II – La
papessa
Dublino
Dublino, 20 luglio
2011.
Michael
ascoltò la pioggia battere sulle imposte della stanza d’albergo in cui si era
rifugiato dopo la fuga da Parigi. Il pensiero di aver lasciato indietro Verity,
e soprattutto sua sorella, continuava a tormentarlo come una mosca fastidiosa e
lui lo scacciò con la stessa premura che si faceva con quegli insetti.
Si
passò una mano sugli occhi che bruciavano per la stanchezza. Studiava quelle
carte da quasi ventiquattro ore e ancora non aveva un piano in mente. Ogni
tanto buttava giù qualche idea su un blocco per gli appunti scrivendo in
codice, ma come arrivava a definire i dettagli, lo eliminava, accorgendosi che
faceva acqua da tutte le parti. Nonostante i suoi poteri e il suo intuito
infallibile, il caveau sotterraneo del Trinity College rimaneva arduo da
aprire. Di sicuro più della zecca di Francia che aveva scassinato a diciotto
anni per una scommessa con Duchessa.
Riprese
da capo i suoi schemi, studiando la struttura della porta blindata e
l’atmosfera protetta delle sale interne. Per conservare alcuni documenti
antichi la parte dell’ala che gli interessava era piena di sensori per
l’umidità e la temperatura, senza contare lo scarso contenuto di ossigeno.
Michael era sicuro che se avesse respirato troppo forte lì dentro sarebbero
partiti gli allarmi. No, per entrare doveva farsi aprire le porte con tutti gli
onori e farsi regalare una bombala d’ossigeno firmata Trinity College.
Due
braccia gli avvolsero la vita e una lingua gli solleticò l’orecchio. Il profumo
del sapone della camicia che aveva indossato poche ore prima, misto a quello
agli agrumi della ragazza gli riempì le narici. – Alex, – mormorò reclinando
indietro la testa e cercando il suo collo. – sto ancora lavorando.
Quando
quella strega gli aveva detto di andare a Dublino per cercare informazioni
sullo zaffiro che lui voleva, gli aveva detto di trovare una ragazza stramba,
poteva essere più specifica. Aveva riconosciuto Alexandria quasi subito nonostante
indossasse un cappello da pescatore, un paio di occhiali spessi quanto due
fondi di bottiglia, vecchi jeans e maglietta a quadri che lui non avrebbe offerto
nemmeno al suo peggior nemico.
Il
suo modo di muoversi troppo sbadato aveva attirato la sua attenzione e quando lei
aveva finto di inciampare nei lacci delle scarpe da tennis che si era slacciata,
Michael le si era avvicinato, indicandole i punti dei sensori laser a
rasoterra. Sapeva che come lui, Alex stava studiando l’ambiente della
biblioteca cercando telecamere nascoste e allarmi, ma non credeva che sarebbe
mai arrivata a indossare quegli occhiali orribili pur di travestirsi.
Era
stato ben felice di strapparglieli via mentre la stendeva sulla cattedra di
un’aula deserta, mentre lei gli sbottonava la camicia e lo spogliava con forza
sussurrandogli quanto fosse stato stronzo l’ultima volta che si erano visti, perché
era ripartito il giorno stesso dell’ultimo furto lasciandola a festeggiare da
sola. Michael aveva riso slacciandole i pantaloni, Alex non era il tipo da
festeggiare da sola, anzi era probabile che si fosse infilata a qualche festa e
avesse truffato un ricco rampollo.
Tra
lui e Alex era sempre andata in quel modo, nessuna storia fissa e si
divertivano ogni volta che si incontravano. Si scambiavano lavori e trucchi per
arrivare al proprio obbiettivo. Quando lavoravano assieme l’unica regola che rispettavano
era la divisione in parti uguali del bottino. Se avessero cercato di fregarsi a
vicenda, tutti quelli che lavoravano con loro lo avrebbero saputo, rovinandosi
la reputazione.
–
Perché non torni a letto? – gli sussurrò passandogli una mano sul petto nudo. –
Sono quasi le tre del mattino e mi annoio.
–
Hai pensato di scendere al bar e adescare qualcuno? – non gli importava di
quanti ragazzi condividessero il letto di Alex, gli bastava che non stessero in
camera sua a disturbarlo mentre lui progettava e rifiniva i suoi piani, poi lei
poteva fare ciò che voleva.
Gli
baciò il collo, allungando una mano verso la pianta dell’edificio. – È così
complicato entrare? – domandò scorrendo con lo sguardo la cartina. Michael
invece guardava le sue gambe nude e il corpo avvolto nella sua camicia azzurra.
Quel colore metteva in risalto le sue forme snelle e i suoi occhi azzurri, ma
contrastava con il fisico magro e tonico di Alex e i suoi occhi scuri. Glielo
aveva fatto notare, ma Alex aveva riso, infilandosela con suo disappunto.
Lui
appoggiò il gomito sul tavolo, sorreggendo la testa con la mano per guardarla
meglio. – Sarebbe più facile entrare a
Fort Knox.
Lei
alzò un sopraciglio, stupita. – Non ci sei entrato l’anno scorso?
– Per
questo dico che è più facile. – precisò con un sorriso.
Le
tolse la carta di mano, tirandola a sé. Era molto tardi e non sarebbe riuscito
a ricavare nulla con le gambe di Alex che continuavano a distrarlo. Sapeva p
come farsi volere e cosa cercava Michael in una donna. – Dovrò tirare fuori la
mia vecchia laurea ad Harvard in Storia.
–
Tu non hai una laurea ad Harvard. – Alex succhiò l’estremità della matita con
un sorriso malizioso e Michael chiuse gli occhi. Sì, quella ragazza sapeva
esattamente come distrarlo. – Neal Keller, sì. Ecco come mi farò spalancare le
porte degli archivi dai bibliotecari e con tutti gli onori per giunta. Dovrò
solo trovare il modo per superare i livelli di protezione dei registri e
inserire la mia prenotazione per la visita.
– Magari dicendogli anche il libro vorresti consultare...
– Che sarà quello che vuoi tu. – confermò lui. Alex gli
sorrise, prima di baciargli il mento.
– Così mi piaci, Michael.
Si erano scambiati i lavori ancora una volta. Lei si sarebbe
occupata delle ricerche del suo zaffiro, mentre Michael avrebbe rubato il libro
che le avevano commissionato di prendere. Le ricerche nelle acque torbide della
malavita lo avevano sempre annoiato. Preferiva il lavoro manuale e la
preparazione al furto al passare delle bustarelle e riscuotere vecchi favore a
qualcuno, per farsi dare delle informazioni che al novanta per cento sarebbero
state false.
Se solo avesse potuto accedere ai ricordi di suo padre, non
avrebbe avuto un bisogno così disperato di Alex e della sua capacità di trovare
qualsiasi cosa con un paio di telefonate ben piazzate. Ma quelle memorie
continuavano a sfuggirgli, aveva solo dei lampi confusi e nessuno di essi era
ciò che gli interessava.
Michael sapeva che era stato suo padre, Alain Dubois, a
rubare la Stella di Bombay dal Museo dello Smithsonian dieci anni prima e a sostituirlo
con uno zaffiro sintetico che aveva creato, ma a parte quell’informazione, non era
più riuscito a seguire le tracce di quel gioiello da 182 carati. Chiunque
avesse pagato suo padre per quel furto era sparito. E per questo lui lo
desiderava ardentemente, quasi quanto riuscire a capire Verity.
Quando Alex si sedette a cavalcioni sulle sue gambe reclinò
indietro la testa con un misto di eccitazione e d’ira per la libertà che lei si
stava prendendo. Non gli piaceva non avere le cose sotto controllo, ma
conosceva anche la ragazza e sapeva che poi non se ne sarebbe pentito.
Chiuse gli occhi, perdendosi nell’illusione che potessero
essere di Verity le labbra che gli baciavano il collo. Continuava a pensare a
lei anche se aveva cose più urgenti su cui riflettere, piani da elaborare e una
a dir poco stupenda ragazza tra le braccia.
Anche mentre premeva Alex contro il muro il pensiero di lei
continuava a tormentarlo e non capiva il perché. Si era trattenuto a stento due
volte dal sussurrare il nome di Verity in preda all’eccitazione e alla
confusione. Quello, nemmeno Alex avrebbe potuto perdonarglielo.
Aveva frugato un bel po’ tra tutti i suoi io del passato,
cercando una risposta a quella persecuzione e credeva di aver trovato qualcosa:
la Luna e la Regina di Spade erano stati sposati ed avevano anche avuto dei
figli insieme. Doveva essere quello motivo per cui fosse tanto confuso e non
perché non era riuscito ad ucciderla quando ne aveva avuto l’opportunità, ma
dentro di lui c’era qualcos’altro. Un immenso vuoto, il senso di perdita, di
tradimento e dolore si mischiavano al desiderio di trovarla e proteggerla.
– Sei freddo. – gli sussurrò Alex. – Assente.
Lui riaprì gli occhi raddrizzandosi, Alex aveva frantumato il
suo sogno. Voleva togliersela dalle gambe e allo stesso tempo stringerla forte
e averla più vicina. – Sono occupato, Alex. Devo trovare il modo per entrare
negli archivi.
Si staccò, guardandolo negli occhi. – Nemmeno per entrare in
quel museo a Mosca eri così occupato da non passare un po’ di tempo con me.
Lui ghignò stringendo forte le mani sui suoi fianchi. – Forse
ora è più difficile.
Alex scosse la testa come se la frase di Michael fosse una
stupidaggine. – C’erano i sensori di movimento e quelli a pressione. Era
difficile.
Affondò le dita tra le ciocche nere di Alex mascherando un
fiotto di irritazione. Il motivo per cui riteneva che le donne fossero stupide
stava sulle sue ginocchia. Insieme a sua madre, l’insistenza di Alex nel
correggerlo era la cosa che più gli dava i nervi. – Forse ora non ho voglia di
fare sesso. – aveva appositamente usato un tono piatto e freddo, quasi
sussurrato, ma aveva sortito l’effetto voluto. Alex lo guardò come se avesse
ricevuto uno schiaffo. – Tu hai sempre voglia di fare sesso.
Nascose di nuovo l’irritazione dietro ad un sorriso beffardo.
Era diventato bravo a non mostrare agli altri i propri sentimenti, quelli come
lui si sarebbero approfittati di ogni più piccola breccia per far crollare il
proprio nemico. Michael l’aveva scoperto a proprie spese quando aveva cercato
di proteggere Angéline. I suoi tentativi di nasconderla, avevano portato
Duchessa direttamente da sua sorella.
Se non fosse stato per quella strega chiaroveggente, Michael
avrebbe avuto le mani legate e avrebbe consegnato anche l’anima a Duchessa,
oltre che al proprio corpo e ai suoi talenti. – Alex, – mormorò dandole un
bacio casto sulla guancia. – vai a dormire, io devo terminare qui. – se fosse
riuscito a concentrarsi, forse avrebbe ottenuto qualche risultato decente.
Molti pensavano che l’arte del furto fosse basato sull’aprire
casseforti e usare dei guanti per non lasciare impronte. Michael era molto più
sottile, gli piaceva agire senza lasciare la minima traccia, comportandosi come
se fosse un filo di fumo, impalpabile e inafferrabile che scompariva senza
lasciarsi dietro niente altro che un ricordo. Per questo il furto alla Torre
Eiffel era stato un fiasco. Il primo piano della torre era andato distrutto, la
polizia era stata allertata e tutto il mondo sapeva che quel diamante era stato
rubato. Lo aveva consegnato a Duchessa senza fare storie ben sapendo che lei
non avrebbe incontrato difficoltà a farlo battere ad un’asta clandestina e a
dargli la sua parte. Probabilmente avrebbe trattenuto qualcosa per essersi
lasciato dietro una scia di vetri infranti e perché la polizia le aveva fatto
un mucchio di domande mentre Michael se n’era tornato al suo appartamento al
sicuro. Per Duchessa doveva essere stato un affronto e lui si era divertito a
immaginarla sotto interrogatorio.
– Sei distratto. – lo rimproverò Alex passandogli una mano
sugli addominali. Michael si irrigidì, ma non la fermò quando lei gli sbottonò i
pantaloni neri.
– Allora impegnati, Alex. Fammi pensare solo a te. – si
scostò sdegnato quando lei cercò le sue labbra per dargli un bacio. – È troppo
facile così. Non mi piace farmi baciare. Considerami una preziosa cassaforte.
Stupiscimi.
Gli davano fastidio le ragazze che lo baciavano in bocca
aspettandosi che ricambiasse con passione. Ogni bacio per lui voleva dire
qualcosa, e spesso, toccava le labbra di una ragazza solo per dirle addio.
Lui avrebbe passato le ore a baciare la ragazza che fosse
riuscita a rubargli il cuore, ma visto che non c’era nessuna alla sua altezza,
non c’era la possibilità che lui ricambiasse i baci delle ragazze esaudendo i
loro desideri. Alex lo sapeva, ma continuava a provarci, rendendosi ogni volta
ridicola.
– A volte sei noioso Michael, – la voce bassa di Alex avrebbe
dovuto essere erotica, invece lui era sempre più freddo. – hai un bel faccino,
un bel fisico, ma non sei l’unico sulla faccia della terra. Non ce l’hai d’oro.
Michael le sbottonò piano la camicia e la lasciò scivolare
via dalle spalle di Alex. Le morse un seno con un mezzo sorriso prima di
ritrarsi. – Allora mia cara, perché non ti vai a cercare qualcuno che ce l’ha
realmente d’oro e non mi lasci in pace? Magari mettendoti qualcosa di tuo.
Questa camicia vale molto di più di quanto possano offrirti per la tua
compagnia. E visto che è un’edizione limitata, non riusciresti a rimborsarmela
se si rovina.
Alex sbiancò e poi si ricompose con la massima dignità che
poteva avere una donna nuda che era appena stata rifiutata dopo essersi offerta,
Michael doveva dargliene atto. – Sei un bastardo. – sibilò lei.
Ormai glielo avevano detto talmente tante volte che non ci
faceva più caso. – Considerando chi è mia madre, questo termine ha perso il suo
fascino. – rispose alzando le spalle. – Alex, puoi scegliere: metterti qualcosa
addosso e andartene o dormire. Magari sul divano, se vuoi rimanere. Mi dà
fastidio che quelle come te pretendano di dormire nel mio letto come se vi appartenesse.
La crudeltà era una dote che aveva ereditato dalla madre.
L’aveva messa a frutto fin da bambino per proteggere Angéline e quando il suo
vocabolario sia ampliato, aveva imparato a essere offensivo senza essere
volgare. Dare della puttana a una ragazza non era mai piacevole quanto
farglielo notare, ma non avrebbe dovuto arrivare a quel punto con Alex. La
ragazza poteva vendicarsi e metterlo su una falsa pista o farlo cadere in
trappola. Peggio ancora, poteva tradirlo e comunicare i suoi movimenti a
Duchessa. E se lei avesse saputo che stava di nuovo agendo di testa sua, Angie
sarebbe stata in pericolo.
Invece di scendere dalle sue gambe e offendersi, Alex gli
sorrise crudele passandogli due dita dall’ombelico allo sterno. – Non sono io
quella che si è venduta a Duchessa per avere un buon giro di mercato. Girano
delle voci su di te, sai? Pare che tu sia stato il suo preferito per un paio di
mesi, poi ti ha scaricato per uno più giovane. Incredibile, no? Ventuno anni e
sei troppo vecchio per soddisfare gli appetiti di Duchessa. Anche prima,
sembravi un po’ fiacco.
Per la seconda volta
da quando si erano conosciuti, Alex lo lasciò senza parole. Forse era un
record. Passarono quasi trenta secondi di silenzio con solo la pioggia che
batteva contro le finestre alle sue spalle a ricordargli che il mondo non si
era fermato.
Poi scoppiò a ridere. – Dovrebbe ferirmi? – sussurrò. – Pensi
che mi importi di non essere più il giocattolo prediletto di Duchessa? Per
quanto riguarda l’essere fiacco, forse tu non mi dai alcuna soddisfazione né
motivo per impegnarmi. Alex, Alex. Insistente Alex. L’unico motivo per cui sei
in questa stanza è la tua preziosa rubrica di contatti. Ciò che hai tra le gambe
ce l’hanno tutte. Quindi, Alexandria,
– cambiò tonò intessendo le parole con la magia. – perché non dormi?
La ragazza gli si accasciò tra le braccia e la sentì russare
sommessamente. Anche lui si sentiva molto stanco per quel piccolo incantesimo. Più
di quando aveva addormentato Verity o Angéline o reso invisibile la sua auto.
Guardò il calendario lunare. La luna era calante e fra undici
giorni sarebbe stata nuova. Avrebbe sentito i suoi poteri ridursi fino alla
completa perdita durante la notte di Luna Nuova.
Per quanto i suoi poteri giocassero a suo favore per i furti,
odiava il modo in cui erano altalenanti durante il ciclo lunare. Aveva compiuto
il furto alla Torre Eiffel con la Luna Piena, al massimo del suo splendore e se
voleva approfittare di ciò che gli era rimasto doveva sbrigarsi a lavorare sul
suo piano, altrimenti avrebbe dovuto rimandarlo.
Avrebbe potuto fare affidamento solo sul suo cervello per una
volta, ma preferiva avere la sicurezza dell’uscire indenne e che nessuno
riuscisse a risalire a lui. Soprattutto non Duchessa. Non gli avrebbe permesso
di agire un’altra volta da solista, era stata chiara su quello.
Guardò Alex nuda tra le braccia e poi il letto. Era un
matrimoniale e anche se non l’aveva misurato, sapeva che era più spazioso del
suo. Avrebbero potuto dormire entrambi tra quelle lenzuola, ma l’idea gli dava
fastidio. Perfino quando aveva Verity nel suo letto non aveva dormito con lei.
Aveva eseguito il lavoro alla torre e poi si era appisolato sulla poltrona
sotto la finestra del suo appartamento. – Immagino di doverti riportare al tuo
hotel o dover portare pazienza. – mormorò. La prese in braccio e la appoggiò
sul divano della camera moderna che aveva scelto. Prese perfino il lenzuolo e la
avvolse invece che lasciarla dormire nuda sulla pelle nera. – Poi mi dicono che
non sono cavaliere.
Tornò al tavolo a studiare le carte e gli appunti che aveva
preso. La risposta gli sarebbe arrivata prima o poi. Non esistevano furti
impossibili, solo persone che non avevano il coraggio di osare.
Aveva già deciso come entrare, il problema maggiore era come
uscire con il libro. Le macchine non erano facili da ingannare come l’occhio
umano. Avrebbe dovuto lavorare su quello.
Avrebbe portato dentro delle cose semplici, qualcosa da
passare ai raggi x all’entrata e all’uscita. Una valigetta con un blocco per gli
appunti, penna e guanti. Avrebbe indossato qualcosa di metallico per ingannare
il metal detector, da tempo aveva sostituito i vecchi grimaldelli in acciaio
con del materiale flessibile ad alta resistenza che passassero inosservato ai
controlli.
All’uscita avrebbe avuto le stesse cose, più un libro.
Michael era un illusionista e gli illusionisti attiravano l’attenzione da una
parte per distrarre il pubblico dal vero trucco.
Senza Alex a distrarlo gran parte del suo piano prese forma
in quel preciso istante e Michael si alzò soddisfatto andando alla finestra.
Tre piani sotto di lui la vita notturna di Dublino proseguiva nonostante la
pioggia battente. Dovevano essere abituati a quel tempo umido, alla nebbia tentacolare
che si infilava ovunque e alle giornate di sole che improvvisamente si
trasformavano in diluvi.
L’immagine che vide alla finestra si trasfigurò. Non era più
a Dublino, in quell’albergo in mezzo al quartiere di Temple Bar, ma in un
castello di pietra con le finestre erano piccole e con i vetri spessi. Fuori
splendeva il sole ed era primavera inoltrata.
Michael batté le palpebre e scacciò il ricordo che lo aveva
assalito mentre era ancora sveglio. Sapeva che come avrebbe chiuso gli occhi lo
avrebbe rivisto. In parte non gli dispiaceva, per quel secondo che le due vite
si erano sovrapposte un forte di pace e benessere l’aveva avvolto.
Andò a letto indossando i boxer scuri. Il sonno lo avvinse
quasi subito e ancora prima di
rendersene conto, Michael era sprofondato in una delle sue precedenti vite.
Elena rideva mentre
ricamava con le altre dame di Camelot. Giravano tante voci sulla regina che il
re era andato a prendere di persona. Dicevano che se ne fosse innamorato dopo
averla vista solo una volta. Le serve sussurravano che avesse già consumato le
nozze perché non riusciva ad aspettare e che la regina fosse già incinta.
E mentre correvano quei
pettegolezzi per i corridoi del castello, altre affermavano con sicurezza che lei
lo avesse rifiutato. – Dicono che sia come noi. Una maga. – disse Arla mettendo
un altro punto. Stava ricamando dei grappoli d’uva nera che poi avrebbe offerto
al suo cavaliere prediletto durante il prossimo torneo.
Elena non aveva alcun
dubbio che quella fosse la verità, Artù di Camelot aveva riunito intorno a sé
dame e cavalieri che venivano da tutti i regni che possedevano la magia. E in
un mondo dove quelli come loro venivano perseguitati, il sogno di Artù il Re e di
Merlino il Mago era divampato come un incendio d’estate. Avevano costruito un
regno dove i settantotto sventurati eredi dell’antica magia potevano vivere
insieme e non lottare in una guerra sanguinaria.
Artù e Merlino erano stati
irremovibili su un’unica regola su cui nessuno poteva transigere: dovevano
vivere in pace.
Per Elena e per suo
padre prima di lei, Camelot era la libertà.
Erano stati entrambi
perseguitati per la loro capacità. E quando nel piccolo villaggio dove era nata
la gente aveva iniziato ad additare suo padre come stregone, loro due erano
partiti alla ricerca del regno che era già diventato leggenda.
Elena poteva mostrare a
tutti i suoi poteri, poteva consultarsi con Merlino, e cercare i consigli della
tutrice. Girava a testa alta per la città creando illusioni per i bambini e si
divertiva guardando i giochi di fuoco nelle nottate di festa. E trovava
confortante ascoltare le predizioni della sua migliore amica.
Ognuno a Camelot era
valorizzato per il proprio potere e aveva una sua utilità.
– Smettete di ridere e
concentratevi signorine. Quei fazzoletti non si ricameranno da soli! – Madama
Juliana aveva ragione, ma lei avrebbe potuto creare l’illusione che il
fazzoletto fosse quasi terminato. Alzò lo sguardo sulla sua tutrice che
incrociò le braccia al petto e le labbra si tirarono in un linea sottile, quasi
le avesse letto nel pensiero. Forse era così, loro due condividevano in parte
l’origine dei propri poteri. Ma mentre una era costretta a mantenersi pura per
avere la propria forza al massimo, la magia di Elena era dettata dalle fasi
lunari.
Ridacchiò e decise di
mettere qualche altro punto sotto lo sguardo della donna. Artù e Merlino
avevano designato Juliana come tutrice delle giovani di Camelot per la sua
integrità e intransigenza. Non era il caso di farla arrabbiare.
Il regno non poteva
essere più fiorente, anche se Artù non aveva ancora riunito tutti quanti. Mancavano
molti di loro, alcuni molto potenti. Ma c’erano alcuni maghi assenti che la
turbavano. Quando pensava a uno di loro in particolare il cuore le batteva più
velocemente incendiandosi do rabbia e risentimento. C’era qualcosa nel loro
passato che non era ancora riuscita a comprendere e aveva paura di scoprirlo e
rischiare di rompere la pace di Artù.
A Merida cadde il
ricamo di mano e si premette le mani sulle tempie. – Cosa vedi, bambina? –
domandò Juliana. – Una qualche visione?
La ragazza annuì concentrandosi
ancora di più. – La regina arriverà oggi. – indicò un punto fuori dalla stretta
finestra. – Quando il sole sarà in quella posizione.
Si diffuse un mormorio
eccitato tra le ragazze che Juliana mise a tacere con difficoltà. La regina
sarebbe arrivata presto. Una nuova maga per rendere più forte e sicura Camelot.
Merida le si avvicinò,
approfittando della confusione. – Sarai la sua dama di compagnia. Lei ti vorrà
bene e tu a lei.
Elena sorrise a quella
notizia e riprese a ricamare guardando il punto che Merida aveva indicato nella
speranza che il sole si muovesse e arrivasse in quella posizione. Voleva
conoscerla a tutti i costi, da quando era stata nominata per la prima volta ne
era stata incuriosita. Chissà che moglie aveva scelto un re forte e giusto come
Artù?
Sentii lo scalpiccio
degli zoccoli sul selciato e le grida di acclamazione prima delle altre ragazze
e corse alla finestra. L’aria primaverile le rinfrescò il viso e fu costretta a
litigarsi lo spazio di quel piccolo pertugio con le altre ragazze, ben decisa a
non mollare. Doveva guardarla scendere dalla carrozza e salutarla insieme al
resto della corte.
Vide la fanciulla dai
capelli neri scendere a testa alta, aiutata da un cavaliere che ringraziò
arrossendo e fece una riverenza quando la seconda ragazza con i capelli dorati
scese dalla carrozza senza aiuto. I presenti nel cortile si inchinarono in sua
presenza.
La fanciulla fece
vagare lo sguardo smarrito sulle mura del castello e i loro sguardi si incrociarono
per non lasciarsi andare più. Elena rivide tutti i loro passati in
quell’istante infinito, come se il tempo si fosse bloccato ed esistessero solo
loro due.
Il cuore le batté
all’impazzata e desiderò correre a capofitto per le scale e andarle incontro e
stringerla forte. Era lei, l’aveva ritrovata. La persona a lei più cara. Colei
che sognava tutte le notti e per cui si struggeva.
L’incantesimo si ruppe
nell’instante in cui la regina fu chiamata da Artù e le prese la mano per
presentarla. – Lei è Ginevra. La Signora del Vento e delle Tempeste. Rendetele
onore perché sarà mia moglie e regina di Camelot.
Il suo cuore si ruppe a
quella frase. Ginevra non le sarebbe appartenuta in quella vita. Conosceva i
piani del re, sapeva che l’avrebbe presa in moglie, ma quelle parole la
ferirono. Loro due si amavano da secoli, il re lo sapeva, ma aveva calpestato
lo stesso quei sentimenti. Anche questa volta l’aveva trovata e l’aveva persa
di nuovo, ancora prima di poterle parlare. In quell’istante odiò Artù come mai
prima d’ora, ma Elena capiva anche la sua decisione e non poteva tradire la
fiducia che lui aveva riposto distruggendo il suo sogno. Loro due avevano
poteri simili, era ovvio che la volesse.
Nel momento in cui Ginevra
strinse la mano di Artù e gli sussurrò qualcosa che lo fece ridere, le gambe di
Elena cedettero. Lei
ti vorrà bene e tu a lei. Solo quelle
parole le impedirono di cadere.
Guarda su, la implorò, guarda su e notami. Sono qui. Sarò sempre qui per te.
Michael si svegliò di soprasanto e si toccò il petto. Il
cuore gli batteva forte contro il torace e aveva una pessima sensazione di
soffocamento in gola.
Ricadde indietro contro i cuscini e si mise a scrutare il soffitto, nel buio. Ginevra, regina di Camelot. L’idea che Verity potesse essere stata regina di un regno leggendario lo faceva ridere. Così come lo faceva ridere l’idea di essere stato una donna e nonostante questo, l’aveva amata incondizionatamente.
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NdA:
Sia lode all'eroe trionfatore! Scherzi a parte, ora inizia un nuovo
ciclo e ovviamente dovevo iniziare con un furto di Michael o non sarei
stata contenta. Cosa ne pensate di Michael? fatemi sapere! Grazie
a tutti quelli che mi lasciano un proprio pensiero e mi aggiungono
nelle seguite, preferite ecc. Mi fa sempre tanto piacere!