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Autore: Some kind of sociopath    21/05/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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– L’hai ucciso?
Restò via quasi tre giorni, ciononostante fu la prima cosa che dissi quando mise piede in casa. Non gli lasciai il tempo di sedersi, di salutare o guardarmi con il suo solito muso inespressivo. Fu la prima cosa che dissi, ma non la prima che feci: appena varcò la soglia della sala da pranzo gli scagliai contro un piatto orribile, che Achille usava come centrotavola.
Il pezzo di ceramica si spaccò contro il muro alle sue spalle mentre fremevo dalla rabbia, poi gli saltai addosso buttandolo a terra, la sua schiena scricchiolante contro i cocci. – L’hai ucciso? – A cavalcioni sopra di lui, sentivo gli occhi bruciare e l’ansia crescermi nel petto. Lui, invece, era incredibilmente calmo. Grosso errore. – Hai ucciso John Pitcairn? Rispondi!
– Calmati! – Cercò di sfilare le braccia da sotto le mie gambe, ma le tenevo strette al suo corpo, come quando avevo rischiato di essere impiccato davanti al tenente colonnello Edward Braddock. – Sì. L’ho ucciso.
Affondai direttamente il pugno sul suo zigomo, sentendo anche un paio di denti saltare nello scricchiolio d’ossa. – Be’, complimenti! – sibilai, gli occhi che continuavano a bruciare. – Quando la smetterai di agire ignorando ciò che dico, eh? Dovevi mantenerlo in vita!
Mi fulminò con lo sguardo. Come sua madre, era in grando, qualche volta, di zittirmi con la sola intensità di quegli occhi neri e duri. – Perché? Per permettere a te di ucciderlo, come Johnson?
Un altro pugno. Si rifiutava di capire, è l’essere con meno empatia che abbia mai conosciuto. No, Reginald era capace di empatia, ma faceva finta di niente. Avevo imparato da un maestro. – Idiota! – digrignai i denti. – Avresti dovuto sentire la sua versione dei fatti! Forse non aveva poi così torto! – Pensavo che in un certo senso l’avesse fatto, nello stile degli Assassini, ma come potevo esserne sicuro, eh? Come potevo sapere che non aveva fatto un buco nella fronte di John lasciando non dette le sue ultime parole?
– Hai detto… – Tossì, il sangue colava lungo il suo mento. – Hai detto di non essere dalla parte della Corona! Perché allora avresti voluto sentire le sue ragioni?
Sollevai appena il suo petto, travolto dall’ira. – Perché i patrioti sono degli imbecilli male armati e peggio organizzati, dei bambini che credono di fermare una guerra! E non fingere che non sia così! – Vedevo la follia del mio sguardo riflessa nel suo, ne ero ammaliato. – L’hanno reso ufficiale dopo la tua impresucola a Lexington e Concord. Guerra! Sangue! Paladini della Corona contro patrioti, coloni che ammazzano coloni! Immagino ti piaccia, no? Esattamente ciò che dice il vostro codice d’onore!
– Per questo l’ho fatto! – Sembrava quasi volersi giustificare, le pupille dilatate, appena distinguibili dall’iride. – Per dare una mano. Per una causa.
Risi amaramente. – Non basterà! Non sai sempre lì per loro, non potrai salvarli tutti! Quanti ne sono già morti, eh? – Il sangue continuava a scorrere verso il suo mento, rendendogli il volto simile ad una maschera di guerra. – Non fare l’eroe, ragazzo. Non funziona mai.
– I patrioti ce la faranno!
– Un uomo solo non cambierà la situazione! Credi che non ci abbia mai pensato nessuno?
Con mia estrema sorpresa, fu lui a sogghignare. – Eppure vuoi uccidere Washington.
Emisi un verso snervato. – Lui è un inetto!
– Ora la sua morte a che servirebbe? La guerra è cominciata! Ci sarebbe scompiglio senza nessuna soluzione.
– Ci penserebbe Lee!
Scosse la testa. – Nessun patriota sano di mente seguirebbe mai Charles Lee, Haytham! A che servirebbe ucciderlo, eh?
Scrollai il capo, amareggiato. – Charles non si lascerebbe sfuggire un incarico del genere per niente al mondo. Come puoi essere così ingenuo?
– Non sono ingenuo!
– Peggio, sei speranzoso! – Dannazione, lo ero anche io, certo, ma non quanto lui. Riuscivo a individuare il sottile confine tra la speranza e l’idiozia, al contrario di Connor.
– No! Credo nell’inutilità dei sotterfugi, nel potere delle azioni fatte apertamente.
– E che fine ha fatto l’agire nel buio?
Sussultò. – Regole di secoli fa. Le cose cambiano.
Con un gemito di stizza lo lasciai andare di nuovo sul pavimento, sollevandomi piano. Avevo le nocche sbucciate e sporche di sangue, le cosce indolenzite a forza di serrare la presa sui suoi fianchi. – Non avresti dovuto ucciderlo, Connor.
Il ragazzo si alzò con una mano sulla bocca. – E allora cosa avrei dovuto fare? – Pacato. Insopportabilmente pacato. – A quale scopo?
Sospirai. – Per seguire i miei consigli e darmi soddisfazione. Solo per una volta. Io non ti ho ucciso nonostante avessi infranto il nostro giuramento del non parlare con nessuno della Mela. – Scosse la testa. – Tu non hai mai fatto niente per me, Non sei mai riuscito a fidarti.
– Ti ho tenuto in vita, Haytham.
Roteai gli occhi. – O-oh, bella scusa, bella scusa davvero! Tu non hai il coraggio di farmi fuori, Connor! – Allargai le braccia in un gesto di pura sfida. – Forza. Sono qui. Tira fuori quella lama celata e affondamela nel collo.
Incrociò le braccia sul petto. – Non posso farlo. – Perché non ne hai il fegato, pensai, ma aspettai di sentire la sua nuova scusa da donnicciola. – Ci sei troppo dentro. Hai fatto troppo per aiutarmi, te lo devo riconoscere. Il dito, Johnson e Pitcairn morti, posso capire come ti senti, credo. – No. Non puoi. – Non getterò via così il tuo aiuto. Avevamo un patto, e ci tengo a rispettarlo, ma sappi che hai ragione, non mi fido di te. E non dirò che mi dispiace, perché non sarebbe la verità.     
– Maledizione! – imprecai agitando il pugno in aria a vuoto. – Washington ha bruciato il tuo villaggio! Prendi la tua rabbia, la tua furia vendicativa o qualunque cosa tu abbia in quel dannato petto e usala contro di lui! – Dio, stavo urlando, ma finché Minerva e Giunone se ne stavano nei loro angoletti senza intervenire con quei commenti snervanti, gli stessi che mi avevano fatto uccidere William Johnson, andava tutto bene. Più o meno. – Non contro di noi! Che ti abbiamo fatto?
– Io non sono arrabbiato con Washington. – Era completamente rilassato, calmo, nemmeno minimamente scosso, libero da preoccupazioni. – I vecchi rancori possono essere messi da parte per qualcosa di più grande, Haytham. Ecco la differenza tra noi due. – Mi guardò, e per la prima volta sentii chiaramente il peso del sentimento che riempiva quegli occhi su di me. Era compassione. Il ragazzo aveva pietà del proprio vecchio. Mi dava la nausea. Avevo una mano sul fegato e l’altra stretta sul bordo del tavolo, un’incredibile voglia di vomitare. Odioso.
– Sei disumano – sussurrai. – Avresti tutti i motivi per odiarlo. Eppure…
Respirò con calma, girò una sedia e vi si lasciò cadere. – Penso solo che non ne valga la pena. Tutto qui.
– Strane, le tue priorità.
– Non sono quelle di un egoista.
Sogghignai, la bile ormai pronta a risalire l’esofago e riempirmi le guance. – Mi accusi di essere egoista? Davvero, Connor? Strano. Pensavo avessi capito, dopo sei anni, che razza di persona altruista sono. – Con uno sbuffo, mi appoggiai ad un davanzale. – Un mondo in mano a tali imbecilli non sarà mai come credi. O come speri.
– Puoi dimostrarlo?
– C’è una guerra. Uomini che muoiono per la vostra tanto osannata libertà. In un altro momento li avreste chiamati martiri, magari eroi, in fondo però sai bene quanto me che sono solo corpi, Connor. Cadaveri. Uomini che potevano avere una vita lunga e felice, stroncata di netto andando a morire per qualcosa che non avranno mai. L’idea è quella di confezionare un futuro ai posteri, poveri illusi. Non avranno nulla nemmeno loro. Il mondo non è fatto come voi Assassini pensate. È così. Vi rifiutate di ammetterlo. – Presi fiato e incrociai le braccia, come se stringermi le costole potesse fermare i conati silenziosi che mi squassavano lo stomaco. – Non ti basta?
Connor mi guardò indeciso. Gli bastava, decisi. Eccome. – Mi piace pensare che il mondo possa cambiare. Che un po’ di sangue possa essere sparso, se è utile per uscire da una situazione del genere.
Gli risi in faccia. – Stranamente, ragazzo, la tua Confraternita predica la libertà ma accetta che vengano spese delle vite innocenti per ottenerla, è fondata su un Credo rigido come una stecca e impone certi doveri anche ai propri membri, ma siete sempre pronti a dichiarare che sono tutte utopie, metafore e cazzi vari quando vi fa comodo. – Agitai le dita attorno al moncherino in un gesto che ormai avevo reso mio. – Sangue, quindi. Credi che sia questa la soluzione? Guerra per il cambiamento. Ha mai portato a qualcosa?
– Sarebbe un passo avanti – grugnì fissandomi sotto quelle palpebre pesanti. – E dipende tutto da chi vincerà.
Ridacchiai. Sembrava stesse parlando di un duello di scherma con delle lame smussate, non di uomini impalati sulle baionette e padri di famiglia schiacciati dagli zoccoli dei cavalli. – Giusto – risposi con un sorrisetto, passandogli accanto e colpendolo con una spallata. Non sarei riuscito a trattenere la nausea ancora a lungo. – Chi vincerà? Quelli con i moschetti o quelli con le pentole camuffate da tamburi di guerra?
Sentii il suo sguardo concentrarsi sulla mia schiena finché, passando da un ghigno trionfante ad una smorfia di dolore, non salii le scale fino alla mia stanza, rintanandomi nel bagno con le mani pallide strette al bordo di un catino. Cercavo di mantenere un ritmo di respirazione regolare. Ero riuscito a zittirlo un’altra volta. Era solo un povero illuso.
Fui travolto dalla nausea che mi avevano provocato il suo punto di vista e la rivelazione della morte di un altro mio uomo, John. John, quello più pacifico, forse. Lui teneva all’ideale di potere dei Templari, credo. Non riesco a ricordare bene cosa pensai in quel momento, troppo intento a vomitare il possibile dentro quel secchio di ceramica.
Qualcosa però ce l’ho ancora in testa. Ricordo di aver mollato il catino sul pavimento e di essermi seduto a terra con le braccia intorno alle ginocchia, allo stremo delle forze. William era morto, John anche. Considerando che Charles era nella gabbia di Reginald, mi restavano solo Benjamin Church e Thomas Hickey.
Ecco, ricordo di aver fatto scattare la lama celata e di averla guardata splendere al posto dell’anulare. Di aver detto: – Non permetterò che muoiano entrambi. – Già. Era una promessa solenne, fatta a me stesso. Avrei potuto tagliarmi anche l’altro anulare, giusto per essere sicuro di mantenerla, ma non avevo un coltello a portata di mano.
La mia volontà contro il destino. Chissà chi avrebbe vinto.
 
Quella stessa sera stavo passeggiando nella tenuta. Passeggiando non è il termine corretto, marciavo davanti al porticato di casa Davenport come quand’ero soldato, colmo di rabbia e cercando un piano per impedire a Connor di ammazzare altri due dei miei uomini. Non avevo la mente abbastanza calma per pensarci. Nella mia mente rivedevo il momento esatto in cui avevo scagliato quel piatto contro mio figlio, e allo stesso momento immaginavo gli innumerevoli modi in cui John Pitcairn poteva essere morto.
Achille, invece, era seduto con noncuranza sotto la tettoia, la pipa in bocca e il ragazzo in piedi al suo fianco. – Quali sono state le sue ultime parole?
Parlavano di John. Non volevo sentire, a essere onesto. Avrebbero dato la conferma della sua morte, una conferma di cui non avevo bisogno. – Voleva fermare la guerra.
Ridacchiai. – E naturalmente è sempre stato uno dei principali motivi per uccidere qualcuno, giusto? – Achille abbassò lo sguardo e Connor finse di non avermi sentito. Lo facevano spesso, ultimamente.
– Qualcosa sui loro piani futuri?
Connor mi guardò in faccia, sospirando. – No.
La conversazione terminò bruscamente ed entrambi rientrarono nella tenuta, lasciandomi lì fuori da solo. I miei pensieri tornarono a John. Avrebbe avuto una fossa? Una tomba? Dove, a Bunker Hill? Oppure a New York, o addirittura a casa sua, in Scozia. Mi dispiaceva. Non ero nemmeno riuscito a parlare con lui, maledizione. Avrei voluto fermare Connor, l’avrei voluto con tutto me stesso. Invece no. Ero stato tanto ingenuo da fidarmi di lui, da sperare davvero che rinunciasse all’intento principale della sua Confraternita per me. Per un padre ingrato che non gli aveva mai dimostrato un briciolo d’affetto.
Ero un idiota, questa è la verità.
Rientrai nella villa e salii le scale verso la mia stanza maledicendo me stesso e il destino, infilandomi a letto il più in fretta possibile. E ora? Ora che cosa vuoi fare? Vuoi diventare un eroe e salvare Thomas e Benjamin dall’Assassino? Thomas sa cavarsela e non hai la minima idea di che fine abbia fatto Ben. Non hai un piano. Non hai fondamenta. Nulla su cui basarti.
Sbadigliai, sprimacciando il cuscino con un cazzotto. Zitto.
Poi provai a dormire, ignorando il senso di colpa e d’impotenza che sentivo crescere nel petto.
 
Ricordate il bel periodo che Connor passò in panciolle mentre io cercavo in lungo e in largo Reginald e Charles? Ecco, ora sembrava che i ruoli si fossero invertiti. Dopo la battaglia di Bunker Hill, mio figlio passò la maggior parte del suo tempo non tanto alla ricerca di Thomas e Benjamin, quanto facendo la guardia del corpo – per non dire lo zerbino – di George Washington. E l’ultima cosa che volevo era star loro alle costole, considerando che per poco il comandante non aveva ordinato di uccidermi al Congresso Continentale. Ne aveva tutte le ragioni, per questo decisi di non stuzzicarlo. Non più del necessario.
Connor non vide mai Charles. Probabilmente lui e Reginald si erano rintanati da qualche parte in città, in una taverna o in un’altra casa. Per quanto riguarda me, a malapena mi mossi di casa. Scrissi qualche lettera a Tic, che rispose più che altro ringraziandomi per i soldi che gli inviavo periodicamente, ma a New York la situazione era piuttosto calma.
O meglio, lo fu per qualche mese.
Eravamo già nel 1776 quando Connor tornò, più frustrato che mai, battendo i palmi aperti sul tavolo per tutte le sue spedizioni andate a vuoto mentre io me la ridevo sotto i baffi. – Non li troverò mai, Achille! – strepitò con la mascella serrata. – E se non fossero loro? Se stessimo cercando nel posto sbagliato? O peggio, le persone sbagliate?
Non mi curai troppo dei loro discorsi. Se non ero riuscito a trovarli io, Connor faceva bene ad essere frustrato. Da solo non sarebbe arrivato da nessuna parte, e finché avesse continuato a girare con Washington non l’avrei aiutato nemmeno sotto cospicuo pagamento. Nemmeno se mi avesse ridato il dito. – Sciocchezze, Connor! Chi altro vuoi che sia? Come procedono le indagini?
– Vicoli ciechi. Tutte. – Scrollò il capo. – Forse è solo una voce che gira.
Achille sogghignò. – Una gran bella voce, direi. – Mi indicò con un cenno della testa. – È già stato fatto una volta, potrebbe essere stato l’inizio di una reazione a catena.
Aggrottai la fronte sentendo un brivido correre lungo la schiena. – Di cosa accidenti state parlando?
Connor spostò di scatto lo sguardo dal Mentore a me, e fu salvato solo da un paio di violenti colpi contro la porta. – Vado ad aprire – grugnì a testa bassa, sfuggendo al mio sguardo. Lanciai un’occhiata interrogativa ad Achille, i palmi sollevati, e quello non rispose. – Achille! – strillò Connor dal corridoio. – C’è un certo Benjamin Tallmadge qui, lo conosci?
Il vecchio si alzò a fatica, puntellandosi sul bastone. – Fallo entrare, ragazzo. Forse abbiamo finalmente una buona notizia.
– Achille – sbottai afferrandolo per la manica della giacca. – Che succede?
Mi fulminò con lo sguardo. – Ora non abbiamo tempo. Ben è qui. Magari ne parliamo dopo, eh? – Lo lasciai andare. Dal suo tono pareva più che avesse detto: Magari se non apri bocca davanti al mio ospite ti lascio vivere, eh? Uh, sentivo già le ginocchia tremare.
Sospirai, grattandomi la testa con frustrazione. – Sappi che resterò qui, Achille – brontolai abbandonandomi su una sedia. – Chiunque sia l’uomo alla porta.
Il vecchio Mentore agitò una mano come se non gli importasse più. Sapeva che avrei fatto di testa mia in qualsiasi caso – Dio, se non l’aveva capito era proprio ottuso – quindi perché fermarmi? Perché affaticare il suo cuore malandato cercando di evitare qualcosa che sarebbe successo comunque?
Per irritarmi, certo, ma sono io quello infantile. Io perdo tempo con giochetti di questo genere, non quei santi. Stavo per appoggiare i piedi sul tavolo con nonchalance quando un uomo longilineo e dall’aria elegante, il portamento fiero di un soldato e l’aria stanca di chi lo era stato troppo – o non lo era da tempo – varcò la soglia della sala. – Benjamin Tallmadge, quanto tempo – brontolò Achille alzandosi faticosamente in piedi. – Connor, ho l’onore di presentarti Benjamin, maggiore dell’Esercito Continentale. Suo padre era uno di noi, sa già tutto. E credo abbia qualcosa da dirci, giusto, Ben?
L’uomo mantenne la propria compostezza passando gentilmente con lo sguardo sopra di me, come si fa con i soprammobili troppo vecchi, e infilando una mano nel panciotto. – Achille dice che ne sei già al corrente – disse Tallmadge serio. Di cosa?, si chiese una parte di me, sinceramente nemmeno con troppa insistenza. I piani degli Assassini potevano riguardare qualsiasi cosa, non necessariamente me. Non necessariamente avrebbero danneggiato il mio Ordine.
– Già, ma ho solo delle false piste e vicoli ciechi, per ora – replicò Connor. Mi parve quasi di sentire il suo sguardo addosso. A che cosa si stava riferendo quel dannato ragazzino? Come aveva detto Achille, prima che arrivasse Benjamin? È già stato fatto una volta.
Altri poderosi colpi risuonarono contro la porta. – Vado io – grugnii prima che qualcun altro avesse tempo d’intervenire. Avevo bisogno di alzarmi, di schiarirmi le idee. Sentivo la testa come foderata con l’ovatta, isolata dal resto del mondo che scorreva troppo velocemente perché potessi capirlo.
E non andava bene.
Spalancai la porta. – ‘Giorno. Posta per Haytham Kenway. – Un uomo di quelli che infestava la tenuta mi porse una busta che strappai dalle sue mani con violenza. – Non so, un ringraziamento? Il corriere ha detto che era urgente, ho fatto del mio meglio per…
Gli avevo già chiuso la porta in faccia e stracciato la busta per leggere. Solo una persona conosceva il mio vero indirizzo, l’unica persona da cui volevo davvero sapere qualcosa. Tic. – Merda – sibilai spiegando la lettera tra le dita.
Oh, Dio.
– Be’, ragazzo – continuò Tallmadge nell’altra stanza. – Le tue ricerche inutili sono finite. So chi è il tuo uomo.
Dio.
Piombai nella sala con la lettera stretta tra pollice ed indice, pronunciando quel nome in perfetta sincronia con il maggiore Tallmadge. – Thomas Hickey.
 
Che razza di coglione, Thomas, pensai non appena ebbi recuperato un po’ di razionalità. Benjamin si voltò di scatto verso di me, annuendo. – Esattamente, il vostro amico ha ragione. Thomas Hickey. Ha già un suo bel giro d’affari a New York, e sappiamo per chi lavora. Arrivato a questo punto…
– Perché non me l’avete detto? – tuonai colpendo una sedia con un calcio. Tallmadge si zittì. – Lo sapevate. Sapevate che Thomas aveva intenzione di uccidere George Washington e non me lo avete detto? – Guardai Connor, gli occhi due fessure colme di furia. – Avevamo detto che non ci sarebbero più stati segreti di questo genere. Non dopo William, almeno.
William. Sembrava passata una vita intera. Un altro piano di cui Connor non aveva voluto parlarmi, scoperto per caso, esattamente come questo. – Non sapevamo si trattasse di Hickey. Avevamo addirittura rinunciato a pensare che fossero Templari – disse Connor, mostrando un certo fegato. – Insomma, dopo il primo attentato qualunque altro fanatico della Corona avrebbe potuto organizzare una cosa di questo genere.
Sospirai. – Da chi lo hai saputo?
– Pitcairn, naturalmente – s’intromise Achille. – Un foglio zuppo di sangue, ma leggibile.
Tallmadge avvampò, visibilmente a disagio. – Insomma, sappiamo che v… che tutti i Templari vorrebbero Washington fuori dai piedi, ma avrebbero benissimo potuto rivolgersi a dei mercenari. Persone che non hanno paura di rischiare in cambio di soldi.
Sorrisi tristemente. Thomas poteva essere definito un mercenario? Forse all’inizio, ma posso mettere la mano sul fuoco dicendo che a Hickey brillavano gli occhi quando agiva in nome dell’Ordine. Il denaro non si rifiuta mai, per carità, ma se la causa è gradita qualsiasi somma è più che soddisfacente. E Thomas si stava divertendo. – Tallmadge – dissi senza spostare lo sguardo da mio figlio. – È stato un piacere. Arrivederci.
Connor roteò gli occhi. – Dove accidenti stai scappando questa volta, Haytham?
– Non importa – replicai ripiegando la lettera di Tic. – Ci vedremo, suppongo. – Uscii dalla casa mentre lui si batteva le mani sulle cosce, esasperato. Aveva bisogno di un alleato, di un uomo come Benjamin Tallmadge, di talpe della classe media che sentissero voci da contadini, i quali avevo captato la notizia in una taverna colma di canaglie.
Non me ne facevo nulla di quei tramiti. Avevo un cane da caccia che si muoveva in mezzo ai ratti senza destare sospetti, una spia tra i miserabili. Un filo diretto con i bassifondi di New York.
Non necessitavo di Tallmadge, né degli Assassini o di qualcun altro. Dovevo impedire a Thomas di condannarsi a morte da sé. Non potevo permettere che altri dei miei morissero. Mi serviva solo un cavallo veloce. Fortunatamente, qualcosa di cui gli Assassini erano muniti.
 
Tic era al porto, come d’accordo. Sedeva su una cassa con le mani in mano e un sorrisetto, sapendo che quell’incarico gli avrebbe permesso di mangiare un pollo come si deve invece del solito rancio. Sarò anche cattivo, ma ho contribuito a sfamare la famiglia di quel poveretto. – Signor Kenway.
– Come l’hai saputo? – Buongiorno anche a te, Tic. Sputa il rospo.
Saltò in piedi, pulendosi le mani impolverate sui calzoni. – Signore, è soltanto una voce. Il vostro amico ed io abbiamo parecchie conoscenze in comune, ed è stata una di queste a dirmi che aveva in programma di ammazzare… lo sapete. – Abbassò la voce e lo sguardo, inquieto. Potevo capirlo, rischiava decisamente più di me. Essere a conoscenza di un piano del genere e non dire niente ai patrioti… Non era ufficialmente un reato, dato che l’autorità era sempre quella britannica, ma un poveretto come Tic poteva benissimo essere trascinato in un vicolo buio e sgozzato come un maiale senza che se ne accorgesse nessuno. I rischi del mestiere.
– E sai dove trovare Thomas?
Sospirò. – Ora mi chiedete troppo, signore. Non ho idea di come agirà né quando, ma ha in mente qualcosa. Posso avere i miei soldi e andare a casa?
– Non ancora – grugnii con la mano sulla scarsella. Gli Assassini potevano arrivare da un momento all’altro, magari addirittura via nave, con l’Aquila. Non era sicuro per nessuno dei due restare lì a parlare, ma dovevo essere certo. – Quali sono state le parole esatte del tuo contatto, Tic?
Si strinse nelle spalle. – Ha detto qualcosa su come per lui sarebbe uno svantaggio se crollasse la Corona. – Avevo capito con che razza di gente aveva a che fare Tic. Strozzini, sicuramente. Poveraccio. Nemmeno i miei soldi gli bastavano per evitare quella gentaglia. – E poi ha aggiunto che “quel pazzo di Hickey non sa quello che fa, ma potrebbe essermi utile”. La situazione è già abbastanza precaria così, signore, senza Washington gli inglesi potrebbero imporre comodamente qui il loro dominio.
Non riuscii a trattenere un sorriso. Lee non poteva permettere all’Esercito Britannico di prendere il sopravvento, se mai Washington fosse morto. Se non lui, ad ogni modo, sarei stato io a impedirlo, giunti a quel punto. Senza John non avevamo nessun rappresentante dalla parte della Corona. Per quanto fosse devastante, il Continentale doveva andare avanti.
Non con George, naturalmente, ma non era il momento di pensarci. Ci sarebbe stato tempo. Altri modi. Ora mi bastava proteggere Thomas. – Bene. Quindi è qui da qualche parte, ma non si sa dove né cosa stia architettando di preciso.
– Non sono riuscito a fare di meglio, signor Kenway.
Sospirai. Non era il massimo, ma bastava. – Non importa, Tic, sei stato utile. Tieni i tuoi soldi. – Gli allungai cinquanta sterline e girai sui tacchi. – Devo andare a messa.
Peccato che fossi di spalle, non riuscii a godermi la sua espressione stupita mentre mi allontanavo a grandi falcate verso la Christ Church. 
  
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