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Autore: _Kiiko Kyah    17/05/2014    6 recensioni
From the 28th chapter:
"-Sono una ragazza piena di sorprese.- scrollò le spalle, incrociando le mani sul petto.
Ray non smise di sorridere. -Non hai più paura di me?- si informò altrettanto sereno e sarcastico.
-Sì, forse un pochino.- strinse pollice e indice tra loro per mostrare l’infinitesimale spazio che aveva lasciato in mezzo alle due dita. -Ma non mi faccio mettere paura da un uomo con le manette.- sorrise, indicando le mani legate del suo interlocutore."
Ci si becca dentro, magari, sì? ♥
Genere: Fluff, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel/Shuuya, Nuovo personaggio, Shuu, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sei mesi. Ah. Ahah. Ahahah. Uccidetemi. Eh. Sono stanca dei nomi di doppiaggio. Eh. Ci vediamo nelle note di fondo. Eh. Aspettatevi un casino di scuse. Eh. Ciao.


L'Orfeo [1] C'è chi riflette e chi teme



Bene, sì, okay, allenarsi a notte fonda non era una buona idea. Non lo era, non lo era per niente, soprattutto se al mattino Travis pretendeva che i suoi giocatori fossero freschi come rose per lavorare al meglio durante la giornata. E poi c’era anche Hillman che insisteva spesso sul fatto che allenarsi in maniera eccessiva era dannoso al fisico- e infatti Jordan ne era la dimostrazione vivente, visto che aveva finito per l’essere escluso dalla squadra.
Tuttavia, c’era una differenza fra lui e Jordan: quest’ultimo non si sentiva all’altezza della situazione e si era per questo esposto ad un sforzo esagerato, mentre l’unico motivo per cui Shawn Frost avesse sentito l’irresistibile desiderio di prendere a calci qualsiasi cosa, il che l’aveva portato a scegliere il pallone, non era voglia di migliorare nel calcio. Eh no.
L’albino diede un calcio alla palla di cuoio bianco e nero, la quale colpì con violenza la rete di cui era composta la porta. Shawn si prese la nuca in mano e sospirò, prima di andare a raccogliere il pallone per fare qualche palleggio. Meno faticoso che tirare e andare a recuperare la palla mille volte di seguito e altrettanto, beh, (in)utile a placare i propri pensieri.
C’erano tante cose che lo preoccupavano; c’erano state. Da quanto la sua famiglia era scomparsa, il lupo dei ghiacci non aveva mai smesso di farsi problemi su tutto e tutti. La paura di rimanere per sempre da solo aveva... innescato qualcosa dentro di lui, qualcosa che lo aveva trasformato così radicalmente che, ne era consapevole, era completamente impazzito.
Avere Hayden nella propria testa come altro si poteva chiamare, se non follia? A dire il vero, aveva ancora qualche dubbio sul fatto che quella fosse solo una reazione del suo inconscio malamente ferito, fatto sta che di bene non gliene aveva fatto neanche di striscio. Shawn non aveva mai davvero pensato di essere peggiore o più inutile di suo fratello, o volendo parlare come tutti erano finiti per il riferircisi, del suo “problema”. Perché, poi, problema?
Hayden non era un problema. Avere Hayden sempre accanto a sé non era un problema, anche se quella vicinanza fosse stata un sogno, una fede incondizionata. Anche adesso, sano come un pesce, il numero nove dell’Inazuma sentiva il fratello minore dentro di sé. Il problema era che prima, non tanto tempo fa, stava cominciato a confondere “Shawn” con “Hayden”. E non sapeva più per quanto tempo il primo sarebbe ancora esistito.
Ecco, questi erano i pensieri che avevano, in genere, sempre afflitto il ragazzo dai capelli argentati. Nessuno l’aveva mai notato prima della vera e propria crisi isterica, l’apice della sua sindrome di personalità multipla o giù di lì, durante la sua collaborazione con la Raimon. Ovviamente, nessuno andava biasimato per questo. Lui non aveva mai detto niente a nessuno, e fatto in modo che persona alcuna lo venisse a sapere. E poi, il fatto che ogni ragazza che si girasse verso di lui diventava automaticamente rossa da capo a piedi (e spesso e volentieri appiccicosa come una vongola ad uno scoglio) aiutava a nascondere le cose.
Beh, quasi ogni ragazza. Prima di tutto c’erano le manager della Raimon, che erano comunque state sempre molto gentili con lui, e forse qualche volta anche messe in soggezione, boh, chi lo sa. E poi c’era la coordinatrice, Bianca. Si ricordava chiaramente la prima volta che si erano parlati. Lei gli aveva chiesto di “starle alla larga”. Gli era stata subito chiara la ragione di quella richiesta, e non fu sorpreso. Però era interessante sentirselo dire per la prima volta in vita sua.
Effettivamente, lui aveva obbedito. Non voleva turbarla; magari per altruismo, semplicemente per non darle fastidio, o magari per puro e semplice egoismo, per non avere altri problemi o conflitti oltre a quelli che aveva giù in numero smisurato nella sua testa. Qualunque fosse stato il motivo, il ragazzo dagli occhi blu ghiaccio secco aveva fatto quasi finta di non conoscerla (atteggiamento ampiamente ricambiato).
Questo non gli aveva certo impedito di osservarla; di tanto in tanto, con la dovuta discrezione, il nuovo centrocampista della Raimon, votato con loro ad affrontare i membri dell’Alius Academy, finiva con il scrutare attentamente nella direzione della ragazza dalla carnagione nivea e l’abbigliamento più eccentrico che avesse mai visto. L’aveva colta in varie occasioni: mentre lavorava, discuteva con l’allenatrice Schiller, oppure quando ridacchiava con Nelly o chiacchierava con Nathan sul pullman su cui la squadra si spostava, o guardava le partite dalla panchina, seduta accanto alle manager.
E molto spesso, in questi frangenti, lei sorrideva. Nonostante quel sorriso non fosse mai rivolto a lui, mai una volta, il ragazzo non poteva fare a meno di notare che quelle labbra rosate piegate verso l’alto in un sorriso avevano un effetto meraviglioso. E ogni volta che la corvina sorrideva, i suoi occhi azzurro cielo diventavano due pozzi d’acqua cristallina, abbandonando la scia malinconica del cielo per toccare quella delicata e pura del mare. Era bella, lei. Era molto bella. Tanto che se non fosse sempre stata scostante con gli sconosciuti, avrebbe avuto una fila dietro lunga quanto quella del ragazzo dalla, all’epoca, doppia personalità.
Lentamente, Shawn aveva notato un fatto interessante. Quando, per qualsivoglia motivo, nominava Axel Blaze, Bianca aveva un brivido. Stringeva o si mordicchiava le labbra, iniziava a torturare le proprie dita intrecciandole tra loro, o posava le mani sulle labbra ad occhi chiusi, come assorta nei suoi pensieri. Il fatto? All’albino, la cosa dava sempre più sui nervi.
Però ignorava quel pungolo che gli pungeva lo stomaco e continuava a rispettare il muro invisibile che Bianca aveva posto fra loro. Anche se quel muro divenne relativamente in fretta la causa del pungolo; e bruciava, bruciava molto. Finché poi ci fu quel paio di giorni ad Osaka, nel grande parco divertimenti in cui la Raimon aveva scoperto una delle basi segrete di allenamento abbandonate dalle squadra della Alius. Quella sosta lì cambiò ogni cosa.
Per la prima volta, Shawn le parlò. La vide lì, in piedi in mezzo alla gente, con le labbra corrucciate e le braccia conserte, che fissava torva qualcosa alla propria destra. Aveva sbuffato, si ricordava il numero nove, e lui non aveva retto. Aveva fatto qualche passo verso di lei, trascinando le due ragazze che gli si erano appese alle braccia nel momento stesso in cui era entrato nel luna park, e le aveva parlato. Lei rispose in malo modo e finì con l’andarsene, ma si erano parlati. E anche se la ragazza aveva suggerito l’idea di non aver apprezzato in particolar modo quel momento, bisognava ammettere che l’albino ne era stato contento.
Non ricordava quanto successo dopo. Qualcosa era successo, durante uno degli allenamenti nella base, questo era certo. Pur avendo lasciando il completo controllo a “Hayden”, che non vedeva l’ora di sfogarsi un po’, il fratello maggiore era in grado di affermare che qualsiasi cosa la sua personalità da attaccante avesse fatto, l’atteggiamento di Bianca da allora cambiò.
Non divenne propriamente amichevole, non subito, tuttavia mutò. Quantomeno non era più così astiosa nei suoi confronti. Certo, sempre restia a parlargli, eppure in maniera diversa, quasi timorosa. All’inizio questo l’aveva fatto preoccupare, nel senso, cosa cavolo aveva fatto Hayden? Non era nemmeno sicuro di volerlo davvero sapere.
E infine, la crisi. Già... quello era stato terribile. Inutile dire “il periodo peggiore della sua vita”, perché andiamo, la sua intera vita era stata un immenso schifo, prima dell’intervento – dan, dan, dan! - di Axel. Beh, prima di questo, c’era stato un ulteriore cambiamento nella ragazza dagli occhi celesti. Piano, molto piano, erano finiti con l’avvicinarsi. Inesplicabilmente, Bianca arrivò a definirlo uno dei suoi migliori amici, cosa che continuava, apparentemente, ad essere.
Il centrocampista sollevò la palla in aria con il piede e la riafferrò di testa, palleggiando un paio di volte prima di colpirla di petto e tornare ai piedi e alle ginocchia, muovendosi ritmicamente, come se stesse ballando insieme al pallone da calcio. A quanto parte stare sveglio fino a tardi non era servito a niente, siccome era finito con il pensare ininterrottamente a Bianca per tutto il tempo. Non che fosse tanto un problema pensare a lei...
Si voltò verso la porta opposta a quella in cui era e tirò con quanta forza aveva nella gamba destra; il tiro fece una lunga strada, finché non perse gradualmente potenza e finì con il rotolare sull’erba sintetica, fino a fermarsi sotto ai piedi di – oh – del “problema”.
-E’ un po’ tardino per giocare a calcio, ti pare?- osservò la voce divertita del capocannoniere dell’Inazuma Japan. Ciò nondimeno, usò il piede per fare leva alla palla sul terreno e palleggiarla un paio di volte sul ginocchio prima di farla piombare ancora ai propri piedi e passarla a Shawn, dopo essersi avvicinato abbastanza.
Seppur stupito, Frost non era dispiaciuto dal vedere arrivare qualcun altro; significava che non era il solo a non avere sonno e in caso non sarebbe stato l’unico ad essere rimproverato.
-Problemi a dormire?- si interessò, colpendo a propria volta la palla verso l’amico.
-Qualcosa del genere.- disse solo quell’altro, ricevendo la sfera di cuoio.
-Capisco.-
Continuarono a passarsi la palla per un tempo che parve ad entrambi interminabile; si chiesero più volte che ore fossero, per quale motivo non avessero freddo nonostante stessero indossando la divisa in piena notte. Non avevano bisogno di chiedersi il perché dell’insonnia- oh, quello lo sapevano benissimo, purtroppo per loro. E, dopo svariati passaggi grazie ai quali probabilmente fecero le ore piccole, il numero nove e il numero dieci cominciarono senza neanche stabilirlo a giocare uno contro uno.
L’ultima volta che avevano fatto una cosa del genere era stata tanto, tanto tempo prima. La notte prima del giorno in cui Shawn aveva superato i cancelli della propria mente ed era diventato una persona normale. Non era finita molto bene, di sicuro essere mollato sotto la pioggia e il rumore burrascoso dei tuoni non aveva reso l’albino più felice del solito, ma beh...
-Non pensare troppo, concentrati sulla palla!- consigliò con un sorriso il biondo, prima di soffiargli con estrema facilità il pallone dai piedi e tirarlo con decisione in porta.
L’interpellato non trattenne una risata. -Non montarti la testa, tu!-

Il tonfo delle loro schiena che battevano contro l’erba sintetica del campo risuonò per un momento nell’aria silenziosa e notturna che li avvolgeva. Silenziosa era leggermente incorretto, dato che il loro respiro pesante forniva un ottimo sottofondo.
-Che ore saranno secondo te?- mugolò Blaze fra un respiro e l’altro, poggiando un braccio sulla fronte e aprendo bene gli occhi neri per osservare il cielo blu.
Il suo interlocutore sospirò. -Tardi. E ancora non ho sonno.- aggiunse a mo’ di lamentela, anche se appariva maggiormente come una constatazione obiettiva.
Il capocannoniere rise. -Come fai a non essere stanco adesso?- inquisì palesemente divertito.
-Non lo so, non lo sono e basta, credo.- si concesse un sorriso. Non era normale, lo sapeva.
Seguì un sottile silenzio, facile da spezzare di netto e così visibile da potersi tagliare con un coltello da cucina. Era un silenzio rilassante; non avrebbe dovuto esserlo in effetti. Se si fossero addormentati là fuori in mezzo al prato si sarebbero ammalati e di brutto.
...
-Bianca ti piace veramente molto, Shawn?-
-Aspetta, cos’èchemihaichiesto?-
-Non era una domanda complicata.-
-Non dovrei parlare della ragazza che mi piace con il suo ragazzo, grazie.- Senza contare tutte le cose che si erano detti l’ultima volta che avevano affrontato l’argomento. Perché adesso se ne era uscito con quel quesito, così fuori dal nulla?
Però il biondo, imperterrito... -Dov’è il problema se sono stato io a cominciare la conversazione?-
-E questo cosa c’entra?-
-Rispondimi e basta!-
L’originario di Hokkaido sospirò. -Sì, Axel, Bianca mi piace davvero, davvero, davvero parecchio.- avvertì la mano del suo interlocutore stringersi intorno al finto prato. Beh, se l’era cercata. -Perché lo volevi sapere, se mi è concesso chiedere?-
Il calciatore dagli occhi color cioccolata fondente esitò un attimo. -Beh...- esordì poi, -Io e lei abbiamo direttamente saltato la parte del “Mi piaci”. Siamo andati direttamente a parlare come due adulti.-
-Psicologicamente parlando, voi siete due adulti.- praticamente corresse l’altro.
Il bomber di fuoco emise un verso. -Non è questo il punto.- comunicò senza negare l’affermazione ricevuta. Cosa c’era da negare? -Il punto è che... nessuno ha mai spiegato a me, e probabilmente neppure a lei, cosa sia l’amore. Cioè, è così semplice affermare di amare una persona, e poi è così difficile spiegare cosa significa amarla. Quindi... è difficile stabilire quanto siano profondi i sentimenti che mi legano a Bianca e viceversa.-
-Capisco ciò che intendi, ma in tutto questo io sono contemplato perché...?-
-Perché me e non te?-
...
...
. . .
-Eh?- l’albino si sollevò, per girarsi e guardare l’amico in faccia, giusto per mostrargli la faccia sconvolta che quella domanda gli aveva provocato. -Eh?- ripeté, statico.
-Hai capito benissimo.- borbottò Axel in risposta, non troppo contento di dover ripetere. -Perché fra noi due, che probabilmente l’amiamo allo stesso modo, lei ha scelto me?- Frost sbatté le palpebre, interdetto. -So che è inutile crivellarsi in questo modo, però io so che un po’ le piaci anche tu, o quantomeno le sei piaciuto da qualche parte durante le sfide contro la Alius.- Come faceva ad esserne così sicuro? Era tentato di chiederglielo, però quello riprese a parlare. -Quindi perché alla fine è andata così?-
-Bella... bella domanda.- il centrocampista dagli occhi blu assentì col capo un paio di volte, con aria riflessiva e al contempo spiazzata. Come immaginarsi di ricevere un ragionamento del genere ad un’ore indefinita della notte? -Forse perché tu e io siamo molto, molto diversi, Axel.- ponderò, appoggiandosi meglio sullo stomaco. -I nostri caratteri sono quasi ai poli opposti.- Togliamo il quasi. -Io non sono sicuro di esserle mai piaciuto la metà di quanto lei piaccia a me, sinceramente. Comunque, anche se fosse, nel suo cuore ci sei solo tu. Tu sei... probabilmente la persona più cara che ha. Non dubito che forse siate troppo maturi per intraprendere una relazione da adolescenti.- Che era basicamente ciò che il biondo aveva detto prima, no? -Tuttavia credo che... credo che lei sia molto felice con te. E’ questo tutto ciò che conta. E anche se non ne trovi il senso, va bene lo stesso. L’amore non ha un senso.-
Axel si sollevò seduto e si girò verso l’amico. -Sei molto profondo.-
-Parlo per la mia esperienza personale.- ribatté prontamente l’altro. -Il mio primo amore è una ragazza che ha esordito la nostra conoscenza con un “stammi alla larga”, che ha aspettato che io impazzissi del tutto per concedermi un sorriso, e che tra l'altro è perdutamente innamorata di uno dei miei migliori amici il quale, tra parentesi, mi fa un po’ paura.-
-Paura?- ripeté con un sorriso sarcastico il biondo.
Shawn gli fornì uno sguardo più che chiaro, limpido. -Axel, tu non hai idea della paura e della soggezione che le tue occhiatacce mettono addosso alla gente.-
Quell’altro rise. -Sono così male?-
-Non tanto come le valanghe, ma quasi.-
Perché quell’affermazione fece ridere entrambi come degli idioti non lo seppero mai.






La Royal Academy non aveva mai avuto un aspetto molto rassicurante; nonostante avesse sempre tentato di negare l’evidenza, Bianca provava un forte senso di angoscia ogni volta che attraversava quei lunghi e pallidi corridoi, soprattutto la sera, quando la luce fioca del tramonto rendeva tutto più lugubre. Quell’istituto non rientrava fra i suoi preferiti, no di certo.
Eppure, quella volta, tutto ciò non sembrava sfiorarla neanche di striscio. Le braccia conserte, o meglio strette ognuna contro il braccio opposto, le dita affondate nella stoffa della gialla da cavallerizza e il suono incessante dei suoi tacchi che le rimbombava nelle orecchie, la giovane coordinatrice sembrava essere fuori da questo mondo. Il sole stava quasi per sparire, e per lei sarebbe già dovuto arrivare il momento di andare a casa, come ogni giorno.
Ma stavolta era diverso. Stavolta, sarebbe stato per non tornare mai più alla Royal.
Fermò il suo cammino stanco solo quando i suoi occhi tremanti non scivolarono lungo i contorni della porta grigia che aveva varcato anche troppe volte per i suoi gusti; sapeva chi avrebbe trovato dall’altra parte, dopo tutto quel tempo aveva imparato gli orari di Dark, era sicura al cento per cento che il “Comandante” fosse ancora lì. Seduto alla sua scrivania, scribacchiando scemenze, decidendo quali altre malefatte compiere.
Bianca Plus non era tipa da tirarsi indietro, no, questo mai. Ciò nonostante, doveva riconoscere di aver paura. Temeva che una volta entrata e sentita su di sé la presenza incessante dello sguardo nascosto del suo datore di lavoro avrebbe perso tutta la forza di volontà che aveva impiegato nel prendere la decisione che adesso l’aveva portata lì davanti.
Era arrivata in ritardo, quel giorno. Dark non se l’era presa, questo no, e la cosa le dava stranamente fastidio. D’altro canto, se l’avesse rimproverata, lei avrebbe dato di sicuro di matto. Lei aveva fatto tardi perché era andata in ospedale. Di nuovo. Era andata lì per la seconda volta in due giorni, solo per scrutare ancora il viso addormentato di quella bambina. L’aveva fatto più per avere un’ulteriore spinta a fare ciò che doveva che per altro.
Tirò un profondo respiro, tanto che le si raffreddarono i denti, e avvertì qualcosa di pesante atterrarle di botto sullo stomaco. La sensazione più strana che avesse mai provato, un fastidio incessante; non doloroso, questo no, tuttavia era come una tortura. Capì alquanto rapidamente che ciò che stava provando era paura, il desiderio di arrendersi, la voglia lasciar stare tutto e nascondersi dietro ai fatti. Ma Bianca Plus non era fatta così.
Sollevò la mano chiusa a pugno e la sbatté un paio di volte, più piano di quanto in realtà intendesse, sulla porta. Aspettò il paio di attimi che ci vollero a Dark di darle il permesso di entrare. Strinse con forza la maniglia bianca, stringendo gli occhi.
La porta si aprì lentamente spinta dal suo stesso braccio, emettendo uno stridulo cigolio che le fece accapponare la pelle. Non credeva che sarebbe mai potuta diventare così fragile, così spaventata ed indifesa, però probabilmente chiunque lo sarebbe stato nella sua situazione. Giusto? Sì, doveva essere così. ...Ah, chi voleva prendere in giro? Aveva paura. Era un fatto.
-‘Sera, Bianca.- la accolse la voce velata dell’uomo. -A cosa devo questa visita fuori orario?- inquisì tranquillamente, come genuinamente curioso.
La corvina cominciò a torturarsi le mani, senza abbassare lo sguardo ad osservare la punta degli stivali, cosa che avrebbe tanto preferito fare. -Al fatto che sono stata stupida.-
-Che intendi?- Ray sollevò appena il viso, e la luce, fioca come al solito, dell’ufficio scarsamente illuminato rifletté sulle lenti scure dei suoi occhiali.
La coordinatrice prese un respiro e puntò i tacchi sul pavimento per darsi sicurezza. -Sono stata molto stupida,- iniziò a spiegare, -quando ho deciso di lavorare per uno come lei.-
-Uno come me?- la Plus strinse i pugni a quella domanda di spiegazioni. Come se ce ne fosse bisogno. I palmi delle mani le prudevano per l’indignazione. Come poteva quell’uomo fingersi così innocente? Cosa c’era di sbagliato in lui?
-Qualcuno- esordì ancora, -Qualcuno senza scrupoli e senza codice morale, proprio come lei.- specificò corrucciandosi. -Ho fatto un errore, quando sono venuta qui. Ho fatto un errore quando ho dimenticato l’espressione di mio padre quando mi ha parlato di lei per la prima volta. Ho sbagliato.- separò le mani l’una dall’altra.
Il cambio di espressione sul viso di Dark non le sfuggì, come non fece la piega quasi divertita che presero le sue labbra. -Togliti il cappello. Non vedo bene i tuoi occhi.- replicò con un tono così falsamente affettato che l’interpellata sentì il desiderio di gridare.
Il cuore prese a batterle più velocemente. Non obbedì a quell’ordine. -Se io non posso guardare i suoi occhi, non le permetterò di vedere i miei.- ribatté. Era contro i suoi principi, non incrociare lo sguardo di chi le stava di fronte. Era come nascondersi. Non mostrare gli occhi alla gente era come evitare confronti, e in genere le dava fastidio.
-Oh, perché? Credo che i tuoi occhi siano più piacevoli da guardare dei miei.-
-La smetta!- sbottò l’adolescente, stringendo i denti. -Non mi interessa cosa lei pensa dei miei occhi! Preferisco cavarmeli piuttosto che ricevere complimenti da uno come lei!- desiderò tagliarsi la lingua per aver alzato tanto la voce. Non era neppure un sollievo.  
L’allenatore parve riflettere per un attimo. Ancora con quel sorriso stampato in volto, ovvio. -Bianca, hai lavorato per me per quasi più di un anno.- le rammentò, affatto colpito da ciò che lei gli aveva detto. -Che è successo?-
La ragazza non distolse lo sguardo a fatica. -Ecco, io, veramente...- si aspettava quella domanda? Ovviamente no! Quell’uomo era impossibile. Gli era bastato distrarla per un secondo da quel che era venuta a dirgli, e lei magicamente si sentiva persa nel nulla.
-Non lo sai?- la interruppe sul nascere il suo datore di lavoro, notando la sua esitazione. Beh, notarla era piuttosto semplice. -Allora forse non era così importante.- No. -Va a casa a farti una dormita.- No! -Domani starai meglio.- Assolutamente no!
-Julia Blaze.-
-Cosa?-
Già, cosa? -Julia, Blaze.- ripeté meccanica, sillabando attentamente quel nome. -Rischia la vita. Rischia di morire.- pregò sé stessa di non continuare. Non voleva mettersi a piangere, non davanti a Dark. No. In generale. Non voleva piangere ancora. -E ha solo cinque anni. Le sembra giusto, signor Dark?- domandò, secca. Era stanca. E aveva paura.
-Bianca, come fai a sapere queste cose?-
-Mi risponda! Le sembra giusto?!-
-La vita non è mai giusta.- la prontezza di quella replica non poté far altro che far salire il bruciore immenso della rabbia lungo l’esofago della coordinatrice. Stava forse venendo presa in giro? Era questo che stava succedendo?
Strinse i pugni. -La vita?- sussurrò, quasi sorpresa. -Come può un individuo come lei, che alla vita non dà valore alcuno, pronto a cancellare ogni futuro ad una povera bambina innocente solo per vincere uno stupido torneo di calcio, essere così presuntuoso da incolpare la vita stessa che lei ha così brutalmente tentato di recidere?!- era tanto tempo che Bianca non diceva ciò che pensava. E anche se una inutilissima e fastidiosa lacrima le era appena cascata lungo la guancia, non si sentiva frustrata neanche la metà di come si sentiva prima.
-Non parlare di cose che non conosci.- fu tutto ciò che l’adulto ebbe da dire, serio.
Lei non lo ascoltò affatto. Non voleva più ascoltarlo. Mai. -Non avrei mai immaginato che potesse essere in grado di arrivare a tanto. Lei è un mostro. Un mostro, mi ha sentito?! Avrei preferito non nascere, piuttosto che nascere per merito suo!!- il brutto era che lo pensava davvero. Almeno, lo pensava durante quella sfuriata. -E non lavorerò mai più per lei.-
Dark si alzò in piedi, e Bianca si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime che premevano per uscire. Le aveva fatto male gridare così tanto contro quell’uomo. Nonostante tutta la rabbia, le aveva provocato dolore dire ciò che pensava. Il cuore le pulsava ancora troppo rapidamente, e un’atroce malinconia prese possesso di lei. La paura tornò a farsi sentire e lei pensò di non aver mai temuto niente come temeva ora la paura stessa. Che cosa banale.
Non attese che Dark formulasse cosa risponderle. Si voltò di scatto, aprì la porta e corse via, senza richiuderla. Più lontano sarebbe arrivata, meglio sarebbe stato. Le faceva male lo stomaco.
Ray si alzò in piedi, e raggiunse l’uscio del suo ufficio, prima di chiuderlo con delicatezza. -Vedremo.-




-Signorina!- una voce completamente sconosciuta raggiunse le orecchie di Bianca, che mugolò come dolorante. -Signorina!- la voce divenne più nitida quando riuscì a svegliarla.
Le palpebre della corvina si spalancarono, i suoi occhi riuscirono finalmente a liberare le lacrime che avevano trattenuto con la forza, spinte dall’inconscio addormentato della coordinatrice. Guardandosi intorno, quest’ultima si ritrovò seduta su una panchina, in una strada alberata, spoglia di persone. Stropicciò con le mani il viso ancora intirizzito dal sonno e bagnato da quell’improvviso e gelido pianto, prima di alzarlo davanti a sé.
Il proprietario della voce che l’aveva svegliata da quell’incubo sospirò di sollievo quando riuscì a guardarla in viso. La carnagione ambrata aveva un colore molto simile a quello dei corti capelli castani che il ragazzo, probabilmente suo coetaneo, aveva in testa. Aveva due larghi e gentili occhi neri, e lei era certa di averlo già visto da qualche parte.
-Grazie al cielo stai bene. Mi stavo preoccupando.- all’occhiata interrogativa che la ragazza gli rivolse, lo sconosciuto in piedi davanti a lei le sorrise. -Ti stavi agitando nel sonno, ti tremavano tantissimo le palpebre, e infatti...- alluse all’acqua che era scorsa giù per il viso dell’interpellata. -Ci ho messo tanto a svegliarti che non era possibile non preoccuparsi!-
Bianca abbassò di scatto la testa per osservare le proprie mani. Era stato un sogno? Era stato solamente un sogno? ...No. No, non lo era stato. Quelle cose lei le aveva dette davvero. Quella scena era realmente accaduta. Furbo, il suo subconscio, a suggerirle quella memoria proprio adesso. Già. Stava cominciando a ricordare cosa era successo. La partita contro l’Orfeo, ecco cosa. Il match era alle porte, e la sola idea di trovarsi contro Dark, di nuovo, l’aveva resa estremamente nervosa. Il giorno prima non era riuscita a chiudere occhio.
Al solito, Travis l’aveva notato. E questa volta persino Jude le aveva detto di riposarsi prima dell’incontro. E quindi eccola là. Addormentatasi dopo una nervosa e semi nevrotica passeggiata per Liocott. E chi sognava? Dark! Ovvio! Perché si sentiva così male? Dark non era più un problema. Qualsiasi cosa fosse successa, si sarebbe risolta. Cosa le stava succedendo?
-Stavi avendo un incubo?- le domandò il ragazzo, sedendosi accanto a lei e destandola dai suoi pensieri.
Lei non portò le sue iridi azzurre su di lui. -Una specie.- ammise, aprendo e chiudendo le mani. -I sogni sono proprio una fregatura. Ti tormentano con il passato, manifestano le tue paure nel presente, danno false speranze o timori per il futuro. Sono una grandissima fregatura.-
Il castano inclinò la testa. -Quale dei tre è il tuo caso, signorina?- domandò, sorridendo ancora.
-Non chiamarmi signorina, per favore. Chiamami Bianca.- ignorò volutamente la domanda. Non che non ne conoscesse la risposta. Semplicemente, non aveva voglia di parlarne con un perfetto sconosciuto. Il caso di Ray Dark era per lei troppo personale.
-Con piacere, Bianca.- lui le porse la mano in segno di saluto. -Io sono...-
-Hidetoshi Nakata. Ex capitano dell’Orfeo.- completò lei al posto suo, stringendogli la mano.
Quello rimase palesemente stupito da quella veritiera affermazione. -E tu come...?-
La bruna ridacchiò. -Conoscere gli avversari è il mio lavoro.- sorrise anche lei. Hide la guardò, ancora perplesso. -Io sono Bianca Plus. Sono la coordinatrice dell’Inazuma Japan.- si presentò meglio la ragazza. -E potrei avere una memoria fotografica.- calcò sulla parola “potrei” con finta innocenza, causando una piccola risata al suo interlocutore. -Grazie per avermi svegliata.- aggiunse poi, più seria, lasciando la mano del coetaneo e giocando con i propri capelli.
-Dovere.- sminuì quell’altro, ignaro di quanto in verità lei gli fosse grata. Si alzò dalla panchina e si stiracchiò un po’, per poi voltarsi verso Bianca. -Piacere di conoscerti.-
-Piacere mio.-
Ci fu una manciata di secondi in cui l’unico suono percepibile era il leggero vento che spostava i lunghi capelli della coordinatrice. Beh, quelli che non erano ben saldi intrappolati nelle sue trecce, ovvio. Curiosamente, durante questo tempo Nakata parve come in riflessione.
-Allora.- cominciò sereno dopo poco, -Ti va di fare due passi?- l’occhiata interrogativa della ragazza non era difficile da cogliere, e l’ex capitano della nazionale italiana si lasciò scappare una piccola risata. -Per distrarti un po’. Non so cosa tu abbia sognato, ma a giudicare da come l’hai vissuto da fuori, non te ne dimenticherai facilmente.- esplicò con serenità. -Se ti va.-
La nippoamericana rimase in silenzio per un attimo, riflettendo su ciò che le era stato appena detto. Da una parte, era alquanto seccata dal fatto che anche una persona appena incontrata si fosse resa conto di quanto lei necessitasse una distrazione, una qualsiasi; dall’altra, era contenta che per una volta la distrazione non le fosse stata imposta.
Quelli che di solito le ordinavano di riposarsi e pensare ad altro lo facevano con tutte le buone intenzioni, e i toni austeri erano quasi sicuramente la prova del fatto che non erano in grado di non essere seri. Quindi, probabilmente, c’era da essere contenti per aver trovato qualcuno che, fosse per cortesia o per vera e propria personalità, le proponesse gentilmente una distrazione. Così, senza neanche conoscerla.
-Dipende.- alzò le spalle, e si sollevò in piedi, incrociando le braccia al petto e osservando la stoffa della sua camicia rossa piegarsi per quel movimento. -Tu dove mi porteresti?-

—-

Hidetoshi trattenne una risata davanti all’espressione perplessa che il suo amico Luca mise su quando si ritrovò davanti Bianca. Non c’era da stupirsi certo, questo no. Era naturale che il biondino non si aspettasse che l’amico giapponese si portasse dietro una ragazza- senza contare poi che l’aveva appena conosciuta per strada. Forse, il castano era troppo gentile persino con gli estranei. Probabilmente, nessuno avrebbe obiettato a questa affermazione.
Dal canto suo, la corvina era semplicemente concentrata nell’analizzare il ragazzo che aveva davanti. Era più o meno alto come Nakata; capelli biondo sporco, occhi grandi con iridi piccole e color castagna, un lieve sprazzo di lentiggini sul naso e un gelato in mano. Ecco, questo era l’amico che  il ragazzo dalla carnagione scura le aveva nominato mentre camminavano.
L’italiano sbatté le palpebre un paio di volte, poi si voltò verso l’amico. Quest’ultimo fece spallucce, e il biondo aspettò un attimo prima di decidere di lasciar stare e voltarsi verso la nippoamericana. -Salve.- salutò, sorridente, eppure visibilmente indeciso su quel che dire.
-Buongiorno.- rispose educatamente la coordinatrice, posando la mano sulla propria rispettiva spalla.
-Io sono Luca.- si presentò l’altro, allungando la mano libera in segno di saluto.
La ragazza lasciò che un sorriso le scorresse sulle labbra chiare e strinse la mano che le veniva posta. -E io sono Bianca.- disse a sua volta, non più troppo sicura che accettare la gentile proposta di Nakata fosse stata una buona idea. Nervosa o meno, lei doveva lavorare.
-E’ la coordinatrice dell’Inazuma Japan.- aggiunse Hidetoshi per lei, rivolgendosi a Luca.
Il ragazzo dagli occhi castani sciolse sorpreso quel tono di dubbio che aveva usato poco prima. -Davvero?- la diretta interessata annuì. -Che forza! E sei anche molto giovane!- esclamò, ammirato. -Quando in TV inquadrano la panchina però, non ti si vede mai.- notò poi.
-E tu che ne sai, abbiamo visto tutte le partite dal vivo.- ribatté scettico il calciatore, inarcando un sopracciglio. Tuttavia non nascose un sorrisetto.
Quell’altro si grattò la guancia. -Ah, ecco perché.- realizzò con innocenza.
Bianca non poté far altro che pensare che appariva infantile. Non tanto per quel breve scambio di battute fra i due ragazzi, bensì per l’impressione generale che le aveva dato. Non era un male di sicuro, anzi. Si sentì appena appena di ridere, anche se non lo fece.
Hide sospirò divertito. -Comunque,- riprese Luca -quando vi siete conosciuti?-
-Circa...- la coetanea lanciò un’occhiata all’orologio da polso. -Dieci minuti fa.- ci fu un “Oh” stupito provenire dal suo interlocutore, che tornò ad essere palesemente confuso e in tutta sincerità incuriosito da quella situazione.
Prima che potesse fare domande, il giapponese lo precedette. -L’ho vista che dormiva agitatamente su una panchina, e stava piangendo nel sonno, quindi ho pensato che distrarla un po’ non fosse una cattiva idea.- espose i fatti con semplicità.
Per qualche ragione, il modo in cui ne parlò fece sentire la Plus come se fosse stata una bambina che aveva perso di vista la madre e che quindi, spaventata, aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno che la facesse sentire meglio e la riportasse a casa. Che scemenza. Sei patetica, B, sei veramente patetica, non fece a meno di sgridarsi mentalmente.
-B-Beh, ho accettato di venire solo perché ero curiosa. Non ho... bisogno di distrarmi...- oh, ma non si era ripromessa di smettere di mentire? ...Ehm. Guardò da un’altra parte, arrossendo appena. Luca non ridacchiò probabilmente per cortesia, mentre Hidetoshi non ebbe questo garbo, facendola arrossire ancora di più. -Ehi!- sbottò infastidita.
Il castano le dedicò un sorriso dispiaciuto e stava per dire qualcosa, tuttavia il biondino non gliene lasciò il tempo. -Ma cosa sognavi di così terribile?- domandò infatti, visibilmente incuriosito.
Mentre Nakata lo guardava eloquentemente, la corvina deglutì a vuoto. -Lunga storia, cose mie.- borbottò. Un’ombra di malinconia le calò a coprire le iridi azzurre. Si chiese per quanto tempo ancora avrebbe sognato ricordi così dolorosi. Quella era già le terza volta.
L’italiano si accorse del suo disagio e, dopo essersi preso una gomitata dall’amico giapponese, le si avvicinò un po’ e le sorrise radioso. -Se ti offro un gelato, in cambio mi sorridi di nuovo?-
-Eh?- l’occhiata perplessa che ricevette in replica lo fece ridere.
-Spero tanto che tu non sia il tipo di persona che sorride poco, perché hai davvero un bel sorriso, e sarebbe un peccato. No?- spiegò come se stesse raccontando una favola ad una bambina di cinque anni. Sempre più patetica, Bianca. Da dietro, Nakata rise, una risata che, la ragazza notò solo ora, non era di scherno. Sembrava contento. Colui che stava parlando parve avere un’idea, poiché spalancò gli occhi scuri e le labbra prima di sorridere ancora. -Ehi, ho voglia di presentarti una persona!- trillò allegro, -E’ in grado di far felici tutti, sono sicuro che ti piacerà da matti!- Non che le lasciasse il tempo di scegliere... -Oh, prima il gelato!-
La coordinatrice rimase interdetta. -Non ho fame... grazie...-
Una persona in grado di far felici tutti. Le venne in mente Mark. O lo zio Daniel. Chissà se questa conoscenza di Luca apparteneva anche lui (lei?) a quella categoria...




Note di _Kiiko
Spoiler: no, non vi appartiene. Ma mi auguro che abbia capito di chi si tratta. Sennò pazienza, prossimo capitolo. Che scriverò in meno tempo! Giuro! No, perdonatemi davvero. Scusatescusatescusatescusatescusatescusatemiiiii.  Il punto è che ho... fatto un casino. A gennaio mi hanno operata all’occhio (lo stesso, di nuovo, problema diverso ma sempre lo stesso occhio), e mi hanno operata ancora a febbraio, ho passato un mese in convalescenza, il mese successivo a studiare il doppio dei miei compagni di classe per recuperare, e ho provato tante volte, tante, tante, tante a buttare giù questo capitolo e non ce l’ho mai fatta, e quindi eccomi qui, come si dice... Six months after. E nel frattempo ho avuto un sacco di idee per quando finirò la parte del FFI (e per il prossimo capitolo, giuro!), e poi ci sarà tutta quella storia di Nelly che probabilmente mi divertirò a scrivere perché devo approfondire così tanto il rapporto fra Nelly e Bianca che non mi sento all’altezza e--
Niente. E niente. Questo è quanto. Sono un po’ emotiva, quindi è meglio se vado a nanna.
  
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