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Autore: Artemisia89    30/06/2008    2 recensioni
<< Clara, mi stai ascoltando? >>
<< Certo Marguerite, si. >>
<< Guarda laggiù allora. >>
Per un attimo Clara pensò con una risata che non avrebbe nemmeno dovuto assaggiare lo champagne. Lei non reggeva l’alcool: non le piaceva, le faceva venire il mal di testa. E ora anche le allucinazioni uditive. Le scarpe non parlano, Clara. Le scarpe non…
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chiara

 

 

To Love You

[ You are my angel
Come from way above
To bring me love
]

 

 

 

 

“Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?”
 Romeo e Giulietta, William Shakespeare

 

“I ragazzi che s'amano non ci sono per nessuno, sono altrove, ben più lontano della notte.”
Jacques Prévert

 

 

 

~

 

 

 

<< Vedi, Clara? È quello laggiù. Il francese. Il barone francese. Il padre era un industriale, la madre una baronessa italiana. È da lei che ha ereditato il titolo, anche se si dice non l’abbia mai conosciuta. Vedi come conversa? È ricco, annoiato e…>>

Marguerite continuava a parlare con il suo solito tono frivolo, gallinaceo. A volte Clara si chiedeva se respirasse o meno: prese un flûte di champagne e si bagnò appena la lingua. La sala dell’Excelsior romano era satura di profumi, di suoni cristallini, di umori. Dovunque si voltasse, non vedeva che profonde scollature, acconciature massicciamente laccate, trucco pesante e squisite sfumature di ipocrisia.

<< Clara, mi stai ascoltando? >>

<< Certo Marguerite, si. >>

<< Guarda laggiù allora. >>

La sua amica puntò molto poco discretamente il dito verso uno smoking nero in fondo alla sala. Non riusciva a vedere molto, del suddetto smoking, ma quello che intravedeva le bastava.

Era circondato da almeno quattro donne, tutte splendide, tutte impreziosite dalla testa ai piedi di gioielli da migliaia di euro. Sinceramente, non aveva voglia di vedere oltre quella cortina; già solo quella era bastata a farla sentire profondamente inadeguata nel suo vestito fin troppo semplice per quell’ambiente. Guardò di sfuggita l’ora, scrollò il capo.

<< Marguerite? Io vado. >>

Si meritò – perché si, lo meritava – uno sguardo prima stupito, poi rabbioso, infine indifferente:

<< L’ho fatto per te, Clara. Ti ho trascinato fuori da quella gabbia, dovresti ringraziarmi. >>

Certo Marguerite, Certo.

Clara si chinò a baciarle la guancia, prese la borsa e si avviò verso l’uscita, leggermente traballante sui tacchi bassi. Ah, ovvio, l’uscita. Più facile a dirsi che a farsi. Soprattutto quando era assolutamente insensato chiedere informazioni ad un ospite presente in sala: Clara non parlava altra lingua che l’italiano e lì la lingua più usata era l’inglese o lo spagnolo.

Continuò a camminare per un corridoio, a scendere piani, poi ancora sale fioche, o troppo illuminate, e ancora piani e scale e sale. Cominciavano a farle male i piedi, e doveva ancora uscire. Figurarsi quando avrebbe dovuto arrivare alla fermata e prendere i due autobus che l’avrebbero riportata all’appartamento in cui viveva.

Si sedette su una poltrona, ai margini dell’ennesima sala: solo un attimo e mi riprendo, disse.

Solo un attimo…

Stava guardando lo smalto perlaceo sulle unghie dei piedi – Marguerite, aveva insistito così tanto a trascinarla a quella festa insulsa che non aveva potuto rifiutare. Se l’avesse fatto probabilmente la sua amica non le avrebbe rivolto la parola per decenni.  Ora pagava lo scotto. Piedi doloranti, umore a terra, fastidiosa sensazione di claustrofobia. Per l’appunto, stava cercando di valutare, piegandosi e chinandosi sulle proprie gambe, quanto tempo lo smalto avrebbe impiegato ad andare via da solo, quando vide davanti a sé un paio di scarpe nere, lucide, maschili.

<< Vous sentez-vous bien, Madamoseille? >>

Per un attimo Clara pensò con una risata che non avrebbe nemmeno dovuto assaggiare lo champagne. Lei non reggeva l’alcool: non le piaceva, le faceva venire il mal di testa. E ora anche le allucinazioni uditive. Le scarpe non parlano, Clara. Le scarpe non…

<<  Est-ce qu'elle me comprend, Madamoseille? >>

No, elle non comprendeva. Si limitò ad alzare lo sguardo sulla figura che, composta, dritta e aristocratica le stava davanti. Uno smoking nero. Clara rimase a guardarlo: la sua camicia candida, il suo papillon scurissimo. Una mano in tasca, l’altra tesa verso di lei.

La prese, così, spontaneamente. Si alzò, si trovò di fronte a lui.

Fu strano scoprire che lo smoking nero che le stava davanti aveva anche una testa, dei capelli mossi e un bel volto con strani occhi blu. Fu strano scoprire che aveva una bella voce roca, nonostante il francese. Lei amava poco il francese. A dirla tutta, detestava tutte le lingue all’infuori della sua.

<< No, non la capisco. – disse, poi, dopo qualche attimo in cui lui la scrutò – parla italiano? >>

<< Oui, ma certamente. La prego, non restiamo qui. Venga. >>

Prese Clara a braccetto e la costrinse a seguirlo giù, per le scale: si sentiva tremendamente goffa al suo fianco, oltre che, ovviamente, terribilmente inappropriata. Faceva una ben magra figura accanto a quell’uomo.  E poi, chi era? Chi poteva essere? Quanti anni aveva? 25, 26? Sempre e comunque molto più grande di lei. E poi, dove la stava portando? L’Hotel le apparve ad un tratto come un grande e orrendo labirinto. Le sembrava di essere in quel film di Kubrick: si aspettava di veder spuntare donne nude coperte da maschere da dietro le tende.

L’uomo a volte la guardava, ammiccava, distoglieva lo sguardo, sorrideva. Sempre accompagnandola dolcemente, ma in maniera risoluta, con il suo incedere – Clara si maledì per quei suoi pensieri banali, da scribacchina da quattro soldi, che usò quella sera – estremamente elegante. Appoggiava i piedi lui; non camminava. Ed emanava davvero un buon profumo: sentì quasi il desiderio di avvicinarsi per sentirlo meglio.

Non si accorse di essere arrivata nel locale attiguo all’uscita se non quando una ventata di aria fresca la fece rabbrividire: l’aveva accompagnata ad una grande portafinestra, credendo che si sentisse poco bene. Clara andò alla ricerca della propria giacca di filo, forse dimenticata da Marguerite, poi ricordò che lo smoking nero era ancora lì.

<< Si sente meglio? >>

<< Ah…si. Si, grazie. Avevo solo bisogno di trovare l’uscita. >>

<< Come si chiama? >>

Clara si morse le labbra, prima di rispondere. Da quanto non parlava ad un uomo? Ad un ragazzo, a prescindere. Coraggio, pensò. È come con la bicicletta: una volta che impari non dimentichi.

<< Clara…mi chiamo Clara. E lei – lei - ? >>

Sorrise di nuovo: aveva appoggiato la mano al muro, accanto a lei. Era molto, molto vicino.

<< François, per servirla, Mlle. >>

<< Fransuà? >> biascicò Clara balbettando. L’uomo sorrise di nuovo.

<< Qualcosa del genere.>>

Cominciò a torturare il braccialetto in filigrana che aveva al polso, sbirciando di quando in quando l’ora. Sentiva che ad ogni pausa, ad ogni silenzio, il cuore le batteva furiosamente. A volte si zittiva, altre invece le martellava il petto. Se non sarebbe morta per un infarto, lo avrebbe fatto per la vergogna: era sicura che lui avesse sentito quel battere incessante.

<< Sembri molto giovane, quanti anni hai? Oh, posso darti del tu? >>

Clara non annuì, ma si bagnò di nuovo le labbra. La gente rideva, nella sala. Vide una donna dal lungo abito lillà, fissare prima lo smoking nero, e poi lei. Non c’era nessun sentimento positivo nei suoi occhi.

<< Venti a giugno. E lei? >>

Rien vous, concluse François. L’essere rifiutato, quasi lo eccitava.

<< Troppo vieux per lei, Mlle. Sta andando via? Ha una macchina? >>

Clara pensò di mostrargli l’abbonamento annuale ai mezzi pubblici, poi la giudicò una pessima idea. Taxi? No, meglio evitare una possibile, pessima figura che la vedeva farfugliare parole senza senso tipo “ho dimenticato il portafoglio a casa”.

<< No, contavo di tornare a casa a piedi. >>

La guardò quasi scandalizzato poi, ancora, scoppiò in una sonora risata che fece voltare non poche teste femminili.

<< Lei mi piace. Venga, venga. La voiture, prie. >> Fece all’uomo alla reception. Un sorriso, un colpo di telefono e già la si vedeva arrivare lungo la strada.

<< Forse non dovrei…approfittare della sua gentilezza. >>

<< La prego…le va di considerarsi mia ospite, questa sera? >>

Gli occhi grigi la guardarono con una tale intensità che Clara si sentì quasi in colpa a pensare ciò che pensava.

<< …no. >>

<< come prego? >>

Sembrava divertito, terribilmente divertito.

<< Non credo sia una buona idea, signor François. Ho lezione domani. >>

<< Lasci che le offra qualcosa. La riaccompagnerò a casa personalmente. Mi sentirei più sicuro, sa. Non è mia habitude lasciar andare da sola una ragazza di venti’anni. Non di notte. Quindi la prego, Mlle Clara, si lasci convincere dalla ragionevolezza della mia proposta. >>

Clara guardò ancora l’orario, poi la notte dietro di la sua schiena, la macchina nera, cromata, elegante, e ancora lui.

Infine prese la mano che gli tendeva, per la seconda volta.

 

Aveva un bel modo di guidare: fluido, aristocratico, elegante – ancora una volta, si -. Quasi…affascinante? Certo, la decappottabile sportiva faceva la sua figura e scivolava leggera e veloce nella notte romana. Era tutta tirata a lucido: Clara avrebbe potuto specchiarsi, se solo l’avesse voluto, ma quello che aveva intravisto nello specchietto le era bastato.

Pallore cadaverico, occhiaie da troppo studio davvero malcelate dal correttore, e quel vestito che – le piaceva, davvero, ma la faceva sembrare troppo…semplice. Inadeguata, ancora una volta, come sempre.

Era troppo acqua e sapone per quel mondo, no? Marguerite glielo ripeteva sempre.

<< Madamoseilles? Dove posso ardire di portarla?>>

Sorridevano le labbra, e gli occhi grigi.

Clara si scoprì felice, anche solo per quello.

Ardire, ardire. Ardi, Clara.

<< Dove finisce la notte, signore. >>

Lo smoking nero rise di nuovo.

 

 

 

Clara si risvegliò tra le lenzuola del suo appartamento: nessuna sarebbe stata, molto probabilmente, più calma di lei. Si rigirò nel cotone bianchissimo, cercando l’altro cuscino che doveva essere scivolato a terra. Era sola in casa, e andava tutto bene. Si mise a sedere sul letto, guardando la luce filtrare dai vetri della finestra.  Era tutto in ordine: i libri, i quaderni, le penne. Tutto in ordine, tranne che le scarpe buttate ad un angolo della camera e il vestito, che giaceva mal piegato sulla sedia accanto al letto.

Solo tracce della serata precedente, che con metodo, Clara avrebbe fatto sparire.

Era stata felice ieri, ma ora andava tutto bene.

 

***

 

Dovuti credits.

La prima battuta viene dritta dritta da Ocean's 12, da cui ho tratto davvero grande, grande ispirazione. Chi vuol capire capisca. Inoltre, i sottotitoli tra le quadre fanno parte del testo della splendida canzone die Massive Attack, Angel.

E questa storia, questo parto è tutto dedicato ad una delle mie più care amiche, alla mia inseparabile (ed inarrestabile, ed insuperabile, ed inafferabile come Lup...ok, basta) papera, Helen Lance, Elena, che oggi compie gli anni. Scritta in tre, splendide ore dopo 7 di studio. Una storia che forse, per tua sventura, continuerò.

 

Tantissimi auguri, Elena.

Buon Compleanno!

 

Chiara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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