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Autore: Chains_    18/05/2014    31 recensioni

N= {a, i, l, n} A= {a, i, l, n}
Allin guardò il pezzo di carta passatole dal suo compagno di banco e si accigliò, non capendo subito le sue intenzioni.
“A meno N...” Sussurrò Niall scrivendo l'operazione d'insiemistica.
“Uguale insieme vuoto.”
“I nostri nomi!” Esclamò sorpresa la ragazza.
“Sì, sono composti dalle stesse lettere.”
“E se uno viene sottratto all'altro...”
“L'altro si annulla.” Concluse Niall sorridendo.

Quando Allin ebbe la possibilità di frequentare il liceo di Mullingar, non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe stata sconvolta dalla presenza di un ragazzo. Per sfortuna gitana, acrobata nel circo di famiglia, non avrebbe voluto né potuto innamorarsi di un irlandese. Eppure fu grazie a Niall che Allin iniziò a credere in un futuro in cui essere zingara sarebbe stato solo un ricordo. Ma il peggio doveva ancora venire. I due dovevano ancora esser separati.

"Sai cosa c'è, cugina? C'è che è sempre stato A-N, non N-A. Chi vieni sottratto a chi? Ora lui sta ad XFactor ed io qui, distante chissà quanto!"

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=t652GzFXWqc
La Fanfiction prende ispirazione dal vero.
[Personaggisecondari: LittleMix, 5Sos...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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A blind alley.

Bene, finalmente ci siamo. Un capitolo colmo di novità, di intrighi, che finisce proprio sul più bello. Spero che l'attesa sia valsa la lettura. Come sempre, vi invito a leggere le note alla fine, ma soprattutto a recensire, perché vorrei tanto sapere un vostro parere sul finale. Chissà a chi penserete...
Buona lettura!


 

Benché fossero passati alcuni giorni dalla fuga di Allin, Gonzalo non era ancora riuscito a ritrovare la calma. La discussione avuta con Tacho e la sua conclusione lo avevano del tutto stravolto. Anche quella sera, mentre discuteva animatamente con sua cognata Jazmine, seduto al tavolo più appartato di un piccolo bar nella periferia di Madrid, ripensava alle parole di quello che sarebbe dovuto essere già allora lo sposo della figlia acquisita.

"Tacho! Cazzarola, io non lo so cosa le sia preso, quando se ne è andata via!" Aveva ripetuto più volte, in quella scombussolata mattina di diciannove Giugno. Tacho, accortosi dell'assenza di Allin si era recato da lui furiosamente, famelico di spiegazioni.

"Deve tornare da me. Non me ne frega del modo. Io la voglio." Gli aveva risposto il giovane, i capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte, imperlata di sudore dopo la corsa che aveva fatto per cercare Allin in lungo e per largo nel terreno del circo.

"È mia." Aveva ribadito successivamente, orgoglioso come pochi. Lo zingaro aveva sempre amato conquistarsi le cose. Allin doveva essere il prossimo trofeo da vincere.

"Tacho, è inutile stare qui a parlare. È andata via e non tornerà." Gonzalo si stava innervosendo davvero, ma aveva continuato a mantenere un tono calmo, cercando di infondere tranquillità al giovane davanti a lui.

"No! Dannazione! Non mi pare!"

"Marie era molto furba... I tuoi scagnozzi non riusciranno mai trovare Allin." Aveva affermato il circense, incrociando le braccia al petto, desiderando di porre al più presto la parola fine a quella discussione.

Alle sue parole, Tacho non si era di certo riguardato dal ridere, con il fare di una iena davanti alla sua preda. "Forse loro no... Ma tu sì." "Hai una settimana di tempo per decidere e centocinquanta mila euro in palio.” Aveva aggiunto, uscendo con fare canzonatorio dalla roulotte.


"Gonzalo, devi accettare la richiesta di Tacho, cazzo! Hai sentito quanti soldi ci darà?! Basteranno per far uscire Diego dal carcere!" Sbraitò Jazmine, sbattendo il fondo del proprio bicchierino di brandy sul tavolo, riportando così suo cognato alla realtà.

"Che cosa?!" Bisbigliò lui trucemente, riducendo gli occhi a due fessure.

"Sei forse impazzita?! Non eri tu ad amare Allin alla follia?" La donna abbassò gli occhi, incominciando a studiare le venature del piano in legno, pur di non incrociare lo sguardo del cognato. "Mio marito è in carcere!" Esclamò poi, portandosi una mano sul cuore. Mancava, Diego mancava da morire. A lei e alle loro due figlie, Leena e Hannah.

Erano passati solo cinque giorni, da quanto era stato sorpreso dalla polizia a spacciare droga per alcuni malviventi, accecato anche lui dal denaro e dal lusso, come lo era da sempre stato Gonzalo.

"Dobbiamo pagare la cauzione!" Insistette la donna, buttando giù un sorso della bevanda che teneva in mano.

"E' stato un coglione a farsi beccare con la droga tra le mani, come un ragazzino in crisi esistenziale." Le rispose lui, con acidità. Voleva bene al fratello, ma Allin... Allin era scappata, Allin stava incominciando a vivere, dopo che lui e Marie le avevano mentito per diciotto anni, dopo che lui l'aveva letteralmente massacrata per diciotto anni.

"Ecco dove finivano i soldi del circo..." Mormorò poi, scuotendo deluso la testa e sorseggiando anche lui un po' del proprio whisky.

"Allin, infondo, è solo una ragazza. Okay, va bene tutto. L'ho odiata, profondamente, sebbene lei fosse colpevole di niente. Ma ti svelo un segreto." Sospirò il circense, dondolandosi sulla sedia, agitato, ringraziando che l'alcool lo rendesse più incline al colloquio.

"Parte di me, quella razionale ed ancora
umana, l'ha lasciata scappare." Rivelò, a disagio. Sì: lui, proprio lui, quella notte aveva stretto i denti, posto prima la compassione alla sete di denaro, al rancore, alla gelosia.

"Salva tuo fratello. Poi troveremo modo per liberare Allin, ma, ti prego: aiutalo. È sangue del tuo sangue, no?" Gli domandò Jazmine, gli occhi colmi di lacrime, arrossati dall'insonnia e dal dolore che le stava procurando il mettere nuovamente in trappola la giovane nipote.

"Prima la famiglia, Gonzalo." Aggiunse, recitando con amaro sarcasmo una delle prime regole zingare che, sin da quando erano piccoli, gli era stata insegnata dai genitori.

"Vaffanculo." Borbottò l'uomo. La traveller capì: avrebbe accettato la proposta di Tacho.

Una cosa, però, restava certa: in un modo o nell'altro, sempre se fosse riuscito nel suo intento, avrebbe poi salvato Allin dalle luride mani di quello zingaro.

 

* * *


"Ma Niall?" Domandò annoiato Zayn, sdraiato a testa in giù sul proprio letto dell'attico londinese. Era la mattina del ventisei Giugno e il caldo cominciava a sentirsi, rendendo così pesanti i momenti di noia.

Liam voltò la testa verso di lui, impegnato fino all'istante prima a preparare qualcosa da sperperare durante l'intervista televisiva che avrebbero dovuto affrontare nel pomeriggio.

"Sta sul tetto." Disse, senza dare molto peso alle proprie parole, tornando ad immergersi nei suoi pensieri.

Il moro strabuzzò gli occhi. Preoccupato, si alzò di scatto dal letto. "Sei pazzo?!"

"Zay, è una semplicissima tettoia che si trova a due metri da terra, se mai Niall dovesse cadere, si farebbe solo male al sedere." Il castano si alzò dal letto di Louis sul quale era sdraiato, per salire letteralmente sopra a Zayn ed abbracciarlo. A quel contatto entrambi i ragazzi sospirarono. Era bello avere un rapporto simile. Lontani da casa, stavano piano piano imparando ad essere una famiglia, un gruppo di fratelli.

Un rumore di passi fu udibile dalle scale, Louis salì sul soppalco. "Credo stia ascoltando le canzoni di 'Up all night'. Ha una risma di fogli in mano e, se non sbaglio, sono i testi e gli spartiti." Li informò il ragazzo, raggiungendoli sul materasso, per mandare comodamente qualche messaggio di routine ad amici e parenti. Quindi sbloccò il cellulare. Vedere la foto della sua numerosa famiglia immortalata durante il pranzo Natalizio gli fece strano. Era così distante da loro, da qualche mese ormai.

"Ci pensate mai a quando staremo su un palco? Cosa faremo?" Domandò, tenendo gli occhi chiusi, immaginandosi tra il pubblico quelli stessi volti che occupavano da tempo lo schermo del suo iPhone.

Liam scosse la testa. "No, Lou. Io preferisco vivermela alla giornata. Non sappiamo neanche quanto durerà, se durerà il nostro successo. Non abbiamo ancora un album, né il video del nostro primo singolo." Gli rispose poi, dimostrando che stava cercando di restare con i piedi per terra, come credeva saggio fare e come aveva, non a caso, sempre fatto.

"E se sfonderemo? Sarà meraviglioso vivere così!" Anche un Harry sorridente si accasciò sul materasso, che si abbassò sotto al suo peso.

"Musica, album, concerti, fans e soprattutto voi! Per sempre giovani!" Aggiunse entusiasta, poggiando la testa sulla schiena di Louis che si girò di pancia, per fargli dispetto. Il castano poi, per farsi perdonare, gli infilò le mani tra i ricci, massaggiandogli la cute come solo lui aveva il diritto di fare.

 

* * *


All'esterno, Niall si asciugò le lacrime e spense l'iPod, decidendosi a scendere dalla tettoia, entrando al fresco.

"Ho ascoltato solo fino a 'More than this', poi non ce l'ho fatta a proseguire. Domani ricomincio." Disse sospirando, chiudendosi la portafinestra alle spalle.

"Nì..." Mormorò Zayn, affacciatosi dal soppalco appena aveva sentito i suoi passi.

"Va bene, sto bene. Cioè no, non tanto." Balbettò il biondo, finché non si tappò da solo la bocca, per evitare di risultare ancora più ridicolo di quanto non credesse di essere già sembrato. "Sono belle canzoni, comunque." Aggiunse, abbozzando un fiero sorriso.

"Vieni qui." Lo invitò il moro, che subito fu pronto ad accoglierlo tra le braccia e buttarlo sul letto insieme agli altri ragazzi.
Una gomitata sull'anca, una tirata di capelli, in men che non si dica prese il via una lotta a suon di cuscinate che perdurò finché, stremati, non si lasciarono cadere nuovamente su un letto. Niall aveva riso, da impazzire, se ne erano accorti tutti.

"Vi voglio bene." Sussurrò Liam, tutt'a un tratto.

"Ma è tardi e tra poco una macchina passerà a prenderci per andare alla diretta, quindi, se non muovete il culo e vi vestite, stasera non cucino e vi lascio morire di fame." Aggiunse, rovinando l'improvviso momento di dolcezza.
Gli altri quattro borbottarono, ma eseguirono alla svelta il suo ordine.

 

* * *


Il ticchettio tartassante e regolare di un orologio a muro. Il sibilo del vento passante dalle tapparelle delle finestre lasciate spalancate. Il sussurro della televisione, lasciata accesa con il volume al minimo, giusto perché facesse compagnia. Allin si rigirò nel letto matrimoniale della camera d'albergo. La rete del materasso emise un rumore metallico al suo gesto, un cigolio che aveva del sinistro, degno del peggiore degli horror. Il respiro della ragazza si stava facendo pesante, affannoso, mentre, contorcendosi, si rannicchiava sempre più in se stessa, sussurrando parole incomprensibili.

"Salvami." Mugolò, stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani, chiuse a pugno.

Stava sognando, immaginando di crollare, nel vuoto più totale. Vedeva Niall tenderle la mano, il più possibile. Lei non riusciva ad afferrarla. Era vicino, sì, ma non abbastanza. E il buio era troppo, troppo vicino. La fronte imperlata di sudore, le sopracciglia aggrottate, le palpebre strette, le labbra serrate. Allin tremava, rigirandosi nel letto, contorcendosi in agonia.

"No!" D'improvviso spalancò gli occhi, stravolti e vacui. Poi in uno stato di parziale coscienza, perlustrò la stanza facendo spostare lo sguardo da una parte all'altra. Era esattamente come l'aveva lasciata prima di addormentarsi. Anche la città, fuori dalla finestre, era ancora sonnolenta, immersa nel buio più totale.

Con una mano si asciugò parte del sudore sulla fronte, “...Solo un incubo.”, incominciò a ripetersi mentalmente, per calmarsi. Ma la sua aria persa sembrava proprio non passare. Sessanta ticchettii dell'orologio, due soffiate di vento, la televisione si spense automaticamente per inattività. Allin, finalmente, tornò a respirare normalmente, mettendosi a sedere sul letto, con la schiena poggiata alla spalliera in legno. Chiuse quindi gli occhi, aspettò che anche il cuore ricominciasse a prendere il proprio ritmo regolare e solo allora li riaprì. L'angoscia se ne era andata. A tentoni, la ragazza accese la lampada sul comodino più vicino a sé, poi si alzò in piedi, barcollante. Illuminata da una luce soffusa, quella camera sembrava decisamente più accogliente. Infondo, le dispiaceva l'idea che presto, il tempo di trovare un piccolo appartamento o monolocale, avrebbe dovuto abbandonarla. Camminando a piedi nudi, sulla calda moquette azzurrognola, raggiunse il bagno. Rabbrividì quando al caldo del tappeto si sostituì lo spiacevole freddo delle mattonelle bianche. Poco importava, però: aveva bisogno di una doccia. Allin, seppure evitandolo, incrociò il proprio riflesso nello specchio. Non vi si riconobbe. E, la sensazione più spiacevole era la consapevolezza che la colpa di questo non era d'attribuirsi solo all'intervento svolto dal dottor Finnick. Le guance scavate, le occhiaie sotto agli occhi, il rosa del suo bel viso spento contribuivano completamente a farla sembrare un'altra persona. Ma, in fin dei conti, da quanto non mangiava un pasto, anziché uno snack al volo, da quando non si faceva una sana dormita ? Probabilmente da circa una settimana, da quando spaventata era tornata in Irlanda. E in quel momento se ne stava in Inghilterra ed era un'altra persona. Davvero era trascorso così poco tempo? In pochi giorni sembrava aver vissuto mesi, anni. L'incontro con Mr Garen, l'intervento, la breve convalescenza, le pratiche per cambiare del tutto vita, il patrimonio lasciatole dalla madre. "Non posso continuare così, non posso." Constatò la bionda, contraendo le labbra in una smorfia di dolore. Voleva vivere e, finalmente, aveva ogni possibilità di farlo. Ma come sentirsi viva sembrando morta? Allin si spogliò, sussultando per il freddo pungente sulla sua pelle nuda, quindi si portò le mani sulle costole. Incredibile: nel giro di qualche giorno erano diventate visibili, appena sotto al seno. Il mancato allenamento quotidiano aveva accentuato sì quel crollo fisico, ma anche quello mentale. Senza una buona dose di ginnastica, Allin si sentiva molto più inquieta e nervosa. Avrebbe dovuto iniziare a fare qualche altra cosa, questo le sembrava certo. Intanto, però, sentiva di necessitare una lunga doccia calda. Così, in punta di piedi, entrò nel box e subito accese l'acqua che si rivelò meravigliosamente bollente. Dunque chiuse gli occhi, alzando il volto verso lo spruzzino, godendosi il tepore che la stava lentamente avvolgendo. Era rilassante. I lunghi capelli le si appiccicarono alla schiena, risultando una morbida e pesante coperta. Spostandoli su un seno, Allin lasciò che l'acqua potesse scorrere sulla schiena, fermandosi sul sedere, per poi ricominciare la sua corsa verso il basso, scendendo lungo le gambe magre. In pace con se stessa restò immobile, sotto il getto, per un tempo indefinito, poi si sbrigò a lavarsi, cospargendosi con il bagnoschiuma alla vaniglia, il suo preferito, strofinando la pelle finché non risultò ricoperta di candida schiuma. Quando uscì dalla doccia, in una nuvola di vapore, guardò il cielo dalle finestre, chiedendosi che ore fossero, notandolo ancora cupo. Le due e quarantatré. La ragazza sbuffò: non aveva affatto sonno, anzi. Il giorno precedente, infatti, appena giunta a Londra si era affrettata a trovare un albergo ad un costo non troppo eccessivo e, quando era entrata in camera si erano fatte già le sei del pomeriggio. Stanca dal viaggio, si era addormentata poco dopo, in vista della giornata successiva che prevedeva l'andare a cercare non solo un alloggio, ma anche l'iscriversi ad un corso di fotografia. Allin aveva deciso quale sarebbe stata la sua strada. Era stato piuttosto facile, in realtà. Più di quanto avesse mai creduto.

Sin da piccola, era sempre stata affascinata dalla polaroid della mamma. Quando aveva solo dieci anni già si divertiva con lo scattare foto nella pista del circo, immortalando l'espressione degli spettatori. Con gli anni, i suoi soggetti erano cambiati. C'è stato un periodo in cui aveva preso gusto ad immortalare sua madre. Successivamente, quando anche per lei non fu più tempo di andare a scuola, con la complicità della cugina maggiore aveva iniziato ad andare fuori al cancello degli istituti del paese, immortalando su carta lucida attimi tra compagni di classe, chi si disperava per qualche compito imminente, o chi gioiva per la fine delle lezioni. Ma fu a quindici anni il periodo in cui Allin incominciò ad appassionarsi maggiormente allo scattare foto, facendone un hobby ed una valvola di sfogo. Segretamente, Marie, le aveva regalato una polaroid nuova di zecca, tutta per sé, perché sapeva che, senza computer, comprarle una digitale si sarebbe rivelato praticamente inutile. Chissà foto Allin aveva scattato a Niall, di nascosto. Una centinaia, probabilmente. La ragazza rise nella penombra della stanza, continuando a spalmarsi il corpo con profumata crema idratante da banco. Si era era sempre permessa di immortalare il ragazzo solo mentre si appisolava sul prato, nei lunghi pomeriggi passati al parco. Il biondo chiudeva gli occhi, allora lei aveva il via libera. Tirava fuori la macchinetta fotografica dal suo zaino e poi scattava. Forse per debolezza, forse per fragilità o riservatezza, a lei andava bene questo segreto. Infondo, quanto sarebbe sembrata ridicola, agli occhi dell'irlandese, se gli avesse rivelato che gli scattava foto per paura che fosse solo frutto di un sogno? Allin scosse la testa. Aveva fatto bene a tenere nascosta questa sua passione, aiutata anche dal fatto che il circo e la scuola le prendevano la maggior parte del tempo.


Velocemente la ragazza si asciugò i capelli. Le sfioravano quasi il sedere. Avrebbe dovuto farli tagliare, considerando che non era più costretta a tenerli legati, come quando si esibiva per il circo. In quel momento, però non era di certo l'andare da un parrucchiere una delle priorità. Cosa fare per distrarsi? “Dovrei stancarmi.” Convenne Allin, pensando che una bella corsa seguita da un caffè, anziché una dormita, sarebbe stata la giusta medicina per riuscire a riprendere il ciclo giornaliero. Così, scarpe da ginnastica, leggins scuri, felpa larga, Allin raccolse la sua chioma dall'aria indomabile in un'alta coda di cavallo, poi si guardò intorno, afferrò il piccolo Nokia per ogni evenienza e se lo mise in tasca, quindi uscì dalla stanza.

"Dove va, signorina?" Le chiese curioso uno dei camerieri, posto provvisoriamente dietro il bancone della hall.

"A fare una corsa." Rispose semplicemente lei, prima che le fu aperta la porta principale, chiusa durante la notte.

* * *


Seduto sul lettino del suo studio privato di Mullingar, il dottor Finnick scosse la testa, lasciando lo sguardo rivolto verso, anziché verso suo nipote. La paura vissuta qualche ora prima non accennava proprio a smettere di torturarlo. Anche gli abbracci di Jason, accorso lì, cinque minuti dopo la sua chiamata, stavano risultando del tutto vani.

Saranno state le nove della sera, quando cinque uomini, coperti da passamontagna neri, avevano forzato la serratura del suo studio privato, irrompendo all'improvviso. Inizialmente, Finnick non si era affatto lasciato spaventare, pensando si trattasse solo di una rapina, nulla più. Poi, improvvisamente, uno di loro aveva biascicato "Allin." avvicinandoglisi, premendo il proprio pugnale sulla sua gola. Fu allora che, terrorizzato, con le lacrime agli occhi spinto dallo spirito di sopravvivenza, il chirurgo si era sentito costretto a rivelare, seppur in minima parte, tutto ciò che sapeva di Allin, sentendosi uno sporco traditore.

“E' sicuro che stia a Londra, vero?” Gli aveva chiesto un ragazzone dai biondi capelli ricci, togliendosi il passamontagna.

Sì, sì, sicuro.” Gli aveva risposto lui, balbettante. La paura di morire era tanta.

"Dottore, lei vuole vivere, giusto? Bene, che questa visita allora resti tra noi." Aveva aggiunto un uomo sui cinquanta, con capelli scuri e occhi color pece, dopo essersi anche lui scoperto il volto. Poi, lo stesso sconosciuto aveva voltato le spalle, spingendo fuori dallo studio del chirurgo il biondo, seguito da altre tre figure, rimaste incappucciate.
Evidentemente, avevano ottenuto l'informazione che volevano, perché erano andati via con così tanta tranquillità.

"Non avresti potuto fare altro, okay? 'Sti cazzo di zingari!" Sbottò Jason, distogliendo Finnick da un rimuginare affatto benefico.

"Sono stato io un coglione ad offrire anni fa aiuto a quella donna." Borbottò innervosito.

Finnick guardò il nipote, quindi sorrise. "No, Jas. Tu agito bene." Affermò, carezzandogli con estrema fierezza una spalla.

"L'errore l'ho fatto io, ma avevo così paura..." Aggiunse poi, portandosi le mani fra i radi capelli brizzolati, quindi sospirò. "Spero solo che non la trovino." Mormorò, guardando il cielo notturno schiarirsi da fuori la finestra. Era ora di andare a letto anche per lui, seppur, sapeva, si sarebbe rivelato inutile.

 

* * *


Era una serata come le altre nell'attico londinese affittato dalla band che presto avrebbe raggiunto una notorietà del tutto invidiabile. Louis aveva deciso di uscire con un suo vecchio amico, Harry se ne stava stravaccato sul divano a fare zapping incredibilmente nervoso, mentre, in cucina, sebbene fosse un orario bizzarro per farlo, Liam tentava quantomeno di insegnare a Zayn come cucinare cibi basilari, stufo di dover preparare cena e pranzo sempre da solo, perché Harry, oltre ai dolci, non sapeva fare granché.
 


Niall, invece, aveva preferito approfittare della calma dopo l'intervista andata egregiamente, per rifugiarsi un po' in se stesso, tornando su quella tettoia esterna che sembrava essere diventata il suo nuovo rifugio.
"È solo una notte come tante." Biascicò, stendendosi di schiena e lasciando le gambe a penzoloni, contento della poca obliquità della pensilina. Il biondo accese il registratore portatile che aveva tra le mani, in cui, da qualche mese a quella parte lasciava messaggi per Allin, che aveva gradualmente sostituito ai video.

 

"Sto sul tetto, sai? È rilassante osservare la Luna irradiare di luce Londra. Le cose appaiono sotto una diversa prospettiva." Mormorò con voce impastata, chiudendo leggermente le palpebre e strizzando gli occhi, facendo così della Luna e delle chiare stelle corpi dalla forma indefinita, fuochi d'artificio.

"Non riesco a vedere te, ma riesco a vedere le stelle." Niall si fermò un attimo, lasciò scoccare la lingua sul palato, si sedette su, con le ginocchia appoggiate al petto e, come un lupo solitario, rivolse lo sguardo al cielo. "Non le vedi anche tu, queste stesse stelle?" Quasi ululò, soffocando un singhiozzo.

"Ieri ne ho vista una cadere. Era bella, sai? Ma tu lo sei più." Innamorato. Era ancora innamorato perso. Nonostante il tempo. Nonostante i dubbi. Nonostante il dolore. "Fa così male, tutto questo. Non riuscire a non pensarti, vivere un cambiamento così grande, senza te." Rivelò il ragazzo, asciugandosi una lacrima che non avrebbe voluto versare.

"Le ferite che mi hai lasciato non guariranno mai, se non con i tuoi baci." Aggiunse, pensando che, tanto valeva guardare in faccia la realtà, mentre il cielo si incupiva e la luna si eclissava dietro nubi scure, così come si era eclissata quella parte di lui che non conosceva cosa fosse il vero dolore, troppo ingenua e bambinesca per viverlo.

"Sanguinano ogni giorno, tutto il giorno e continueranno a farlo." La voce del biondo iniziò a tremare. Non avrebbe retto a lungo. Deglutì, poi ricominciò a parlare.

"Ti amo e, francamente, lo so. So di essere solo un povero imbecille sognatore eppure..." Un rumore improvviso avvolse la notte. Fuochi d'artificio cominciarono a colorare parte del cielo notturno, donandogli luce, facendo le veci della luna. "Allin, io continuo a credere in noi, seppur possa sembrare pura follia." Sibilò Niall, concludendo la registrazione. Prima di scendere e tornare dagli altri, il giovane si portò una mano sul cuore, quasi fosse un giuramento, o forse un modo per tentare quantomeno di evitare che gli uscisse dal petto, dolorante.
 

* * *


"Ragazzi, sono tornato!" Esordì Louis, entrando nell'attico con un sorriso sghembo ad illuminargli il volto, in attesa di un abbraccio di bentornato da parte di Harry che, però, non arrivò.

Niall, entrando dentro l'appartamento, rimase a godersi la scena.

"Harry?" Louis adocchiò una testa riccia sporgere dallo schienale del divano.

"Oddio, quanto sei geloso Haz." Mormorò il biondo spettatore, dondolando la testa divertito.
Doveva ammettere che godersi il teatrino di quei due non era affatto un brutto modo per non pensare alla voragine che gli divorava il cuore, giorno per giorno.

"Harold Styles. Voglio un tuo abbraccio." Insistette il castano, con fare autoritario.
Il minore del gruppo spense la tivù, incrociando poi le braccia al petto e mettendo su il broncio.

"Fattelo dare dall'amico tuo, l'abbraccio."

"Harry!" Esclamò Louis, avvicinandosi al riccio. "Harry, lo conosco da sempre, è come un fratello per me."

In risposta il ragazzo ottenne solo uno sguardo irritato. "E io che cosa sono, eh? Quello bastardo?!" Domandò Harry, alzandosi per evitare di dir cose che non avrebbe mai voluto uscissero dalla sua bocca.

"Bastardo no, stupido sì e tanto." Mormorò Niall, appoggiatosi al muro. "Mi manca solo una manciata di popcorn", pensò, ridendo tra i baffi.

 

"Tu sei quello piccolo e coccoloso, che adesso alza il culo per andare a bere qualcosa da grandi, insieme al maggiore." Disse convinto Louis, alzandosi dal divano per afferrare una mano di Harry ed avvolgerlo in un abbraccio, poi, non sciogliendo la presa, rivolse uno sguardo divertito a Niall: "Nì, vieni con noi?"


"Sì, credo di averne bisogno." Acconsentì il biondo, infilandosi la giacca di Zayn, perché gli scocciava fare le scale per prendere la sua.

"Zayn, Liam?" I due ragazzi, assorti nel sminuzzare verdure di ogni tipo, alzarono la testa al sentir pronunciare i loro nomi. Zayn con gli occhi luccicanti alla sola idea di seguire i tre, Liam contrariato.

"Andate pure: noi abbiamo da fare qui!" Esordì il castano, alzando il coltello come cenno di saluto che aveva del minaccioso. Il moro sospirò, se non altro il giorno dopo Liam lo avrebbe accompagnato a farsi fare un nuovo tattoo. Sognava, infatti, di ritrovarsi il braccio completamente disegnato, tempo qualche mese.

"Povero Zayn..." Sghignazzarono gli altri tre, entrando allegri in ascensore.

 

* * *


Appena Allin uscì in strada, il freddo gelido penetrò terribilmente nella sua pelle, fino a raggiungere le ossa. Una soffiata di vento le carezzò la nuca, facendola sussultare. La bionda non aveva mai corso prima d'allora, non per fare attività almeno, sempre impegnata con scarpette e body. Con il senno di poi, era anche riuscita ad ammetterlo: le era piaciuto volteggiare in aria, dare vita a balletti mozza fiato, aggiungendo sempre nuove acrobazie. La malinconia stava prendendo il sopravvento. Allin incominciò a correre, a media velocità, prima che il passato vincesse sul presente. "Quel che è stato è stato. Non si torna indietro." Si continuava a ripetere.
Correre, in fin dei conti, non era male. Attenta a non andare addosso ad alberi, biciclette posteggiate, cestini e quant'altro, Allin teneva con fare vigile gli occhi fissi sulla strada. Passò qualche minuto, poi iniziò finalmente ad affaticarsi, sperando che quello sarebbe bastato per dormire la sera. Il cuore iniziò a pompare più forte e frequentemente il sangue tanto che la bionda sentì il suo battere negli orecchi. Un ampio sorriso si formò sul viso della bionda che incominciò ad accelerare il passo. Si sentiva viva. Sentiva il rumore rassicurante del proprio cuore e si ricordava sempre più di non essere una bambola di porcellana, una marionetta da comandare, ma una giovane donna di carne e ossa. Ma era davvero positivo, sentirsi così, per una come lei? I vivi, si sa, si lasciano sopraffare dalle emozioni. Questo non Allin lo aveva proprio calcolato. Ci volle poco prima che il suo sorriso si trasformasse in una smorfia incolore e che lei, abbassando le proprie difese, incominciasse a singhiozzare. Ma no, non pianse e continuò a correre. Era come se, non fermandosi, piano piano si lasciasse tutto alle spalle e il peso che gravava sul cuore diminuisse gradualmente.
"Clarylin." Il suo nome avrebbe pianto al posto suo l'assenza di Niall, lei non avrebbe più versato una sola lacrima, se lo era ripromesso. Avrebbe sofferto in silenzio, di nascosto e poco importava se questo le avrebbe inflitto ancora più dolore. L'unica cosa che contava era e sarebbe stata fingersi felice. Quello sì, l'avrebbe quanto meno aiutata a risultare simpatica, a trovare facilmente lavoro, a vivere. Allin scosse la testa, quando una gocciolina cadde sul suo viso, proprio sulla palpebra dell'occhio destro. Sarebbe potuta sembrare una lacrima, ma il calore, del tutto assente, faceva capire che quella era pioggia. Prevedibile, in effetti, a Londra. E forse sì, forse qualunque altra ragazza avrebbe fatto retromarcia verso l'hotel, ma lei no, lei se ne era sempre fregata di come le stessero capelli e, in più, non doveva neanche preoccuparsi del trucco, perché non ne aveva. Quindi, senza battere ciglio, continuò a correre mantenendo un ritmo regolare, beandosi della sensazione di fresco sulla sua pelle diventata bollente. La ragazza, crogiolandosi nel piacere, chiuse per un attimo di troppo le palpebre, dando così al cervello il tempo per arrivare a pensare qualcosa che lei avrebbe mai voluto ricordare. I brividi di freddo di cui era stata vittima, quando Niall, dopo averla baciata, si ritraeva giusto un po', per riprendere fiato, tornando subito dopo da lei per continuare ad assaggiare la sua carne, bagnandola di calda saliva che sapeva, con il tempo, se solo le cose fossero andate per il meglio, sarebbe stata in grado di sanare ogni sua ferita, anche la più profonda e, solo all'apparenza, incurabile.
Il vento, dapprima calmatosi per un istante, ricominciò a soffiare piegando, seppur leggermente, le fronde degli alberi e facendo cigolare fastidiosamente le insegne dei locali. La pioggia prese a cadere più fitta, battente sull'asfalto. Le nuvole, nel frattempo, avevano coperto del tutto il cielo, dando l'idea che il sole non si stesse affatto svegliando. Sembrava essere ancora il crepuscolo, anziché l'alba. Il momento in cui tutto il modo tace, perché tutto finisce, per poi ricominciare. Un brivido scivolò lungo la schiena di Allin, a cui venne la pelle d'oca. La ragazza sentì l'impulso di fermarsi. Così si guardò intorno, sebbene fosse infastidita dal manto di pioggia che rendeva incerta la visuale. Il panico subentrò, facendo suo respiro ancor più affannoso di quanto non lo fosse già stato per la corsa. Dove diamine era finita? Si era addentrata in una parte di Londra che le sembrava per niente raccomandabile. Per di più, si ritrovava in un vicolo cieco. A sinistra, le entrate di due pub erano disposte l'una accanto all'altra, mentre a destra della strada governava una fila di secchioni della spazzatura, stracolmi. Allin, nervosa, si voltò verso la via da cui era passata. Anche quella pareva aver assunto un aspetto tetro, oscuro. La bionda respirò profondamente, cercando di calmarsi. Cibo putrefatto, vino, umido, sporco, forse urina. Solo questi erano gli odori che riusciva a percepire mentre sentiva la saliva stagnarsi nella sua bocca, non riuscendo a scendere lungo la gola che sembrava essersi fatta molto più stretta del normale. Allin fece per voltarsi, decisa ad andarsene, quando vide delle figure nella penombra.
Forse era solo un'impressione.
Anzi, sicuro era solo un'impressione. E allora perché il cuore di Allin prese a martellare nel suo petto, spingendo contro la gabbia toracica tanto da far male? Le figure si stavano avvicinando, lentamente. Erano vicine, sempre più vicine. Un fascio di luce proveniente da una qualche finestra le illuminò. Allin sussultò.

 

Spazio autrice

Sì, ebbene, ho scelto di tagliare il capitolo proprio nel momento clou. Ma, parliamone insieme. Gonzalo, beh, mie care donzelle, io direi che si sta rivelando un personaggio molto complesso. Volevo infatti allontarnarmi dallo steriotipo e devo dire son contenta dal risultato. Vi avevo detto di tenere d'occhio i due nuovi personaggi, che già si stanno rivelando importanti. In realtà, questo, vi avviso, è solo l'inizio. E poi abbiamo Allin, un Allin diversa, direi che, finalmente ha smesso di piangere, del tutto. O dovrei dire Clarylin? Ecco svelato il perché del nome. E Niall? Beh, ho voluto dedicare un corposo spazio ai ragazzi, perché sinceramente amo immaginare come da sconosciuti siano diventati praticamente fratelli. Okay, direi che posso ritirarmi, non prima di informarvi che, se questa settimana andrà come deve andare e dunque finiranno interrogazioni e compiti in classe potrei tornare ad aggiornare, non dal prossimo aggiornamento, ma dal suo successivo, una volta a settimana. Beh, un'ultima cosa: grazie infinite di tutto, delle recensioni, dell'attesa. Siete importanti e, parlando con altre scrittrici, mi rendo conto che siete davvero fantastiche, credetemi.
Siete la mia forza, a dirla tutta,
Giorgia.

 

   
 
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