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Autore: Birra fredda    19/05/2014    1 recensioni
Aziel è un angelo sfuggito al Paradiso per il suo amore, un demone di nome Belial.
Un amore malato, una passione travolgente, due corpi, un'anima pura e una maledetta che convivono in una casa immersa nel verde delle colline abruzzesi.
Cosa ne sarà dell'amore quando le cose cominceranno a farsi più difficili e sarà ripresa la lotta tra le forze del male e le forze del bene?
Genere: Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una giornata lavorativa come tutte le altre, quella, o forse no.
Aziel sedette alla sua solita sedia, di fianco alla Dottoressa Fontana e osservò i ragazzi che erano seduti a cerchio insieme a lui e alla donna, constatando che c’erano tutti.
Era una donna sulla cinquantina, la Fontana, sempre vispa e professionale, con occhiali quadrati sul naso leggermente aquilino e mani levigate. Nonostante, a primo impatto, potesse sembrare fredda e distaccata, era una persona buona che amava il suo lavoro e avrebbe dato qualsiasi cosa per continuare ad aiutare quei ragazzi e tutti i suoi pazienti fino a che ne avrebbero sentito il bisogno.
Aziel e lei non erano in confidenza, non parlavano molto e se parlavano discutevano solo del reparto, ma lui nutriva un profondo rispetto per lei.
Era risaputo, dopotutto, che gli angeli avevano un sesto senso riguardo i caratteri delle persone. E Aziel l’aveva capito subito che la freddezza della dottoressa era solo uno scudo, che in fondo era un esemplare di essere umano più che rispettabile.
“Buongiorno a tutti” esordì la dottoressa, sporgendosi appena avanti sulla sedia facendo oscillare il suo caschetto scuro.
“Buongiorno” riposero i ragazzi quasi all’unisono, chi a voce alta e chi a voce più bassa. Piero, come al solito, non rispose.
“Cominciamo da Piero oggi, ti va?” continuò la dottoressa, fissando il ragazzino con un sorriso docile sulle labbra.
Piero, se possibile, si fece ancora più piccolo di quanto non fosse. Aveva appena diciannove anni ma fisicamente sembrava averne quindici, tanto era basso e mingherlino, poi lo stare sulla sedia a rotelle non lo aiutava.
“D’accordo” soffiò il ragazzo grattandosi la nuca con una mano.
“Come è andata la tua settimana?”
Piero strinse le labbra e socchiuse gli occhi. Lo faceva spesso, Aziel ci aveva sempre fatto caso. Sembrava che le immagini gli scorressero davanti al volto, così che potesse catturarle una ad una per poi metterle insieme e rispondere degnamente alla domanda della dottoressa Fontana.
“Piuttosto bene” disse, “Giacomo e Nicola hanno scritto delle nuove canzoni e in questa settimana abbiamo provato molto. Sabato suoniamo in un locale, un pub in centro abbastanza conosciuto, dovranno portarmi in braccio perché ci sono degli scalini da scendere e questo un po’ mi intristisce, mi ricorda sempre di non essere autonomo. Poi, verrà mia madre a sentirci.”
“Tua madre?” gli sorrise la dottoressa. “La cosa ti preoccupa?” chiese subito dopo scribacchiando sulla sua cartellina.
“Non molto, no” rispose Piero con un sospiro. “Mi basterà ignorarla e aspettare che sia lei a fare il primo passo. Insomma, non sono preoccupato, sono solo molto curioso di sapere cosa farà e cosa mi dirà.”
Aziel avrebbe voluto abbracciarlo. Sin dal primo momento in cui l’aveva conosciuto, aveva percepito che era diverso dagli altri, un umano non con problemi di depressione, autolesionismo o problemi alimentari. Semplicemente una persona diversa, infilata a forza nella società; una di quelle persone che cerca di salvarsi con la musica.
La dottoressa aprì bocca per rispondergli, ma prima che potesse farlo Piero continuò a parlare. Gli succedeva, a volte, che, al contrario del suo solito essere introverso, cominciava a parlare e parlare a raffica come se potesse andare avanti a tempo indeterminato, come se parlando scaricasse tutta la sua frustrazione.
“Vorrei tanto che mi dicesse che crede in me, vorrei che ci fosse anche lei ad aiutarmi prima di suonare, magari a portare la sedia lungo i gradini di pietra mentre io vengo portato in braccio dai miei amici. Dopo l’incidente è come se loro fossero la mia famiglia e non lei. Papà è morto, in quell’incidente, e questo non possiamo cambiarlo, ma se noi due, i soli piccoli stralci di famiglia che ci è rimasta, ci allontaniamo, allora cosa ci resta?”
Parlò quasi tutto d’un fiato e poi si zittì, chiudendo le labbra con un movimento secco e abbassando lo sguardo.
“A lei le hai mai dette queste cose?” chiese Lisa, prendendogli una mano.
Erano i due che si sono legati di più durante la terapia di gruppo, Piero e Lisa, e sedevano sempre uno accanto all’altra, come calamitati.
“Le ho detto solo che vorrei averla più vicina e mi ha risposto che quando se la sentirà, tornerà ad esse...”
Piero tacque all’improvviso, lasciando la frase a metà, e strinse più forte la mano di Lisa, la dottoressa si irrigidì sulla sedia e Aziel scattò in piedi.
Accadde tutto prima che chiunque potesse razionalmente rendersi conto che stava accadendo.
L’angelo aveva percepito qualcosa di strano, ma, concentrato nell’ascoltare il ragazzino paraplegico, non ci aveva dato peso.
Il pavimento tremò pericolosamente. Un paio di ragazzi caddero dalle sedie, rompendo il cerchio, mentre Lisa si sporse su Piero per ripararlo come uno scudo.
Il panico si diffuse in un attimo, non tanto tra i ragazzi quanto tutt’intorno.
Grida, persone che correvano, che si gettavano sotto i tavoli e si ammassavano contro i muri, pazienti che si precipitavano fuori dal reparto con gli infermieri alle calcagna, i quali, spaventatissimi a loro volta, urlavano loro di fermarsi.
“State calmi” gridò Aziel, sovrastando il baccano. “Sta finendo, non era una scossa di alto magnitudo.”
Non appena l’angelo finì di parlare, tutto tornò immobile. Con qualche istante di ritardo, smisero persino di oscillare i lampadari.
Non era stata una scossa forte, come aveva detto Aziel, però al sesto piano dell’ospedale era sembrata ben altro che niente di grave.
L’angelo si lasciò ricadere sulla sedia mentre i ragazzi riprendevano spaventati i loro posti lanciandosi occhiate preoccupate e sussurri come il terremoto, dannazione e che paura e Piero ringraziava con uno sguardo profondo Lisa, che non si era scostata da lui neanche nel momento in cui aveva udito strillare scappate.
“Tutto okay ragazzi?” si premurò di chiedere la dottoressa ancora tremando di terrore. I ragazzi annuirono in silenzio nell’esatto momento in cui Aziel vide Caliel fare irruzione nel reparto.
Si fissarono per un lungo momento.
Aziel non capiva cosa ci facesse il suo amico lì e per un momento pensò che doveva essere successo qualcosa a Belial, fino a che non vide spuntare anche il demone dietro l’angelo.
“Scusatemi, torno tra un momento” disse velocemente alzandosi e andando via dal cerchio di sedie.
Belial e Caliel si odiavano ed erano lì, insieme, sul suo posto di lavoro. Belial e Caliel non si rivolgevano la parola, se non per discutere o per assoluta necessità, ed ora si trovavano di fronte a lui uno accanto all’altro.
“Che ci fate qui?” domandò Aziel con un filo di voce.
“Dobbiamo andare via” rispose secco Belial. “Siamo venuti a prenderti, non abbiamo molto tempo, quindi vedi di muoverti.”
“Perché? Che succede?” chiese ancora il biondo continuando a non capire, cercando gli occhi verdi di Caliel che non gli avrebbero mentito.
L’angelo chinò lo sguardo, incapace di reggere l’occhiata cristallina dell’amico. Il demone sbuffò d’impazienza e afferrò un braccio dell’amante conficcandogli gli artigli nella carne.
“Non abbiamo tempo per le vostre menate da angioletti” disse in un soffio di rabbia. “Andiamo.”
Aziel non ebbe il tempo di rendersi conto di nulla, né del cenno di assenso di Caliel, né degli occhi spalancati e increduli della dottoressa Fontana che, stupita, non gli aveva urlato neanche un dove vai?, né di Belial preoccupato.
Si ritrovò a correre a seguito dell’amante e dell’amico lungo i gradini dell’ospedale fino al terrazzo dove Bel l’aveva lasciato andare quella mattina stessa.
Spiegarono le ali e si sollevarono nel cielo.
Aziel per un po’ rimase in silenzio e si limitò a volare al fianco di Caliel, seguendo Belial che li guidava verso sud. Le colline verdi dell’Abruzzo scorrevano veloci sotto di loro.
Solo quando si trovarono quasi al confine con il Molise, l’angelo biondo si decise a parlare.
“Posso sapere dove stiamo andando?” disse in un urlo per farsi sentire dagli altri due.
“Lo vedrai” gridò in risposta il demone, voltando appena la faccia per guardarlo.
“È successo qualcosa?” tentò nuovamente Aziel dopo qualche istante di silenzio, non riuscendo proprio a capire perché tanta segretezza.
Caliel lo guardò. “Ultimamente sono successe cose strane” disse colmo di rammarico nella voce. “Anche il terremoto di poco fa non è stato provocato da cause naturali. Avrai sentito che ultimamente ci sono stati molti maremoti, incendi e quant’altro un po’ ovunque...”
“Caliel stringi” si indispettì Aziel, sempre più preoccupato.
“Beh avrai anche sentito delle voci che girano, di nuove guerre che si combatteranno, di alcune popolazioni che saranno sterminate...”
“Caliel.”
Caliel si passò una mano tra i capelli color mogano e sospirò. Non pensava che fosse tanto difficile dirlo ad Aziel dopo averlo detto a Belial.
Con il demone era stato semplice, aveva sputato fuori la verità in un colpo solo e aveva atteso la reazione dell’altro che era consistita semplicemente in un asciutto andiamo a prendere l’angioletto.
“Caliel mi stai facendo spaventare” si stizzì il biondo.
“L’apocalisse, Aziel. Il Giudizio Universale. Dovremo combattere, angeli contro demoni, il bene contro il male.”
















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Okay, diciamo che da questo momento in poi dovrebbe cambiare tutto per i due amanti. Dovranno proseguire la loro esistenza con la consapevolezza di sta andando incontro a uno scontro frontale su due fronti opposti. Quali saranno le loro reazioni? Beh, io lo so già, ho scritto anche le bozze dei due prossimi capitoli, ma voglio conoscere anche le vostre aspettative. Come sempre non vi mangio se mi recensite, anzi, ne sono più che felice.
Grazie a tutti voi che seguite questa long,
Echelon_Sun

 
  
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