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Autore: _Fedra_    22/05/2014    6 recensioni
Parigi, settembre 2013.
Durante una festa a tema, una ragazza dai lunghi capelli biondi abbigliata in maniera incredibilmente realistica fa la sua comparsa tra gli invitati. Sembra molto confusa e spaventata, come se non avesse la minima idea di dove si trovi.
Solo Rosalie Lamorlière, appena arrivata da Francoforte, riuscirà a capire che la giovane in realtà è molto più vecchia di quanto vuole far credere, forse addirittura di un paio di secoli.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bernard Chatelet, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 15
                      





 
“Io mi chiedo perché gli dico sempre di sì”, borbottò Oscar tenendo lo sguardo dritto sull’asfalto dell’autostrada.
“Sono i tuoi genitori, ovvio”, rispose Maria Antonietta accoccolata sul sedile anteriore dell’automobile.
“Ai miei tempi non funziona più come nel Settecento, per fortuna”.
“Lo so, ma sono pur sempre i tuoi genitori”.
“Dai, almeno la ramanzina risparmiamela!”.
L’amica si strinse nelle spalle, prendendo a fissare fuori dal finestrino.
“Perlomeno, tua madre non è l’imperatrice d’Austria”, disse a un certo punto.
“Per fortuna”, fece Oscar.
“Sai che a me non avrebbe mai permesso di scappare di casa per lavorare”.
“Ma per te era diverso! Voglio dire, sin da piccola sapevi che saresti diventata regina!”.
Maria Antonietta aggrottò la fronte, incupendosi all’istante.
“Per la verità no”, si affrettò a precisare. “Regina, arciduchessa, contessa, marchesa. Tutto dipendeva dai piani di mia madre, che potevano cambiare da un momento all’altro. Bastava che cambiasse un’alleanza per far franare un matrimonio. Noi principesse dovevamo solo attendere alle sue disposizioni e sperare di essere capitate al momento giusto. Io, per esempio, all’inizio non dovevo sposare Luigi Augusto. Quel ruolo spettava alla mia sorella maggiore. Poi lei è morta e io ho dovuto prendere il suo posto”.
La tranquillità con cui la ragazza disse tutto questo sconvolse completamente Oscar.
“Mi dispiace per tua sorella. Non lo sapevo”, disse imbarazzata.
“Sono cose che capitano. Per questo mia madre si è premurata di avere tanti figli. Ai miei tempi morivamo come mosche. Se qualcuno veniva a mancare, doveva esserci per forza un sostituto pronto a prendere il suo posto, soprattutto per quanto riguardava i figli maschi”.
“Questa dei figli maschi è una cosa che è rimasta molto viva a casa mia. Mio padre avrebbe tanto voluto avere un figlio piuttosto che una figlia”, commentò Oscar amaramente.
“Non poteva tentare di nuovo?”.
“No. Hanno aspettato troppo per avere figli. È già tanto se sono nata io”.
“Oh”.
“Per questo mi ha sempre cresciuta come un ragazzo. Sono sempre stata lontana dalle frivolezze che circondavano le altre bambine. Per fortuna, a me di bambole e roba simile non è che importava molto”.
“Sei un tipo strano, Oscar”.
“Lo so”.
In quel momento, un gigantesco cartello sospeso sulla carreggiata annunciò l’avvicinarsi della loro uscita.
Oscar inserì la freccia e abband0nò l’autostrada, perdendosi nelle campagne della Normandia.
Il cielo era grigio e basso, ma per fortuna non pioveva.
Maria Antonietta osservava il paesaggio verdeggiante con il naso premuto contro il vetro del finestrino.
“Dici che riuscirò a vedere l’Oceano?”, domandò a un certo punto, cercandolo tra le chiome degli alberi.
Oscar ridacchiò.
“Si dà il caso che casa mia si trovi a pochi metri dalla spiaggia”, rispose.
Avevano appena imboccato una stretta stradina di campagna costeggiata da altissimi alberi plurisecolari.
“Siamo quasi arrivate”, annunciò Oscar, rabbuiandosi di minuto in minuto. “Credo che ti troverai a tuo agio”.
Maria Antonietta trattenne a fatica un’esclamazione di stupore nel momento in cui l’auto svoltò la curva e si ritrovò davanti a un gigantesco cancello di ferro battuto.
In quelle ultime settimane si era abituata fin troppo alle aggressive architetture di cemento armato che costellavano il loro quartiere, dimenticandosi di come potesse essere un’abitazione tipica della sua epoca.
Non avrebbe mai creduto di potersi trovare improvvisamente di fronte a un castelletto così simile alla tenuta di caccia di Saint-Cloud, immerso nel verde della Normandia.
“Benvenuta a casa mia”, annunciò Oscar laconica, estraendo dalla borsa un piccolo telecomando.
Il cancello cigolò pigramente sui cardini, permettendo loro di accedere al viale di ingresso.
Da dentro, la villa sembrava ancora più grande di ciò che in realtà fosse.
Aveva un’imponente struttura che si apriva a ferro di cavallo su un cortile centrale, costeggiata da tetti spioventi, pinnacoli e ampie finestre.
“Ai tuoi tempi già ci abitavano i miei avi”, disse Oscar parcheggiando alla meglio la macchina davanti alla porta d’ingresso, accanto ad altre due auto sportive.
In quel momento, uno scalpiccio di zoccoli le fece voltare entrambe.
Maria Antonietta trasalì: davvero in quel mondo d’acciaio e cemento esisteva ancora qualcosa di simile a un cavallo?
“Ciao, papà”, salutò Oscar laconica, rivolgendosi all’uomo alto e atletico che montava un bel baio schiumante di sudore.
Le spalle larghe erano accentuate dalla giubba rossa da caccia.
Al suo seguito, altri due uomini trottavano affiancati da una muta di cani dal manto pezzato.
“Sei in anticipo”, disse lui senza neanche scendere dal cavallo.
“Temevo di trovare traffico sull’autostrada”, rispose Oscar.
“Be’, meglio così. Tua madre è da qualche parte in giardino. Ti conviene andarla a cercare, tanto avrà sicuramente dimenticato il cellulare in casa. Io vado a farmi una doccia e vi raggiungo subito”.
“D’accordo. Andata bene la caccia?”.
“Per niente. Non ho preso neanche un tordo”.
“Okay. Ci vediamo dopo, allora!”.
Con un colpo di talloni, il signor Jarjayes si allontanò al trotto, diretto alle scuderie.
“Ho sempre odiato la caccia”, commentò Oscar mentre apriva il cofano della macchina e scaricava i bagagli.
“Neanche a me fa impazzire”, rispose Maria Antonietta. “Mio marito, invece, ne va pazzo. Trascorre tutto il giorno in giro per il parco a rincorrere questa o quella creatura. Io per stargli vicino ho tentato di uscire a cavallo con lui, ma mia madre me l’ha tassativamente proibito. Dice che provocherei un aborto. Ora però non c’è pericolo”, a quel pensiero, l’arciduchessa si rabbuiò all’istante. “Chissà come faranno tutti, ora che me ne sono andata. Sarà per questo che è finita la monarchia?”.
Oscar sospirò, battendole un colpetto di conforto sulla spalla.
In tutti quei giorni, non avevano ancora avuto il coraggio di affrontare la questione sulla fine della monarchia in Francia.
Del resto, come avrebbe potuto svelare all’amica che all’età di 38 anni sarebbe stata decapitata come traditrice?
Ora che però Maria Antonietta era finita nel futuro, la stessa storia avrebbe dovuto cambiare.
O no?
Di certo, se qualcosa nei libri non fosse tornato, Axel le avrebbe come minimo telefonato in preda al panico.
Non sapeva come, ma Oscar aveva la sgradevole impressione che un giorno il varco temporale si sarebbe aperto di nuovo e che l’arciduchessa avrebbe dovuto affrontare una volta per tutte il suo terribile destino.
La storia non poteva continuare senza di lei.
Quanto al giro che quest’ultima avesse deciso di intraprendere, sicuramente sarebbe restato per sempre un mistero.
“A che cosa pensi, Oscar?”, domandò Maria Antonietta preoccupata.
“Niente, Antoine, niente”, rispose lei in tono sbrigativo. “Ma comunque, non preoccuparti. So per certo che non è stata la tua improvvisa scomparsa a cambiare il corso della storia”.
“Dici, se fossi rimasta a Versailles avrei dato degli eredi alla Francia?”.
“Sì”, rispose Oscar dopo averci pensato un attimo. Sapeva bene che di essi sarebbe sopravvissuta solo la primogenita.
“Ci vorrà del tempo, però”.
Maria Antonietta sospirò.
“Forse dovevo restare”, disse piano.
“Ma ora sei qui e, credimi, è meglio così”, si affrettò a rispondere Oscar; poi, notando il malumore dell’amica, si affrettò ad aggiungere:
“Vuoi tornare a casa?”.
Maria Antonietta indugiò sulle architetture barocche di casa Jarjeayes.
“Un po’ mi manca, ora che sono qui”, rispose in tono innaturale.
“Aspetta che ti presenti i miei”, commentò Oscar ridacchiando.
Entrambe si avviarono lungo gli scalini che le separavano dall’ingresso (Maria Antonietta inciampò mentre aiutava Oscar a issare la loro unica, enorme valigia) ed entrarono all’interno.
“I miei amici del liceo dicevano sempre che casa mia assomiglia a un museo”, disse Oscar mentre superavano l’immenso corridoio pieno di stucchi, salutando di tanto in tanto qualche domestico di passaggio. “Non potevo proprio dargli torto”.
“Incredibile!”, continuava a esclamare Maria Antonietta con gli occhi sgranati.
Una volta al piano di sopra, l’amica le indicò una porta chiusa.
“Questa è la stanza degli ospiti”, spiegò. “Io dormo in quella accanto. Se guardi bene nel muro, c’è una porta segreta che le mette in comunicazione, per qualsiasi cosa”.
Maria Antonietta annuì, stordita.
Le sembrava davvero di essere tornata a casa.
Oscar entrò nella sua stanza e si andò subito a infilare sotto la doccia.
Odiava con tutta l’anima quel posto che puzzava di pinacoteca.
Avrebbe tanto voluto essere nel suo miniappartamento di Parigi piuttosto che in quella sorta di prigione.
Si sentiva tremendamente a disagio.
Si asciugò i capelli e si rivestì con estrema lentezza; poi, notando che Maria Antonietta non si faceva viva, bussò alla porta comunicante.
Nessuna risposta.
Preoccupata, Oscar abbassò la maniglia ed entrò.
Trovò l’amica seduta sulla sponda del letto, senza aver disfatto i bagagli, lo sguardo perso nel vuoto.
“Sono a casa”, mormorò quando Oscar si sedette al suo fianco. “Sono di nuovo a casa”.
E scoppiò in singhiozzi.
 
***
 
La signora Jarjayes aveva approfittato della giornata coperta ma mite per apparecchiare sulla veranda.
Era una signora ormai prossima ai 60 anni, dritta come un fuso, con i fluenti capelli striati di grigio raccolti in una crocchia sulla nuca.
Sembrava davvero una duchessa del Settecento.
Maria Antonietta studiava ogni suo singolo movimento come ipnotizzata.
Dall’altra parte del tavolo, il signor Jarjayes continuava a fumare la sua pipa, sorseggiando di tanto in tanto un bicchiere di vino.
La sua postura marziale poteva passare benissimo per quella di un vecchio guerriero di ritorno dal fronte.
“E così tu sei un’amica di Oscar?”, le chiese in quel momento la signora Jarjayes.
“Oh, sì, ma non sono francese. Vengo da Vienna”, rispose lei gentilmente.
“Ho notato che hai un accento particolare”, osservò la donna accennandole un sorriso. “Vuoi un po’ di pasticcio, cara?”.
“Oh, no, grazie”.
“Come mai hai deciso di venire in Francia, Antoine?”.
“I miei genitori sono separati e mia madre ha deciso di venire ad abitare a Parigi con il suo nuovo compagno”, rispose Maria Antonietta automaticamente, pensando a Rosalie. “Ho conosciuto Oscar in palestra. Sa, io faccio danza, però ci siamo trovate più volte a chiacchierare e siamo diventate amiche. Questo finesettimana mia madre era occupata con il lavoro e quindi, per non lasciarmi sola a casa, Oscar mi ha proposto di venire con lei”.
“Notizie da André?”, domandò a quel punto il signor Jarjayes.
Stronzo, pensò Oscar, rischiando di piegare in due la sua forchetta.
“Sono giorni che non lo sento, ma pare che stia meglio. A parte l’occhio, ovviamente. Da quello che mi è stato detto, gli hanno dovuto mettere una protesi”.
“Mi dispiace. E la scherma?”.
“Ancora non se n’è parlato”.
“Povero caro”, commentò la signora Jarjayes con un sospiro. “Ma come mai non vi siete più sentiti? Non eravate tanto amici, una volta?”.
“Non mi va di parlarne”, tagliò corto Oscar.
Questa volta, la forchetta si piegò per davvero.
“Tesoro, ricordati che sei una donna”, disse sua madre sfiorandole il braccio. “Ascolta, stasera ho invitato alcuni nostri amici. Dovrebbero venire con i figli, così ti distrai un po’”.
“Non ho bisogno di distrazioni, grazie”, ribatté Oscar in tono velenoso.
“Vedrai che tu e la tua amica vi divertirete da matti”.
Sapendo che era inutile ribattere, la ragazza finì in silenzio il suo pasticcio.
Maria Antonietta le lanciava di tanto in tanto delle occhiate desolate.
Sapeva fin troppo bene come si sentiva in quel momento, in balìa di una madre che la voleva impegnare a tutti i costi.
Perlomeno, Oscar era una ragazza indipendente, con un lavoro e una vita propria.
Poteva sempre permettersi di dire di no.
Lei invece che possibilità aveva?
La ragazza non si era mai trovata ad invidiare la sua amica come in quel momento.
Dopo pranzo, Oscar si era così rabbuiata che Maria Antonietta non sapeva proprio come fare per tirarla su.
Nel primo pomeriggio, arrivarono i fantomatici amici dei Jarjayes.
A detta della padrona di casa, dovevano essere i duchi di qualcosa.
Come Oscar aveva temuto, si erano portati dietro il loro rampollo, un giovanotto pallido e smilzo sulla trentina.
Sembra il signor Bingley, pensò subito la ragazza con un moto di orrore, ripensando al film Orgoglio e Pregiudizio, pellicola che le sue amiche del liceo la avevano costrettao a rivedere fino alla nausea solo per ammirare quel bel tenebroso di Mr Darcy.
Dal suo canto, Maria Antonietta si vide ripassare davanti tutta la scena del suo incontro con Luigi Augusto.
“Ciao, piacere! Io sono Gerard”, si presentò il ragazzo tendendole goffamente la mano sudaticcia.
“Ciao”, rispose Oscar freddandolo con i suoi occhi di ghiaccio.
E mia madre spera che io mi metta con questo coglione solo perché ha una barca di soldi?, pensò inorridendo.
Avrebbe tanto voluto fargli assaggiare qualche sciabolata, ma con un’arma vera, di quelle ben affilate.
“Ragazzi, vi lasciamo da soli”, disse la signora Jarjayes scortando i genitori del ragazzo verso la veranda. “Ci vediamo più tardi!”.
Schiumante di rabbia, Oscar si rassegnò a scortare Gerard e Maria Antonietta nel parco.
Cosa diavolo poteva inventarsi per tenerlo alla larga e allo stesso tempo non sembrare scortese?
“Sapete andare a cavallo?”, domandò a un certo punto.
“Oh, sì!”, esclamò Gerard deliziato. “Faccio equitazione da quando avevo 4 anni, sai? Mio padre mi ha regalato subito un pony e da lì sono arrivato a fare gare di Salto Ostacoli in giro per il mondo. Una vera passione! Adesso ho tre giumente Hannover e uno stallone Oldenburg. A breve dovrebbero nascerci i puledrini…”.
“A me basta che sai mettere il culo sulla sella”, lo freddò Oscar, incapace di trattenersi.
“Oh, certo, quello sì…”, borbottò l’altro imbarazzato.
Maria Antonietta lanciò all’amica un’occhiata carica di stupore e di ammirazione.
Come avrebbe voluto poter dare anche lei una risposta così tagliente…che coraggio, quella donna!
Dopo essersi cambiati nelle rispettive stanze, i ragazzi scesero nelle scuderie.
Oscar portò tre castroni grigi, facendoli sellare da uno stalliere.
Nel vedere i finimenti, Maria Antonietta (che ancora non si era del tutto abituata a portare i pantaloni), si avvicinò di soppiatto a Oscar.
“Ehm, voi come cavalcate?”, domandò imbarazzata.
“In che senso?”.
“Ho visto la sella. Non montate all’amazzone, giusto?”.
“Cavolo, non ci avevo pensato! È facile, Antoine. Come mettere i pantaloni”.
L’arciduchessa sospirò rassegnata.
Facendosi aiutare dallo stalliere, montò a cavallo goffamente, sedendosi a cavalcioni come facevano gli uomini alla sua epoca.
Un tremendo senso di disagio la investì.
Aveva come l’impressione che il suo equilibrio fosse tremendamente precario da lassù.
Una volta tutti in sella, Oscar si mise in testa alla fila, conducendoli nel parco.
Dopo pochi minuti di cammino, l’Oceano si spalancò davanti ai loro occhi.
“Abiti in un posto bellissimo”, commentò Gerard rapito.
Maria Antonietta era a dir poco stupefatta: in tutta la sua vita, non aveva mai visto il mare.
“Vi va di fare una galoppata sulla spiaggia?”, propose il ragazzo.
Oscar stava per chiedere a Maria Antonietta se per caso fosse d’accordo, dal momento che l’aveva vista un po’ in difficoltà, quando si rese conto che la ragazza era già partita al galoppo sfrenato, incitando il suo cavallo a correre più veloce.
Ridendo divertita, Oscar si lanciò al suo inseguimento, tallonata da Gerard.
Una volta affiancati, l’amica le gridò:
“Lasciatelo dire: sei proprio la regina delle amazzoni!”.
A quell’affermazione, Maria Antonietta non poté fare a meno di sorridere.
 
***
 
Più tardi, i ragazzi si riunirono ai genitori per la cena.
Maria Antonietta passò buona parte del pomeriggio a sistemarsi i capelli.
Sia lei che Oscar si erano portate un vestito per l’occasione.
L’arciduchessa si sentiva molto a disagio con quello stretto abito moderno che lasciava scoperte le gambe: le sembrava di essere nuda.
Lo stesso valeva per l’amica, di gran lunga fuori luogo in abiti esclusivamente femminili.
Stretta nel tubino argentato sembrava più magra e nodosa che mai.
Le due ragazze si scambiarono reciprocamente un’occhiata perplessa e, notando che entrambe avrebbero dato qualcunque cosa pur di cambiarsi d’abito, scoppiarono a ridere come due matte.
“Poche ore e sarà tutto finito”, disse Oscar passandosi un leggero strato di rossetto sulle labbra sottili.
“Resteranno di stucco”, ridacchiò Maria Antonietta.
Nel momento in cui si sedettero a tavola, illuminata dalla luce dei candelabri, l’arciduchessa credette davvero di essere tornata a casa.
L’aria di ufficialità, il tono sommesso della conversazione, le pietanze servite dai domestici: tutto faceva pensare a una Versailles del futuro.
Mentre Maria Antonietta mangiava a piccoli bocconi, non poteva fare a meno di pensare alle cene informali tra lei e Oscar, le loro risate, talvolta la televisione accesa.
Le ritornò in mente il locale dove si erano incontrate, l’allegra confusione che vi regnava.
Per la prima volta, l’arciduchessa si rese conto che il suo mondo era in realtà noiso.
E la nostaglia passò in un lampo.
Quanto mancava al loro ritorno a Parigi?
Dopo cena, la signora Jarjayes propose loro un giro notturno della pinacoteca.
Un cameriere li scortò a lume di candela lungo le stanze buie dalle pareti cariche di dipinti.
Improvvisamente, sia Oscar che Maria Antonietta sbiancarono.
Il ritratto di una donna sui vent’anni dal paffuto viso ovale e gli occhi azzurri le stava fissando sorniona dall’alto di una balaustra.
“Oh, ecco Maria Antonietta, la nostra regina”, commentò la madre di Gerard deliziata.
Alle sue spalle, l’arciduchessa si appiattì d’istinto contro la spalla di Oscar.
“Una grande donna, poverina. Peccato che sia vissuta nell’epoca sbagliata. Scommetto che al giorno d’oggi avrebbe trascorso una vita diversa”.
“Di questo ne sono certa!”, intervenne Oscar, affrettandosi a sviare il discorso su una strada meno pericolosa. “Evviva la regina!”, aggiunse strizzando un occhio a Maria Antonietta.
“Viva la regina!”, esclamarono in coro tutti gli altri.
Nascosta nella penombra, Maria Antonietta arrossì vistosamente, le lacrime agli occhi per la commozione.
In tutta la sua vita, non si era mai sentita così amata da qualcuno.
 
***
 
“Alla fine, siamo sopravvissute”, commentò Oscar con uno sbadiglio mentre si avviavano verso le loro camere. “Domattina ti vengo a svegliare io, okay? Buonanotte, Antoine”.
“Buonanotte”.
Le due si scambiarono un abbraccio fraterno, poi ciascuna filò nella propria stanza.
Nonostante fosse ormai mezzanotte e mezzo, Maria Antonietta non riusciva a prendere sonno.
Troppi pensieri si affollavano nella sua mente confusa.
Oscar era davvero una grande amica, lo sapeva.
Avrebbe tanto voluto aiutarla, sdebitarsi per tutto l’affetto che nutriva per lei.
Improvvisamente, un’idea le balenò nel cervello.
Aveva notato il telefono fisso abbandonato sul comodino.
Un numero sconosciuto per André, che non rispondeva mai quando riconosceva quello di Oscar.
In punta di piedi, Maria Antonietta entrò nella stanza dell’amica.
Per fortuna, era già nel mondo dei sogni.
Rapida e silenziosa, l’arciduchessa si impossessò del suo cellulare e sgusciò di nuovo in camera sua.
Le ci volle un’eternità per capire come funzionava la rubrica, con i nomi che le schizzavano via tra le dita.
Senza volerlo, fece partire un paio di telefonate a buffo.
Finalmente trovò il nome che cercava: André Grandier.
Lo ricopiò febbrilmente sul ricevitore fisso, restando in attesa.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Poi una voce roca rispose.
“Pronto?”.
 
 
Ovviamente, André non aveva il fisso di Oscar, altrimenti tutto questo non sarebbe mai potuto accadere! ;)
Allora, che ne dite?
Finalmente, ho deciso di abbandonare il registro malinconico per dare a questa storia un pizzico di brio.
Vi aspettano altre sorprese al ritorno delle nostre amiche a Parigi.
State pronti! :D

Come sempre, ecco a voi il link della pagina Facebook con tutti gli aggiornamenti: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra 

Auguro a tutti voi una buona serata! 
A presto! :)

F.
 
 
 

 

 
 
   
 
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