Crazy
Little Thing
Called Love
Capitolo
venticinque: It’s too cliché, I won’t
say I’m in love
“I can see it in your eyes
That you despise the same old lies you heard the night before
And though it's just a line to you, for me it's true
And never seemed so right before
I practice every day to find some clever lines to say
To make the meaning come through
But then I think I'll wait until the evening gets late and I'm alone
with you
The time is right, your perfume fills my head, the stars get red and the night's so blue
And then I go and spoil it all by saying something stupid like I
love you”
(Something stupid- Frank e Nancy Sinatra).
Chissà
perché compiere diciott’anni era una cosa
che spaventava e eccitava nel contempo?
Si
trattava solo di un numero. Un giorno avevi
diciassette, il giorno dopo uno in più.
Che
cosa c’era di tanto diverso? Non si cambiava in
una notte.
A
diciotto anni si poteva votare, questo mi doveva
far sentire più matura? Probabilmente avrei impiegato minimo
altri due anni per
formarmi un’opinione sulla politica.
Avevo
preso la patente a sedici anni e non avrei
potuto bere alcolici legalmente fino ai ventuno. Che cosa
c’era di speciale nel
diciottesimo compleanno?
Semplice:
non si diventava adulti da un giorno con
l’altro, ma si entrava di diritto nel mondo degli adulti e
quello era un
passaggio troppo importante nella vita di un’adolescente.
Dovevo
cominciare a fare i conti con la fine della
scuola superiore e l’inizio di una nuova esperienza:
l’università, il distacco
con la famiglia, la responsabilità crescente.
Ma
era ancora troppo presto per preoccuparmi di
tutto quello e avevo impegni decisamente più imminenti, come
la festa per il
mio compleanno.
Avevo
delegato il compito a Caroline che era stata
felicissima di potersene occupare. Me n’ero pentita nemmeno
due ore dopo.
Da
sola non ero capace di organizzare un evento
simile e onestamente, sebbene avessi voglia di festeggiare, non avevo
di certo
le capacità e la pazienza di trafficare tra inviti, musica,
catering e altro.
Erano
i miei diciott’anni, desideravo dare una
festa con i fiocchi, ma senza un’esperta non avrei combinato
niente. Per questo
avevo pensato a Caroline e alla sua innata dote organizzativa.
Peccato
che non avessi messo in conto anche la sua
tendenza a esagerare tutto. Se non fossi stata attenta, mi sarei
trovata in
mezzo a un circo.
Avevamo
trovato un locale molto carino, appena
fuori da Fell’s Church, abbastanza grande senza essere troppo
dispersivo. I
proprietari mi avevano dato praticamente carta bianca. Fatta eccezione
per il
bar che rimaneva sotto la loro gestione, potevo gestirmela come
preferivo. Mio il
DJ, mio l’allestimento, mia
l’atmosfera.
O
meglio, di Caroline perché era lei il capo per
quella sera.
Le
avevo dato istruzioni precise: festa chiusa e su
invito, alcol limitato per evitare eccessi e danni, nessun tema
ridicolo che
implicasse un dress code. Un po’ di
eleganza era richiesta, ma non mi
andava di vedere tutti in bianco e nero, o in rosso, o conciati come
manichini
dell’Ottocento.
Ci
tenevo a organizzare qualcosa di carino e adatto
a me, quindi semplice, non troppo sfarzoso.
Sapevo
che Caroline avrebbe sforato da qualche
parte, non si sarebbe mai contenuta così tanto, ma potevo
sopportare qualche
stravaganza.
Ero
assolutamente elettrizzata all’idea di passare
una serata dedicata a me (un po’ di sano egoismo a volte
faceva bene) circondata
da tutti i miei amici.
E
da Damon.
Pensai con un
mezzo sorriso imbarazzato.
Era
passato un mese o giù di lì, ma era ancora
quello l’effetto che sentivo quando fantasticavo su di lui:
rossore,
palpitazioni, sorriso da ebete, morsa allo stomaco.
Non
riuscivo a parlarne senza balbettare o
arrossire come una ragazzina alla sua prima cotta.
Lo
sapevano più o meno tutti, sebbene né io
né
Damon avessimo confermato nulla. Uscivamo insieme, ma non ci tenevamo
per mano,
men che meno ci baciavamo in pubblico. Eravamo riservati, gelosi della
nostra
privacy. Ma suppongo che fossero stati i piccoli gesti a far intuire
ciò che
stava succedendo tra noi: come uno sguardo, un buffetto sulla guancia,
una
carezza sui capelli. E ovviamente i pettegolezzi a Fell’s
Church volavamo più
veloci della luce.
Uno
degli ultimi a scoprilo era stato proprio mio
padre, per assurdo, il capo del fan club di Damon. Una scena ridicola e
d’impatto, cui un’adolescente non vorrebbe mai
assistere.
Eravamo
seduti sui gradini del portico di casa mia,
dopo un appuntamento serale. Il bacio della buona notte si era
prolungato più
del previsto e mio padre aveva aperto la porta, pronto a trucidare la
nuova
fiamma della sua bambina.
La
sorpresa di trovarsi davanti nient’altri che il
suo pupillo lo aveva quasi commosso.
Io
mi sarei sotterrata, Damon non poteva apparire
più compiaciuto di così.
Avevo
chiacchierato a lungo con Stefan riguardo a
quel rapporto sgangherato nato da chissà dove. Mi era
servito parecchio per
rimettere in asse alcuni momenti e emozioni.
Stefan era la mia roccia, era il mio punto di riferimento
e non avrei
mai mosso un passo senza chiedere un suo parere.
Alla
fine eravamo giunti alla conclusione che
entrambi avevamo mal giudicato Damon. Non che lui si fosse mai
impegnato troppo
per cambiare l’immagine che si era creato. Ma quella era
un’occasione per tutti
e tre di ripartire da zero.
Avevo
comunque apprezzato lo scatto protettivo che
Stefan aveva avuto nei miei confronti. Fratello o meno, se Damon mi
avesse
fatto soffrire anche per sbaglio, Stefan non avrebbe esitato a
rimetterlo in
riga.
Le
altre aveva accettato la nostra relazione senza
tanti problemi. Non contando Elena che accompagnava mio padre nella
gestione
del Damon-Bonnie fan club, Meredith e Caroline avevano accolto di buon
grado la
novità, specialmente la seconda che non smetteva
più di fare battutine piccanti
su di noi.
La
cosa mi avrebbe messo a disagio in qualunque
situazione, ma in quel contesto ancora di più
perché tra me e Damon non era
ancora successo niente, in quel senso.
I
nostri incontri erano decisamente al di là di
baci innocenti, eppure non eravamo arrivati fino in fondo.
Motivo
semplicissimo: non ero ancora pronta.
Damon
mi piaceva alla follia, stavo bene con lui
come con nessun altro, ma ci frequentavamo da poco e quel passo era
troppo
importante, almeno per me.
Lui
era già stato con centinai di ragazze. Io no.
Con nessuno.
Non
sapevo neanche da dove cominciare, non sapevo
muovermi, avrei rovinato tutto.
Il
pericolo di fare una figuraccia era dietro l’angolo.
Mi
mancava ancora un po’ di sicurezza e qualche
conferma. Cercavo di rimanere con i piedi per terra e di non saltare
nel vuoto
a occhi chiusi.
La
mia prima esperienza non doveva essere presa
alla leggera, non ero quel genere di ragazza. Se non fossi stata certa
al cento
per cento, me ne sarei pentita per sempre.
D’altra
parte Damon aveva risvegliato tutti gli
ormoni che non credevo di possedere e mi risultava
sempre più difficile
resistere.
Più
di una volta avevo pensato di buttarmi e basta,
senza badare troppo alle conseguenze. Alla fine mi ero sempre fermata.
Era
inutile dopotutto crucciarsi in quel modo per
un problema che non trovava soluzione logica. Se doveva accadere,
sarebbe stato
spontaneo.
E
poi c’era anche quella dannato domanda a martellarmi:
quanto mi avrebbe aspettato?
Un
tipo come Damon, fisico e passionale, si sarebbe
stufato presto o tardi.
Ero
tremendamente combattuta, ma non volevo per
nulla al mondo farmi condizionare. La decisione era mia soltanto e se
non gli
stava bene, allora non aveva senso continuare.
In
realtà, Damon non mi aveva mai pressato o
scaricato su di me il peso dell’attesa. Si era dimostrato
sorprendentemente
comprensivo. Ogni tanto scappava qualche battuta, ma capivo che non
c’era
insofferenza nella sua voce.
Alla
fine dei conti, si trattava solamente di mie
paranoie.
Di
certo potevo solo affermare di essere pazza di
quel ragazzo. Tutto ciò che prima non sopportavo di lui,
adesso mi sembrava
essenziale per la mia vita.
Non
vedevo l’ora di passare il mio compleanno con
Damon, di farmi viziare e coccolare, di creare quel ricordo e
portarmelo via
per sempre.
Per
questo restai totalmente di sasso quando mi
disse:
“Scusami,
Bonnie, ma non credo che verrò”.
“Che
cosa significa che non credi che verrai?”
berciai minacciosa.
“Ho
già passato troppe feste di liceali quest’anno
e poi gli esami si avvicinano e mi sveglio presto al mattino per
studiare”.
“Ma
è il mio compleanno!” replicai stupidamente
“Sono i miei diciott’anni”.
“Festeggiamo
un altro giorno. Io e te, da soli” ghignò.
“No”
obiettai “NO!” ribadii “Io voglio
festeggiare
domani sera con i miei amici e con te”.
“Parole
magiche: tuoi amici, non miei. Che
differenza fa se stiamo insieme domani sera o un’altra
volta?”.
“Te
l’ho già detto che è il mio compleanno,
vero?”
m’indignai.
“Sono
un po’ grande per circondarmi di ragazzini.
Farei ridere in mezzo a voi, sembrerei il vostro babysitter. Preferisco
evitare”.
“Per
Katherine eri disposto a sopportarlo però!”.
“Bonnie,
non prenderla sul personale…”.
“E
come potrei? Per lei sei venuto alla festa di
inizio anno, poi a quella di Stefan. Hai persino accompagnato Caroline
al
concorso di bellezza. È chiaro che sono io ad avere qualcosa
di sbagliato!”.
“Lo
sapevo che ne sarebbe uscito un dramma” sbuffò
“Katherine non c’entra niente e poi guarda
com’è finita. Non cambia nulla tra
noi”.
“Cambia,
invece” precisai “Tutte le tue belle
parole non valgono se alla prima occasione scappi per un motivo
così stupido”.
I
suoi occhi s’incupirono e mi prese per le spalle
“Credimi, uccellino, quando ti dico che è nel tuo
interesse. Terrei il muso, ti
rovinerei la serata e mi odieresti più quanto tu non stia
facendo ora”.
“Ne
sei sicuro? Mi sembra difficile” lo freddai
scrollandomelo di dosso. Gli girai le spalle.
“E
adesso dove vai?”.
“Lontano
da te. Sono arrabbiata”.
Ero
ancora arrabbiata la sera successiva, quando
arrivai al locale con Stefan e Elena. Entrambi sembravano non curarsi
del mio
problema, come se fosse una cosa normalissima per Damon. Beh, non lo
era per
me!
Erano
i miei migliori amici, avrebbero dovuto
spalleggiarmi e non dare corda a lui.
Non
appena vidi Caroline, fuori dall’entrata, mi
rallegrai. Sapevo che sarebbe stata dalla mia parte e al momento avevo
bisogno
solo di qualcuno che mi ascoltasse e mi desse ragione.
Mi
prese il braccio, tutta agitata, e prima che
potessi aprire bocca, mi trascinò dentro. Non ero preparata
a ciò che mi
accolse, o meglio a chi: una moltitudine di persone che urlarono
all’unisono
buon compleanno.
Feci
brevemente un calcolo e constati di conoscere,
forse, la metà della gente presente.
Sorrisi
forzatamente e lanciai di traverso
un’occhiataccia alla mia amica.
“Non
avevo detto una cosa tranquilla?” digrignai
tra i denti.
“Ho
fatto di testa mia” ridacchiò “Tesoro
mio,
diciott’anni si compiono solo una volta nella vita.
Perché non approfittarne?”
saltellò tutta contenta.
“C’è
tutta la scuola o sbaglio?” azzardò Elena,
scioccata quanto me.
“Tutti
tranne tua sorella” confermò Caroline “E
mi
sono premurata che sapesse di essere l’unica non
invitata”.
“Ottimo,
aggiungiamo un altro motivo alla sua
vendetta contro di me” borbottai a bassa voce. Caroline non
mi udì.
“Dov’è
Damon?” domandò invece guardandosi attorno.
“A
giocare alla playstation, presumo” risposi con
sarcasmo.
“Damon
non se la sentiva di passare la serata con
noi adolescenti” spiegò Stefan, molto
più diplomaticamente.
“Che
stronzo!” commentò.
“Grazie”
esultai “Finalmente qualcuno che mi
capisce”.
“Fanculo
Damon Salvatore” proruppe Caroline
“Troviamo Meredith e Matt e apriamo una bottiglia per
brindare. Stasera si
festeggia, non si piange!”.
E
così fu.
Per
quanto sentissi l’assenza di Damon e mi
dispiacesse, cercai di non rimuginarci troppo sopra e di godermi il
party per
il mio compleanno.
Nonostante
la gran folla, trascorsi la maggior
parte del tempo con i miei amici e presto cominciai a divertirmi
veramente.
Non
mancava molto alla fine della scuola e
all’inizio dell’università. Nessuno di
noi aveva scelto college vicini e forse
momenti come quelli non sarebbero tornati più.
Io
stesso aspettavo la risposta da un’università in
particolare che non si trovava proprio nelle vicinanze di
Fell’s Church.
Il
che poneva una discreta quantità di problemi, ma
non era il caso di pensarci in quel frangente. Potevo sempre rifiutare.
Magari
neanche mi avevano accettata.
“Bonnie!!”
mi chiamò Meredith sventolando la mano
“La torta!” mi avvisò.
Quella
sì che era una bella notizia.
Per
la seconda volta mi trovai ad avere a che fare
con una Bonnie elettrizzata dall’alcol.
Cominciavo
a capire perché le brave ragazze non
bevevano: tendevano a ubriacarsi.
Rispetto
all’ultima volta era molto meno marcia.
Non l’avrei definita sbronza, ma molto allegra, euforica.
Talmente tanto da
saltellare su quei tacchi come se fossero ballerine.
Ero
andato alla sua festa, ma non avevo nessuna
intenzione di condividerla con i suoi amici. Il suo tempo era mio, la
volevo
tutta per me senza interferenze esterne.
Non
era stato divertente interpretare la parte
dell’insensibile ancora. Non con Bonnie.
M’importava poco degli altri, ma
lei…lei non mi doveva più odiare.
L’aveva
già fatto abbastanza in passato. Eppure mi
ero impegnato tanto per deluderla, di proposito. Era tutto parte di un
piano.
Mi
era rifiutato di partecipare alla sua festa,
perché ne avevo organizzata un’altra, solo per noi
due. L’avevo lasciata
divertirsi con i suoi amici per le prime ore della serata. Adesso
pretendevo il
mio turno.
Era
mia intenzione prenderla da sola, sottrarla
alla folla e convincerla a venire via con me. C’era davvero
troppo gente in
giro, la maggior parte a me sconosciuta. Sospettavo che fosse opera di
Caroline.
Anche
la festa in generale era troppo chiassosa per
i gusti di Bonnie. Il mio uccellino non era certo il tipo da grandi
party o
serate in discoteca.
Sembrava
divertirsi, dopotutto. Circondata dai suoi
amici, indifferente del casino che le girava intorno.
Guardai
l’ora: cominciava a farsi tardi. Non potevo
aspettate oltre. Avrei preferito evitare qualsiasi interazione con gli
altri,
ma non avevo molto tempo.
Scivolai
tra la massa, silenzioso e invisibile.
Erano tutti troppo presi dalla musica e nessuno fortunatamente mi
notò.
Almeno
finché non mi avvicinai abbastanza al
gruppetto in questione e Elena mi riconobbe. Provò a non
ridacchiare come una
ragazzina che la sapeva lunga; provò anche a non incrociare
lo sguardo di
Bonnie e lasciarle scoprire tutto, ma non servì a nulla.
La
rossa, insospettita dall’occhiata che le aveva
tirato l’amica, si voltò e la mia sorpresa venne
totalmente rovinata.
Non
posso dire che restai deluso dall’accoglienza. Credevo
mi avrebbe preso a schiaffi dopo la discussione del giorno prima,
invece i suoi
occhi s’illuminarono e mi venne incontro con un sorriso che
brillava nonostante
le luci soffuse.
“Alla
fine ti sei deciso a mischiarti con
noi adolescenti?” mi beccò.
Era
brilla, non ubriaca. Aveva ancora la lucidità
per freddarmi quando era necessario.
“Non
mi merito nemmeno un bacio di benvenuto?” la
stuzzicai.
“Pensi
di cavartela così facilmente?”.
“Ho
in mente qualcosa che rimedierà”.
Mi
fissò scettica “Di che si tratta?”.
“Vieni
via con me” le proposi.
“Sei
impazzito?!” esclamò “È la
mia festa. Ci sono
i miei amici, non posso andarmene via così. Non è
educato e mi stavo
divertendo”.
“Io
sono più divertente” la spronai “Su, Bon
Bon,
non conosci nemmeno la metà della gente che
c’è qui. Non mi scambieresti mai
per loro”.
“Ma
ti credi più bello degli altri?” mi
bacchettò.
“Temo
che tu sappia già la mia risposta”.
Sbuffò
e mi gettò un’occhiata di avvertimento. Mi
stava avvisando di non tirare troppo la corda perché
altrimenti me ne sarei
pentito.
Sapevo
di non averla convinta completamente. Non
aveva motivo per abbandonare la sua festa di compleanno e seguirmi. Non
capiva
perché non potessimo stare tutti insieme.
Mi
piegai su di lei e le nostre fronti si
sfiorarono “Vieni via con me” le mormorai
“Ho voglia di passare del tempo con
te, da soli. I tuoi amici capiranno. Fidati” la pregai.
Ricambiò
il mio sguardo, poi sospirò e mi fece
segno di aspettare.
Tornò
da mio fratello e dai suoi amici, bisbigliò
qualcosa indicandomi. Sparì alla mia vista per un paio di
minuti. Alla fine
ricomparve con la sua borsetta in mano e una giacca.
Uscimmo
dal locale per dirigerci verso la mia
macchina.
“Spero
che tu abbia una buona ragione” disse “Prima
ti rifiuti di venire al mio compleanno, poi mi trascini via. Che
cos’hai in
mente adesso?”.
“Sei
rimasta abbastanza lì dentro. Avevi anche già
tagliato la torta e fatto il brindisi. Ho aspettato parecchio prima di
venirti
a chiamare”.
“Come
lo sai?”.
“Ti
ho visto”.
“Da
quando eri alla festa? Perché ti sei nascosto
invece di stare con me?”.
“Te
l’ho già detto: non mi andava di stare con dei
ragazzini del liceo. Ma volevo stare con te. Senti, non
t’impedirò di urlarmi
addosso più tardi, per adesso fidati di me. Magari ne sarai
pure contenta”.
Guidai
fino a Dalcrest, al mio college. Bonnie era
chiaramente confusa e un po’ sconcertata. Aveva parlato lungo
il tragitto, del
più e del meno, ma quando l’auto aveva imboccato
la strada per il campus, lei
si era zittita di colpo.
Parcheggiai
nel cortile principale, accanto alla
macchine degli altri studenti. Scendemmo e le feci cenno di seguirmi.
Le
presi la mano, la condussi lungo i corridoi bui
della mia università. Non c’era in giro nessuno
data l’ora tarda e l’atmosfera
era un po’ cupa.
Bonnie
si strinse al mio braccio, intimorita dal
rumore dei nostri stessi passi.
Ci
fermammo di fronte a una porta chiusa, quella
della biblioteca. Un cartello era affisso a indicare gli orari. Noi
eravamo
decisamente fuori tempo massimo.
Estrassi
una chiave dalla mia tasca e la girai
nella toppa.
Bonnie
strabuzzò gli occhi “A chi l’hai
rubata?”.
“Grazie
per la fiducia” ironizzai “Si dà il caso
che la bibliotecaria abbia una vera passione per me. Mi adora e mi ha
fatto
questo favore”.
“Damon,
non so che cosa tu abbia in mente, ma non è
una buona idea. È vietato stare qui di notte e se ci
dovessero beccare,
sarebbero guai”.
“Non
ci beccheranno. Come hai detto tu: è vietato
entrare qui di notte, quindi non c’è nessuno. O
meglio, di solito c’è un
guardiano che fa la ronda ma non farà storie”.
“Come
puoi esserne certo?”.
“Perché
sa tutto”.
“Tutto
cosa?” si spazientì “Mi spieghi che cosa
sta
succedendo?!”.
“Varca
quella porta e scoprilo” la tentai.
Titubante,
mise il capo oltre la soglia e lo girò a
destra e a sinistra.
“È
troppo buio” sentenziò “Va’
avanti tu”.
“Fifona”
la presi in giro.
Illuminai
la via con il cellulare e mi inoltrai tra
gli scaffali. Avevo appena dato della ‘paurosa’ a
Bonnie, ma ne ero molto
grato, almeno potevo avere il piacere di sentirla aggrappata alla mia
schiena
come un piccolo koala.
Quanto
adoravo quella ragazzina.
Arrivai
fino al punto prestabilito. Impiegai un po’
per convincere Bonnie a lasciarmi andare e fui costretto a girarmi con
uno
scatto e spingerla contro una libreria alla sue spalle. La baciai con
foga,
assaporando quel momento che aspettavo da due giorni.
Mi
staccai altrettanto velocemente e mi piegai a
terra cercando con la luce del mio telefono l’accendino che
avevo posto sul
pavimento.
Lo
trovai e accesi una candela.
Bonnie
se ne stava ancora in piedi, con una mano
sul petto “Tu…” annaspò
“Tu non puoi fare certe cose, non puoi baciarmi
così”.
Io
ghignai “E chi me lo impedisce?”.
“Il
mio cuore. Prima o poi scoppierà per colpa tua”
ammise sinceramente. Alzò gli occhi su di me e si accorse
della scena che le si
presentava davanti “Damon, che…è opera
tua?”.
“Ti
ho portato via dalla tua festa di compleanno.
Dovevo organizzare qualcosa per cui ne valesse la pena”.
Odiavo
quelle smancerie, le odiavo davvero. Mi
veniva l’orticaria solo a pensarci. Se qualcuno avesse
scoperto che cosa avevo
fatto, mi sarei sotterrato.
Ma
con Bonnie potevo concedermi qualche strappo
alla regola.
Era
il suo compleanno e si meritava un regalo
speciale, uno che potesse ricordare per tutta la vita.
Sulla
moquette era stesa una coperta su cui avevo
appoggiato due bicchieri e una borsa-frigo, al cui interno avevo messo
una
bottiglia di vino bianco e una piccola torta.
La
due candele mandavano una luce soffusa, molto
intima.
“Tu
sei fuori
di testa!” esclamò “Rischi grosso, lo
sai? Se ci beccano, potrebbero cacciarti
dall’università”.
“Beh,
non era
la reazione che mi aspettavo” ammisi ironico.
“Sono
seria”.
“Anche
io”
sostenni “La bibliotecaria ha davvero una passione per me. Mi
adora. E quando
le ho raccontato che volevo organizzare una sorpresa per il tuo
compleanno, mi
ha proposto di farla qui. Il custode di questo piano è suo
marito ed è al
corrente di tutto. Perciò rilassati, nessuno ci
disturberà e nessuno ci
denuncerà al rettore”.
“Lo
sapevi
già ieri?” mi chiese.
“Secondo
te
perché ho rifiutato il tuo invito?” alzai un
sopracciglio “Ammetto che non ero
entusiasta all’idea di passare con i tuoi amici, ma non
è per questo che non ho
partecipato alla festa. Hai ragione, è un giorno importante
e volevo stare con
te. L’hai detto anche tu che non sono il principe azzurro. Io
sono egoista e
onestamente non mi pento di averti portata via da loro”.
“Te
ne
pentirai quando capiterai tra le grinfie di Caroline. Ha faticato tanto
per
niente”.
“Per
niente
non mi pare. La festa è durata quasi cinque ore, avete
mangiato e bevuto. E tu
sei una visione con questo vestito” confessai, cercando di
attirare il suo
favore “Non parliamo delle grinfie di Caroline, parliamo
delle tue che
m’ispirano molto di più”.
Lei
guardò
ancora la coperta a terra e le candele. Si mordicchiò il
labbro e si torturò
una ciocca di capelli con le dita. Era agitata.
“Non
ti
credevo un tipo romantico”.
“Non
lo sono”
confermai.
“Per
me sì”.
Annuii
convinto “Solo per te”.
“Scusami
davvero se adesso ti apparirò stucchevole e
piagnona, probabilmente è l’effetto
dell’alcol, ma…so quanto sia
difficile per te mostrare le tue emozioni e lasciarti andare
così e…il fatto
che tutto questo sia per me, non credo che riceverò mai
regalo più bello”.
Le
presi una
mano e la strinsi. Ci fissami negli occhi, senza muovere un dito o
proferir parola.
Tutto quello che ci passava per la testa, sembrava banale e stupido.
Quel
silenzio
e quegli sguardi significavano molto di più.
Io
in
particolare dovetti mordermi la lingua per non mandare tutto
all’aria. Avevo
pianificato quella sorpresa nei minimi dettagli e non avevo intenzione
di
spaventarla e rovinare la serata pronunciando due paroline parecchio
importanti.
Per
stemperare la tensione e per distrarmi, le offrii un bicchiere di vino
e poi un
altro. Senza rendercene conto, presto consumammo quasi
l’intera bottiglia e
toccammo a stento la torta.
Bonnie
aveva
appena smaltito il vino bevuto in precedenza e tornò brilla
nel giro di poco.
Io ero più che abituato e quei bicchieri non mi fecero quasi
effetto.
Sciolsero
i
nervi, nient’altro.
E
sciolse
decisamente anche la sua parlantina.
Mi
raccontò
dell’adorazione che suo padre aveva per me e della sua
segreta speranza che
finissimo insieme un giorno e io evitai di farle notare che non era
proprio un
mistero.
Raccontò
di
come si era trattenuta più di una volta dal riferirgli molti
dei miei scherzi e
la ringraziai perché avrei rischiato di trovarmi con un
occhio nero.
Mi
domandò
come avessi vissuto i miei diciott’anni, come fosse andata la
mia festa.
Allora
mi
lanciai in una dettagliata descrizione del casino che avevo combinato,
invitando tutti a casa mia per fare un dispetto a mio padre.
La
verità era
che non mi ero affatto goduto la mia maggiore età: in rotta
con Giuseppe,
incastrato in un futuro che non desideravo con un fratello minore che
sembrava
sceso da cielo per rendermi la vita un inferno.
Ricordavo
la
sensazione di vuoto che avevo provato quel giorno, privo di ogni
aspettativa.
Nessuna
speranza per il college, nessuna voglia di iniziarlo, consolato solo
dall’idea
di trasferirmi al campus.
Avevo
scelto
la facoltà sulla scia delle pressioni di mio padre (lui si
era laureato in
economia e si aspettava lo stesso da me)
e neanche mi ero sprecato di cercare un ateneo valido,
sebbene avessi le
capacità per ambirvi.
Nella
mia
pigrizia, Dalcrest era stata l’alternativa più
adatta.
Ma
non volevo
annoiare Bonnie con chiacchiere tristi sul mio passato e proseguii con
gli
aneddoti su quell’assurdo diciottesimo.
“Ok,
adesso
basta” le imposi togliendole dalla mani la bottiglia
“Non esagerare”.
“Che
c’è? Sto
bene, sono solo un po’ allegra”
s’imbronciò.
“Appunto”.
“È
il mio
compleanno” obiettò “Ogni mio desiderio
è un ordine”.
“Allora
desidera qualcos’altro, perché con questo hai
chiuso per stasera”.
“Posso
desiderare tutto quello che voglio?”.
“È
il tuo
compleanno” le feci il verso.
Quella
provocazione fu accolta più che calorosamente e mi ritrovai
Bonnie in braccio
nel giro di pochi secondi.
Non
mi
lamentai del suo slancio e mi godetti quell’impetuosa
affettuosità che era
sempre mancata a Bonnie da sobria.
Era
dolce e
si scioglieva per le mie carezze, ma raramente prendeva
l’iniziativa e mai si
era mostra così disinibita.
Non
mi feci
scappare l’occasione e la spinsi sulla coperta, senza
staccare le mie labbra
dalle sue. La situazione s’infiammò in un momento,
quando sentii le sue mani
togliermi la giacca e le mie scattarono sulle sue gambe fino
all’orlo del suo
vestito.
Lei
sospirò,
incitandomi a continuare.
Da
più di un
mese ormai non facevamo che stuzzicarci e basta e iniziavo a diventare
matto. Non
glielo avevo mai rivelato per non metterle troppe pressione addosso,
troppe
aspettative, ma sinceramente ero sull’orlo della pazzia.
Volevo
quella
ragazzina, volevo sentirla gemere il mio nome, volevo vederla sudare e
contorcersi per me.
Io
non
l’avrei mai sporcata, le avrei lasciato comunque la sua
purezza, perché non si
trattava di una mera questione fisica, c’era qualcosa di gran
lunga più
profondo: sentimenti sinceri.
Niente
sotterfugi, niente dietrologie o piani ossessivi.
La
scommessa
era lontana dalla mia mente, nemmeno la consideravo più. Era
stato
semplicemente un modo per avvicinarmi a lei, una mossa meschina che mi
aveva
segnato e cambiato in meglio.
Senza
quel
progetto diabolico, quella meravigliosa creatura non sarebbe mai finita
tra le
mie braccia.
Mi
staccai
dal suo corpo e lei protestò.
“Letto”
boccheggiai.
“Cosa?”.
“Letto,
ci
serve un letto. Andiamo in camera mia. Sage è dai suoi
genitori”.
Arruffai
la
coperta e il resto in un sacco, afferrai la mano di Bonnie e corremmo
per il
corridoio verso i dormitori.
Appena
chiusi
la porta della mia stanza alle nostre spalle, riprendemmo dove ci
eravamo
interrotti, solo che questa a volta, sul pavimento, finì il
suo vestito.
Le
baciai il
mento, il collo, le spalle, mentre le sue mani mi slacciavano con foga
i
bottoni della mia camicia.
Fu
in quel
momento che capii che qualcosa non andava: Bonnie, da sobria, avrebbe
faticato
molto per sfilarli dalle asole, si sarebbe attorcigliata con le sue
stesse
dita.
Tutta
quella
intraprendenza e confidenza non erano da lei, ma erano dovute
all’alcol. E la
mia coscienza irruppe prepotentemente (e non richiesta) sulla scena,
obbligandomi a fermarmi.
“Continua,
Damon” mi pregò Bonnie con una voce
così impaziente da farmi tremare le gambe e
qualcos’altro.
“Uccellino”
la chiamai “Sei ubriaca”.
“No”
mugugnò
“Sono euforica”.
“E
io sono un
coglione” sentenziai “E uno sfigato e
rimpiangerò questa decisione per il resto
della mia vita ma…è meglio se ti
rivesti”.
Lei
si tirò
sui gomiti “Che cosa c’è che non
va?”.
“Non
sei in
te” le spiegai con calma “Tu non sei davvero pronta
per questo passo”.
“So
che cosa
sto facendo e mi va…ti giuro che mi va. Dai, torna
qui”.
“Non
m’incanti, ragazzina” la stroncai “Adesso
sei tutta una fuoco, ma domani
mattina ti sveglierai e mi prenderai a calci con i tuoi tacchi per
essermi
approfittato di te”.
Questa
sarebbe entrate negli annali di storia: Damon Salvatore che cercava di
convincere una ragazza a tenersi gli abiti addosso.
“C’è
un
motivo se siamo qui, ora” mi disse alzandosi in piedi dal
letto. Mi venne
incontro e posò le mani sul mio viso
“C’è un motivo se sono in biancherai
intima davanti a te, se sta succedendo proprio con te. Capiscimi quando
ti dico
che c’è un motivo” insistette, calcando
sulle ultime parole come a far
trasparire un messaggio.
Messaggio
che
recepii benissimo, dato che provavo esattamente lo stesso “E
c’è un motivo se
io mi sto trattenendo” le assicurai “Se sei davvero
convinta, non cambierà
niente oggi o domani. Non ho nessun problema a rotolarmi nudo con te
tra le
lenzuola, uccellino, ma cerchiamo di essere entrambi lucidi quando
accadrà”.
Non
sembrava
molto d’accordo. Alla fine mi diede retta e raccolse il suo
vestito da terra.
Le bloccai il polso. Mi guardò stranita.
Andai
verso
il mio armadio e tirai fuori una mia vecchia maglietta.
“Rimani
con
te stasera. Dormi con me” le proposi.
Bonnie
annuì
sorridendo e indossò il magliettone.
Una
volta
cambiatomi, la raggiunsi nel letto. Potei constatare che era
già addormentata.
“E
tu volevi
fare la trasgressiva stanotte, eh?” commentai sarcastico,
stendendomi accanto a
lei.
Ripensai
alle
sue parole, a quel suo c’è un motivo.
Non
potevo
dire con certezza quale fosse la sua ragione, ma conoscevo
perfettamente la
mia: mi stavo innamorando.
Il
mio spazio:
Sono
in super
ritardo e in super fretta.
In
definitiva
sono un disastro!
Beh,
spero
che questo capitolo compensi un po’ la lunga attesa.
Ho
voluto
inserire il compleanno perché nella serie tv abbiamo visto
quello di Elena e di
Caroline, ma non il suo…stranamente messo
da parte.
A
proposito
di serie tv, avete visto l’ultimo episodio? La fine? Io sono
ancora al settimo
cielo. Spero che a ottobre non deludano tutte le mie aspettative.
Passando
al
capitolo, troppo sdolcinato? Ho pensato di sbottonarmi un po’
in questa
circostanza, perché mancano solo tre capitoli alla fine e i
guai attendono
dietro l’angolo.
Ho
letto
tutte le vostre recensioni e vi ringrazio tantissimo! Come al solito
sono in
ritardo con le risposte, ma domani provvederò a sistemare.
Grazie
infinite!
Buona
serata,
Fran;)