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Autore: Alexcatania    22/05/2014    6 recensioni
Cosa sarebbe successo se Severus Piton e Albus Silente si fossero incontrati per caso davanti allo Specchio delle Brame?
Due uomini così diversi, eppure così uguali, di fronte ai loro demoni. Quale modo migliore di affrontarli, se non insieme?
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Piton, con sua grande sorpresa, si scoprì trepidante e curioso di sapere ciò che avrebbe visto.
Affondò il viso nel Pensatoio e fu scagliato in un'altra dimensione, dritto dentro i ricordi di Albus Silente.
(...)
Piton ebbe una strana sensazione di déjà vu: si erano materializzati in una casa mezza distrutta. Ariana era rannicchiata a terra e strillava con tutto il fiato che aveva nei polmoni, cercando di liberarsi dalla morsa del fratello Aberforth.
Tra le macerie giaceva Kendra Silente: il corpo ricoperto di sangue, gli occhi spalancati e privi di calore.
Piton osservò due diverse versioni di Albus Silente inginocchiarsi ai piedi della madre. Quello del passato urlò tutto il suo dolore e la prese tra le braccia. Quello del presente l'avrebbe fatto a sua volta, se solo avesse potuto. Si limitò a piangere, impotente e sconfitto.
«Mamma...» la chiamarono all'unisono, soffocando tra un singhiozzo e l'altro. Ma lei non avrebbe mai risposto...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Dumbledore's Memories

Severus Piton precipitò dentro il bacile di pietra. Conosceva bene quella sensazione, l'aveva provata centinaia di volte nel suo Pensatoio. Per alcuni secondi si sentì avvolgere dalle tenebre, poi tornò la luce.
Si trovava in una cucina sgargiante e dai mille colori. Tutto in quella stanza trasmetteva energia e vitalità: le pareti giallo brillante, il lungo tavolo di un blu elettrico, una serie di oggetti magici bizzarri poggiati sulle mensole, e la finestra su cui erano impresse le impronte in vernice di cinque mani, una sopra l'altra, dalla più grande alla più piccola.
Le uniche cose fuori posto in quella stanza erano le cinque persone sedute intorno al tavolo.
Pranzavano senza dire una parola, con delle espressioni scurissime in volto. Sembrava quasi di essere ad una veglia funebre, mancava solo la bara.
Piton si avvicinò per osservarli meglio, incuriosito da quell'atmosfera lugubre che tanto gli era familiare.
A capotavola c'era un bell'uomo dai chiarissimi occhi azzurri e dalle spalle larghe. Era seduto, ma si capiva che era anche molto alto.
Quello doveva essere il padre di Silente, pensò Piton, notando quelle somiglianze che non lasciavano adito a dubbi.
Mangiava senza far rumore, lanciando occhiate preoccupate alla bambina che sedeva alla sua sinistra. Poteva avere sei o sette anni, aveva i capelli biondi e probabilmente era molto carina. Era difficile a dirsi quel giorno, perché aveva il volto pieno di lividi e cicatrici, un occhio viola e un labbro spaccato. Non aveva toccato cibo e ignorava i continui tentativi di imboccarla di quello che sembrava suo fratello maggiore.
Piton girò intorno al tavolo per osservarlo meglio. Si trovò davanti un giovanissimo Albus Silente, a occhio e croce all'età di dieci o undici anni. Era inconfondibile per via degli occhi azzurri, ma aveva un aspetto gracile e dal viso rotondo facevano capolino dei capelli rossi.
Di fronte a lui, un altro bambino osservava la scena con aria preoccupata. Era di qualche anno più piccolo di Albus, ma era molto simile a lui, tranne per i capelli neri. Teneva per mano una donna sulla quarantina dall'aria trascurata: la madre dei tre bambini. Nessuno si era preso il disturbo di servirle da mangiare, probabilmente non sarebbe stata fisicamente in grado di farlo. Tremava e sembrava sul punto di mettersi a urlare: ogni singolo centimetro del suo viso era contratto e segnato dal dolore.
Doveva essere successo qualcosa di terribile, probabilmente legato all'aspetto della figlia più piccola, di cui Piton, fino a pochi minuti fa, ignorava persino l'esistenza.
All'improvviso, notò di essere solo. Cercò Albus Silente - quello vecchio - con lo sguardo. Lo ritrovò poggiato allo stipite della porta della cucina, incapace di osservare la scena.
Piton avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma non gli sembrava il caso. Perché gli stava mostrando tutto questo?
Come per rispondere alla sua tacita domanda, una fortissima esplosione echeggiò alle sue spalle. Si voltò di scatto e spalancò la bocca per la scena che gli si presentò davanti agli occhi.
Il tavolo era distrutto, così come l'arredamento della cucina. Il piccolo Albus Silente, sua madre, suo padre e suo fratello, erano stati scaraventati contro il muro da quella che sembrava una piccola tromba d'aria, che scagliava maledizioni e incantesimi ovunque.
Il padre si fece avanti, con una mano davanti al viso per proteggersi. Sfoderò la bacchetta e gridò: «FINITE INCANTATEM!» ma l'incantesimo non ebbe alcun effetto. Il rombo nella stanza diventò talmente assordante, che riuscì a sentirlo appena quando urlò: «ARIANA, RESISTI!»
Solo allora Piton capì: la tromba d'aria era la bambina dai capelli biondi. Stava vorticando a una velocità inaudita, come una trottola impazzita. Un incantesimo colpì l'uomo, scagliandolo nuovamente contro il muro. I pezzi del tavolo e di quello che restava della cucina, iniziarono a roteare in quel turbine d'aria e di incantesimi, rischiando più volte di colpirli.
La madre provò ad avvicinarsi, scossa dai singhiozzi, ma suo marito la bloccò.
«FERMATI KENDRA! NON POSSIAMO FARE NIENTE!»
Le urla strazianti di Kendra Silente sovrastarono tutto il resto, mentre l'uomo trascinava lei e i due figli maschi fuori da quella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Le urla di una madre che non sapeva se avrebbe mai rivisto la figlia viva.
Il ricordo sfumò. Quando ritornò a fuoco, non doveva essere passato molto tempo, a giudicare dalla luce. La cucina era ridotta ad un ammasso di macerie: parte del tetto era crollato, così come il muro che dava sulla strada.
In mezzo ai calcinacci e ai pezzi di vetro, giaceva la piccola Ariana. Si dondolava, stringendosi le ginocchia con le braccia. Era tutta coperta di polvere, tranne che per alcune sottili strisce sul viso, che delle lacrime silenziose avevano ripulito dalla sporcizia.
Piton non aveva mai visto una maledizione causare dei simili effetti. Albus Silente si fece finalmente avanti e osservò la sorella, con lo sguardo appannato dalle lacrime.
«Quando Ariana aveva sei anni, fu aggredita da alcuni Babbani che l'avevano vista praticare delle magie. Smise di usarla e ne perse il controllo. Questo fu solo il primo di una lunga serie di attacchi» spiegò, con la voce tremante.
Piton era inorridito. In quella bambina indifesa e impaurita, rivide se stesso. Anche lui aveva avuto brutte esperienze con i Babbani.
Con uno solo, a dire il vero.
I Silente tornarono in cucina, riscuotendolo dai suoi pensieri. Quando vide la figlia, Kendra scoppiò in un pianto liberatorio. Si rannicchiò vicino a lei con molta cautela, e le sussurrò in un orecchio: «Ti prometto che combatteremo questa cosa insieme».
«Lo fecero davvero» commentò Silente. «Grazie all'aiuto di mia madre e di mio fratello Aberforth, gli attacchi si ripresentarono sempre più deboli. Tuttavia, come puoi immaginare, per Ariana fu impossibile avere una vita normale. Sarebbe bastato pochissimo per scatenare un attacco devastante, mettendo in pericolo lei e chi le stava intorno. Spargemmo la voce che si era gravemente ammalata e la tenemmo chiusa in casa, finché non sarebbe stata pronta ad affrontare il mondo esterno...»
Piton capì, dal dolore e l'amarezza con cui Silente aveva pronunciato l'ultima frase, che non lo sarebbe mai stata.
Kendra si voltò in direzione del marito. Era rimasto immobile, i pugni chiusi gli tremavano violentemente e alcune rabbiose lacrime gli rigavano il viso.
«Percival?» mormorò lei, spaventata dalla sua reazione.
Lui la ignorò e scattò fuori dalla stanza. Afferrò un cappotto e si diresse verso la porta d'ingresso con determinazione.
Albus Silente, quello ancora bambino, gli si piazzò davanti.
«Dove stai andando?» squillò, con una voce acuta.
«LEVATI DI MEZZO!» sbraitò suo padre.
Kendra arrivò di corsa, tenendo sua figlia in braccio, e si piazzò accanto ad Albus, puntando la bacchetta contro il padre dei suoi figli.
«NON OSARE!» tuonò Percival. «SAI BENISSIMO COSA DEVO FARE!»
«Non devi farlo! Ne abbiamo già passate tante. Ho bisogno che tu resti qui, con noi. Non posso farcela da sola... ti prego!»
Percival Silente la squadrò addolorato.
«Non posso vivere così» disse. «Gliela farò pagare a quei bastardi, te lo prometto!»
«NO! TI PREGO, NON ANDARE!» lo supplicò Kendra, cadendo in ginocchio e singhiozzando penosamente.
Le labbra di Percival formarono le parole "mi dispiace",  e si smaterializzò, lasciandosi dietro le urla disperate della moglie e il pianto dei suoi figli.
«Quella fu l'ultima volta che vidi mio padre» mormorò Silente.
«Trovò i Babbani che avevano aggredito mia sorella e li torturò. Per questo motivo fu catturato e rinchiuso ad Azkaban, dove morì qualche anno dopo...»
Piton era senza parole. Avrebbe voluto dire qualcosa di confortante, ma non aveva mai consolato nessuno.
«Albus...» iniziò, senza sapere come avrebbe finito... Ma quel ricordo svanì, sostituito immediatamente da un'altra scena.
Quella che sembrava un'accogliente stanza d'albergo prese forma. Piton riconobbe l'armadio in quercia e le tipiche assi nere del pavimento: erano al Paiolo Magico.
Dovevano essere passati almeno sei o sette anni dall'ultimo ricordo, a giudicare dall'altezza statuaria di Albus Silente.
La statura, le spalle larghe e gli occhi azzurri li aveva ereditati dal padre, i capelli rossi invece erano tutti suoi e gli arrivavano fino alle spalle, il naso era ancora dritto e nessun paio di occhiali a mezzaluna vi erano poggiati.
Con un colpo di bacchetta, Silente radunò tutte le sue cose sparse per la stanza, che si sistemarono con cura all'interno di un grosso baule.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò un ragazzo corpulento dall'aria eccitata.
«Io sono pronto!» esclamò trionfante.
«Anche io, Elphias» disse Silente, con un gran sorriso.
«Ma ci pensi Albus? Noi due... in Transilvania! Sarà...»
Non seppe mai cosa sarebbe stato. Un gufo planò dalla finestra e lasciò cadere una busta sopra le loro teste. Silente la afferrò al volo, estrasse la lettera e lesse.
Quando arrivò alla fine, sbiancò in viso e fissò Elphias con un'aria stralunata.
«Che succede?» si preoccupò l'amico.
«Mia madre...» rispose Silente, guardando nuovamente la lettera, come se non riuscisse a credere a ciò che aveva appena letto.
Si smaterializzò, lasciando Elphias sbigottito e senza risposte.
Il ricordo li trascinò insieme al giovane Silente. Piton ebbe una strana sensazione di déjà vu: si erano materializzati in una casa mezza distrutta. Ariana era rannicchiata a terra e strillava con tutto il fiato che aveva nei polmoni, cercando di liberarsi dalla morsa del fratello Aberforth.
Tra le macerie giaceva Kendra Silente: il corpo ricoperto di sangue, gli occhi spalancati e privi di calore.
Piton osservò due diverse versioni di Albus Silente inginocchiarsi ai piedi della madre. Quello del passato urlò tutto il suo dolore e la prese tra le braccia. Quello del presente l'avrebbe fatto a sua volta, se solo avesse potuto. Si limitò a piangere, impotente e sconfitto.
 «Mamma...» la chiamarono all'unisono, soffocando tra un singhiozzo e l'altro. Ma lei non avrebbe mai risposto.
Il ricordo sfumò ancora una volta.
«Forse è meglio se torniamo su» disse Piton, aiutando Silente a rialzarsi.
«No!» rispose lui. «Devi sapere... devi...»
Albus e suo fratello erano di fronte a una tomba di pietra nera in un piccolo cimitero.
Aberforth piangeva e Albus lo sorreggeva. Appena dietro di loro, era Albus a piangere, e c'era Piton a sorreggerlo.
I quattro osservarono la lapide con infinita tristezza. Poi il Silente più giovane si chinò su di essa e vi incise le parole Kendra Silente.
Dopo un po' tornarono a casa, che intanto era stata ricostruita. Si sedettero su un comodo divano e restarono a lungo in silenzio.
Fu Albus il primo a parlare: «Mi prenderò io cura di Ariana».
«Non ho alcuna intenzione di allontanarmi da lei» affermò Aberforth.
«Dovrai, tra qualche settimana. Devi completare la tua istruzione» gli fece notare il fratello.
«Non mi importa della mia istruzione!»
«Importa a me».
«Non prenderla alla leggera. Non le sei mai stato vicino come avresti dovuto. Avrà bisogno della tua totale attenzione, hai visto cosa può succedere se ti distrai anche solo un secondo» lo avvertì Aberforth.
«Non avrò problemi» rispose Albus con fermezza.
Aberforth lo studiò, come per cercare una traccia di insicurezza nascosta dietro quelle parole. A quanto pare non ne trovò alcuna, perché annuì.
«Ci penserò».
«Molto bene» disse Albus, «ora, se non ti dispiace, vado a riposarmi».
Si alzò e si diresse lentamente verso le scale che conducevano al primo piano. Sbirciò nella stanza di Ariana: non si era ancora svegliata dal sonno incantato a cui l'avevano sottoposta.
Si ritirò nella sua camera, chiudendosi la porta alle spalle, e mormorò un incantesimo insonorizzante.
Le sue urla rabbiose e selvagge non uscirono mai da quella stanza. Prese a pugni e a calci tutto quello che gli capitò sotto tiro, finché non ci fu neanche un singolo libro, oggetto o mobile rimasto integro.
«Ero frustrato» gli spiegò Silente. «Tutti i miei sogni, le mie aspirazioni, i miei progetti... andati in fumo per sempre. Mi sentivo in gabbia, non so cosa mi trattenne dal scappare. Ero egoista, tremendamente egoista. Rivedendomi ora, capisco che se non fosse stato per lui, avrei trovato sicuramente un altro modo per rovinare tutto...»
«Lui?» chiese Piton.
Gli fece segno di attendere, mentre un altro ricordo si formava intorno a loro.
Il giovane Albus Silente uscì di casa, aveva un'aria particolarmente stanca. Non si diresse molto lontano: salì le scale del portico della casa a fianco e bussò alla porta, che si spalancò all'istante.
«Albus, sapevo che saresti venuto, accomodati!» esclamò una donna sulla trentina.
«Mia cara Bathilda, non mi sognerei mai di rifiutare un tuo invito» disse Silente.
Solo allora notò un ragazzo, probabilmente suo coetaneo, che aspettava appena dietro l'uscio. Era molto bello, biondo e slanciato.
«A dire il vero Albus, non ti ho invitato per il solito tè. Volevo presentarti il mio adorato pronipote, una mente brillante tanto quanto la tua!» esclamò Bathilda, battendo le mani eccitata.
Silente entrò in casa e gli tese la mano: «Albus Silente, piacere di conoscerti».
Il ragazzo biondo sfoggiò un sorriso affascinante e la strinse.
«Ho sentito molto parlare di te. Gellert Grindelwald, il piacere è tutto mio!»
Piton trattenne il fiato. Si voltò verso Silente in cerca di spiegazioni, ma lui non aveva occhi che per Grindelwald.
Che ruolo aveva uno dei più grandi maghi oscuri di tutti i tempi in quella storia?
   
 
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