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Autore: lucabovo78    20/05/2014    1 recensioni
« La magia è dentro di noi, fa parte della nostra natura. Dobbiamo solo trovare il modo giusto per usarla. »
Se la magia fosse una cosa naturale come respirare, tutti sarebbero in grado di usarla. Invece, questo "privilegio" è affidato a pochi individui, dotati di grande potere e chiamati Stregoni.
Questa è la storia di un giovane stregone e del prezzo che dovrà pagare per questo potere.
« Non è bene sottovalutare le trame del destino, potrebbe rivoltarsi contro di noi. »
Copyright © 2013 Luca Bovo, tutti i diritti riservati
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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26. Antichi veleni

 

Era solo. Era disteso sulla schiena. Il calore che avvertiva era piacevole, si sentiva tranquillo. Intorno a lui era buio, ma non aveva paura. Improvvisamente l’oscurità era lacerata da un bagliore. Che cosa stava succedendo? Qualcuno, o qualcosa, lo sollevava. Il calore si affievoliva e si trasformava in gelo. Incominciava ad agitarsi. Stringeva più forte quello che aveva in mano. Era duro e ruvido, ma il suo contatto lo aiutava a calmarsi. Si stavano muovendo velocemente, percepiva l’aria sul viso e sulla pelle. Sentiva dei rumori dietro di loro, voci? Il freddo era sempre più pungente. Poi, un intenso calore e odore di fiamme. Un’enorme zampa squamata con possenti artigli neri lo stava per afferrare. La zampa però, prima di afferrarlo, si trasformava in una grande mano, calda e forte. Ora si sentiva nuovamente al sicuro, qualcuno lo stava tenendo in braccio. Chi era? Guardava in alto, il volto era in ombra, coperto da un cappuccio. Da dietro le spalle spuntava qualcosa. 

Una falce nera.

   Aprì gli occhi. “E questo, cosa vuol dire?”

Sephyr non era accanto a lui. Si mise a sedere e si guardò attorno. Sentiva un profumo inconfondibile. Caffè. La ragazza era ai fornelli, di spalle: stava cucinando qualcosa. C’era un altro profumo nell’aria, era dolce. Si alzò e si avvicinò piano, le mise le mani sui fianchi e la baciò sul collo, scostandole i capelli con il mento. Lei appoggiò la nuca e la schiena al suo petto, piegando il collo di lato per fare spazio al bacio.

   «Buongiorno...»

«Mmmh…Buongiorno».

   «Che cosa stai cucinando? Il profumo è ottimo».

Sbirciò la padella, una specie di pastella bianca stava friggendo.

   «E’ una mia specialità, sentirai! Anch’io sono brava a cucinare! »

«Lo so».

   «Mi sono anche presa la libertà di preparare il caffè, così mi dirai se ho imparato».

   «Che meraviglia!»

Fece scivolare le mani sui fianchi della ragazza e le cinse la vita con le braccia, stringendola a se.

   «Quindi non sono più in castigo?»

«Non lo so…devo ancora decidere… »

   Posò la padella, si girò verso di lui e gli mise le braccia attorno al collo.

   «Dipende da come ti comporti».

Dopodiché lo baciò. Nella testa di entrambi, in quel momento, la colazione poteva aspettare un altro po’.

   Quasi subito, però, sentirono dei passi fuori dalla porta e si girarono preoccupati.

 

   Alden aveva viaggiato per tutta la notte e cominciava a essere sfinito. Da quanto aveva dedotto, avevano percorso la strada principale che conduceva al lago di Helmer. Arrivò alle pendici delle colline a giorno fatto. Trovò quasi subito le tracce giuste una volta lasciata la via principale battuta in continuazione dai viandanti. Si arrampicò per il sentiero che aveva individuato e in pochi minuti arrivò al casolare. La porta era chiusa,  ma sentiva del movimento al suo interno.

   “Questa volta ci sono!”

Si diresse a larghe falcate verso la costruzione e aprì di colpo la porta, senza bussare.

   «Sephyr! »

Si ritrovò di fronte a due enormi individui barbuti vestiti con abiti da caccia che, seduti al tavolo, stavano trangugiando un liquido nero e fumante contenuto in due altrettanto enormi boccali. Alla vista del giovane intruso, appoggiarono i bicchieri e assunsero un’espressione truce. Alden rimase a bocca aperta, all’inizio credette di trovarsi di fronte a due orchi, poi si rese conto che si trattava semplicemente di due uomini dalla stazza notevole. Uno dei due omoni si rivolse all’altro, senza staccare gli occhi di dosso al ragazzo.

   «Hey Nichlas, questo qui cerca la nostra amica, secondo te c’è da fidarsi?»

   «Non saprei, Clauss. Ma dalla faccia non mi sta molto simpatico. E poi deve essere anche maleducato: entra nelle case altrui senza bussare».

   Alden, alle parole “la nostra amica”, si riprese dalla sorpresa.

«La Sephyr che conoscete è una giovane ragazza molto bella, con i capelli neri e gli occhi blu? E’ stata qui?»

   Nichlas e Clauss continuavano a fissarlo.

«Hai proprio ragione Nichlas, questo qui è proprio un maleducato. Ci piomba in casa senza bussare, non si presenta e fa domande. Anche a me non sta molto simpatico».

   «Giusto Clauss, non si presenta e fa domande. I giovani d’oggi sono proprio dei maleducati».

   «Non tutti però, la piccola Sephyr e il suo fidanzato sono molto più educati e gentili».

   “…fidanzato?” «Intendete il ragazzo che la accompagna? Non è il suo fidanzato!»

   Nichlas e Clauss si guardarono con un sorriso obliquo.

«Tu che dici Nichlas? Se quei due non sono fidanzati, io sono un troll».

   «Bhè Clauss, un po’ ci assomigli a un troll, ma comunque anche secondo me è chiaro che quei due sono fidanzati».

   “Ma tutti a me devono capitare i personaggi bizzarri? Lind…appena ti metto le mani addosso sei morto”

   «Va bene, non importa. Se ne sono andati da molto? Sapete dove sono diretti?»

   I due uomini voltarono nuovamente lo sguardo su Alden.

«Lo senti Nichlas? Continua a fare domande senza essersi presentato. Io dico che deve andarsene».

   «Sono d’accordo Clauss. »

I due uomini si alzarono dal tavolo e si diressero verso il ragazzo.

   «Ehi, un momento… »

Un secondo dopo era disteso a terra a qualche metro di distanza dalla porta, con le ossa doloranti.

 

   «Sono stati veramente comprensivi, non è vero?»

Sephyr e Lind, in quel momento, stavano navigando sul lago di Helmer su una barca a remi che avevano appena affittato.

   «Molto. Ma se fossi stato solo, non so quanto lo sarebbero stati».

«Perché?»

   «Bhè, dovresti conoscere l’effetto che fai sugli uomini, no?»

«Questo non centra nulla, hanno capito la situazione e sono stati comprensivi. Non tutti ragionano da maniaci».

   «Fidati, non serve essere maniaci…»

«Stupido. Comunque, il merito è anche del caffè che gli abbiamo offerto. Ne sono rimasti entusiasti».

   «Forse…tra l’altro se ne sono fatti fuori una quantità enorme, siamo quasi a secco.»

   «Questo un po’ mi dispiace…quasi quanto il fatto che ci abbiano interrotto».

   Gli lanciò uno sguardo malizioso. Lui lo ricambiò.

«Bhè, questa barca mi sembra abbastanza robusta e comoda…che dici?»

   «Mi tenti…ma meglio di no, non ho voglia di dare spettacolo in pubblico».

   Effettivamente, il lago era molto frequentato, altre barche come la loro facevano continuamente la spola da un molo all’altro. Una barca ferma e dondolante in mezzo all’acqua avrebbe rapidamente attratto l’attenzione.

   «Forse hai ragione, ne riparliamo più tardi».

In un’ora compirono la traversata. Attraccarono al molo e decisero di chiedere informazioni, sulla strada da seguire, all’uomo che si occupava delle barche a noleggio.

   «Caputargilis? Perché state andando in un posto del genere? Non mi sembrate dei banditi».

   «Stiamo cercando una persona, e c’è la possibilità che si trovi lì».

L’uomo si rabbuiò.

   «Mi dispiace per voi, ma dubito che sia rimasto qualcuno in quella città. Di vivo almeno».

   I due ragazzi lo guardarono sorpresi e preoccupati.

«Che cosa intende dire?»

   «Pare che giorni fa ci sia stato un qualche incidente in città, molti sostengono una rissa tra banditi che è degenerata, ma sta di fatto che ora nessuno più va o viene da li. Devono esserci stati anche degli incendi, a giudicare dal fumo».

   Lind fu preso dallo sconforto: era l’unica pista che avevano e, forse, era letteralmente finita in fumo. Inoltre, c’era la possibilità che al Maestro fosse successo qualcosa di grave, se si fosse veramente trovato lì. Sephyr si accorse del suo stato d’animo e si fece avanti.

   «La ringraziamo, ma dobbiamo in ogni caso andare a controllare. Può indicarci la strada, per favore?»

   L’uomo le fece un grande sorriso, stranamente non l’aveva ancora notata.

   «Ma certo, bella signorina! Basta che seguiate il fumo, vedete? Si distingue ancora bene».

   Indicò verso est, si vedeva una colonna nera in lontananza nel cielo. A giudicare dalla distanza, verso sera avrebbero dovuto raggiungerla senza difficoltà.

   «Perfetto, grazie mille e arrivederci. Andiamo, Lind!»

La ragazza si diresse verso l’uscita del molo, l’uomo la seguì con lo sguardo, inclinando la testa di lato.

   «Ragazzo mio se fossi in te, cercherei di evitare di mettere a rischio tanto ben di dio».

   Anche Lind la stava osservando.

«Ho provato a farle cambiare idea, ma non c’è stato verso. Comunque, le assicuro che sa il fatto suo».

   La ragazza si fermò e si girò verso i due uomini.

«Allora? Ti muovi? »

   Distolsero lo sguardo, facendo finta di niente.   

«Arrivo!»

  

Corgh era seduto su una branda della cella umida nella quale erano stati rinchiusi la sera prima. Jofiah non aveva chiuso occhio.

   «Amico mio, questa volta ti sei superato. Hai dimenticato di riferirmi l’insignificante dettaglio che qui c’è ancora una taglia sulla tua testa?! Mi hai sempre detto che qui c’era qualcuno al quale non stavi simpatico, ma non che ti volesse mettere al patibolo!»

   «Non me ne sono dimenticato, speravo di riuscire a evitare il capitano, o meglio, speravo fosse morto. »

   «Va bene, ma almeno potevi dirmi qualcosa, no?! »

«Lo so, lo so, hai ragione, scusami! Adesso basta, dobbiamo trovare il modo di andarcene da qui il prima possibile, non possiamo perdere tempo».

   Un rumore di passi lungo il corridoio delle celle. L’oste abbassò la voce e si alzò dalla branda.

   «Ora stai tranquillo, vediamo cosa hanno da dirci i nostri amici».

Il capitano Sheryan comparve davanti alle sbarre della cella, accompagnato da una guardia armata. Il sorriso di soddisfazione che sfoggiava irritò l’oste.

   «Hai dormito bene Corghyan? Io molto, come non lo facevo da anni. Tra qualche ora, finalmente, pagherai per i tuoi crimini».

   «Non sarebbe meglio usare le parole giuste, Capitano? Finalmente avrete la vostra vendetta, giusto?»

   Sheryan assunse un’espressione cupa e avvicinò il viso alle sbarre.

    «Puoi dire quello che vuoi, alla fine sarò io a vincere, come sempre».

   Corgh avvicinò il viso al suo, sostenendone lo sguardo gelido.

«Sei patetico, vecchio. Non hai avuto quello che volevi vent’anni fa e non lo avrai di certo oggi».

   «Forse, ma quando Deliah ti vedrà penzolare da una corda, forse si pentirà della sua scelta. A me basta questo».

   Dopodiché proruppe in una risata, si voltò e se ne andò, seguito dalla guardia. Una volta che si furono allontanati, Jofiah si avvicinò e mise una mano sulla spalla dell’amico.

   «Direi che è giunta l’ora che tu mi racconti tutto».

Prima che Corgh potesse rispondere, una voce proveniente dalla finestra della cella li fece sobbalzare. Si girarono e videro l’inconfondibile volto di un elfo che li stava guardando da dietro la grata.

   «Nae saian Luume’, heru Corghyan!*»

L’oste sbarrò gli occhi.

   «Alomas! Mellonanim! Lle maa quel!**»

Jofiah s’intromise, spazientito.

   «Lo conosci? Cosa diavolo sta succedendo?»

L’elfo, Alomas, si scusò con un cenno del capo.

   «Il mio nome è Alomas, amico mio, sono qui per ordine della sacerdotessa Deliah, ora fatevi da parte per favore.»

   Detto questo, scomparve. Corgh intuì le intenzioni dell’elfo e strattonò Jofiah lontano dal muro. Un secondo dopo, le pietre sotto la finestra esplosero.

 

*E’ passato molto tempo, signor Corghyan!

**Alomas! Amico mio! Sembri in ottima forma!

  
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