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Autore: Umpa_lumpa    21/05/2014    1 recensioni
Sì, Eunsook lo sapeva che quella non era altro che una raffinata messinscena.
Lo aveva visto l'affettato Conte Kim Kibum spingere con violenza Minjung contro il muro di una camera, violare la sua pelle con brutalità e passione, giocare con il suo corpo come con quello di una marionetta.
Era stata una vista eccitante e tremenda.
[Pairings: Les!Onho, het!MinKey, het!OnKey. Per ulteriori informazioni guardare all'interno^^ Buona lettura!]
Genere: Angst, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Key, Minho, Onew
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: Salve a tutti!
Chi di voi ha letto qualche mia altra storia in precendenza, sa benissimo che io tendo a chiacchierare molto nelle mie premesse, ma stavolta credo sarò appena un poco più breve (specie perché non so nemmeno io che dire lol). Innanzitutto (e notate bene perché questo è importante), la seguente storia è stata sviluppata grazie ad un gioco che ho di recente "brevettato" con una mia amica, secondo il quale una persona scrive un dialogo e un'altra è incaricata di usarlo per costruirci una storia. Quindi dovete ringraziare la favolosa Karan Haynes (a cui deidico questa storia con infinito affetto <3) per i dialoghi! :)
Seconda e credo anche ultima cosa, è la prima volta che mi cimento in questo genere. E' un po' diverso da quello che tratto solitamente e perciò sono un po' incerta sul risultato, ma spero che sia di vostro gradimento!
Detto questo, non mi resta che augurarvi buona lettura! :)






Quella non era la prima volta che Eunsook percorreva il lungo corridoio della villa.
Ma per quanto fosse ormai passata una settimana dal giorno in cui aveva deciso di accettare l’invito dell’amica – la cara, ma ormai quasi sconosciuta Minjung -,sembrava le fosse impossibile abituarsi a quegli alti finestroni e al costante silenzio che troneggiava su ogni stanza. Non riusciva nemmeno a sentire il rumore delle sue scarpe che battevano contro la moquette rosso vermiglio (di quelle che ormai si vedono soltanto negli alberghi di lusso), quasi come se tutto in quella villa – ogni persona, ogni letto, ogni vecchio pavimento o quel che fosse- vivesse di un riverente rispetto per quel vuoto di suono e parole.


Eunsook non avrebbe saputo dire se trovava ciò più spaventoso o più affascinate; era certo però che il battito assordante del suo cuore – quel martellio onnipresente e inarrestabile- fosse solo colpa della chioma lunga e corvina di Minjung, dei suoi occhi acquosi e grandi abbastanza da annegarci dentro e delle sue labbra carnose – quelle bellissime labbra carnose.


In ogni caso non aveva importanza. Anche quei pensieri si persero lentamente nel silenzio, passo dopo passo fino all’ultima camera che affacciava su quel corridoio.


Prese un ultimo, profondo respiro – un’istante per strizzare gli occhi e dimenticare tutto-, per poi dipingersi un raggiante sorriso in volto e aprire la porta di quella stanza. La sua stanza.


“Oh, che bella giornata, vero Minjung?” esclamò non appena messo piede dentro. La preoccupazione che l’altra potesse star ancora dormendo sembrava impallidire di fronte alla speranza che fosse la sua voce soffice il primo suono a riaccoglierla ancora una volta nella realtà, a destarla quell’oggi dal sonno. Sperava potesse in quel sol gesto cancellare ogni sospiro bollente che il Conte aveva di sicuro dipinto la notte prima sulla pelle della sua amica.


Quando non ricevette alcuna risposta, le labbra le si incurvarono lungo le tracce di un sorriso. Le tende erano già state aperte e la luce del sole riluceva con forza contro le lenzuola bianche del grande letto matrimoniale. La divertiva il fatto che dopo tanti anni in cui avevano perso i contatti, vi fossero ancora quelle piccole abitudini, quei piccoli dettagli così tipici di Minjung: il modo in cui assottigliava gli occhi quando immersa nei suoi pensieri, la sua mania di tamburellare il piede quando seduta e, come in questo caso,  il suo sonno pesante.


Non era un problema; al contrario Eunsook si sentiva elettrizzata al pensiero di tornare a giocare come ragazzine – qualche passo in punta di piedi verso il letto e le braccia già protese in avanti per avventarsi sul corpo dormiente dell’amica. Quante volte si erano fatte questo tipo di scherzi a vicenda?
Era proprio Minjung la prima ad avere la passione di svegliarla in modi impensati, solleticandole la pancia o soffiandole sull’orecchio. Se li ricordava ancora quei polpastrelli callosi massaggiarle l’ombelico, quel respiro caldo giocare con il suo lobo scatenando in lei pensieri che non aveva mai davvero sepolto, ma solo finto di dimenticare durante gli anni trascorsi senza più vedersi.


Ma quella volta il suo non fu altro che un tuffo in una nuvola ed Eunsook affondò inaspettatamente e un po’ goffamente nel soffice materasso. Il letto era deserto.


“Minjung dove sei?” mormorò un po’ incerta, esplorando con lo sguardo il resto della stanza, in cerca di un segno che le potesse far capire dove fosse scomparsa la sua amica. In quei giorni aveva avuto modo di registrare ogni sua più piccola abitudine (nuova o vecchia che fosse) ed alzarsi prima delle 9 e mezza non rientrava fra queste.
In quella villa gigantesca, pregna di silenzio e piena di volti quasi sconosciuti, Minjung costituiva la sua unica certezza ed Eunsook non poté fare a meno di sentirsi un poco sperduta, inginocchiata in quel letto troppo grande.


Ebbe appena il tempo di rialzarsi che una voce inaspettata giunse dall’uscio alle sue spalle, facendola un poco sobbalzare.


“Mi scusi signorina,” era Jonghyun, il maggiordomo dei signori ad osservarla con calma e appena un pizzico di compassione di fronte alla sua aria spaesata. Scomparve nel giro di un istante, rimpiazzata da una perfetta inumanità, da una precisione quasi robotica nel modo in cui quelle labbra si modellavano attorno alle più semplice parole, come fossero state invece infinite pennellate di un’opera d’arte. Ancora una volta, si sentiva combattuta da uno strano fascino, che sembrava voler stringere la sua anima in una morsa, e un timore molto più genuino ed istintivo, che quasi le faceva girare la testa


“La colazione è pronta.” aggiunse l’uomo dopo pochi istanti – le pupille ancora fisse sulla sua figura di bambina sperduta.


 “S-sì, arrivo.” balbettò lei di rimando, scendendo in fretta e furia dal letto, come avesse commesso un peccato e fosse stata colta in flagrante (ed in un certo senso era così). Quando vide Jonghyun rimanere piantato sull’uscio, senza accennare a muoversi, tentò di sfoggiare un sorriso, tremolante e nervoso suo malgrado. Con un cenno della testa indicò il corridoio, ripetendo il gesto una seconda volta e muovendo anche le braccia nella speranza di rendere il suo messaggio un poco più chiaro.


Le parve di attendere un’eternità prima che l’altro si decidesse ad allontanarsi -  e i passi erano pesanti ma Eunsook notò che nemmeno quelli facevano alcun rumore.


“Questo posto mi sembra sempre più strano.” non poté fare a meno di mormorare.




***



“Signorina Eunsook! Sono lieto di vederla, ha riposato bene?” furono le prime parole che l’accolsero non appena fatto il suo ingresso nella sala da pranzo. Quella voce nasale l’avrebbe riconosciuta fra mille, così strana e particolare da risultare quasi sgradevole alle orecchie.


Il Conte, marito della sua amica di vecchia data, era una persona decisamente particolare sotto svariati punti di vista. In tutta onestà Eunsook non avrebbe saputo da dove cominciare, se dal suo strano culto per l’antichità o se dalla nonchalance con cui sembrava affrontare ogni più svariato argomento, si fosse trattato di un’improvvisa pioggerellina pomeridiana o di una serie di atroci omicidi avvenuti nella cittadina più vicina.


Ma più di ogni altra cosa, era incuriosita da quella strana maschera di rispettabilità che sembrava indossare con una naturalezza fuori luogo, tanto da dare l’impressione fosse una seconda pelle per lui.
Perché lei sì, lo sapeva che non era altro che una raffinata messinscena.


Lo aveva visto il raffinato Conte Kim Kibum spingere con violenza Minjung contro il muro di una camera, violare la sua pelle con brutalità e passione, giocare con il suo corpo come con quello di una marionetta. Era stata una vista eccitante e tremenda; i gemiti poco sommessi della sua amica avevano avuto il sapore di tradimento ma non avevano mancato di eccitarla. Ne era rimasta vergognata a tal punto da non riuscire quasi più a vedersi allo specchio il giorno dopo, quando Minjung aveva trillato un “buon giorno” nel suo orecchio e le aveva carezzato la spalla con affetto.


Dopo un paio di giorni però, la sua vergogna aveva lasciato spazio ad un’accecante e profonda gelosia e, peggio ancora, ad un’insaziabile curiosità. Chi era quell’uomo per cui la più piccola aveva abbandonato la sua vita di punto in bianco, solo per poi farci irruzione di nuovo anni dopo, senza preavviso né motivo?
Chi era davvero?


Erano domande che avrebbero dovuto aspettare, nascoste sotto le pieghe della loro quotidiana sceneggiata.


“Direi di sì!” confermò lei prendendo posto a tavola e scacciando quegli inutili pensieri in qualche anfratto lontano della sua mente, come si era abituata a fare. Kibum le sorrise affettuosamente dalla sedia di fronte alla sua, prima che iniziassero finalmente a servirsi.
Eunsook avrebbe quasi potuto lasciarsi stregare da quella ormai familiare routine, se solo non fosse stato per un piccolo elemento che stonava con essa e quasi le rendeva insopportabile il silenzio a tavola. C’era una sedia vuota accanto alla sua, nemmeno il coperto di fronte ad essa sulla tavola, come se Minjung non fosse mai esistita. Era una tale sciocchezza, si ripeteva fra sé e sé, eppure non riusciva a scacciare l’impressione che qualcosa in quell’intera situazione non quadrasse.


“Ma…” cominciò a mormorare, osservando come l’uomo alzò lo sguardo dal piatto per posarlo su di lei “posso chiederle una cosa, conte?” il suo tono era incerto – mai si era persa in troppe chiacchiere con colui che considerava nient’altro che un affascinante rivale.


“Mi dica.”



“Ha mica visto la mia amica? Stamani non l’ho vista nel letto ed è strano visto che è una dormigliona”



Lo osservò tamburellarsi il mento con le dita in un atteggiamento pensoso – la forchetta ormai abbandonata sul tavolo. Per quei pochi istanti non poté fare a meno di notare come fosse perfetto quel volto – gli occhi di una bellezza ipnotica e le labbra gonfie e accattivanti. Si sentì per l’ennesima volta smarrita e faticò a concentrarsi di nuovo su ciò che aveva domandato poco prima.


“Umm… no, mi dispiace signorina. Non l’ho vista.” gli sentì dire infine. Il Conte si voltò verso il suo maggiordomo Jonghyun – le era bastato poco per imparare che il ragazzo seguiva il suo datore di lavoro come fosse stata la sua ombra, sempre presente e fedele ad ogni sua più piccola volontà-, sfoggiando uno sguardo interrogativo.


“Ha fatto colazione mentre voi stavate dormendo.” rispose quello, chinando un poco la testa “Mi ha detto che non deve preoccuparsi e che è andata a fare un giro nel giardino.”


“Forse si è addentrata nel labirinto.” aggiunse il conte.


Eunsook si ammutolì a quell’informazione, piuttosto confusa. Aveva notato l’intricato labirinto che occupava buona parte dell’immenso giardino della villa – era impossibile non farlo-, ma il motivo per il quale Minjung avesse mai potuto volerlo esplorare…in tutta onestà le sfuggiva.
E ancor più importante: perché proprio quell’oggi? Senza dirle nulla, per di più.


“Ma non si preoccupi,” udì il conte rivolgersi a lei e, nonostante non fosse altro che un’affermazione cordiale, avrebbe potuto giurare che fosse sembrato un suadente sussurro alle sue orecchie “se tarderà Jonghyun andrà a cercarla”


Le offrì un sorriso, immobile, statico, che non mancò di farle un poco tremare le mani. Si decise finalmente ad impugnare la forchetta, sperando che la lauta colazione bastasse a distrarla dal turbinio dei suoi confusi pensieri e dall’intricata matassa che stavano divenendo le sue emozioni – un misto di soffocante paura, fascino e preoccupazione ad annebbiarle la mente.


“Non si preoccupi.” ripeté ancora il conte ed Eunsook annuì.



***



Minjung non si era più vista per il resto della giornata. La più grande aveva passato il pomeriggio a vagare per il giardino, nella speranza di intravederla lì da qualche parte, per poi rassegnarsi dopo alcune ore e cercare soltanto di godere del sole splendente, dell’aria fresca e del canto melodico degli uccelli. Arrivata alle soglie del labirinto, era stata quasi tentata di avventurarsi anche lei nei suoi intricati cunicoli di cespugli e fiori, ma prima che potesse anche solo allungare il piede, il conte si era premurato di fermarla.



Era inusuale incontrarlo a quell’ora, siccome in genere spariva subito dopo la colazione per dedicarsi ai suoi affari, rispuntando solo appena pronta la cena. Eppure le si era parato innanzi come comparso dal nulla- dita lunghe e affusolate strette attorno al suo polso un po’ tozzo, quasi vibrando al ritmo del suo battito- per offrirle un sorriso e uno sguardo quasi severo in netto contrasto con esso. I suoi vestiti neri creavano uno strano connubio di colori con il verde brillante della natura attorno a loro e i raggi del sole che rilucevano contro la sua chioma bionda quasi le tolsero il respiro.
Non era il caso di cercare Minjung- le aveva dolcemente detto-, sarebbe tornata entro quella sera stessa.


Eunsook gli aveva creduto, si era quasi sentita in dovere di farlo, e si era lasciata guidare verso la biblioteca, passando il resto della serata in sua compagnia. Il pensiero dell’amica aveva piano piano abbandonato la sua mente: non c’era più l’immagine dei suoi lunghi capelli corvini e del suo bellissimo corpo a farla impazzire d’amore. C’era soltanto il conte- Kibum e la sua voce suadente, Kibum e le sue mani pallide, Kibum e il modo in cui le ridacchiava di tanto in tanto in un orecchio.


Solo una volta risprofondata nel silenzio della sua camera da letto si era finalmente ricordata dell’altra.
In piedi, di fronte allo specchio del bagno, si diede un’ultima sciacquata alla bocca, prima di rimanere a fissare il suo riflesso per qualche minuto, tracciandosi le labbra con le dita nella stagnante quiete, regina della magione.


“Se Minjung fosse qui” cominciò a mormorare fra sé e sé, rapita dal suo stesso riflesso “mi direbbe che li spazzolo tropp-“


Un lieve tonfo dall’altra parte del muro interruppe i suoi ragionamenti, facendola un poco sobbalzare.


“Oddio che cos’era?!” quasi urlò dallo spavento, mentre sentiva il suo cuore correrle frenetico in petto.
Rimase zitta per alcuni istanti a seguire, tendendo le orecchie in attesa di qualche rumore rivelatore- il suo torace ansante che si alzava ed abbassava scosso dalla paura e a nulla serviva la sua mano per calmarlo.


“No, non era niente.” si disse dopo qualche secondo. La voce però le tremava e non era difficile comprendere quanto non credesse alle sue stesse parole “Non vedo Minjung da stamani e sono spaventata solo per questo”


Si affrettò a spazzolarsi i capelli e raccoglierli in una treccia, non vedendo l’ora di buttarsi sul soffice letto che l’attendeva nella sua stanza. Agognava l’incoscienza del sonno come unica consolazione dagli strani eventi di quel giorno; ne aveva bisogno. Troppi pensieri affollavano la sua testa, troppe ansie e troppi strani sentimenti che nemmeno lei era in grado di comprendere, specie nello stato di eccessiva agitazione in cui versava in quel momento.
Non poteva certo immaginare che non era stata la sua fervida fantasia a giocarle un brutto scherzo.
Non ebbe il tempo di notare un paio di occhi fissarla intensamente, un’ombra allungarsi in controluce lungo il tappeto e verso il caminetto. Fu solo quando una mano calda le afferrò quasi brutalmente la spalla destra, che il suo corpo si rese conto dell’altra presenza nella stanza. Il cuore le sobbalzò in petto ancora una volta, scuotendolo in frenetici singulti che quasi le impedivano di respirare. In un gesto istintivo, si voltò di scatto nel tentativo di sferrare uno schiaffo, un pugno – qualunque cosa, per la miseria! – al suo presunto aggressore, ma la sua mano si bloccò a mezz’aria non appena incontrati un paio di familiari occhi scuri.


“Ah! Minjung sei qui… mi hai spaventata!” esclamò allora con quel poco di fiato che le era rimasto in gola – l’adrenalina le scorreva ancora furiosa nelle vene e qualcosa nel volto dell’altra le impediva di sentirsi rassicurata del ritorno della sua amica. Il sorriso “incoraggiante” che le stava rivolgendo sembrava quasi privo di vita – le sue pupille animate invece da uno strano guizzo di malizia.


“Scusami…” la sentì mormorare.


D’improvviso le girava la testa, si sentiva quasi di svenire e, sebbene continuasse a ripetersi che era tutto normale e che era stato lo spavento a ridurla così, dentro di sé sapeva che il suo era solo un debole tentativo di illudersi.
Infatti, nonostante non avesse fatto altro fino ad allora che attendere il ritorno della più giovane, ora che l’aveva finalmente davanti non se ne sentiva affatto rallegrata, né confortata. Tutte quelle domande che l’avevano tormentata fino ad allora – che fine avesse fatto, perché fosse sparita senza dir nulla- erano state dimenticate nell’impalpabile tensione che percepiva fra loro, nell’irrealtà di quel silenzio, nel gelo del sorriso di quella cara amica – il suo amore- ora irriconoscibile.


Minjung non le sembrava più lei e fu con quell’orrido presentimento in gola che gracchiò a stento “Che c’è?”


Vide ancora quel guizzo strano animare ogni riflesso di quei grandi occhi, prima che morisse di nuovo sepolto nel suo sguardo. Ne rimase in un qualche modo rapita e forse fu per ciò che fu una sensazione del tutto inaspettata, quella di un paio di labbra carnose d’improvviso premute contro il suo orecchio, come in un bacio leggero.


“Dovresti venire con me.”


Aveva il sapore di un sussurro proibito e un brivido di piacere le scosse il corpo in un fremito. Fu così che ogni protesta andò perduta nel turbinio di sentimenti che confondeva il suo animo e nel calore delle loro mani intrecciate.



***



Le due amiche attraversarono la labirintica villa in silenzio: il passo di Minjung era svelto e sicuro, mentre Eunsook osservava lo spazio intorno a sé senza realmente vederlo – stregata, era così che si sentiva.


Fu solo quando si ritrovarono a percorrere un lungo corridoio buio (senza che lei avesse alcuna idea di come ci fossero arrivate) che si riscosse finalmente da quello strano stato di trance in cui il sussurro dell’altra l’aveva fatta cadere. Se durante la sua permanenza nella villa i mobili antichi e i pregiati drappeggi da cui era circondata l’avevano fatta sentire immersa in un altro mondo, di qualche tempo lontano, questa sua sensazione si era acuita, ora che gli occhi le scivolavano lungo le pietre scure segnate dal tempo e ricoperte di muschio e che l’aria umida le baciava la pelle. Nemmeno il calore di quel corpo così vicino al suo era sufficiente a rincuorarla – quel brutto presentimento che le stava martellando in petto stava divenendo troppo pressante per poter essere ignorato.


“Cosa sarebbe questo?” mormorò così piano che non avrebbe saputo dire se si stesse rivolgendo a se stessa, piuttosto che a Minjung.  


“È tutto umido…” aggiunse poco dopo quando non ottenne alcuna risposta. In un primo momento si arrese quasi all’idea che l’altra la stesse volutamente ignorando – l’occhiata fugace che le aveva rivolto non era passata in osservata, ma non vi era stato altro suono oltre al rumore dei loro passi.


Fu forse quell’ennesimo silenzio e la sua quasi ritrovata lucidità ad ispirare quelle riflessioni che di lì a poco le affollarono la testa: Minjung non era stata più la stessa sin da quando lei aveva messo piede in quel luogo, e non solo da quella sera. In lei c’erano ancora vaghe tracce di quello che era stata un tempo, così da cullarla nell’illusione che non tutto fosse andato perduto, ma in realtà bastava sbirciare oltre quella debole maschera per accorgersi che vi fosse qualcosa di diverso, di sbagliato, di innaturale in lei.


E il Conte…il solo pensiero di quell’uomo scatenava in lei strane emozioni – la paura di quel suo sorriso gelido e misterioso, così come il fascino per i suoi modi di fare che avevano il sapore di un’epoca lontana. Tutto quello che aveva vissuto e provato sino ad allora – il riaffiorare di vecchi sentimenti, le premure ricevute, la “collaterale” presenza di Kibum nelle loro vite- le si rivelarono all’improvviso per ciò che in realtà erano, ovvero atti di una ben studiata commedia di cui lei era stata l’ignara marionetta; una recita che si era mostrata in ogni sua parte nel buio rivelatore di quei luoghi.
Non c’era stato nulla di vero.


No, Minjung non era più la stessa.
I suoi sentimenti per lei non erano più gli stessi, si rese conto tutto ad un tratto, agitando finalmente la mano per divincolarsi dalla presa dell’altra.


Quest’ultima non demorse nemmeno per un secondo: al contrario, strinse ancora di più le dita attorno al polso, quasi al punto di farle del male – non che sembrasse preoccuparsi del lieve lamento di dolore che Eunsook si lasciò sfuggire pochi attimi dopo.


“Le cantine…” le rispose finalmente senza tanto interesse, quasi come avesse deciso di concederle quell’inutile informazione purché essa la zittisse. O chissà, magari sperava addirittura di assicurarsi una maggiore collaborazione, cosa che invece la più grande non aveva alcuna intenzione di offrire.
Ora come ora, avrebbe soltanto desiderato risvegliarsi nel suo letto – quello del suo piccolo appartamento di cui faticava a pagare le rate-, madida di sudore e reduce da un brutto ma fittizio incubo.


Le sue erano solo sciocche speranze; e più si addentravano per quei luoghi, più si rendeva conto di quanto essi fossero labirintici e contorti, proprio come i sotterranei dei vecchi castelli medievali. Anche se fosse riuscita in un qualche modo a divincolarsi da Minjung, non sarebbe mai stata in grado di trovare l’uscita.


Era in trappola, soffocata nella morsa di colei che un tempo aveva amato con tutta se stessa e tale crudele ironia quasi le faceva risplendere gli occhi di lacrime a stento trattenute.
Si sentiva solo il rimbombo dei loro passi e del suo cuore terrorizzato – e ancora passi, passi e passi, sempre più veloci.
Tum, Tum, Tum.


Poi, improvviso e terrificante, lo sentì, quel rumore sinistro che riecheggiò fra le mura fino a gelarle il sangue nelle vene. Non era come nessun altro suono avesse mai udito nella sua vita, non avrebbe potuto descriverlo neppure volendo: non esistevano parole per descrivere la crudeltà che sembrava aggrapparsi ad ogni nota di quella voce profonda e roca, quasi mostruosa nella sua inumanità. Ciò che però più di tutte la faceva tremare era il fatto che lei, per un qualche inspiegabile motivo se ne sentisse innegabilmente attratta, come un falena stregata dalla viva fiamma.


Con un filo di voce, incerta e tremante, si ritrovò a domandare: “Hai sentito quel latrato…malvagio?” e la sua vaga definizione aveva ben poca importanza, quando tutto ciò che ottenne fu la noncurante risposta che già si aspettava.


“No.”


Eunsook non aveva bisogno di indugiare oltre o di riflettere ancora su quanto stesse avvenendo per comprendere che l’altra mentiva, e che qualunque cosa l’attendesse non potesse nulla di buono. Agitò di nuovo la mano, con più forza stavolta, ma sempre senza successo. Afferrare quel braccio fino, puntare i piedi per terra….nemmeno l’ennesimo gemito di dolore che si fece strada fra i suoi denti stretti quando Minjung la strattonò con violenza in avanti bastarono perché l’altra provasse pietà di lei.


“Dai, Min” pregò un’ultima, disperata volta, nella speranza di infrangere quel gelido muro, quel sortilegio che aveva ammaliato e rapito l’anima della sua amica. “Andiamocene”


Ed ecco che allora i passi cessarono.


Silenzio.


Quell’effimero istante fu tutto ciò di cui Eunsook aveva bisogno per sentire un peso sollevarsi dal suo petto ansante ed un sorriso farsi strada sul suo volto- perché sì, forse ce l’aveva fatta, era salva. Furono queste suo sciocche speranze a non farle notare la pesante porta di legno innanzi a loro, a stento illuminata dalla lampada ad olio posta accanto allo stipite.


La cruda realtà fu per questo ancora più dolorosa: il cigolio dei cardini di metallo risuonò nell’aria come fosse stato il rumore di pesanti e soffocanti catene e di lì a poco l’ennesimo irruento strattone quasi la fece cadere in avanti. Non si soffermò nemmeno a cercare di comprendere in che razza di luogo fosse stata spinta. Si voltò di scatto, tentando con tutta se stessa di aggrapparsi alle spalle della più giovane.


“Min, non mi chiuderai dent—“ non si rese conto di star strillando – la voce roca e logorata dalle lacrime. Tutto ciò che il suo cervello era stato in grado di registrare era stata la smorfia di disgusto che aveva sfigurato il viso di Minjung, quel lampo sanguigno che le aveva smosso le pupille, il tonfo sordo della porta e lo scatto della serratura che avevano segnato la sua condanna.


Mai nella sua vita avrebbe pensato che un suono così innocente come un “click” potesse scatenare una simile disperazione in lei.


Perse il controllo di sé.


Non era padrona del suo corpo mentre sbatteva i pugni contro l’uscio, che vedeva a stento fra le lacrime copiose che le bagnano le guance; mentre gridava e gridava, con quanto fiato avesse in gola e pregava l’altra, scossa dai singulti. Il sangue che le si era raggrumato piano piano sulle nocche scivolò via inosservato, sullo sfondo del suo sconforto, così come fece quel perverso gemito di piacere che qualcuno intonò alle sue spalle.
Non le interessava il mondo attorno a lei. Continuava a lottare per una libertà che aveva appena perso, senza volersi arrendere alla cruda realtà dei fatti – una tenacia che l’altro occupante della stanza non poté fare a meno di ammirare ed al tempo stesso trovare esilarante.


Fu solo quando le forze cominciarono a mancarle che si concesse di crollare sulle sue ginocchia – il busto ansante a stento retto dalle mani che ora poggiavano a terra.


Per qualche attimo solo il rumore del suo respiro stremato rimbombò fra le imponenti mura di pietra.


“Signorina” esordì poi una voce inaspettata ma fin troppo familiare, facendola così trasalire. “Finalmente è qui.”


Non avrebbe avuto bisogno di voltarsi per dire a chi appartenesse, ma nondimeno non resistette alla tentazione di confermarlo con i suoi stessi occhi. Se li strofinò e ripulì dalle lacrime, mentre poteva percepire l’uomo alle sue spalle attendere paziente che lei si rimettesse in sesto e si preparasse ad affrontare ciò che l’attendeva.


Così come aveva immaginato l’aristocratica figura longilinea del conte si ergeva dinnanzi a lei in tutta la sua fierezza e compostezza. Le sue pupille color nocciola divorarono ogni centimetro di quell’uomo in un solo istante e non avrebbe saputo dire se quella strana sensazione che le opprimeva il cuore fosse terrore o qualcos’altro.


Qualunque fossero state le intenzioni di Kibum aveva ormai poca importanza: lei era in sua balia e, se gli avvenimenti di quella serata non erano stati un avvertimento sufficiente di per sé, la leggera differenza nel suo modo di porsi e lo sguardo intenso che sembrava trafiggerle il petto le si spiegavano innanzi ad indizio che la sua vita non sarebbe stata più la stessa da quella sera.


“L’aspettavo” ghignò lui infine, pronunciando quelle parole con un qualche gusto perverso.
Quella frase ebbe un effetto impensabile su di lei–sentì il suo corpo tremare di piacere a quel tono suadente e tale era la sua vergogna che tentò invano di mascherare la sua reazione. Eunsook non poteva sapere che Kibum percepiva ogni fremito di quel suo corpo formoso, ne toccava con mano l’eccitazione con depravato compiacimento. Era arrivato al suo limite: la maschera di calma serafica che si era sempre premurato di portare indosso si stava rapidamente sgretolando sotto gli occhioni ignari della sua preda.


“Lei-“ singhiozzò quella, indietreggiando senza staccare gli occhi dall’uomo che aveva di fronte.


In quell’istante ripromise a se stessa di fare tutto ciò che era in suo potere per fuggire da quel luogo maledetto, ma il conte non ebbe alcuna difficoltà a comprendere le sue intenzioni prima ancora che lei facesse nulla per metterle in atto. Nel giro di pochi secondi, sentì un paio di forti mani stringersi con violenza attorno ai suoi polsi e i suoi occhi si specchiarono ben presto in quelli noncuranti della sua amica.


Non aveva idea di ella quando avesse fatto ritorno – non aveva sentito il rumore della porta, né avvertito un’altra presenza accanto alla loro. Eppure era là, pronta ad offrirla a quello che era ora divenuto il suo carnefice. La trascinò di peso fra le braccia del conte, e nonostante la poveretta stesse lottando con tutte le sue forze per divincolarsi, la mora non ebbe alcuna difficoltà a portare a termine il suo compito tanto che Eunsook sentì presto un respiro caldo solleticarle il collo.


“Minjung è una brava servitrice, lo devo ammettere” lo sentì mormorare dopo che le ebbe poggiato un bacio sulla pelle candida.


“Cosa?!”


La sua voce era un connubio di puro panico perché, sì, poteva giurare che fossero lunghi artigli quelli che sentiva scorticargli i fianchi, perché era sicura che il conte si stesse crogiolando nell’aroma del suo collo come fosse stato quello di una prelibata pietanza – perché erano zanne quelle che stavano per trafiggerla.


“No! Non voglio!” fu il suo doloroso, disperato grido, prima che un vortice di dolore l’avvolgesse.


Tutto si fece buio.



***



Calore.


Fu la prima cosa che Eunsook avvertì alcune ore dopo – una soffocante sensazione di calore che le indolenziva le membra, che le bruciava la pelle, che le grattava la gola. Respirare le appariva come un’impresa impossibile, mentre boccheggiava alla ricerca d’ossigeno.


Solo alcuni minuti dopo si rese conto che respirare non le era poi così necessario – che aria o non aria, il dolore non passava, né d’altra parte si acuiva. Riuscì anche a determinare di essere stesa su un morbido letto e di non essere sola: c’era un corpo accanto al suo, uno al quale lei era avvinghiata come se da esso fosse dipesa la sua stessa vita. Era da quella pelle così morbida, così profumata –così invitante- che proveniva il calore che l’opprimeva.


Eunsook realizzò di aver perso il senno quando si accorse che le piaceva la sensazione di morire fra quelle braccia.
Pensò che fossero tutto ciò di cui aveva bisogno e un gemito abbandonò le sue labbra gonfie e bagnate – di sangue, si rese conto in un secondo momento.


“Svegliati, mia cara sposa”


Era stato un sussurro dolce quello, uno pieno d’affetto e seguito da baci leggeri posati sulle sue gote piene. Prima che potesse fermarlo, un altro verso di piacere si fece strada a forza fra i suoi denti – perché era lui, Kibum, lui, il suo eterno amante, lui, il suo adorato sposo.


Aprì finalmente gli occhi e li dovette sbattere più volte prima di riuscire finalmente a schiarirsi la vista e prendere nota della lussuosa camera da letto in cui si trovavano e di quelle pupille scure, fisse sulle sue.

Il sangue del suo creatore era la melodia più dolce che avesse mai udito: era il richiamo primordiale dei battiti di quel delizioso cuore che quasi lei sentiva nel suo palmo, quelli che le avevano dato la vita.


“Come ti senti?” si sentì chiedere, mentre un dito le carezzava con premura il labbro inferiore che lei si era morsa nel sonno (una delle due zanne era ancora conficcata in esso e il sangue che fuoriusciva dalla ferita non si era ancora fermato).


Eunsook sentì una scarica di adrenalina a quel tono melodioso.


Fu allora che capì che non era il calore del suo amante a soffocarla, ma quell’amore di cui lei si sentiva piena.



“Forte…” sussurrò sulle sue labbra, approfittandone per posarvi sopra un bacio“…e assetata come non mai”







Note finali: Ed eccoci qui alla fine!
So che questa storia era forse un po' banale, ma spero comunque che vi abbia intrattenuto per qualche minuto :)
Mi scuso per eventuali errori grammaticali (pur ricontrollando, me ne sfuggono sempre) e vi invito a segnalarmeli in caso li troviate, così che provvederò immediatamente a correggerli! Inoltre avere il vostro parere su questa fic mi farebbe un'immenso piacere <3
Grazie ancora!
   
 
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