino, sfiga delle sfighe, di mestiere fa il Pastore Pentecostale. E’ il ministro del culto della Country Holy Roller Church di Lafayette, Città dei Morti in Piedi e dei Rott in Culo, Indiana, USA. Una città provinciale di merda con la puzza sotto al naso dove non succede mai un cazzo e tutti si fanno i cazzi di tutti. Io la odio a morte e giuro che, appena ci riesco, tra me e questa cazzo di città di Quaccheri Stronzi ci metto di mezzo l’Oceano.
La mia famiglia, tolti i miei fratelli Amy e Stuart, di tredici e otto anni, fa abbastanza cagare- con licenza parlando. Mio padre in testa. Il quale è un fottutissimo anacronismo vivente. Cioè. E’ di vedute, diciamo, un tantino ristrette. Per non dire che è un cazzo di integralista religioso. E che, francamente, la buona vecchia Santa Inquisizione, credete a me, gli fa una pippa.
Altro che Servo di Dio!
Dio- ammesso e non concesso che esista davvero e ci veda- non lo caga di striscio.
Non gli servono i figli di buona donna come lui.
Se mai, uno così può fare gola alla Concorrenza. Al Lato Oscuro della Forza. Chiamatelo come cazzo volete.
Ci siamo capiti, no?
E come Nostro Signore, cosa volete che vi dica? Anch’io ne farei volentieri a meno, di quel pezzo di quella roba là che puzza. Di più. Di più. Di più. Giuro sul suo Dio che venderei l’anima al Diavolo per togliermelo dalle palle una volta per tutte. Ma mi sa tanto che non lo voglia neanche quello col forcone. E, del resto, in qualità di figlio di questa specie di negromante truffaldino, non so dargli torto.
Ma purtroppo- lo sapete anche voi- i genitori non si scelgono.
Io mio padre lo odio.
Tanto per cominciare, mi prende sempre per il culo perché ho i capelli rossi. Mi chiama fuckin’ ginger- rosso del cazzo. Simpatico, no? Squisito, direi, da parte di un padre.
Poi rompe il cazzo perché li ho lunghi. Dice che sembro una puttana.
Bello. Cosa devo dire? Si vede che in materia se ne intende.
Il che, per un Pastore, è un valido spunto per un dibattito nonché per tutta una serie di profonde riflessioni.
E la Musica del Diavolo- come la definisce lui? Dove la lasciamo?
Il Rock. Quello grezzo, sporco e cattivo dei Motorheads. Il punk dei Sex Pistols, cazzo. La pantomima dei Queen.  Tutto il trucco.
La musica è la mia vita.
Da bambino andavo pazzo per la E.L.O.
Avete presente?
La Electric Light Orchestra.
Adesso ascolto per lo più metal, ma non è cambiato niente. Generi diversi. Gusti differenti. La musica è cambiata ma, per me è sempre la stessa: nel senso che è vietata. Proibita. Off-limits.
Ve l’ho già detto. Mio padre è un oscurantista. Un nazista. Una testa di cazzo. E io faccio una vita di merda e soffro come un cane.
Ma che vada a farsi fottere!
Insinua che io bevo e mi faccio in vena, ma le sue sono tutte illazioni. E, a questo punto, giuro che la curiosità me l’ha fatta venire proprio lui con le sue menate assurde: no, dico. Visto che mi si accusa di essere un tossico, se davvero mi facessi in vena, lui nemmeno se ne accorgerebbe, cazzo!
Così, almeno, capirei davvero cosa mi sto perdendo a fare il bravo tra virgolette.
Vengo in chiesa otto cazzo di giorni su sette per questo e per quello. Canto nel suo maledettissimo coro Gospel come voce solista assieme ai miei fratelli. Il Trio Bailey. Così ci chiamano. Insegno catechismo alla fottutissima Scuola Domenicale da quando avevo otto anni, cazzo. Otto. Scusate se è poco. Servo e riverisco il suo signor culo- come lo chiama lui- come uno schiavo negro. E quello com’è che mi ricompensa? Chiamandomi bastardo. Con la bi maiuscola.
Come ieri mattina, a tavola. A colazione.
Quanto a mio padre, ha detto la sua.
La sua campana la conoscete.
Che ne dite? Vi va’ di sentire la mia?
No, dico. Mi ha trattato di merda. E poi, tra parentesi, il Bastardo sarei io!
Ad ogni modo, stare a tavola quando c’è lui è una specie di terrificante incubo ad occhi aperti.
L’ultima cosa che mi viene di fare, in sua presenza, è proprio mangiare. Credetemi. Se ne sta lì come un avvoltoio in agguato in attesa di una qualsiasi cazzata per lanciarsi a capofitto in uno dei suoi pallosissimi sermoni fatti in serie. Non capisce un cazzo. E non si accorge, tronfio com’è, che ormai non lo caga più neanche il cane.
Occhi di brace, usi a sondare i recessi dei gironi infernali, m’inchiodano alla sedia. E’ domenica mattina. Manca mezz’ora alla funzione e io- guai al cielo e alla terra!- non ho ancora fatto colazione.
La sua voce è un rombo di tuono.
“Mangia!”
Credo se la faccia salire apposta direttamente dagli Inferi.
(Mamma mia che paura!
Mi sto cagando sotto.)
Lo penso ma tengo il becco chiuso, prima che Corvo Nero  mi cambi i connotati.
Io mi rifiuto.
Non tocco cibo. Mi chiudo a riccio nella mia corazza e faccio finta di niente sperando in un miracolo. Ho passato una notte di merda e sono messo troppo male per digerire le sue solite stronzate.
Spero che si renda conto che oggi non attacca, ma, sapete com’è, conoscendolo come lo conosco, non ci credo nemmeno io.
Al mio rifiuto, lui dà fuori da matto.
Rai fulminei che in chiesa, dal suo pulpito, sputano fuoco e fiamme, mi trapassano le carni e mi cucinano all’istante come se, invece di un predicatore, quel pezzo di merda fosse un cazzo di forno a microonde.
Il vecchio corvaccio spennacchiato mi scruta in silenzio.
Dipinta sulla faccia, la solita feroce espressione del mamba nero in assetto di attacco.
Non sto scherzano. Giuro.
Quegli occhi a fessura non promettono proprio niente di buono.
Fidatevi.
Sono cazzi da cagare.
Io gioco in attacco. E lo guardo bel dritto negli occhi.
Davanti a me, la solita sbobba. Zuppa di latte coi fiocchi d’avena. Io la detesto. Anche normalmente mi fa schifo solo a guardarla. Sembra vomito, cazzo. Ma del resto, di quello che piace a me, qua dentro non frega un cazzo a nessuno.
“Non la posso mangiare” gli spiego “mi sentirei male.”
“Non stai bene?” ribatte la Santa Inquisizione, incenerendomi con una lunga, sarcastica occhiata allusiva. “Come mai? Cosa ti senti?”
“Mi fa male la pancia” dico io. “Ho la nausea. Ho fatto tutta notte a…”
L’ala della Morte Nera mi ricopre.
Io mi strizzo le palle allarmato.
La sua voce è un basso sepolcrale. Gelida. Come la mano di una morta.
“Tira fuori la lingua! Fa’ vedere…”
Mi caccia in gola gli artigli zozzi rigati di nero.
E anche se non ho mangiato niente, io lotto con tutto me stesso per non vomitargli l’anima addosso. Anche se- detto tra noi- non nego che gli starebbe bene.
Mi traccia in fronte un segno di croce gettandomi addosso l’acqua benedetta di un’ampollina che tiene sempre in tasca pronta all’uso.
Io provo imbarazzo e vergogna per lui.
Quello è d rinchiudere a doppia mandata e buttar via la chiave.
Solo che lui è un adulto e io un ragazzo.
E in questa cazzo di casa vige la legge del più forte.
“Mostrati, Satana! Esci allo scoperto! Libera della tua infausta presenza questo Servo del Signore!”
(Ma vai a cagare! Tu e Satana! Mi avete rotto il cazzo tutti e due!)
Io non ne posso davvero più.
Non sto bene. Ve l’ho già detto. Non sto per niente bene.
Mi si chiudono gli occhi. Gelo. Mi fa male dappertutto come se avessi tutte le ossa rotte. Con loro che si abbuffano di grassi e fritti a gogò mi sale una nausea da far vomitare Sartre. Ho crampi ovunque. Insomma, mi sento uno schifo.
E, Grande Capo permettendo, me ne tornerei a letto e ci starei un mese intero.
No, dico. Siate sinceri. Secondo voi chiedo troppo?
“Lo vedo che sei pallido” s’intromette la Chioccia, che a tempo perso sarebbe mia madre, prima che io riesca a dire Amen.
“Tesoro mio” mi fa, tutta mielosa, accarezzandomi la guancia “cos’hai? Cosa ti senti?”
Come se la mia faccia cadaverica e i calamari che mi sono spuntati sotto gli occhi non parlassero da soli, io spiego a beneficio della tavolata che ho dormito male. Per usare un eufemismo. In realtà non ho chiuso occhio, cazzo. Mi gira la testa e, onestamente, sto facendo di tutto per non sboccare nel piatto.
“Non mi sento molto bene” aggiungo, alzandomi da tavola e piantandoli tutti lì come degli allocchi a fissarmi scandalizzati con gli occhi fuori dalla testa. “Se volete scusarmi, vado a stendermi un po’.”
Poi, al solito, opportuno come le diarrea, salta su mio fratello Stu. Otto anni e due denti davanti strappati nel sonno da una cazzo di fatina dispettosa.
Lo adoro, quel marmocchio.
Giuro.
Mi fa morire.
Mi ricorda com’ero io alla sua età. Solo che lui, sinceramente, è più sfrontato. Più temerario di quanto io non sia mai stato. Dico sul serio. Anche adesso che ho sedici anni- quasi diciassette- mio fratello mi batte.
Spara cazzate a nastro e ride da solo.
Un genio, in questo senso.
Peccato che non tutti sappiano apprezzare la sua schietta semplicità. Anzi.
“Sai una cosa, papà?”
Annuncia, masticando a bocca aperta un pezzo di pancake ai mirtilli con la bocca tutta sporca di zucchero a velo.
“Cosa”
Fa Corvo Nero, interessatissimo, dandogli un buffetto sulla guancia che sa di falso lontano un miglio.
“Bill stanotte ha vomitato dappertutto.”
Io, sentendomi chiamato in causa, mi dimeno sulla sedia a disagio.
Ecco, bravo.
Dieci e lode, cazzo.
Salta subito su mia madre.
“Davvero?”
Mi lancia un’occhiata delusa. Infastidita. Mi guarda come se, invece di suo figlio, io fossi un cazzo di pancake bruciacchiato.
“Billy! Santa Madonna! Mettiti una mano sul cuore!  Avevo appena dato la cera!”
Io non raccolgo che è meglio.
Certo che il suo affetto mi commuove.
Voi che ne dite?
E’ imbarazzante, cazzo!
E tutti quanti lì come deficienti con le forchette a mezz’asta a fissarmi a bocca spalancata come se avessi fatto chissà che cosa.
Ma roba da matti!
Ma dove siamo?
Non l’ho mica crocifisso io, Gesù Cristo!
E che cazzo!
Sono stato male.
Punto e basta. Capita. Non l’ho mica fatto apposta.
Mi viene fin da ridere. Da prenderli per il culo.
Mi butto in ginocchio sul tappeto.
“Padre perdonami perché ho peccato!”
Quei due vecchi sono senza speranza. Giuro.
E poi sarei io, quello venuto male!
“Per penitenza dirai tre Ave Marie”
sentenzia Ponzio Pilato, lavandosene le mani di me e del mio senso dell’umorismo.
“E chiedi scusa a tua madre.”
No, dico. Ma cos’è, uno scherzo?
Smile, you are on Candid Camera?
No, perché se no’ chiamo la neuro. Il 911. Il Padre Nostro e buonanotte al secchio.
Questi due qui sono da internare. Altro che balle.
All’improvviso, nell’indifferenza generale, ricevo un piccolo, immenso gesto d’affetto che mi arriva dritto al cuore.
Sotto il drappeggio sfilacciato della tovaglia scozzese, mia sorella Amy, al riparo da occhi indiscreti, mi prende la mano.
“Adesso come ti senti?”
Io mi sciolgo all’istante. Anzi. Di più. Mi liquefaccio.
“Hai una faccia…”
Io le sorrido in silenzio inghiottendo una lacrima.
Per via di quel porco groppo in gola, non riesco a parlare.
Dolce Amy dai bei boccoli rossi. Bambolina. Piccola stella che ti preoccupi per me. La vuoi sapere una cosa, sorellina? Sei l’unico essere umano decente nel raggio di un paio di miglia. Giuro. L’unico, cazzo.
Fanculo anche Stu, che oggi mi ha proprio fatto girare le palle.
“Insomma” rispondo, non troppo convinto. Tanto si vede benissimo che sto di merda. Sempre che dietro agli occhi di chi guarda sia rimasta un po’ di materia grigia. Il che, come hanno finora ampiamente dimostrato, non è il caso dei miei fottutissimi sapiens.
“Visto, figliolo?”
sentenzia Nosferatu il Vampiro a bruciapelo, spalancandomi in faccia le mascelle ossute piene di denti marca Sears&Roebuck.
“Chi pecca d’ingordigia e gozzo, Iddio lo punisce.”
 
Io mi ritraggo disgustato, giusto in tempo per non sboccargli addosso.
Madonna mia, che alito!
E, una volta di più, mi convinco che dopotutto mio padre ha ragione.
Il Diavolo esiste davvero. Ne sono più che certo.
E vive in questa cazzo di casa.
 
“Povera me!”
Replica la mamma, calandosi nel ruolo della massaia Senza Macchia e Senza Sbavatura.
Proprio lei che, invece di fare i mestieri, se ne sta chiusa in sala con un cicchetto a fumare a nastro una Marlboro dietro l’altra. Fatta persa di psicofarmaci e pure sbronza da fare schifo. A rincoglionirsi davanti a La Schiava Isaura. Dallas.  Andrea Celeste e cagate varie tutto il santo giorno.
Bell’esempio che dà, ai suoi figli!
“Scommetto che la camera dei ragazzi è un puttanaio!”
Si lagna, torcendosi le dita dal nervoso.
“E, tanto per cambiare, a chi è che tocca ripulire tutto?”
Si batte il petto.
Poveraccia. E’ patetica.
Non dico altro.
“Sempre alla sottoscritta!”
Quindi prende la scala e sparisce di sopra per una stima approssimativa dei danni.
“Grazie, eh?”
Bisbiglio nell’orecchio a Stu, scompigliandogli i capelli.
“Giuda Iscariota! Mi hai venduto per trenta denari!”
“Ma io volevo solo…”
Mia sorella coglie la palla al balzo e si rivolge al piccolino.
“A proposito”
Stu posa il bicchiere vuoto con i resti  di quell’orrido intruglio chimico che nostra madre ci spaccia spudoratamente per succo d’arancia e che al Seven Eleven, qua dietro l’angolo, costa solo un lurido quarto di dollaro.
“Mi dici cos’avevi stanotte da strillare? Per colpa tua non ho chiuso occhio! Mi sento uno straccio!”
E mio fratello, poverino, non ci arriva.
Nossignore, cazzo.
Dopotutto ha solo otto anni. Fa quello che può. E spesso e volentieri, se non ha scelta, dice anche la verità. Cosa che in casa nostra, purtroppo, dove si predica bene e razzola male, non è troppo ben vista.
“Io non c’entro! E’ stato Bill!”
Io lo fisso mortificato.
Non mi resta che incassare il colpo on classe.
“Lui…”
Stu esita. Mi lancia una timida occhiata.
“Lui mi è caduto addosso. Ma non l’ha fatto apposta. Vero Bill?”
“Vero” dico io.  Anzi, verissimo.
Stanotte, in preda alla nausea, sono caduto dal letto a castello. E ho preso in pieno mio fratello, che ha la sfiga di dormire sotto di me. Punto e basta.
Inutile dire che nostro padre ci s’è buttato a pesce come un ghiottone su una leccornia.
Fingendo di non cagarmi di striscio, si è rivolto a mio fratello.
“Dimmi la verità, Stuart”
Ha detto calmo, sondando il terreno con quel suo modo di fare inquisitorio che mi fa sempre venire le formiche rosse nel culo, anche quando sono innocente.
“Com’era tuo fratello, stanotte? Era ubriaco? Ti è sembrato sotto l’effetto di qualcosa?”
Mio padre m’incenerisce con un’occhiata e si lancia sulla sua preda. La sua ombra l’inghiotte in un sol boccone.
“Dimmi la verità o ti giuro che le prendi!”
Lo dice con quella voce untuosa da prete falso che fa sempre quando ha intenzione di ficcartelo in quel posto.
“Aveva bevuto sì o no? Rispondimi, Stuart!”
Gli dà una scrollata.
“ E guardami in faccia quando ti parlo!”
Mio fratello, poveraccio anche lui, tra l’incudine e il martello, s’è messo a piagnucolare.
“E che ne so io! Uffa!”
S’è messo a frignare fregandosi gli occhi con le mani sporche di marmellata di mirtilli lordandosi tutta la faccia.
“Domandaglielo a lui, scusa! E’ lì vicino a te! Perché lo vieni a chiedere a me? Che cosa c’entro io?”
L’esecrabile vecchio non se l’è fatto ripetere due volte.
Avete presente il Terzo Grado?
Ecco.
Paragonato a quello che ho subito io, è una cagata pazzesca.
“William Bruce Bailey. Si può sapere, se non è chiedere troppo, perché diamine sei cascato giù dal letto in piena notte?”
Io inghiotto a vuoto un fiotto amaro di saliva bollente.
“Avevo la nausea. Mi girava la testa. Ho fatto per scendere di corsa e ho messo un piede in fallo. Il resto lo sai. Punto e basta.”
“Ah, sì? E come mai, se m’è concesso domandartelo? Da un po’di tempo a questa parte vieni sempre a casa sbronzo marcio. William Bruce Bailey. Sto parlando con te, stronzetto. Guardami quando ti parlo, coglione! Fai schifo. Bevi. Ti fai. Dormi tutto il giorno. Vomiti dappertutto. E che cazzo! Io e tua madre non siamo mica nati ieri…”
Si volta in cerca della sua approvazione, ma mia madre è altrove. Persa nel suo mondo tossico.
“Come non detto, Sharon.”
Punta l’indice accusatore verso di me.
“ Tu credi che io non ti senta, ma sento. Eccome, se sento! Chiaro? A me non mi ci prendi per il culo, ragazzino! Non ti vergogni? Hai ancora la bocca sporca di latte! ”
Oh, Signore Onnipotente e Misericordioso!
Che due palle!
Io non ne posso più.
Sto da schifo. Voglio soltanto stendermi un po’. Recuperare le forze.
Santa di quella Madonna!
L’ho detto e lo ripeto, cazzo.
Vi sembra chiedere troppo?
E quando, per la ventesima volta, mi chiede se ero ubriaco, invece di dare ascolto alla vocina della mia coscienza- che mi consiglia di strangolarlo e gettarlo nel pozzo come ha fatto il più giusto… no, il più buono dei rossi- mi appello al diritto di stare in silenzio.
Al Quinto cazzo di Emendamento.
E lui decide di sotterrare momentaneamente l’ascia di guerra e di provare a cambiare tattica.
Mi scanso appena in tempo per schivare una pacca sulla spalla.
“Il  Diavolo deve pur uscire da qualche parte.”
 
Madonna mia. Giuro che lo ammazzerei. Lo farei secco con le mie mani a sangue freddo, cazzo!
Che vita di merda.
Oggi come ieri come domani.
Basta, ho deciso.
Quando compio diciotto anni me la batto alla stragrande e non mi vedono più neanche in cartolina.
E mio padre, poi, non è neanche furbo.
Invece di godersi la vittoria, come al solito, lui vuole strafare.
Ed ecco il Reverendo Beetle. Cosiddetto perché sembra uno scarafaggio uscito da una squallida metamorfosi kafkiana. Non perché ascolta i Beatles.
Eccolo lo levare le grinfie al cielo col piglio di un grande attore melodrammatico.
(Ehi. Mi sentite? Qui mi sa che marca maluccio.)
“Signore Iddio, perdonalo! Abbi pietà di questo tuo figlio sciagurato! Ha preso parte a orge e banchetti pagani! Tracannato il sacrilego Vino degli Empi!”
A quel punto, incapace di resistere oltre, eccitato dalla terribile eloquenza di nostro padre, mio fratello è piombato a capofitto nella discussione.
“Papà”
Ha cantilenato petulante il bambino, facendo pat-pat sulla possente spalla paterna per attirare l’attenzione di colui che, in quel momento, aveva ben altro per la testa e non lo cagava di striscio.
“Papà-papà-papà-papà…”
Il Reverendo l’ha stecchito con un’occhiata al vetriolo.
“Cosa vuoi? Non lo vedi che sto parlando con tuo fratello? Come osi interrompermi, piccola serpe!”
Stuart, però è uno giusto.
Ve l’ho detto.
Quel moccioso farà strada, cazzo.
E nonostante il fuoco e fiamme di nostro padre, lui non si è scomposto e, tantomeno, si è lasciato impressionare.
Bella Stu. Sei un mito.
Uno a zero per te, fratellino.
Si è incollato a Corvo Nero come una cozza.
“Papà, che cos’è il Vino degli Empi?”
Occhi che mandano lampi, fulmini e saette.
“Domandalo a tuo fratello.”
La piccola peste non se lo fa certo ripetere due volte. Si viene a sedere sulle mie ginocchia e ha persino la faccia tosta di tirarmi per la manica della felpa dei Motorheads.
“Bill, che cos’è? Me lo dici?”
Io mi limito a fargli l’occhiolino.
“Dopo ne parliamo.”
E lui?
Inutile dire che non l’ha presa troppo bene.
Come al solito.
Quello che vuole, vuole, cazzo.
Tutto nostro padre.
E’ più cocciuto di un mulo.
“Nooooo! Uuuuffaaaaa! Adeeeeessoooooo!”
Si è buttato per terra e si èmesso a singhiozzare forte pestando i piedi.
“Anch’io voglio bere il Vino degli Empi!!!”
 
 
 
   
 
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