Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Nereisi    18/05/2014    3 recensioni
Nel bel mezzo di una caotica metropoli, persone dotate di poteri conducono la loro vita nascoste. Celata dietro una barriera vi è il GEA, un istituto che accoglie maghi adolescenti per proteggerli e istruirli, dandogli una protettrice, la Madre, e una sola regola: mai uccidere.
La pace e le spensierate risse verranno brutalmente interrotte da una tremenda guerra per il possesso di un ragazzo senza memoria che si ritroverà, suo malgrado, ad avere a che fare con gatti parlanti, piromani e un improbabile gruppo di attaccabrighe.
"Avete presente quando, senza alcun motivo apparente, vi sentite improvvisamente tendere verso qualcosa o qualcuno, come se ci fosse un qualche tipo di legame che vi unisce? Quando abbiamo degli scatti improvvisi che non ci sappiamo spiegare? Di solito li si lascia perdere e non gli si da importanza, continuando a fare quello che stavamo facendo prima, ritornando alla vita di tutti i giorni.
A volte invece ci si lascia guidare da quell'istinto. Può succedere che si scoprano mondi interi e nuove realtà; e spesso possono far sembrare falsa e strana la quotidianità che prima ci sembrava vera e normale."
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo secondo – La Madre e il GEA
 










 
La prima cosa che Erech avvertì fu una morbida stoffa a contatto con la sua pelle.
Un morbido, caldo tessuto che lo avvolgeva e lo faceva sentire decisamente al sicuro.
Da quanto tempo non aveva dormito così bene e così comodo? Un veloce sguardo ai suoi ricordi tumultuosi e bui e non dovette faticare molto per immaginare che era da tanto, troppo tempo che non succedeva.
Era ancora molto intontito ma riuscì a schiudere leggermente le palpebre.
Intorno a lui, una modesta ma accogliente camera lo ospitava, tinta di bianco e di un allegro azzurro che in qualche modo risvegliò in lui un’antica nostalgia.
Se da una parte voleva tirarsi a sedere e capire dove era finito, dall’altra si sentiva ancora molto stanco e debole, ed in fondo stava così bene che non aveva proprio niente in contrario a riposarsi ancora un po’.
Non sapeva dov’era quel posto, chi l’avesse portato lì e perché ma, dopotutto, quel giorno ne aveva visto di tutti i colori. Poteva, voleva permettersi di riposare.
Stava quasi per riappisolarsi quando delle voci lo misero in allarme. Si irrigidì nel letto, indeciso sul da farsi; poi decise di fingersi addormentato. Fece appena in tempo a chiudere gli occhi che sentì la porta aprirsi e delle persone entrare.
 

- Eccolo, Madre. – una voce maschile. Giovane, probabilmente un suo coetaneo.
- Non farmelo ripetere mille volte, Fenice: quando siamo soli chiamami col mio nome. – questa voce, invece, gli procurò una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale e quasi lo fece saltare sul letto mandando a monte la finzione.
La voce, calda e cristallina, apparteneva di sicuro ad una ragazza che si avvicinò al letto continuando a borbottare, scontenta. – Ma dico io, che razza di soprannome. “Madre”. Sembra così freddo e distaccato! Senza contare che alcuni dei nostri sono più grandi di me… - Erech sentì una mano piccola e fresca posarsi sulla sua fronte. Intanto, le due voci continuavano a discutere.

- Ancora con questa storia… - sospirò seccato il ragazzo – Altro che Madre, sembri una poppante. – la mano si stacco dalla sua fronte mentre la ragazza si girava, facendo arrivare qualche ciocca dei suoi capelli a solleticare il naso di Erech.
- E allora chiamami con il mio nome! – insistette – Io, a differenza di qualcuno, ne vado fiera, Fu… –
Tieni a freno la lingua, Alissa. – ringhiò lui, irritato. – Sei veramente una stupida. Tante premure per tenerti al sicuro e tu mandi tutto a quel paese per un tuo capriccio. -
- Oh, finalmente. – disse lei senza prenderlo sul serio e tornando a voltarsi verso Erech, posandogli di nuovo la mano sulla fronte. A quel nuovo contatto, il ragazzo non poté fare a meno di muovere un po’ la gamba. Avrebbe voluto tantissimo aprire gli occhi e poter vedere  in faccia quella ragazza, la cui sola voce gli evocava echi lontani del suo passato. Il suo nome, poi…. Alissa, se non aveva capito male. Dove l’aveva già sentito?

Compiendo quel movimento però, si accorse che il tessuto del lenzuolo aveva libero accesso alla sua pelle e capì con orrore di essere nudo. Nel frattempo la ragazza si era di nuovo girata verso l’altro – Non sembra essersi rotto nulla. Non ha febbre e la piccola ustione che gli hai procurato posso farla sparire in un attimo. La gamba però è un’altra storia: sento un’energia oscura provenire da lì. Devo dargli un’occhiata. –
Erech ebbe appena il tempo di metabolizzare la frase che sentì il lenzuolo che veniva alzato. Paonazzo, scattò seduto giusto in tempo per coprire con il tessuto il basso ventre e… per far scontrare lo sguardo con gli occhi più blu che avesse mai visto. Due grandi e meravigliosi occhi blu che lo fissavano, sorpresi. Non azzurri: blu scuro. Come gli abissi marini.

Scombussolato da quelle perle cerulee, non riuscì a formulare una frase di senso compiuto e si ritrovò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, incapace di spiccicare parola.
Dopo alcuni secondi si ricordò di avere la lingua e, evitando il suo sguardo, strinse più forte il lenzuolo che lo copriva pronunciando un chiaro ed imbarazzato – N… no. –
Una forte risata ruppe il silenzio ed Erech alzò gli occhi verso la porta (anche quella tinta di un allegro celeste) dove stava appoggiato il ragazzo che, con tutta probabilità, era quello che prima aveva rimproverato Alissa. Era appoggiato allo stipite, un piede sulla porta e le braccia incrociate, la testa abbassata ed incassata tra le spalle per le risate. Aveva i capelli di un rosso intenso e scuro. Erech li trovò insoliti ma belli. Non aveva mai visto una tonalità di rosso come quella. Un’occhiata un po’ più attenta gli fece scorgere delle treccine sul lato sinistro della nuca.
Era vestito in modo semplice: una maglietta nera a maniche corte, dei jeans e una felpa – anch’essa rossa, ma non della stessa sfumatura dei capelli – legata in vita. Quando alzò la testa per guardarlo, in un tripudio di tintinnii metallici, poté chiaramente vedere che anche lui aveva degli occhi particolari: grigio scuro. Come la cenere.

-  Un timido! Da quanto non ne vedevo uno! – fece, prendendolo in giro.
Erech arrossì, colpito nel segno. Fece per dire qualcosa ma la ragazza lo precedette.
- A cuccia, Fenice. Ti ricordo che anche tu quando ti ho dovuto visitare la prima volta ti sei imbarazzato come una femminuccia, quindi non hai proprio nessun diritto di prendere in giro gli altri. – si girò verso di lui, ed Erech sussultò quando i suoi occhi si trovarono a tu per tu con quelli blu di lei – Ciao! Non fare caso al mio amico. Non preoccuparti, chiunque tu sia qui sei al sicuro. – e gli sorrise.
 Ed Erech ci credeva. Per quel che gli riguardava, gli avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e lui ci avrebbe creduto senza il minimo ripensamento.


– Come ti chiami? – la domanda lo colse impreparato. Lei interpretò male la sua esitazione e si tirò su dal lettino dove prima era chinata a visitarlo. Erech fu così in grado di vederla per intero e quello che vide… lo lasciò ancora più rapito di prima.
Se i suoi occhi lo avevano sconvolto per la loro profondità, i suoi capelli lo lasciarono del tutto incredulo.
Azzurri.
Lunghi, lunghissimi capelli azzurri, lasciati liberi di scendere fino a metà schiena. Ad Erech all’inizio parvero strani, ma più la guardava più era convinto che su di lei stessero divinamente.
Come abbigliamento era decisamente diversa da quel Fenice: portava dei pantaloni neri morbidi e lunghi fino alle caviglie. Ad Erech ricordavano quei costumi tradizionali indiani per la danza del ventre, ma in un certo senso erano diversi. Sopra portava solamente un top blu scuro senza maniche e, sorprendentemente, non lo trovò per nulla volgare. Sopra di esso risaltava una collana identica a quella che portava al collo Fenice. A completare il tutto, un camice bianco da dottore.
Erech non ebbe il tempo di chiedere nulla, men che meno perché stesse indossando un camice, che la ragazza prese la parola – Scusa, hai ragione. Dovremmo essere noi a presentarci per primi. Come avrai già capito, lui è Fenice. Ti ha portato qui lui. – Il ragazzo che prima lo aveva preso in giro si staccò dallo stipite  della porta e gli fece un cenno col capo con un sorriso un po’ più composto del precedente. – Io invece… - riportò la sua attenzione sulla ragazza - …sono Mizu. E, se me lo permetterai, ti curerò. – concluse con una nota divertita.
- Mi curerai? Ma come…. – era oltremodo confuso. In effetti questo poteva spiegare il camice ma era davvero troppo giovane per essere un’infermiera. O una dottoressa. Avrà avuto al massimo un paio di anni più di lui! Ma c’era qualcos’altro che non quadrava.
- Ora ci diresti il tuo nome? – lo incalzò
- Io…. Erech. – pronunciò, sovrappensiero. Tornò a portare lo sguardo sulla figura della ragazza – Il tuo nome non era Alissa? –

Le sue parole gelarono la stanza. Fenice lo stava letteralmente scannerizzando con lo sguardo, sospettoso. – Come fai a saperlo? – chiese, intimidatorio.
- Prima…. Prima vi ho sentiti parlare… - balbettò, spaventato.
Il rosso assottigliò lo sguardo. – Dimenticatelo. –
Lo fissò come se gli fosse spuntata un’altra testa. – Cosa? –
Invece di ripetersi, l’altro ragazzo continuò a fissarlo come se volesse atomizzarlo sul posto.
- Oh, quante storie! – la voce cristallina di Mizu (o Alissa? Non ci stava capendo più niente!) ruppe la tensione. – Scusalo, Fenice è leggermente iperprotettivo. – disse, calcando sul “leggermente”. Il ragazzo fece una faccia incredula per poi voltarsi verso la porta, scocciato. Lei si avvicinò di nuovo, fissando i suoi occhi cobalto nei suoi nocciola – Ascoltami. Attentamente. E ti prego di prendermi sul serio. Sono in una posizione scomoda e, per proteggermi, ho dovuto cambiare nome. Non credo tu sia un nemico, ma ti chiedo di non chiamarmi mai con quel nome davanti ad altre persone e di non dirlo a nessuno. Altrimenti, ti tratterò come tale. – nonostante la nota gentile nella sua voce, Erech si rese conto dal suo sguardo fermo che non scherzava. Avrebbe potuto non prenderla sul serio, ma aveva l’impressione che, anche se era una ragazza e appariva debole ed indifesa, avrebbe potuto piegarlo senza sforzi. Assentì, senza staccare gli occhi da quelli di lei.
- Mizu! Ma ti pare il modo?! Che senso ha tenere segreta la cosa se poi tu lo spiattelli al primo che passa?! –
- Oh, non rompere. Ormai lo ha sentito. Finalmente  almeno qualcuno in questo dannato istituto mi chiamerà con il mio nome. Stavo cominciando a dimenticarmelo, persino! –
- Stupida mocciosa! Lo capisci che non è una cosa da prendere alla leggera?! –
- Attento a come parli, idiota d’un piromane! La prossima volta la “stupida mocciosa” potrebbe anche ricucirti il dito al contrario. –
Esasperato, Fenice strinse i pugni, ringhiando qualche insulto tra i denti  e andandosene nella stanza accanto con le mani in tasca.
Di fronte a quello che aveva visto Erech non sapeva se ridere o spaventarsi. La scena a cui aveva appena assistito era esilarante ma qualcosa gli diceva che quella ragazza così bella era perfettamente in grado di mettere in atto le proprie minacce.
Sussultò leggermente quando lei si girò, tornando a esaminare le sue ferite.
- Puoi raccontarmi che cos’è successo? Come sei arrivato qui? Fenice mi ha detto che ti ha trovato incosciente nel giardino. – “Giardino? Quello era un giardino? Non una foresta?”
- Io… non ricordo. Non ricordo nulla. So solo come mi chiamo. –
- Come sarebbe a dire che non ricordi? Mi saprai pur dire da dove vieni! –
Erech fece un sorriso amaro. – Piacerebbe anche a me saperlo. Forse ho fatto qualche tipo di incidente oppure soffro di amnesia… non mi stupirebbe, visto che qualcosa di sbagliato nella mia testa c’è di sicuro. – Mizu lo guardò interrogativa. – Puoi anche non crederci, ma l’unica cosa che mi ricordo è che sono stato inseguito da una specie di mostro. – spiegò arrendevole, certo che lo avrebbe preso per matto.
Lei invece si fece attenta – Fenice! – chiamò con tono urgente, senza smettere di guardarlo. Inaspettatamente, il rosso si materializzò al suo fianco senza nemmeno una protesta. – Vai avanti. Che tipo di mostro? –
Erech strabuzzò gli occhi. Gli stava veramente credendo sulla parola? – Beh… - cominciò cauto, misurando le parole – Era gigantesco. Una bestia che non avevo mai visto prima; e sembrava fatta di ombra pura. –
- Ah. Uno Zwire. –  fece lei, pratica.
- Un che cosa? –
- Uno Zwire. Una bestia d’ombra, come lo hai chiamato tu. È una specie di famiglio evocato dai maghi, normalmente di forma animalesca. È vincolato al padrone e segue i suoi ordini come un guardiano. La materia che lo compone varia da mago a mago e… –
- Aspetta. Aspetta! – la interruppe Erech, che non era riuscito a sottrarsi a quel fiume di parole. – Maghi, mostri, Zwire…. Come fai a sapere tutte queste cose? Come fai a prendermi sul serio?  Mi sarò preso una bella botta, sarò uscito di testa o quello che vuoi… o forse tutto questo gran… - esitò, indeciso su quale termine fosse più appropriato per la situazione nella quale era capitato – casino… in cui mi sono ficcato è solo un gigantesco scherzo. Ma non sono così stupido. La magia non esist… -
Erech si bloccò, senza concludere la frase. Con un’espressione di sufficienza e superiorità, Fenice gli aveva appena portato una mano davanti al viso. Sul palmo, una calda fiamma danzava lenta e ipnotica. Facendo evaporare tutte le poche certezze che il moro credeva di avere.



                                                                                                                                                                                   + + + + + 

 
Rimase lì per qualche secondo, incapace di formulare una frase di senso compiuto, a fissare la lingua di fuoco che gli scaldava la punta del naso. Poi, Fenice chiuse di scatto la mano, soffocando la fiamma. – Dicevi? – disse, sprezzante.
Sapeva che doveva avere paura. Sarebbe stato strano non avercela. Ma stranamente, per l’appunto, non ce l’aveva.
Avrebbe dovuto sentirsi sconvolto, visto che uno dei pochi punti fermi di una persona normale era appena stato spazzato via; eppure Erech si sentì stranamente sollevato di un peso.
Avrebbe dovuto mettersi a urlare, eppure tutto ciò che uscì dalle sue labbra fu un colpevole “Ah.”.
Decisamente, era strano. Ed era ancora più strano che se lo dicesse da solo.
 
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da un nuovo intervento di Mizu.
- Io mi chiedo cosa ho fatto di male per meritarmi un compagno del genere. – la ragazza piantò una gomitata nel fianco del rosso che accusò il colpo, anche se non doveva avergli fatto troppo male. – Cretino, lo hai spaventato. – gli sibilò.
- Tsk. – fu tutto quello che ricevette come risposta.
Mizu sospirò, frustrata.  – Scusalo. Di nuovo. È particolarmente sensibile su questi argomenti. Ti posso assicurare che non vogliamo farti alcun male. –
- Beh…. Se aveste voluto farmene, vi sareste già messi all’opera da un pezzo... no? –  disse Erech, tentando un sorriso incerto.
I due si scambiarono uno sguardo sorpreso, colpiti dall’affermazione; per poi scoppiare in una risata senza fine.
- Ehi, ho appena cambiato idea su di te! – fece Fenice asciugandosi l’angolo di un occhio – Mi piaci! Hai fegato e anche senso dell’umorismo. –
Alissa mi fece un sorriso. - Immagino che avrai delle domande da farci. –
- Beh… me lo stavo chiedendo già da un po’, ma… dove sono? –
Il sorriso si fece più ampio mentre si spostava piroettando al centro della stanza sotto lo sguardo divertito di Erech e rassegnato di Fenice. Si fermò a allargò le braccia, i capelli azzurri che le danzavano intorno al viso.
- Questo e il GEA!  In questo posto accogliamo e proteggiamo quelli come noi, i maghi. – abbassò le braccia, un’espressione leggermente imbarazzata e incerta in volto – O almeno… è così che io ci chiamo. Sinceramente, non ho mai pensato di coniare un termine…. Che dici Fenice, dovrei? –
Il rosso si schiaffò una mano in fronte – Ma ti pare il momento per certe cose?! –
- Hai ragione. Ma continuare a chiamarci maghi non mi sembra molto serio… –
- Chiamarvi? – li interruppe Erech - Vuoi dire che anche tu… -
Mizu gli dedicò un sorriso furbo – Indovinato! –
 
Stranamente, Erech non era stupito nemmeno di questo.
Si limitò a prendere atto della cosa con un cenno consapevole del capo per poi passare alla prossima domanda. – E… cosa fate, esattamente? –
I due lo guardarono con uno sguardo confuso – Che intendi? –
Una voce dall’alto anticipò le parole di Erech.  – Il moccioso vuole sapere se puntiamo alla conquista del mondo o altre cavolate simili. Un pensiero non del tutto privo di logica, in effetti. –
Erech cercò con lo sguardo la persona che aveva parlato; ma non fece in tempo ad alzare lo sguardo che una sagoma nera come il carbone piovve dal soffitto sul letto. Scattò indietro, dimentico del pudore e del dolore alla gamba: il ricordo del precedente incontro ravvicinato con lo Zwire era ancora vivo in lui. Quella cosa era nera e si muoveva…
- Anche se denota un’evidente ristretta capacità celebrale. Se avessimo voluto sottomettere l’umanità lo avremmo fatto già da tempo.  –
… e aveva appena deciso che non gli stava simpatica.
Erech guardò meglio la piccola figura che nel frattempo si era messa seduta. Con sgomento, si accorse che era un gatto. Un gatto dal manto nero e lucente e penetranti occhi verdi.
Balbettò qualcosa, mentre Mizu si portava una mano a coprirsi gli occhi.
Erech spostò allucinato lo sguardo dal felino alla ragazza. – Per caso… è il tuo… famiglio? –  la ragazza negò con il capo, sospirando rassegnata. – No, no. Shingo non è il mio Zwire. –
Con la bocca improvvisamente asciutta Erech tornò a guardare il gatto che, per tutta risposta, continuò a guardarlo come se fosse la creatura più stupida dell’universo.
Ecco, ora sì che era scioccato. E sconcertato. E sconvolto. Era un sacco di cose con la “s”.  Questo non se lo aspettava proprio!
Cercò di rimettere ordine nelle poche idee confuse che aveva, dato che quei due non dicevano nulla e osservavano la situazione come se fosse la cosa più normale dell’universo.
Il felino si avvicinò a Mizu. La ragazza si chinò permettendo all’animale di sussurrarle qualcosa all’orecchio. La turchina si allontanò un attimo per confabulare con Fenice, mentre Shingo tornava a piantare i suoi imperscrutabili occhi verdi su Erech, che notò al suo collo quello che sembrava un collare finemente decorato dal quale pendeva una piccola goccia, fatta dello stesso materiale del collare. Era trasparente e creava un forte contrasto sul nero del pelo. Sembrava vetro. O ghiaccio. O cristallo. Non riusciva a determinarlo, ma in quel momento aveva un altro tipo di problema.
 
- Allora… se non è uno Zwire… devo presumere che gli animali parlano? La cosa non dovrebbe stupirmi, visto che esiste la magia… giusto? – tentò, incerto.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
Poi il gatto esordì con un – Ma allora questo è cretino per davvero. – mentre Fenice e Mizu scoppiarono a ridere.
Erech arrossì. Dalla loro reazione aveva probabilmente detto una castroneria e non sapeva come comportarsi. Poteva mettersi a ridere anche lui, ma il felino lo stava guardando in malo modo. Forse si era offeso.
- Dai Shingo, non ti arrabbiare. È un novellino, non sa ancora nulla del nostro mondo! – lo blandì bonariamente la ragazza.
- Che si dia una mossa ad imparare, allora. È stato fortunato a capitare da noi, fuori non sarebbe durato due minuti. – rimbeccò lui. Si rivolse ad Erech. - La nostra è una vita difficile, moccioso. Cerca di imprimertelo bene nella mente. – poi gli diede altezzosamente le spalle e saltò agilmente in groppa a Fenice, acciambellandosi intorno alle sue spalle e ignorando tutti quanti.
Erech, mortificato e imbarazzato, si strinse nel lenzuolo.
Mizu gli posò una mano sulla spalla. - Tranquillo, non hai fatto niente di male. Fa così con tutti quelli nuovi ma se lo sai prendere per il verso giusto, è un ottimo compagno. Comunque, non ha tutti i torti. Appena usciremo di qui, ti farò un corso accelerato sul nostro mondo: devi sapere almeno i fondamentali. Dopodichè, cercheremo di scoprire cosa è successo alla tua memoria. Per prima cosa, che ne dici se mi fai vedere quelle ferite? –
Lo rassicurò con un piccolo sorriso e, dopo aver ricevuto una risposta affermativa, si mise al lavoro.
 
Le sue mani piccole e fresche gli presero con delicatezza e decisione le braccia , tastandole in vari punti, girandole. Poi passò alla schiena, facendo pressione su varie zone e ponendogli qualche domanda. Infine gli esaminò la gamba.
Erech strinse il lenzuolo fra le dita, sia per l’imbarazzo che per il dolore, ma cercò di sopportare in silenzio.
- Guarda un po’ cosa abbiamo qui… aura oscura. Te l’ha fatta lo Zwire che ti inseguiva? –
- Sì. –
- Mh. -
Mizu portò qualche ciocca di capelli dietro l’orecchio dove, Erech notò, faceva bella mostra di sé un piccolo orecchino d’oro, per poi rivolgergli un sorriso complice.
- Bene, Erech. Durante il tuo soggiorno qui, credo che avrai a che fare con i miei poteri molte volte, ma siccome questa è la tua prima volta… rendiamola speciale! –
Prima ancora di riuscire ad assimilare il significato di quella frase Erech vide Mizu tirarsi su dal lettino.
- Avrai l’onore di ascoltare il pezzo migliore del mio repertorio! – disse con un sorriso.

 
Sotto lo sguardo attento di Erech e impassibile di  Fenice, Mizu abbassò leggermente il capo. Chiuse gli occhi, rilassò le spalle e trasse un profondo respiro. Aprì i palmi delle mani verso di lui e, con sua somma sorpresa, presero a illuminarsi di un tenue bagliore azzurrino. Sembrava vivo. Nonostante il suo colore freddo, dava una sensazione di calore e allo stesso tempo di morbidezza.
L’aria nella stanza si fece improvvisamente più fresca e prese a vorticarle gentilmente intorno gonfiandole il camice e i capelli intorno al viso.
L’aura dalle mani si espanse in tutto il suo corpo rendendolo luminoso, fino a raggiungere il viso.
Quando alzò la testa e aprì gli occhi, il bagliore abbandonò ogni altra parte del suo corpo per concentrarsi solamente sulle mani e nelle iridi, rese ancora più luminescenti da quella luce pulsante.
A Erech, che guardava la scena in religioso silenzio e con la bocca leggermente aperta per lo stupore, parve meravigliosa. La vide avvicinarsi a lui e posare le mani sulla ferita. Sussultò leggermente per il dolore del contatto con la carne viva, ma era così preso che non ci fece quasi caso.
Poi, Mizu schiuse le labbra.
E cantò.

 
Estasiato, Erech sgranò gli occhi e la ammirò mentre, con una voce che doveva avere qualcosa di divino e mistico, faceva sgorgare  dalle labbra parole di un idioma sconosciuto intonandole e armonizzandole in modo così meraviglioso da fare invidia ad un coro di angeli.
Totalmente perso nel suo canto si accorse in ritardo del formicolio alla gamba. Cercò di guardare la ferita ma le mani di Mizu gli impedivano la visuale. Percepiva solo che il dolore andava via via scemando. Dopo qualche secondo anche il bruciore che avvertiva dove la carne viva era a contatto con le mani di lei si affievoliva, trasformandosi in un rinfrescante sollievo.
 
Mizu terminò in un sussurro la canzone e si tirò di nuovo in piedi tirando un sospiro mentre il bagliore azzurrino spariva lentamente.
Erech fece subito scattare lo sguardo verso la ferita accorgendosi con stupore che era sparita. Al suo posto, un nuovo lembo di pelle appena formato e leggermente arrossato ricopriva la zona dove prima c’era la carne martoriata.
 
Mizu gli rivolse un sorriso.
- La ferita alla gamba era senza dubbio quella più grave. Anche io non posso fare molto contro quell’aura oscura: è molto potente. Non sottovalutarmi, però! – riprese il sorriso – L’ho dissolta quasi del tutto. Qualche impacco, un po’ di bende e tra due giorni sarai come nuovo. Forza, in piedi! – lo squadrò per qualche secondo, per poi addolcire la voce. – Perché stai piangendo? –
Erech la guardò confuso, poi si portò una mano al viso.
Quel canto non gli era stato per nulla indifferente, a testimoniarlo le lacrime che copiose rigavano le sue guance. Non se n’era nemmeno accorto.
Quella melodia così dolce e leggera aveva scatenato in lui emozioni tanto intense da indurlo a piangere senza nemmeno rendersene conto.
Ricambiò ancora una volta il suo sguardo, trovandola bellissima ancora una volta.
 
- Ehi pesce lesso ti sei imbambolato? –
Infastidito, Erech volse gli occhi verso Shingo – Sei piuttosto acido per essere una palla di pelo sai? -
Il felino assottigliò gli occhi, fulminandolo.
- Oh, smettetela voi due. –
- Ma è lui che… - cercò di difendersi Erech
– Meno stupidaggini, più informazioni. – lo interruppe il gatto - Non sappiamo quasi nulla di te e tu dici di aver perso la memoria. Io non mi fiderei, ma visto che la Madre ti ha dato la sua fiducia sono costretto a dartela anche io. – si alzò sulle zampe stando in equilibrio sulle spalle di Fenice, che aveva assistito a tutta la scena in silenzio, continuando a fissarlo con i suoi penetranti occhi grigi – Per quel che mi riguarda, il mio dovere è solo istruire i novizi alle regole del nostro mondo. -
Fenice si mosse, raggiungendo il fianco di Mizu. Shingo ne approfittò per salire sulle spalle di lei, facendo addirittura qualche mugolio di apprezzamento quando gli accarezzò il pelo. La ragazza si girò faccia al muro, facendo segno di sbrigarsi e che non avrebbe guardato.
- Vieni, Erech. – il rosso gli tese la mano, aiutandolo ad alzarsi. Quando vide che teneva ancora stretto fra le dita il lenzuolo gli passò una camicia e un paio di jeans – Mi dispiace, ma per adesso ti dovrai accontentare… i tuoi vestiti erano inutilizzabili ed erano solo un ostacolo alle cure. Ti daremo dei nuovi indumenti appena possibile. –
 
Appena ebbe indossato dei vestiti puliti e fu di nuovo in piedi, Mizu si girò e gli indicò la porta.
- Sei pronto? – chiese, con un sorriso scherzoso
- Più o meno. –
Lei ridacchiò, imitata da Fenice. Shingo si limitò a sbuffare, annoiato.
- Andiamo. –
 

                                                                                                                                                                                    + + + + +


                                      

La ragazza dai capelli azzurri aprì la porta della stanza. Come se fossero stati un una camera isolata acusticamente, appena socchiuse la porta un frastuono che prima non era minimamente udibile irruppe nella stanza.
Schiamazzi, grida, rumore di oggetti sbattuti, urla festose, insulti e persino qualche piccola esplosione (“ Di nuovo?! E che cavolo! ”) salutarono l’inizio della sua nuova vita.
Alissa si piazzò di fianco al rettangolo di luce che era la porta, invitandolo ad attraversarlo.
 
- Benvenuto al GEA. –
 
 
 
 
 

Angolino dei Funghi
Buonsalve popolo di EFP! Sono tornata! Ebbene sì, non ci credevo nemmeno io ma sono riuscita a finire il capitolo entro i tempi. Ho fatto una tirata lunghissima fino a mezzanotte, ma finalmente è finita.
Ora, un po’ di spiegazioni: la storia vera e propria comincia da questo capitolo. Avrei voluto farlo un po’ più lungo ma A) non avevo tempo B) mi avrebbe sballato l’ordine dei successivi capitoli C)sarebbe venuta fuori una pappardella di minimo 40 pagine.
Comunque, avete finalmente fatto la sua conoscenza: Mizu, alias Alissa. Alla fine del capitolo ho usato il suo nome “segreto” per dare un tocco più solenne al finale: dopotutto, ora comincia la storia vera e propria!
Appare anche un nuovo “personaggio”: Shingo. Personalmente lo adoro, ma io sono di parte. Adoro tutti i felini! :3
Il povero Erech, spaurito e senza memorie, si ritrova in un posto sconosciuto dove le prime persone che incontra sono dotate di poteri magici e i gatti parlano. È ancora molto spaesato, ma si sa adattare in fretta alle varie situazioni, come vedremo nel prossimo capitolo.
La canzone che canta Alissa mentre cura Erech è presa dall’anime ” Tales of the Abyss”. Il brano in questione è “A song by Tear” se volete ascoltarlo potete trovarlo qui:http://www.youtube.com/watch?v=ci9u8Ht1aao
Purtroppo non sono riuscita a trovare la cover che mi aveva colpita così tanto, ma la canzone di base è questa J  (e se qualcuno potesse illuminarmi sulla lingua della canzone sarebbe il benvenuto! Ho appurato che giapponese non è… se qualcuno sa qualcosa sarebbe gradito il suo parere! )
Il prossimo capitolo sarà molto impegnativo: verrete introdotti nel GEA e parecchi dei dubbi e degli interrogativi che vi siete posti avranno una risposta.
MA! Per questo dovrete aspettare. Stavolta, neanche uno spoiler piccino picciò! u.u
In compenso, vi do un piccolo spunto su cui riflettere: io sono un’appassionata della fisiognomica, dei “nomen omen” e della frase “nomina sunt consequentia rerum”. Perciò, nulla è lasciato al caso!
E ora, passiamo ai ringraziamenti!
Come sempre, ringrazio chi commenta (grazie mille per le recensioni! Mi fate felicissima!), chi ha messo la storia tra le preferite/le seguite/le ricordate e anche chi legge e basta (ma sapete che mi fareste davvero molto contenta se mi lasciaste un commentino!).
 
Al prossimo capitolo!
baci
animelover
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Nereisi