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Autore: khyhan    19/05/2014    1 recensioni
– Ci ritroveremo. – urlò. – E ti amerò di nuovo, te lo prometto. Nella prossima vita. In cento prossime vite. Ogni volta mi innamorerò di nuovo di te. Tu sei mia e il mio cuore è tuo.
Settantotto sono le carte dei Tarocchi, settantotto sono le persone che in tempi antichi hanno ricevuto dono di una magia che è insieme una benedizione e una maledizione, perché con il potere cresce anche il seme della follia.
Nel momento in cui Verity abbandona Roma per seguire un misterioso biglietto trovato accanto a cadavere del suo ragazzo non sapeva che ad attenderla ci sarebbe stato il suo destino. Michael è un ladro che non crede in nessuno a parte se stesso ed è perseguitato dal ricordo del suo amore che ha perduto mille volte. Christian è un medico che ha trovato il senso della vita tra i bassifondi di Calcutta ed è costretto ad abbandonare i suoi principi per salvare centinaia di vite.
La follia e il destino hanno voluto che si incontrassero e finissero ciò che era cominciato più di duemila anni prima. Vendetta e potere scorrono nelle loro vene.
La tragedia e l'amore si intrecciano tra passato e futuro.
E il cerchio sta per chiudersi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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2.1 La Papessa - Dublino

II – La papessa

Dublino

 

Dublino, 20 luglio 2011.

 

Michael ascoltò la pioggia battere sulle imposte della stanza d’albergo in cui si era rifugiato dopo la fuga da Parigi. Il pensiero di aver lasciato indietro Verity, e soprattutto sua sorella, continuava a tormentarlo come una mosca fastidiosa e lui lo scacciò con la stessa premura che si faceva con quegli insetti.

Si passò una mano sugli occhi che bruciavano per la stanchezza. Studiava quelle carte da quasi ventiquattro ore e ancora non aveva un piano in mente. Ogni tanto buttava giù qualche idea su un blocco per gli appunti scrivendo in codice, ma come arrivava a definire i dettagli, lo eliminava, accorgendosi che faceva acqua da tutte le parti. Nonostante i suoi poteri e il suo intuito infallibile, il caveau sotterraneo del Trinity College rimaneva arduo da aprire. Di sicuro più della zecca di Francia che aveva scassinato a diciotto anni per una scommessa con Duchessa.

Riprese da capo i suoi schemi, studiando la struttura della porta blindata e l’atmosfera protetta delle sale interne. Per conservare alcuni documenti antichi la parte dell’ala che gli interessava era piena di sensori per l’umidità e la temperatura, senza contare lo scarso contenuto di ossigeno. Michael era sicuro che se avesse respirato troppo forte lì dentro sarebbero partiti gli allarmi. No, per entrare doveva farsi aprire le porte con tutti gli onori e farsi regalare una bombala d’ossigeno firmata Trinity College.

Due braccia gli avvolsero la vita e una lingua gli solleticò l’orecchio. Il profumo del sapone della camicia che aveva indossato poche ore prima, misto a quello agli agrumi della ragazza gli riempì le narici. – Alex, – mormorò reclinando indietro la testa e cercando il suo collo. – sto ancora lavorando.

Quando quella strega gli aveva detto di andare a Dublino per cercare informazioni sullo zaffiro che lui voleva, gli aveva detto di trovare una ragazza stramba, poteva essere più specifica. Aveva riconosciuto Alexandria quasi subito nonostante indossasse un cappello da pescatore, un paio di occhiali spessi quanto due fondi di bottiglia, vecchi jeans e maglietta a quadri che lui non avrebbe offerto nemmeno al suo peggior nemico.

Il suo modo di muoversi troppo sbadato aveva attirato la sua attenzione e quando lei aveva finto di inciampare nei lacci delle scarpe da tennis che si era slacciata, Michael le si era avvicinato, indicandole i punti dei sensori laser a rasoterra. Sapeva che come lui, Alex stava studiando l’ambiente della biblioteca cercando telecamere nascoste e allarmi, ma non credeva che sarebbe mai arrivata a indossare quegli occhiali orribili pur di travestirsi.

Era stato ben felice di strapparglieli via mentre la stendeva sulla cattedra di un’aula deserta, mentre lei gli sbottonava la camicia e lo spogliava con forza sussurrandogli quanto fosse stato stronzo l’ultima volta che si erano visti, perché era ripartito il giorno stesso dell’ultimo furto lasciandola a festeggiare da sola. Michael aveva riso slacciandole i pantaloni, Alex non era il tipo da festeggiare da sola, anzi era probabile che si fosse infilata a qualche festa e avesse truffato un ricco rampollo.

Tra lui e Alex era sempre andata in quel modo, nessuna storia fissa e si divertivano ogni volta che si incontravano. Si scambiavano lavori e trucchi per arrivare al proprio obbiettivo. Quando lavoravano assieme l’unica regola che rispettavano era la divisione in parti uguali del bottino. Se avessero cercato di fregarsi a vicenda, tutti quelli che lavoravano con loro lo avrebbero saputo, rovinandosi la reputazione.

– Perché non torni a letto? – gli sussurrò passandogli una mano sul petto nudo. – Sono quasi le tre del mattino e mi annoio.

– Hai pensato di scendere al bar e adescare qualcuno? – non gli importava di quanti ragazzi condividessero il letto di Alex, gli bastava che non stessero in camera sua a disturbarlo mentre lui progettava e rifiniva i suoi piani, poi lei poteva fare ciò che voleva.

Gli baciò il collo, allungando una mano verso la pianta dell’edificio. – È così complicato entrare? – domandò scorrendo con lo sguardo la cartina. Michael invece guardava le sue gambe nude e il corpo avvolto nella sua camicia azzurra. Quel colore metteva in risalto le sue forme snelle e i suoi occhi azzurri, ma contrastava con il fisico magro e tonico di Alex e i suoi occhi scuri. Glielo aveva fatto notare, ma Alex aveva riso, infilandosela con suo disappunto.

Lui appoggiò il gomito sul tavolo, sorreggendo la testa con la mano per guardarla meglio. –  Sarebbe più facile entrare a Fort Knox.

Lei alzò un sopraciglio, stupita. – Non ci sei entrato l’anno scorso?

– Per questo dico che è più facile. – precisò con un sorriso.

Le tolse la carta di mano, tirandola a sé. Era molto tardi e non sarebbe riuscito a ricavare nulla con le gambe di Alex che continuavano a distrarlo. Sapeva p come farsi volere e cosa cercava Michael in una donna. – Dovrò tirare fuori la mia vecchia laurea ad Harvard in Storia.

– Tu non hai una laurea ad Harvard. – Alex succhiò l’estremità della matita con un sorriso malizioso e Michael chiuse gli occhi. Sì, quella ragazza sapeva esattamente come distrarlo. – Neal Keller, sì. Ecco come mi farò spalancare le porte degli archivi dai bibliotecari e con tutti gli onori per giunta. Dovrò solo trovare il modo per superare i livelli di protezione dei registri e inserire la mia prenotazione per la visita.

– Magari dicendogli anche il libro vorresti consultare...      

– Che sarà quello che vuoi tu. – confermò lui. Alex gli sorrise, prima di baciargli il mento.

– Così mi piaci, Michael.

Si erano scambiati i lavori ancora una volta. Lei si sarebbe occupata delle ricerche del suo zaffiro, mentre Michael avrebbe rubato il libro che le avevano commissionato di prendere. Le ricerche nelle acque torbide della malavita lo avevano sempre annoiato. Preferiva il lavoro manuale e la preparazione al furto al passare delle bustarelle e riscuotere vecchi favore a qualcuno, per farsi dare delle informazioni che al novanta per cento sarebbero state false.

Se solo avesse potuto accedere ai ricordi di suo padre, non avrebbe avuto un bisogno così disperato di Alex e della sua capacità di trovare qualsiasi cosa con un paio di telefonate ben piazzate. Ma quelle memorie continuavano a sfuggirgli, aveva solo dei lampi confusi e nessuno di essi era ciò che gli interessava.

Michael sapeva che era stato suo padre, Alain Dubois, a rubare la Stella di Bombay dal Museo dello Smithsonian dieci anni prima e a sostituirlo con uno zaffiro sintetico che aveva creato, ma a parte quell’informazione, non era più riuscito a seguire le tracce di quel gioiello da 182 carati. Chiunque avesse pagato suo padre per quel furto era sparito. E per questo lui lo desiderava ardentemente, quasi quanto riuscire a capire Verity.

Quando Alex si sedette a cavalcioni sulle sue gambe reclinò indietro la testa con un misto di eccitazione e d’ira per la libertà che lei si stava prendendo. Non gli piaceva non avere le cose sotto controllo, ma conosceva anche la ragazza e sapeva che poi non se ne sarebbe pentito.

Chiuse gli occhi, perdendosi nell’illusione che potessero essere di Verity le labbra che gli baciavano il collo. Continuava a pensare a lei anche se aveva cose più urgenti su cui riflettere, piani da elaborare e una a dir poco stupenda ragazza tra le braccia.

Anche mentre premeva Alex contro il muro il pensiero di lei continuava a tormentarlo e non capiva il perché. Si era trattenuto a stento due volte dal sussurrare il nome di Verity in preda all’eccitazione e alla confusione. Quello, nemmeno Alex avrebbe potuto perdonarglielo.

Aveva frugato un bel po’ tra tutti i suoi io del passato, cercando una risposta a quella persecuzione e credeva di aver trovato qualcosa: la Luna e la Regina di Spade erano stati sposati ed avevano anche avuto dei figli insieme. Doveva essere quello motivo per cui fosse tanto confuso e non perché non era riuscito ad ucciderla quando ne aveva avuto l’opportunità, ma dentro di lui c’era qualcos’altro. Un immenso vuoto, il senso di perdita, di tradimento e dolore si mischiavano al desiderio di trovarla e proteggerla.

– Sei freddo. – gli sussurrò Alex. – Assente.

Lui riaprì gli occhi raddrizzandosi, Alex aveva frantumato il suo sogno. Voleva togliersela dalle gambe e allo stesso tempo stringerla forte e averla più vicina. – Sono occupato, Alex. Devo trovare il modo per entrare negli archivi.

Si staccò, guardandolo negli occhi. – Nemmeno per entrare in quel museo a Mosca eri così occupato da non passare un po’ di tempo con me.

Lui ghignò stringendo forte le mani sui suoi fianchi. – Forse ora è più difficile.

Alex scosse la testa come se la frase di Michael fosse una stupidaggine. – C’erano i sensori di movimento e quelli a pressione. Era difficile.

Affondò le dita tra le ciocche nere di Alex mascherando un fiotto di irritazione. Il motivo per cui riteneva che le donne fossero stupide stava sulle sue ginocchia. Insieme a sua madre, l’insistenza di Alex nel correggerlo era la cosa che più gli dava i nervi. – Forse ora non ho voglia di fare sesso. – aveva appositamente usato un tono piatto e freddo, quasi sussurrato, ma aveva sortito l’effetto voluto. Alex lo guardò come se avesse ricevuto uno schiaffo. – Tu hai sempre voglia di fare sesso.

Nascose di nuovo l’irritazione dietro ad un sorriso beffardo. Era diventato bravo a non mostrare agli altri i propri sentimenti, quelli come lui si sarebbero approfittati di ogni più piccola breccia per far crollare il proprio nemico. Michael l’aveva scoperto a proprie spese quando aveva cercato di proteggere Angéline. I suoi tentativi di nasconderla, avevano portato Duchessa direttamente da sua sorella.

Se non fosse stato per quella strega chiaroveggente, Michael avrebbe avuto le mani legate e avrebbe consegnato anche l’anima a Duchessa, oltre che al proprio corpo e ai suoi talenti. – Alex, – mormorò dandole un bacio casto sulla guancia. – vai a dormire, io devo terminare qui. – se fosse riuscito a concentrarsi, forse avrebbe ottenuto qualche risultato decente.

Molti pensavano che l’arte del furto fosse basato sull’aprire casseforti e usare dei guanti per non lasciare impronte. Michael era molto più sottile, gli piaceva agire senza lasciare la minima traccia, comportandosi come se fosse un filo di fumo, impalpabile e inafferrabile che scompariva senza lasciarsi dietro niente altro che un ricordo. Per questo il furto alla Torre Eiffel era stato un fiasco. Il primo piano della torre era andato distrutto, la polizia era stata allertata e tutto il mondo sapeva che quel diamante era stato rubato. Lo aveva consegnato a Duchessa senza fare storie ben sapendo che lei non avrebbe incontrato difficoltà a farlo battere ad un’asta clandestina e a dargli la sua parte. Probabilmente avrebbe trattenuto qualcosa per essersi lasciato dietro una scia di vetri infranti e perché la polizia le aveva fatto un mucchio di domande mentre Michael se n’era tornato al suo appartamento al sicuro. Per Duchessa doveva essere stato un affronto e lui si era divertito a immaginarla sotto interrogatorio.

– Sei distratto. – lo rimproverò Alex passandogli una mano sugli addominali. Michael si irrigidì, ma non la fermò quando lei gli sbottonò i pantaloni neri.

– Allora impegnati, Alex. Fammi pensare solo a te. – si scostò sdegnato quando lei cercò le sue labbra per dargli un bacio. – È troppo facile così. Non mi piace farmi baciare. Considerami una preziosa cassaforte. Stupiscimi.

Gli davano fastidio le ragazze che lo baciavano in bocca aspettandosi che ricambiasse con passione. Ogni bacio per lui voleva dire qualcosa, e spesso, toccava le labbra di una ragazza solo per dirle addio.

Lui avrebbe passato le ore a baciare la ragazza che fosse riuscita a rubargli il cuore, ma visto che non c’era nessuna alla sua altezza, non c’era la possibilità che lui ricambiasse i baci delle ragazze esaudendo i loro desideri. Alex lo sapeva, ma continuava a provarci, rendendosi ogni volta ridicola.

– A volte sei noioso Michael, – la voce bassa di Alex avrebbe dovuto essere erotica, invece lui era sempre più freddo. – hai un bel faccino, un bel fisico, ma non sei l’unico sulla faccia della terra. Non ce l’hai d’oro.

Michael le sbottonò piano la camicia e la lasciò scivolare via dalle spalle di Alex. Le morse un seno con un mezzo sorriso prima di ritrarsi. – Allora mia cara, perché non ti vai a cercare qualcuno che ce l’ha realmente d’oro e non mi lasci in pace? Magari mettendoti qualcosa di tuo. Questa camicia vale molto di più di quanto possano offrirti per la tua compagnia. E visto che è un’edizione limitata, non riusciresti a rimborsarmela se si rovina.

Alex sbiancò e poi si ricompose con la massima dignità che poteva avere una donna nuda che era appena stata rifiutata dopo essersi offerta, Michael doveva dargliene atto. – Sei un bastardo. – sibilò lei.

Ormai glielo avevano detto talmente tante volte che non ci faceva più caso. – Considerando chi è mia madre, questo termine ha perso il suo fascino. – rispose alzando le spalle. – Alex, puoi scegliere: metterti qualcosa addosso e andartene o dormire. Magari sul divano, se vuoi rimanere. Mi dà fastidio che quelle come te pretendano di dormire nel mio letto come se vi appartenesse.

La crudeltà era una dote che aveva ereditato dalla madre. L’aveva messa a frutto fin da bambino per proteggere Angéline e quando il suo vocabolario sia ampliato, aveva imparato a essere offensivo senza essere volgare. Dare della puttana a una ragazza non era mai piacevole quanto farglielo notare, ma non avrebbe dovuto arrivare a quel punto con Alex. La ragazza poteva vendicarsi e metterlo su una falsa pista o farlo cadere in trappola. Peggio ancora, poteva tradirlo e comunicare i suoi movimenti a Duchessa. E se lei avesse saputo che stava di nuovo agendo di testa sua, Angie sarebbe stata in pericolo.

Invece di scendere dalle sue gambe e offendersi, Alex gli sorrise crudele passandogli due dita dall’ombelico allo sterno. – Non sono io quella che si è venduta a Duchessa per avere un buon giro di mercato. Girano delle voci su di te, sai? Pare che tu sia stato il suo preferito per un paio di mesi, poi ti ha scaricato per uno più giovane. Incredibile, no? Ventuno anni e sei troppo vecchio per soddisfare gli appetiti di Duchessa. Anche prima, sembravi un po’ fiacco.

Per la seconda volta  da quando si erano conosciuti, Alex lo lasciò senza parole. Forse era un record. Passarono quasi trenta secondi di silenzio con solo la pioggia che batteva contro le finestre alle sue spalle a ricordargli che il mondo non si era fermato.

Poi scoppiò a ridere. – Dovrebbe ferirmi? – sussurrò. – Pensi che mi importi di non essere più il giocattolo prediletto di Duchessa? Per quanto riguarda l’essere fiacco, forse tu non mi dai alcuna soddisfazione né motivo per impegnarmi. Alex, Alex. Insistente Alex. L’unico motivo per cui sei in questa stanza è la tua preziosa rubrica di contatti. Ciò che hai tra le gambe ce l’hanno tutte. Quindi, Alexandria, – cambiò tonò intessendo le parole con la magia. – perché non dormi?

La ragazza gli si accasciò tra le braccia e la sentì russare sommessamente. Anche lui si sentiva molto stanco per quel piccolo incantesimo. Più di quando aveva addormentato Verity o Angéline o reso invisibile la sua auto.

Guardò il calendario lunare. La luna era calante e fra undici giorni sarebbe stata nuova. Avrebbe sentito i suoi poteri ridursi fino alla completa perdita durante la notte di Luna Nuova.

Per quanto i suoi poteri giocassero a suo favore per i furti, odiava il modo in cui erano altalenanti durante il ciclo lunare. Aveva compiuto il furto alla Torre Eiffel con la Luna Piena, al massimo del suo splendore e se voleva approfittare di ciò che gli era rimasto doveva sbrigarsi a lavorare sul suo piano, altrimenti avrebbe dovuto rimandarlo.

Avrebbe potuto fare affidamento solo sul suo cervello per una volta, ma preferiva avere la sicurezza dell’uscire indenne e che nessuno riuscisse a risalire a lui. Soprattutto non Duchessa. Non gli avrebbe permesso di agire un’altra volta da solista, era stata chiara su quello.

Guardò Alex nuda tra le braccia e poi il letto. Era un matrimoniale e anche se non l’aveva misurato, sapeva che era più spazioso del suo. Avrebbero potuto dormire entrambi tra quelle lenzuola, ma l’idea gli dava fastidio. Perfino quando aveva Verity nel suo letto non aveva dormito con lei. Aveva eseguito il lavoro alla torre e poi si era appisolato sulla poltrona sotto la finestra del suo appartamento. – Immagino di doverti riportare al tuo hotel o dover portare pazienza. – mormorò. La prese in braccio e la appoggiò sul divano della camera moderna che aveva scelto. Prese perfino il lenzuolo e la avvolse invece che lasciarla dormire nuda sulla pelle nera. – Poi mi dicono che non sono cavaliere.

Tornò al tavolo a studiare le carte e gli appunti che aveva preso. La risposta gli sarebbe arrivata prima o poi. Non esistevano furti impossibili, solo persone che non avevano il coraggio di osare.

Aveva già deciso come entrare, il problema maggiore era come uscire con il libro. Le macchine non erano facili da ingannare come l’occhio umano. Avrebbe dovuto lavorare su quello.

Avrebbe portato dentro delle cose semplici, qualcosa da passare ai raggi x all’entrata e all’uscita. Una valigetta con un blocco per gli appunti, penna e guanti. Avrebbe indossato qualcosa di metallico per ingannare il metal detector, da tempo aveva sostituito i vecchi grimaldelli in acciaio con del materiale flessibile ad alta resistenza che passassero inosservato ai controlli.

All’uscita avrebbe avuto le stesse cose, più un libro. Michael era un illusionista e gli illusionisti attiravano l’attenzione da una parte per distrarre il pubblico dal vero trucco.

Senza Alex a distrarlo gran parte del suo piano prese forma in quel preciso istante e Michael si alzò soddisfatto andando alla finestra. Tre piani sotto di lui la vita notturna di Dublino proseguiva nonostante la pioggia battente. Dovevano essere abituati a quel tempo umido, alla nebbia tentacolare che si infilava ovunque e alle giornate di sole che improvvisamente si trasformavano in diluvi.

L’immagine che vide alla finestra si trasfigurò. Non era più a Dublino, in quell’albergo in mezzo al quartiere di Temple Bar, ma in un castello di pietra con le finestre erano piccole e con i vetri spessi. Fuori splendeva il sole ed era primavera inoltrata.

Michael batté le palpebre e scacciò il ricordo che lo aveva assalito mentre era ancora sveglio. Sapeva che come avrebbe chiuso gli occhi lo avrebbe rivisto. In parte non gli dispiaceva, per quel secondo che le due vite si erano sovrapposte un forte di pace e benessere l’aveva avvolto.

Andò a letto indossando i boxer scuri. Il sonno lo avvinse quasi subito e ancora  prima di rendersene conto, Michael era sprofondato in una delle sue precedenti vite.

 

Elena rideva mentre ricamava con le altre dame di Camelot. Giravano tante voci sulla regina che il re era andato a prendere di persona. Dicevano che se ne fosse innamorato dopo averla vista solo una volta. Le serve sussurravano che avesse già consumato le nozze perché non riusciva ad aspettare e che la regina fosse già incinta.

E mentre correvano quei pettegolezzi per i corridoi del castello, altre affermavano con sicurezza che lei lo avesse rifiutato. – Dicono che sia come noi. Una maga. – disse Arla mettendo un altro punto. Stava ricamando dei grappoli d’uva nera che poi avrebbe offerto al suo cavaliere prediletto durante il prossimo torneo.

Elena non aveva alcun dubbio che quella fosse la verità, Artù di Camelot aveva riunito intorno a sé dame e cavalieri che venivano da tutti i regni che possedevano la magia. E in un mondo dove quelli come loro venivano perseguitati, il sogno di Artù il Re e di Merlino il Mago era divampato come un incendio d’estate. Avevano costruito un regno dove i settantotto sventurati eredi dell’antica magia potevano vivere insieme e non lottare in una guerra sanguinaria.

Artù e Merlino erano stati irremovibili su un’unica regola su cui nessuno poteva transigere: dovevano vivere in pace.

Per Elena e per suo padre prima di lei, Camelot era la libertà.

Erano stati entrambi perseguitati per la loro capacità. E quando nel piccolo villaggio dove era nata la gente aveva iniziato ad additare suo padre come stregone, loro due erano partiti alla ricerca del regno che era già diventato leggenda.

Elena poteva mostrare a tutti i suoi poteri, poteva consultarsi con Merlino, e cercare i consigli della tutrice. Girava a testa alta per la città creando illusioni per i bambini e si divertiva guardando i giochi di fuoco nelle nottate di festa. E trovava confortante ascoltare le predizioni della sua migliore amica.

Ognuno a Camelot era valorizzato per il proprio potere e aveva una sua utilità.

– Smettete di ridere e concentratevi signorine. Quei fazzoletti non si ricameranno da soli! – Madama Juliana aveva ragione, ma lei avrebbe potuto creare l’illusione che il fazzoletto fosse quasi terminato. Alzò lo sguardo sulla sua tutrice che incrociò le braccia al petto e le labbra si tirarono in un linea sottile, quasi le avesse letto nel pensiero. Forse era così, loro due condividevano in parte l’origine dei propri poteri. Ma mentre una era costretta a mantenersi pura per avere la propria forza al massimo, la magia di Elena era dettata dalle fasi lunari.

Ridacchiò e decise di mettere qualche altro punto sotto lo sguardo della donna. Artù e Merlino avevano designato Juliana come tutrice delle giovani di Camelot per la sua integrità e intransigenza. Non era il caso di farla arrabbiare.

Il regno non poteva essere più fiorente, anche se Artù non aveva ancora riunito tutti quanti. Mancavano molti di loro, alcuni molto potenti. Ma c’erano alcuni maghi assenti che la turbavano. Quando pensava a uno di loro in particolare il cuore le batteva più velocemente incendiandosi do rabbia e risentimento. C’era qualcosa nel loro passato che non era ancora riuscita a comprendere e aveva paura di scoprirlo e rischiare di rompere la pace di Artù.

A Merida cadde il ricamo di mano e si premette le mani sulle tempie. – Cosa vedi, bambina? – domandò Juliana. – Una qualche visione?

La ragazza annuì concentrandosi ancora di più. – La regina arriverà oggi. – indicò un punto fuori dalla stretta finestra. – Quando il sole sarà in quella posizione.

Si diffuse un mormorio eccitato tra le ragazze che Juliana mise a tacere con difficoltà. La regina sarebbe arrivata presto. Una nuova maga per rendere più forte e sicura Camelot.

Merida le si avvicinò, approfittando della confusione. – Sarai la sua dama di compagnia. Lei ti vorrà bene e tu a lei.

Elena sorrise a quella notizia e riprese a ricamare guardando il punto che Merida aveva indicato nella speranza che il sole si muovesse e arrivasse in quella posizione. Voleva conoscerla a tutti i costi, da quando era stata nominata per la prima volta ne era stata incuriosita. Chissà che moglie aveva scelto un re forte e giusto come Artù?

Sentii lo scalpiccio degli zoccoli sul selciato e le grida di acclamazione prima delle altre ragazze e corse alla finestra. L’aria primaverile le rinfrescò il viso e fu costretta a litigarsi lo spazio di quel piccolo pertugio con le altre ragazze, ben decisa a non mollare. Doveva guardarla scendere dalla carrozza e salutarla insieme al resto della corte.

Vide la fanciulla dai capelli neri scendere a testa alta, aiutata da un cavaliere che ringraziò arrossendo e fece una riverenza quando la seconda ragazza con i capelli dorati scese dalla carrozza senza aiuto. I presenti nel cortile si inchinarono in sua presenza.

La fanciulla fece vagare lo sguardo smarrito sulle mura del castello e i loro sguardi si incrociarono per non lasciarsi andare più. Elena rivide tutti i loro passati in quell’istante infinito, come se il tempo si fosse bloccato ed esistessero solo loro due.

Il cuore le batté all’impazzata e desiderò correre a capofitto per le scale e andarle incontro e stringerla forte. Era lei, l’aveva ritrovata. La persona a lei più cara. Colei che sognava tutte le notti e per cui si struggeva.

L’incantesimo si ruppe nell’instante in cui la regina fu chiamata da Artù e le prese la mano per presentarla. – Lei è Ginevra. La Signora del Vento e delle Tempeste. Rendetele onore perché sarà mia moglie e regina di Camelot.

Il suo cuore si ruppe a quella frase. Ginevra non le sarebbe appartenuta in quella vita. Conosceva i piani del re, sapeva che l’avrebbe presa in moglie, ma quelle parole la ferirono. Loro due si amavano da secoli, il re lo sapeva, ma aveva calpestato lo stesso quei sentimenti. Anche questa volta l’aveva trovata e l’aveva persa di nuovo, ancora prima di poterle parlare. In quell’istante odiò Artù come mai prima d’ora, ma Elena capiva anche la sua decisione e non poteva tradire la fiducia che lui aveva riposto distruggendo il suo sogno. Loro due avevano poteri simili, era ovvio che la volesse.

Nel momento in cui Ginevra strinse la mano di Artù e gli sussurrò qualcosa che lo fece ridere, le gambe di Elena cedettero. Lei ti vorrà bene e tu a lei. Solo quelle parole le impedirono di cadere.

Guarda su, la implorò, guarda su e notami. Sono qui. Sarò sempre qui per te.

 

Michael si svegliò di soprasanto e si toccò il petto. Il cuore gli batteva forte contro il torace e aveva una pessima sensazione di soffocamento in gola.

Ricadde indietro contro i cuscini e si mise a scrutare il soffitto, nel buio. Ginevra, regina di Camelot. L’idea che Verity potesse essere stata regina di un regno leggendario lo faceva ridere. Così come lo faceva ridere l’idea di essere stato una donna e nonostante questo, l’aveva amata incondizionatamente.

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NdA: Sia lode all'eroe trionfatore! Scherzi a parte, ora inizia un nuovo ciclo e ovviamente dovevo iniziare con un furto di Michael o non sarei stata contenta. Cosa ne pensate  di Michael? fatemi sapere! Grazie a tutti quelli che mi lasciano un proprio pensiero e mi aggiungono nelle seguite, preferite ecc. Mi fa sempre tanto piacere!

  
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