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Autore: Francesco Coterpa    18/05/2014    2 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Le coperte di seta sfioravano appena la pelle morbida. Lui posò la mano sulla testa di lei, smuovendole un poco i capelli e baciandola. Lei sorrise accennando appena la curva delle labbra. Era bellissima. Pelle ambrata liscia come la seta che la copriva, mani leggermente affusolate e leggere come le rose delle pianure dell'Est, occhi color nocciola, un dolce colore simile all'ambra che illuminava anche il sole, capelli color biondo scuro, lisci e lunghi che le coprivano la schiena come in dolce velo che cercava di coprire ciò che in realtà lasciava intravedere, labbra favolosamente morbide, come velluto, grandi seni, necessari per nutrire i futuri figli che probabilmente sarebbero sbocciati da lì a qualche anno. Era una ancella di Venere o meglio era la dea stessa in persona. Era bellissima. Dall'aspetto alla mente geniale e vivace, dalla curiosità all'energia. La notte che aveva appena lasciato il posto al giorno non li aveva visti dormienti ma fiamme che consumano il loro amore tra le i leggeri soffi del vento. Lui la amava. Lei pure. Erano insieme da parecchi anni e si avevano anche consacrato il loro amore grazie al volere degli dei e il tramite dei sacerdoti. Era da tempo che non giungevano notizie importanti il quel lato del mondo, a metà tra la terra del sole e quella del tramonto. Ma quello non era un giorno come gli altri. Lui si alzò dal letto nudo e andò verso la fonte che zampillava acqua chiara, lei rimase invece ancora un poco tra il mondo reale e quello onirico.

Per la stanza vi erano il canto degli uccellini e i leggeri sospiri del vento. Lui si avvicinò al letto per iniziare a vestirsi visto che oramai il sole stava accelerando il suo passo nel cielo. Lei lo spinse sul letto e gli saltò sopra, lo baciò e poi iniziò a scendere. Lui non aveva tempo da perdere ma non poteva ritrarsi al piacere. Quando l'essere bestia vince la parte razionale dell'uomo diventa troppo difficile riprendere la razionalità. Aspettò e lasciò che lei finisse il suo lavoro mentre lui emetteva solo qualche gemito di piacere ogni tanto. Così passò la mattinata, ancora tra le coperte del talamo nuziale che si sporcava spesso del loro amore.

Lei si coricò ancora nel letto, lui invece si alzò, lei gli afferrò le spalle e disse:

“Devi per forza andare a quello stupido concilio?”

“Mi spiace ma deve adempiere a tutti i miei doveri, non solo quelli qui con te” disse sospirando.

“Non puoi rimandare il tutto? In fondo tu sei l'imperatore e chi mai può mettersi contro il tuo volere, contro le tue decisioni.” il suo tono era ancora pienamente erotico e mentre parlava fece scivolare le mani lungo il suo corpo anche se prima ancora che arrivassero all'addome lui le scostò e la guardò negli occhi.

“Questa sera sarò completamente tuo, ma ora veramente non tentarmi ancora, devo andare.” disse lui con tono deciso ma anche un poco deluso, in fondo gli sarebbe piaciuto stare con lei nel letto senza limiti di tempo e senza impegni. Ma il lavoro di un imperatore era impegnativo e si richiedeva spesso la sua presenza nella sala del concilio.

Si vestì con calma, i gambali, la veste ben rifinita e poi la sua immancabile armatura. Nonostante la guerra non toccava più da anni la sua terra non gli importava, gli piaceva metterla per ricordare chi era agli altri e a se stesso, ma soprattutto per ricordare ciò che aveva fatto.

Non aveva mai voluto servi che lo aiutassero a montare la sua preziosa e scalfita armatura, nessuno se non le ancelle della sua amata, poteva mettere piede nelle sue stanze.

Fissò l'elmo che era posto ad un angolo della stanza battuta forte dal sole di mezzogiorno, luccicava quasi in richiamo dei tempi in cui tra la sabbia falciava vite su vite. Era temuto e rispettato per la sua grande maestria nelle armi e soprattutto per la sua ineguagliabile astuzia che lo aveva visto sempre vincente, sia quando la vittoria si profilava all'orizzonte, sia quando la vittoria doveva essere presa negli inferi e riportata in terra. Le leggende su di lui erano molte e troppe esageravano troppo la sua persona e la sua forza. C'era chi diceva che fosse riuscito ad uccidere un drago, chi un golem di pietra, chi uno stregone del Nord. Menzogne, sarebbe stato più facile ottenere l'immortalità che sconfiggere qualcuno dei personaggi che si diceva avesse ucciso. Era ancora muscoloso e vigoroso nonostante l'età iniziava ad avanzare. Uscì dalla stanza e lasciò la moglie in compagnia delle sue ancelle che erano all'uscio della porta ad aspettare degli ordini.

Si incamminò verso la sale dove oramai era quasi terminato il concilio. Si era fissato l'inizio al sorgere del sole e a quest'ora probabilmente era già finito tutto. Per il corridoio marmoreo che attraversava l'immenso palazzo in cui risiedeva come imperatore vide venirgli incontro il “borseggiatore”, colui che si occupava delle entrate ed uscite del regno, il soprannome gli era stato dato per la sua fama che aveva in estremo oriente, un grande succhiatore di denaro. In realtà non era affatto così, la sua era una figura ligia al dovere più di un soldato ben addestrato, e sapeva perfettamente cosa andava fatto e cosa non bisognava fare. Grazie al suo impegno il regno navigava letteralmente nell'oro e la popolazione era fedele, felice e benestante. Sapeva il fatto suo, era una di quelle persone che ogni volta che lo si guardava negli occhi no si poteva capire che cosa potesse pensare in quel preciso istante, la sua cultura era altissima. Si era istruito ad Atene per anni, poi ad Alessandria e infine andò in estremo oriente nel paese degli uomini della seta. Lavorò per i più importanti sovrani dei regni centrali e per l'imperatore dell'occidente. Era una fortuna averlo dalla propria parte. Era necessario. Si stava avvicinando e si iniziava ad intravedere il taglio che percorreva l'occhio sinistro fino alla guancia destra. A suo detto glielo aveva inferto uno spadaccino dell'oriente anche se poi lui lo aveva ammazzato. Infatti nonostante la magrezza e la pacatezza apparente fu uno dei migliori soldati mercenari del mondo valutato anche più di trecento monete d'oro per giornata. Preferiva averlo però a capo del sistema economico che vederselo in battaglia. Era più anziano di lui ma rimaneva una delle poche persone che era riuscita a pareggiare la sua straordinaria abilità combattiva.

“Buon giorno astro del giorno spero abbiate dormito bene” disse chinandosi leggermente col busto.

“Bene, bene. Allora il concilio è terminato?” chiese speranzoso in una risposta affermativa e un poco scocciato dai modi orientaleggianti che utilizzava frequentemente.

“Mi spiace contraddirla mio sovrano ma non è come pensate voi”

“Come sarebbe non avete ancora terminato?” disse con una punta di rassegnazione “Non mi sembravano molti o fondamentali gli argomenti che bisognava trattare” rispose.

“Ecco vede, purtroppo una notizia è arrivata quest'oggi dalla capitale.”

A queste parole si irrigidì di colpo, dalla capitale non potevano che arrivare problemi su problemi e quando non ve ne erano li creavano.

“Di che cosa si tratta?”

“Ecco è per questo che mi stavo dirigendo verso le sue stanze, vi è una estrema urgenza della sua presenza.”

“E perché mai? Avete voi in mano il monopolio economico d'oriente e gli altri hanno i loro ruoli precisi che potete compiere senza restrizione alcuna.” Rispose lui.

“Oh lei mi lusinga, ma vede noi non possiamo compiere quanto richiesto dalla capitale”

“Come sarebbe a dire? Non capisco.” disse confuso.

“Vede non è nei nostri poteri compiere questa missione, se così vogliamo intenderla”

“Di cosa si tratta dimmi così mi risparmio tempo sia io che voi altri.”

“Ecco, mio signore, vede non lo sappiamo o meglio non possiamo saperlo.”

Gli occhi dell'imperatore schizzarono fuori dalle orbite e si incamminò immediatamente verso la sede del concilio mentre il borseggiatore lo seguiva.

“Vede mio signore... il sigillo... noi non potevamo... non siamo autorizzati...”

disse cercando di stare al passo dell'imperatore e nel frattempo parlargli.

“Ti prego dimmi che non è quello che penso io, perché se lo è oggi inizio a decapitare gente” disse con un tono che sembrava ironico anche se un tempo riusciva realmente ad essere così.

“Mio signore purtroppo è così... è arrivato stamattina presto e non possiamo credere a ciò che arriva via voce quindi abbiamo aspettato lei...”

La sale era ora dinnanzi ai due, non vie erano porte ma solo due guardie con lance in mano che si incrociavano e che appena videro i due le scostarono, per poi, una volta entrati, incrociare nuovamente le armi. Vi erano due gradini per avvicinarsi al tavolo della riunione.

Vi erano quattro persone all'interno della riunione, escluso l'imperatore.

Il borseggiatore che lo aveva accompagnato cercando in tutti i modi di calmare la foga omicida e nello stesso tempo terrorizzata dell'imperatore, Nebbia, la spia dell'impero, doveva sapere tutto di tutti e nel caso anche intervenire, era infatti anche un assassino professionista, Il gioielliere, ovvero il capo dei commerci e delle attività lavorative dell'impero, ed infine il maestro di Atene, capo indiscusso della cultura ed istruzione, tutti i doveri militari invece erano propri dell'imperatore e del suo primo generale che non era presente al concilio poiché stava cercando di sedare una rivolta a sud dove, le nuove terre conquistate dall'occidente richiedevano un intervento diretto ed immediato, quindi dall'oriente.

“Oh finalmente sei arrivato!” esclamò il gioielliere nonché suo amico di infanzia ed unico che poteva dargli del tu, sempre però ricordando i diversi gradi che ora portavano.

“Non si dovrebbe accogliere in questo modo il nostro signore” intervenne in modo brusco il borseggiatore.

“Sempre stronzo come sempre tu vero?”

I due si squadrarono con occhi iniettati di sangue, se fossero stati in campo aperto avrebbero certamente sfoderato le loro armi anche se già si poteva intuire l'esito di un possibile scontro tra i due.

“Calma, calma cerchiamo di analizzare la situazione con calma e razionalità ricordandoci che abbiamo una importante...” intervenne il maestro subito fermato dall'attacca brighe.

“Sì, sì, bene, pace e amore per tutti caro il nostro maestro”

“Sarebbe meglio acquietare un poco i toni amici miei e cercare di non lottare tra di noi” intervenne l'imperatore.

I personaggi nella stanza non erano seduti tutti intorno al tavolo. Solo l'imperatore e il gioielliere erano posti davanti alle scartoffie che oscuravano il legno di cui era composto il tavolo, al lato destro vicino alla finestra vi era seduto in silenzio, come al solito, Nebbia, mentre il borseggiatore era in piedi dietro l'imperatore e Il maestro vagava qua e là in preda all'ansia.

“Signori stiamo calmi non vi è necessità di preoccuparsi, in fondo non potranno chiedere chissà cosa.... almeno lo spero” disse il maestro di Atene.

“A mio parere è inaccettabile che dipendiamo ancora de quella caretta che sta affondando e sopravvive solo grazie ai nostri eserciti e denari che non fanno altro che spendere” intervenne il gioielliere.

“Qui non è la sede appropriata per poter discutere di certi argomenti, e non dimentichiamo che è grazie alla caretta che siamo sorti come nuovo impero” intervenne l'imperatore.

“Sì, sì come no, quando e dove potremmo mai discuterne se non in una riunione come questa?” rispose.

“Possiamo vedere di che si tratta almeno?” disse Nebbia.

Tutti si azzittirono in un istante, era raro che parlasse e non tutti ricordavano il suono della sua voce.

“Sono d'accordo siamo qui a disperarci per qualcosa che è possibile anche che sia un semplice errore di timbro” disse il maestro.

“Giusto vediamo la lettera, anche se mi spiace contraddirla ma dubito che un timbro raro come questo possa essere utilizzato in modo così sconsiderato” intervenne l'imperatore.

“Oltre cento anni senza vedere quel timbro ed ora invece eccolo lì sul tavolo apportato ad una pergamena mal arrotolata di cui non sappiamo nulla” disse il gioielliere “Apriamola subito! Cosa stiamo Aspettando!”

“Calma” intervenne ancora in borseggiatore “il timbro riportato è sacro e solo chi è di dovere può romperlo e leggerne il contenuto”

L'imperatore non sapeva cosa fare. Non era mai sceso in uno stato di ansia del genere. Nemmeno suo nonno avrebbe mai potuto vedere quel sigillo, lui invece sì. Era lì, davanti a lui.

Combatté per diversi anni nella fanterie e poi nella cavalleria fino a diventare imperatore, scalando tutti i gradini della carriera militare e avendo anche una buona dose di fortuna. Era la norma ricevere ordini dall'alto ma negli anni precedenti aveva visto morire molti suoi compagni, amici, fratelli, nel loro stesso sangue, aveva combattuto contro veri e propri mostri di crudeltà, contro ogni forma di essere, dall'animale più feroce all'uomo più esperto, era riuscito a uscire illeso dalla celebre battaglia dei Campi Rossi in cui due eserciti, il suo da poche centinaia di unità e l'altro di diverse migliaia, si scontrarono con tanta violenza che per giorni la battaglia andò avanti senza arrestarsi, gli uomini cadevano dopo minuti, ore, o addirittura giorni di strenua battaglia senza fine, anche se al terzo giorno, lui, intoccato, riuscì a stroncare la vita del generale avversario. Col morale a terra e senza più una unità, i pochi superstiti si ritirarono. Ma lì non vi era stato questo sigillo, ve ne era uno importante, una convocazione immediata alle armi, ma non era come questo. Questo non si vedeva da troppo tempo e nel durante erano state combattute battaglie ferocissime contro nemici inimmaginabili. Quindi perché era lì quella lettera? Cosa conteneva?

Iniziò a sudare freddo, mentre gli altri discutevano di sottofondo, tranne Nebbia che era sempre troppo pacato e rilassato e aveva lo sguardo indirizzato verso le mani dell'imperatore, in attesa che aprisse quella stramaledetta lettera che oramai marciva lì da alcune ore. Il cielo si annuvolò.

“Che diamine aprila! Sbrigati!” sbotto il gioielliere.

“Conviene non far attendere la capitale mio signore” aggiunse il borseggiatore.

L'imperatore deglutì poi avvicinò le mani verso la carta mal piegata. Le voci di tutti sprofondarono nel silenzio. Il sacro sigillo d'oro venne rimosso. Con un lieve tremore alle mani aprì la lettera ed iniziò a leggerne il contenuto.

  
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