Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Artemisia89    30/07/2008    0 recensioni
<< Clara, mi stai ascoltando? >>
<< Certo Marguerite, si. >>
<< Guarda laggiù allora. >>
Per un attimo Clara pensò con una risata che non avrebbe nemmeno dovuto assaggiare lo champagne. Lei non reggeva l’alcool: non le piaceva, le faceva venire il mal di testa. E ora anche le allucinazioni uditive. Le scarpe non parlano, Clara. Le scarpe non…
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Chiara

 

[ Her eyes

She’s on the dark side

Neutralize

Every man in sight]

 

 

 

Immagina.

Lui, siede in un bar e beve un caffè. Ebbene, immagina. La sua maglia chiara e dorata come l’alba sulla sabbia, i suoi ricci spinti malamente indietro, i sandali ai piedi come un pellegrino. Immagina le sue labbra sulla tazza bianca, quella singola goccia di caffè che scivola giù dal bordo, e macchia il candore del piattino.

L’uomo guarda prima il barista – gilet nero, camicia bianca, niente di nuovo – e poi l’orologio sopra di lui. Sono le sei di pomeriggio, e lui beve un caffè in un piccolo bar di via Cesalpino, appena a lato del dipartimento di Studi linguistici e letterari.

Immagina, lui la sta aspettando, e si chiede se aspetterà ancora per qualche ora.

Si guarda intorno: non beve un caffè in un bar normale da anni, probabilmente. Da quando si era laureato, e dopo il ristorante aveva vagato con Louis per le vie di Parigi tutta la notte. Alle cinque sembravano due cadaveri, e le rispettive famiglie avevano dovuto sborsare considerevoli somme per evitare che quelle foto apparissero nelle ultime pagine di Le Figaro. E non tanto per la sbronza, quanto esattamente per le pagine: suo padre diceva che sui giornali o si ha le prime pagine o è assolutamente inutile esserci.

E il babbo stava sempre in prima.

<< Macchiato, signore? >>

Non si accorse di aver ordinato un altro caffè, come non si accorse dell’ora e mezza che era trascorsa. Era venuto a Roma per una certa questione – una seccatura – ora invece si riscoprì avere un obiettivo. Rise al fluttuare di quella parola nella sua testa. Obiettivo. Si, esattamente. Doveva trovarla, doveva convincerla a venire con lui…

<< Si. Veloce per favore. >>

Poi avrebbe deciso cosa fare: l’importante era rivederla.

 

Quando la sera prima, dopo il breve aperitivo che avevano bevuto insieme lei lo aveva pregato di riportarla a casa, quasi non ci credette. Incroyable. Non era mai stato rifiutato da una donna, nemmeno da quelle più belle. Ogni serata aveva un chiaro evolversi: si iniziava con le presentazioni e si finiva a letto. Poi la mattina dopo non era importante, ma la notte – la notte – veniva innalzata a metafora di una vita intera.

Tout devrait faire le sexe, concluse. Ci sarebbero meno guerre.

Bevve con un sorso il secondo caffè, prese la giacca e mentre pagava gettava uno sguardo fuori, al cancello del Dipartimento, dove alcune ragazze si erano riunite per chiacchierare. Libri stretti sul seno, gli zaini sulle spalle, gli occhiali da sole ben calati sul naso.

Lei non c’era, ma poi, ad un tratto, la vide.

Scendeva le scale di marmo con una risolutezza che François ammirò grandemente: i sandali bassi ai piedi, una semplice gonna di jeans e una sobria maglietta bianca. Bella comme une fleur, sussurrò prima di andarle incontro.

Clara aveva già raggiunto l’angolo della strada, maledicendosi per la sua sbadataggine: aveva perso la patente. Non che guidasse, sia chiaro. A Roma era impossibile farlo, per una come lei. Lei aveva bisogno di strade a due corsie, rettilinee e magari in mezzo al nulla. Ripeteva già mentalmente la trafila che avrebbe dovuto fare per denunciarne la scomparsa quando si sentì trattenere dal braccio.

<< Bonjour, Mlle.>>

Clara strabuzzò gli occhi, guardò a terra, di lato e poi ancora l’orologio. Poi riguardò l’uomo. Lo smoking nero. Toccò il braccio che tratteneva il suo.

<< Ma allora lei non è stato un sogno, signore. >>

François rise, scuotendo la testa. Le porse il braccio, la ragazza lo guardò titubante, poi accettò, cercando di farglielo abbassare il più possibile. Cominciarono a camminare, mentre lei si voltava continuamente indietro, sbirciando le sue colleghe d’università.

Fortunatamente, sembravano non essersi accorte di nulla: tirò un sospiro di sollievo.

<< La imbarazza farsi vedere in giro con me? >>

<< Mi imbarazza farmi rivedere da lei. Ieri sono stata molto…sfrontata, signore. >>

Rise. Lei sfrontata. Lui voleva portarla a letto, e lei era la sfrontata. Ma no, forse questo era meglio non dirglielo.

<< No, affatto, Mlle. È stato un piacere conversare con lei, anche se le sue parole sono state poche e … più adatte ad un dialogo da romanzo, che ad un incontro tra due persone che si sono appena conosciute. Ma possiamo riparare..se le va. >>

Clara lo guardò curiosa, e anche un po’ spaventata.

<< Cosa intende dire? >>

Ah, délicieux.

<< Ieri sera nella mia macchina – ricorda quando le è caduta la borsetta? Ho trovato alcune cose che, evidentemente, non ha raccolto. Ora non so se lei lo ha fatto di proposito (il che mi lusingherebbe, sia chiaro) ma sappia che in questo momento sono tutte nel mio appartamento, qui a Roma. >>

Clara pensò un attimo, poi collegò.

<< …la patente! >>

<< Oui, exactement. Deve venire a recuperarla. >>

Clara ci pensò un attimo. Andare da lui significava non tornare a casa, non sistemare l’abito azzurro ancora gettato sulla sedia. Andare da lui significava disordinare ulteriormente la sua vita. Entropia.

Lo smoking nero – ancora più bello senza smoking nero – aspettava la sua risposta che arrivò, con un lungo sospiro.

<< …andiamo.>>

Questa volta lui rise ancora di più, e non solo di soddisfazione.

 

L’appartamento – un super attico di via Veneto, ovviamente -  era, in una sola parola, bianco. Bianche le poltrone, bianche i muri, bianchi i pochi soprammobili. Bianchi anche i fiori dell’unica, grande pianta che troneggiava nel centro della grande sala che fungeva da ingresso. Tutto bianco, pensò Clara, come in paradiso. Ma lo smoking nero le sembrò quanto di più lontano ci potesse essere da un angelo dai boccoli d’oro, alucce e tutto il resto. Quando avevano salito le scale, lui le aveva ceduto volentieri il passo con un gesto fluido della mano: Clara si era sentita bloccata. Dare le spalle ad un demonio. No, non era cosa da poco. Spalle, fondoschiena. Affatto. Sentiva lo sguardo di lui scivolarle addosso, impigliarsi e infiltrarsi in ogni piega della gonna come un liquido vischioso. Sarebbe stato così difficile lavarsi via quella sensazione, che probabilmente tutto quello le sarebbe servito da monito.

Non si fa Clara, non si fa.

<< Mlle? >>

Clara si volse con un sorriso di cortesia stampato sul volto. Una brezza leggerissima entrava dalle grandi portefinestre aperte. C’era qualcosa del locale che le piaceva tantissimo, che quasi invidiava. Non si trattava  solo dell’importanza dell’ubicazione, e nemmeno dell’ampiezza. Era qualcos’altro di così semplice che le sfuggiva.

<< Si? >> Un quadro. Aveva visto un abbozzo di colore sul muro bianco della saga successiva. Un impulso fortissimo e infantile di correre e andare a scoprire cosa venne represso solo a fatica. 

<< Mi segua, venga. Ho lasciato la sua patente nel mio studio. >>

Con euforia se possibile ancora più infantile, vide che  François la stava portando esattamente dove il cuore di lei desiderava andare. Clara avrebbe riflettuto sulla portata catastrofica di quel pomeriggio solo a distanza di anni, quando avrebbe appreso della scomparsa improvvisa di lui e ancor prima, semplicemente, appena uscita dall’appartamento. L’appartamento. Dove aveva letto di quella magica, squallida, cadente garçoniere? La Duras, giusto. L’amante. Quelle tende bianche a fluttuare nella sala, sfiorandola come garze sottili, come veli. Come vele.

L’uomo si mosse veloce, aggirando la scrivania e prendendo la patente da un cassetto . Con un sorriso la cercò, la guardò e la porse alla sua legittima proprietaria. Ma la ragazza stava a bocca aperta, persa in quei colori tenui eppure così violenti , che spiccavano nel quadro alle spalle dello studio.

Il quadro era semplice. Semplicissimo. Banale, mediocre quasi.

La prospettiva partiva da un balconcino in ferro battuto, allargandosi via via, aumentando di profondità. Il balcone, circondato di buganvillea rampicante dava direttamente e senza molti indugi sul mare. Un blu spaventoso che quasi l’atterrì. Nessuna barca in lontananza, nemmeno l’ombra di una vela.

<< è il mare? >>

<< No, Mlle. Est l’océan.

<< L’oceano?! >>

<< Si. – sorrise con gusto – quella è casa mia. >>

<< Ma anche questa è casa vostra. >>

Questa casa è la barca che manca al quadro, sembrò dire lui.  

 

Le ore passarono. Potremmo dire che passarono nel vuoto, che passarono contraddittoriamente veloci, ma noi diremo invece che passarono nella calma di quel bianco irreale. Fu come un’ipnosi. Clara si ritrovò persa già prima ancora di accettare l’inizio di una conversazione “sempre nel massimo del decoro”. Persino Jane Austen avrebbe approvato.  Lui parlava con una calma e una grazia che, da linguista, apprezzò a dismisura. Era un uomo a cui piaceva la parola, quindi parlava. Lei, delle parole, era innamorata. E quindi ascoltava.

Rimasero seduti sul divanetto – bianco – dello studio, a volte ridendo, a volte assorti. Lui le parlò della sua isola, D’Ouessant, e della famiglia, degli studi. Lei ascoltò voracemente, quasi invidiosa di quell’isola, di quel balconcino sull’oceano. Quando lui le chiese di soddisfare la sua curiosità – dimmi qualcosa di te. – erano già passati al tu, senza nemmeno accorgersene. Il Tu, galeotto fu il pronome.

<< Ho una vita noiosa. >>

<< Ce l’hai. Molti ti invidierebbero. >>

<< Non saprei. Forse. >>

Attesero.

<< Sono nata qui, ma ho trascorso la mia infanzia altrove. >>

<< Altrove? >>

<< Altrove, si. In campagna. Una periferia triste e immutabile. L’altalena sempre cigolante, la parrocchia di domenica, gli anniversari, le processioni. Cose così. >>

<< Sembra…pittoresco. >>

Lei lo guardò,  ridendo.

<< No che non lo è. >>

<< E non c’era un campo sterminato dietro casa tua?  >>

<< Si, c’era. >>

Si avvicinò. Le loro ginocchia si toccavano. La pelle nuda di lei, e fuori cominciava ad imbrunire. Che ore erano? Dov’erano? Tutto il disordine, l’entropia del mondo cresceva dentro di lei. Quella bestia, nello stomaco, che si dibatteva nelle acque sempre calme del suo spirito. Le processioni, le domeniche, gli anniversari..

E si avvicinava, lui, si avvicinava. A lei.

<< E tu correvi nell’erba alta, nella notte? E ridevi? E cadevi esausta in mezzo al campo?

La sua mano saliva. Dalla gonna su, misteriosamente, alla guancia. Si, cadeva. Cadeva stordita in mezzo al prato della sua infanzia. Ci stava ricadendo, adesso. Si sentiva sprofondare, nel divano da lui, prima che dal suo corpo, e quella mano che le accarezzava i capelli, che disegnava un sentiero tra il suo orecchio e la clavicola. Sussurrava. La sua gamba tra le sue gambe. Lo ebbe addosso, la sfiorava appena. Era terribile. Così terribilmente bello che Clara credette di morirne. Sussurrava.

 

E c’erano, le lucciole in quel campo? E hai mai provato a catturarne una? Ed eri sola? Sempre sola, sempre sola in quell’attimo solo per te. Solo per te. Le lucciole, e i profumi, e l’erba alta. C’era la vita, vero? Riprenditela, riprendi questa vita, che è solo per te Clara, è solo per te.

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Artemisia89