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Autore: sarahrose    14/05/2014    1 recensioni
William Bruce Bailey, 17 anni.
Intelligente, sensibile e dotato.
Cresciuto a torte di mele, Sacre Scritture e cinghiate nei denti.
Figlio di Stephen L. Bailey, Pastore Pentecostale, Ministro del Culto della Lafayette Holy Roller Country Church, e di Sharon Bailey, casalinga frustrata e dedita agli antidepressivi.
Vittima di abusi dal padre-padrone e dell'indifferenza della madre.
Un unico amico su cui contare: Jeff Isbell.
E la Musica. Quella del Diavolo.
Il rock. Quello vero. Brutto, sporco e cattivo. E terribilmente proibito.
Questa è la storia di un mito. Di una leggenda.
William Bruce Bailey. Da Lafayette, Indiana, a Los Angeles in autostop.
Per diventare W. Axl Rose.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axl Rose
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1
 
 
 
REVERENDO STEPHEN L. BAILEY
Sunday morning
Basta. Io ci rinuncio. Getto la spugna.
Onestamente, è troppo anche per me!
Che schifo di mestiere, fare il padre. E meno male che sono un educatore. Un religioso. Un uomo di Dio. Se fossi stato uno qualunque di questi maledetti miscredenti, qui, me la sarei fatta sotto, con licenza parlando. Dico io! Di questo passo, dove caspita andremo a finire?
Sono Stephen Louis Bailey.
Pastore della Chiesa Pentecostale Country Holy Roller di Lafayette, Indiana. Per me fare il padre è un fardello, credetemi. Un compito ingrato. Come ti muovi sbagli e se non lo fai… guai!
Ti gettano subito la croce addosso.
Con Bill, il mio primogenito, siamo alla canna del gas.
William Bruce Bailey. Mio figlio. Il mio orgoglio.
No, dico. Lo guardo e… francamente, da un po’ di tempo a questa parte, pur con tutta la buona volontà del mondo, non posso fare a meno di mangiarmi le mani.
Cosa diventerà tra qualche anno se va avanti su questa strada? Ditemelo voi.
Mi caccerà da casa mia o Dio solo sa cos’altro.
Ingrato!
Empio!
Senza vergogna ne’ timor d’Iddio!
Io non lo so. Proprio non lo capisco.
Quella teppa dai capelli rossi mi farà morire di crepacuore.
Riesce sempre a farmi uscire dai gangheri, quel bastardo!
Come faccia non ne ho idea. E’un mistero. Fatto sta che ci riesce sempre. Punto e basta. Tutti i santi giorni.
Sentite questa. E forse capirete cosa intendo.
Ieri mattina- passatemi l’espressione volgare- l’ha proprio fatta fuori dal vaso. 
Era domenica.
Eravamo tutti riuniti attorno al sacro desco familiare a consumare il primo pasto del giorno del Signore da buoni Cristiani. Io. Mia moglie. E i miei tre figli. William, Amanda e Stuart. Io li guardavo mangiare con il petto gonfio d’orgoglio e loro mi ricambiavano spazzolando via avidamente il frutto del sudore della mia fronte. C’era una bella atmosfera.
Credo nell’ordine e nella disciplina e devo ammettere che ieri mattina tutto filava liscio come l’olio ed io, come capo famiglia, ne ero oltremodo soddisfatto.
Nessuno fiatava.
Gli unici rumori erano quelli delle posate sui piatti e del latte versato.
Tutti mangiavano in santa pace. Tutti tranne uno.
Quel delinquente di William. Il mio primogenito malriuscito.
Quello mi sta dando del filo da torcere. Sissignori!
A volte ripenso con nostalgia a quando era solo un moccioso.
Maledetto Pel di Carota! Tu e tua madre! Razza di vipere!
Mi costa ammetterlo, ma devo. In chiesa, il marmocchio mi faceva comodo. Non era mica brutto, sapete? E non era neanche stupido. Tutt’altro! Ma soprattutto, gente, lasciatemelo dire: non esagero. Cantava come un angelo. Avete presente? Una voce flautata. Versatile. Potente. Limpida come il rintocco di una campana di cristallo. Un vero e proprio dono di Nostro Signore che lui sta gettando alle ortiche. Ma lasciamo perdere, va’, che è meglio.
Ordine. Disciplina. Pugno di ferro.
Questo gli ci vuole, a quel disgraziato. Credete a me. Non sono mica scemo. Ne ho raddrizzati di peggiori di lui, di lavativi. E vi dico una cosa: se non si converte e si rimette sulla retta via, quello prima o poi finirà dritto in galera. Fidatevi. Ve lo dico io.
Lui non mangiava. Scriveva sul suo quaderno nero, con la testa rovesciata sul foglio e la faccia coperta dai capelli.
“Metti via!” Gli ho detto, indicando il quaderno. “Muoviti. Fai colazione. Tra mezz’ora c’è la messa! E poi guardati! Non ti sei neanche lavato la faccia!”
Lui non alza neanche la testa.
“Non mi va.”
Esasperato dall’indifferenza con cui tratta tutti quanti noi, ancora una volta, perdo i lumi della ragione.
“Porta rispetto a tuo padre!”
“Mangia, ho detto! Ubbidisci!”
E lui?
Niente.
Mi ha guardato un momento con una faccia da ebete totale, senza far motto. Poi si è rimesso a fare spudoratamente i suoi porci comodi. Fregandosene altamente di tutto e di tutti come se niente fosse.
Io, però, non sono mica nato ieri.
Io, modestia a parte, ho l’occhio lungo. E ho subito notato che il ragazzo era stranamente pallido. Voglio dire, molto più del solito. Il che è tutto dire, visto che la sua pelle, anche normalmente, è bianca e traslucida come il latte andato a male. Ieri, però, faceva davvero paura. La sua faccia era un libro aperto. Sembrava uno spettro. Aveva le occhiaie. I capelli scompigliati. Gli occhi chiarissimi che affogavano in due pozzi neri come il peccato mortale.
Aveva un’aria malata. E poi- lasciatemelo dire- era totalmente rincoglionito. Sembrava ubriaco o drogato o Dio solo sa cos’altro.
Intanto, gli altri hanno non hanno neppure smesso di masticare. Anzi. Si ingozzano per pulire i piatti e le scodelle in tempo per la funzione, col piccolo Stuart che per poco non si strozza con un boccone di pancake.
Uno dei soliti capricci di William. Lui e le sue scenate isteriche!
Niente di nuovo sotto il sole.
E quando io, per invitarlo a darsi una mossa, gli ho posato una mano paterna sulla spalla, lui ha trasalito. Nel tipico atteggiamento di chi ha la coscienza sporca.
“Ehi, giovanotto!”
I suoi occhi, in fuga dai miei, si sono rifugiati sulla tovaglia di pizzo sporca lercia.
Mi ha fatto girare le scatole, lo ammetto. Ma non sono un pezzo di pietra. L’ho visto subito che non stava bene e questo, come padre, mi dispiaceva. Che lui ci creda o no.
“ Tutto ok?”
Non l’avessi mai detto!
Mio figlio, accantonato il suo quaderno nero, si è messo pacificamente a leggere un testo.
“Ehi, tu. Dico a te. Guardami quando ti parlo, Cristo!”
Lui ha alzato pigramente la testa dal libro.
E io mi sono sentito male per lui.
Quel libro in casa mia era un abominio. Una profanazione.
Era un volume di Thomas De Quincey.
Le Confessioni di un Oppiomane.
Un titolo che, come vedete, si commentava da solo.
No, dico. Qual onta peggiore!
Io sono un Pastore. Un Servo dell’Altissimo.
La guida spirituale e la figura più in vista della città. E mio figlio? Il mio maledettissimo bastardo di figlio primogenito, che cos’è che è? Un drogato. Un tossico.
Un volgarissimo tossico da strada.
“Lasciatemi in pace!” Ha detto levando su di noi due occhiacci spiritati.
“Mi sento di schifo. Ho la nausea. Davvero. Ve lo chiedo per piacere. Mangiate voi. Io non ci riesco. Non posso. Mi viene da vomitare. Ve l’ho detto. Ignoratemi. Vi chiedo solo questo.”
Gli ho chiesto se ha preso qualcosa e lui ha scrollato la chioma incolta e mi ha trafitto con un’occhiata storta.
L’importante è negare. Negare sempre.
Inutile. Io non mi ci faccio prendere per i fondelli da un lattante. Chiaro? Deve ancora nascere quello che mi fa fesso!
Quegli occhi cerchiati la dicono lunga. E tanto per restare in tema, mi ricorda ancora una volta il fatto che io non sono solo un Ministro del Culto. Sono anche un Esorcista.
Li scaccio con il Crocifisso, io, i demoni della sua risma. Altro che balle!
“Stai attento, ragazzino. Passi lunghi e ben distesi. Ci siamo capiti ? O devo farti il disegno?”
“Pà, ti prego…”
“Zitto e mangia!”
“Ma…”
“Niente ma! Ubbidisci! Feccia!”
Ma roba da matti! Chi si crede di essere, quella testa bacata?
Se crede di farla franca, ha sbagliato buco. Adesso glielo faccio vedere io chi comanda qui! E già che ci siamo, una bella ripassata farà bene anche a sua madre, che se ne sta lì come una pera cotta, rannicchiata accanto al frutto marcio dei suoi lombi.
No, dico. Guardatela. E’ patetica. Grembiule coi girasoli e le trine. Ciabatte pelose a forma di oca. Bigodini. E quei luridi capelli rosso fiamma uguali sputati a quelli di suo figlio. Espressione imbelle da vittima del sistema. Ok, recepito, Sharon. Lasciamo perdere, eh?
Che razza di sostegno potrei mai aspettarmi da una simbega come quella? Ha trentadue anni e ne dimostra sessanta. Anche se ragiona come una bambina di nove.
Alla fine, tirando le somme, mi rendo conto che sua madre non è certo meglio di lui.
Come può sperare di raddrizzarlo con quella faccia?
E va bene. Pazienza. Mandiamo giù anche questa.
Non c’è limite al cattivo gusto, in questa maledetta casa!
Ma torniamo ai fatti.
Uno sguardo all’orologio. Ok. Panico.
“Tra meno di mezz’ora dobbiamo essere in chiesa per la funzione” ho annunciato alla tavolata, gettando via il mio tovagliolo.
Niente.
Nessuno mi c… ehm. Mi ha degnato di una risposta.
Allora ho perso le staffe.
Avrei voluto vedere voi al mio posto!
Cos’avreste fatto?
“Non hai rispetto per la tua famiglia. Ti presenti a tavola spettinato e sporco. Cosa diavolo credi di dimostrare?”
Poi l’occhio mi cade sui suoi vestiti.
Inutile dirlo: indecenti.
Neanche buoni per un senzatetto.
Del resto, buon sangue non mente. Giusto?
Ma lasciamo perdere, va’! Meglio che me ne stia zitto.
Basta guardare sua madre.
 
Maledetto bastardo!
A volte vorrei proprio che non fosse mai nato.
L’altro giorno l’ho beccato su in soffitta con una rivista pornografica… non so se mi spiego. Per non parlare delle pile di fumetti splatter imboscati ad arte sotto il letto a castello. E le lattine di birra vuote che, quando esce con quell’altro stinco di santo del figlio degli Isbell, semina per tutto il maledetto giardino?
Canaglia.
Ed eccolo lì, con una faccia da schiaffi senza pari. Sembrava uno zombie. Avete presente? Lazzaro prima della resurrezione.
Non so se mi spiego.
Quanto al libro, è andato al rogo.
Così la pianta di leggere scempiaggini fino a cavarsi gli occhi, quel piccolo farabutto! Lui e i suoi capelli assurdi… ma dico io, si è guardato allo specchio di recente? Lunghi fino alle reni.
 Io non ho parole. Se davvero Nostro Signore, nella sua infinita misericordia, ha dato a ciascuno di noi in dono un talento speciale, quale sarebbe quello del mio primogenito?
Il canto, direte voi.
E va bene. Lo ammetto.
Però è un po’ pochino, non vi sembra?
Almeno per il figlio di un Pastore.
Non ha ancora diciassette anni ed è già stato arrestato tre volte per ubriachezza, rissa e linguaggio osceno. E’alcolizzato marcio. Fuma erba. Prende schifezze. Praticamente vomita tutte le sere. Poi è un porco. Un senza Dio. Un necrofilo. Una lurida checca. Almeno a giudicare dall’acconciatura.
Belli, quei capelli. Più che un ragazzo, sembra una puttana.
Ma dove crede di essere, in una casa di tolleranza?
Niente male per uno che a otto anni- dico otto- insegnava catechismo alla Scuola Domenicale!
Da bambino era un fottutissimo genio- per usare il suo stesso linguaggio. Poi s’è guastato crescendo.
E sua madre zitta. Non gli dice mai una parola. Scommetto quello che volete che se lei lo implorasse di farlo, lui li taglierebbe. Ma lei se ne frega. Anzi, se ne fotte.
Sono fatti della stessa pasta, quei due.
E, credetemi. E’ imbarazzante.
Ah, ma cambierà. A tirarla troppo, la corda, si spezza, dice il proverbio. E quando s’è spezzata non la rimette più insieme nessuno. Neanche Gesù Cristo in persona. Mi sono spiegato?
Ma fino ad allora… ti prego, Signore. Ti supplico: tienimi ferme le mani!
Di fronte ai miei parrocchiani, io non so più che razza di scusa tirar fuori.
 
Le dieci e cinque.
E lui era ancora lì a leggere scemenze pulendosi di tanto in tanto il naso nella manica della felpa di quei pazzi metallari dal nome impronunciabile che, prima o poi, gli apriranno le porte della dannazione eterna. Non aveva toccato cibo. Neanche un goccio di succo d’arancia. Niente di niente. La scodella di zuppa di fiocchi d’avena, ormai fredda ghiacciata, era intatta.
E io non ci ho visto più.
“Si può sapere cos’hai stamattina? Ehi, tu! Dico a te! Delinquente! Teppa! Datti una mossa! Siamo stufi di aspettare i tuoi porci comodi! Lo capisci o no? Sono le dieci e cinque e tu non hai ancora mangiato!”
E lui cosa fa?
Secondo voi?
Niente. Non si degna nemmeno di rispondere a suo padre. Anzi. Mi guarda male e va avanti imperterrito a fare i cavolacci suoi.
“Eh, no, bello mio! Adesso stai esagerando!”
Qui ci vuole una bella tirata di orecchie. Anche se ammetto che, per come si stanno mettendo le cose, credo che la medicina più adatta per il suo malessere sia la cinghia dei miei calzoni.
“No, dico… ma sei sordo?”
Silenzio perfetto.
Gli altri intanto si sono strigliati, vestiti e pettinati. Insomma, sono pronti a compiere il loro dovere da buoni Cristiani. Lui, invece, ha dormito mezzo vestito, coi jeans stracciati e la felpa sporca, e sembra appena uscito dal letto.
Ok, canaglia.
L’hai voluto tu.
“Sta scritto: non tentare il Signore Dio tuo.”
Lui mi fissa a lungo in silenzio con quella faccia da schiaffi e mi fa:
“Non ti stai allargando un po’ troppo, papà?”
Basta.
La misura è colma.
Nel mio cuore infranto di padre si fa strada una certezza: il detto secondo cui il più buono dei rossi ha gettato suo padre nel pozzo non è una leggenda metropolitana. E’ oro colato.
Da uno come lui mi aspetto questo e altro.
Questo qui è peggio di Esaù.
Avete presente? Quello che ha venduto a suo fratello Giacobbe la primogenitura per uno squallido piatto di lenticchie. E, a proposito. Indovinate di che colore aveva i capelli, il nostro caro fratello Esaù?
Maledetto bastardo!
Non mi somiglia neanche nelle scarpe.
Guardate me. Forte. Robusto. Virile. E adesso lui. Fragile. Esile. Effeminato. Tanto che sembra fatto di vetro. A guardarlo due volte, va in pezzi.
Siamo il giorno e la notte, io e lui. E non solo perché lui è fulvo e pallido quanto io sono bruno e sanguigno. Ma perché siamo opposti dentro. Nel cuore e nell’anima. Io ho la luce della vera Fede. Lui arranca nelle tenebre della perdizione senza fine. Punto e basta. Queste non sono chiacchiere. Sono dati di fatto.
Un tempo avevo sperato, educandolo ai valori Cristiani, di farne un vero uomo… povero, povero me! E lui cos’è che ha fatto per ripagarmi dei miei sacrifici?
Ha messo su un complesso di rock ‘n roll.
Avete capito di cosa sto parlando?
Parlo del Male con la Emme maiuscola. Di Musica del Diavolo.
Lui e il suo degno compare, quell’Isbell. Se gli metto le mani addosso, giuro che lo spello vivo.
Eppure lo sapeva che io non volevo! Però l’ha fatto lo stesso. Anzi. L’ha fatto apposta per farmi dispetto!
Ah, ma stavolta non attacca! Stavolta non gliela do vinta!
E’ questo che penso fissando la sua scodella ancora piena.
Nossignore!
Stavolta l’avrò vinta io, non lui! E se non si piega, benissimo. Dio Onnipotente mi è testimone. Lo spezzo in due come un ramo secco.
 
“William Bruce Bailey!”
E’ scattato fiaccamente sull’attenti a beneficio di suo fratello Stu, il quale ha solo otto anni e lo idolatra come un dio. E il piccolino è scoppiato a ridere come un deficiente.
“Presente!”
Ha osato perfino farmi il saluto nazista.
E chi sono, io, lo zimbello dei miei figli?
O la loro guida spirituale?
 
Bravo, William. Di bene in meglio.
“Ridi pure, ma ricordati, delinquente che non sei altro: ride bene chi ride ultimo!”
Quanto ai suoi fratelli, che hanno preso la palla al balzo per divertirsi alle mie spalle, due bei manrovesci li hanno subito rimessi subito in riga. Mia moglie invece è un caso senza speranza. Tale quale al suo cocco malcagato. Scusate il termine volgare.
A quel punto ne avevo le tasche piene di tutti. L’unica cosa da fare era affrontare William a muso duro.
“Mangiaaaaaaa! Vuota quella cazzo di ciotola o ti giuro che, com’è vero Iddio, ti do una sberla che t’impasto contro il muro!”
Lui ha tirato su col naso.
“No.”
E’ partito un manrovescio che l’ha girato sottosopra.
William si è tirato su e si è accostato tremante alla ciotola. Ha immerso il cucchiaio frignando come una  femminuccia. Poi si è fermato di botto. Mi ha squadrato con odio e, vinto e debellato, lo ha portato alle labbra. Infine ha inghiottito con enfasi.
Un attore. Una star. Un divo del cinema muto.
 Una. Due. Tre cucchiaiate. Poi è crollato sul tavolo a singhiozzare come un poppante. Una scena da premio Oscar, giuro.
Altro che Robert De Niro!
L’anno prossimo dovrebbero darlo a lui!
L’ho beccato a tentare di scappare di sopra e non gli ho detto una parola.
Ho lasciato parlare la cinghia.
Quel mammalucco buono a nulla si è accasciato a terra come un lombrico  in preda a conati di vomito.  
Uno spettacolo pietoso. Rivoltante.
“Finisci la colazione o giuro che ti faccio pentire di essere nato!”
Lui ha inghiottito lottando per tenere giù quel poco di rispetto per se stesso che ancora gli restava.
“Te l’ho detto, non ci riesco. Credimi. Sto male. Mi viene da vomitare.”
Altro manrovescio come Dio comanda.
Bene. Anzi. Benissimo.
“William Bruce Bailey. Canaglia da riformatorio. Onta e disonore della tua famiglia. Ti comunico ufficialmente che la pacchia è finita. Ficcatelo in quella zucca marcia! Da domani la musica cambia!”
Lui ha vomitato e sputacchiato senza vergogna per tutta la tavola.
Bella educazione!
“Visto?” Mi fa, acido. “Te l’avevo detto!”
E va bene. Uno a zero per te, William.
La cucina è un porcile. Una stalla. Un macello.
 Lui si è pulito la bocca sul rovescio di quello schifo di felpa.
Ha ingoiato tutte le sue lacrime con rabbia e disperazione.
E, con un ghigno infame, ha afferrato la ciotola.
Senza togliermi quei suoi occhiacci da gatto randagio di dosso, si è ricomposto alla bell’e meglio e, con mia enorme sorpresa, si è rimesso a mangiare.
Male non gli ho fatto sicuro, credetemi. Parlo delle botte.
La violenza è l’ultima spiaggia.
L’unica arma che mi è rimasta per ficcare in quella testa bacata un po’ di rispetto.
Eppure si vedeva che stava covando qualcosa.
Non ero tranquillo.
Non lo sono mai, quando c’è lui di mezzo.
“Una cazzata. Una sola. E giuro su Dio che ti schiaccio come lo scarafaggio che sei!”
Quel bastardo mi ha riso in faccia.
“Questa me la paghi.”
Poi, tutta d’un fiato, da bravo bambino, ha vuotato quella dannata scodella.
   
 
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