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Autore: Sissi Bennett    23/05/2014    5 recensioni
Bonnie McCullough ha diciassette anni, i capelli rosso fuoco, il viso a forma di cuore ed è sempre stata considerata da tutti la classica ragazza dalla porta accanto. Circondata da amiche più popolari e speciali di lei, non si è mai distinta tra la folla e nemmeno ha mai desiderato farlo. La sua esistenza in fondo è tranquilla e ha tutto quello che una ragazza possa desiderare, compreso un migliore amico premuroso, affettuoso e piuttosto figo: Stefan Salvatore. Tanto è legata a quest’ultimo quanto non sopporta il fratello, Damon. I due Salvatore hanno sempre avuto degli attriti, ma ultimamente le cose si sono fatte più tese: Stefan è riuscito a conquistare il cuore della bella Elena, la giovane per cui Damon ha sempre avuto un debole. Ma cosa succederebbe se la gemella di Elena, Katherine, ricomparisse a Fell’s Church dopo anni trascorsi a Parigi?
E se Bonnie, dopo un’estate in Spagna, tornasse più matura, più bella, più affascinante, insomma più donna e iniziasse ad attirare gli sguardi dei ragazzi? Damon continuerebbe a considerarla solo come la migliore amica di suo fratello o cercherebbe di aggiungere il suo nome alla sua già lunghissima lista di ragazze con cui è stato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Katherine | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore, Elena Gilbert/Stefan Salvatore
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Crazy Little Thing Called Love

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Capitolo venticinque: It’s too cliché, I won’t say I’m in love

 

“I can see it in your eyes
That you despise the same old lies you heard the night before
And though it's just a line to you, for me it's true
And never seemed so right before
I practice every day to find some clever lines to say
To make the meaning come through
But then I think I'll wait until the evening gets late and I'm alone with you
The time is right, your perfume fills my head, the stars get red and  the night's so blue
And then I go and spoil it all by saying something stupid like I love you

(Something stupid- Frank e Nancy Sinatra).

 

Chissà perché compiere diciott’anni era una cosa che spaventava e eccitava nel contempo?

Si trattava solo di un numero. Un giorno avevi diciassette, il giorno dopo uno in più.

Che cosa c’era di tanto diverso? Non si cambiava in una notte.

A diciotto anni si poteva votare, questo mi doveva far sentire più matura? Probabilmente avrei impiegato minimo altri due anni per formarmi un’opinione sulla politica.

Avevo preso la patente a sedici anni e non avrei potuto bere alcolici legalmente fino ai ventuno. Che cosa c’era di speciale nel diciottesimo compleanno?

Semplice: non si diventava adulti da un giorno con l’altro, ma si entrava di diritto nel mondo degli adulti e quello era un passaggio troppo importante nella vita di un’adolescente.

Dovevo cominciare a fare i conti con la fine della scuola superiore e l’inizio di una nuova esperienza: l’università, il distacco con la famiglia, la responsabilità crescente.

Ma era ancora troppo presto per preoccuparmi di tutto quello e avevo impegni decisamente più imminenti, come la festa per il mio compleanno.

Avevo delegato il compito a Caroline che era stata felicissima di potersene occupare. Me n’ero pentita nemmeno due ore dopo.

Da sola non ero capace di organizzare un evento simile e onestamente, sebbene avessi voglia di festeggiare, non avevo di certo le capacità e la pazienza di trafficare tra inviti, musica, catering e altro.

Erano i miei diciott’anni, desideravo dare una festa con i fiocchi, ma senza un’esperta non avrei combinato niente. Per questo avevo pensato a Caroline e alla sua innata dote organizzativa.

Peccato che non avessi messo in conto anche la sua tendenza a esagerare tutto. Se non fossi stata attenta, mi sarei trovata in mezzo a un circo.

Avevamo trovato un locale molto carino, appena fuori da Fell’s Church, abbastanza grande senza essere troppo dispersivo. I proprietari mi avevano dato praticamente carta bianca. Fatta eccezione per il bar che rimaneva sotto la loro gestione, potevo gestirmela come preferivo.  Mio il DJ, mio l’allestimento, mia l’atmosfera.

O meglio, di Caroline perché era lei il capo per quella sera.

Le avevo dato istruzioni precise: festa chiusa e su invito, alcol limitato per evitare eccessi e danni, nessun tema ridicolo che implicasse un dress code. Un po’ di eleganza era richiesta, ma non mi andava di vedere tutti in bianco e nero, o in rosso, o conciati come manichini dell’Ottocento.

Ci tenevo a organizzare qualcosa di carino e adatto a me, quindi semplice, non troppo sfarzoso.

Sapevo che Caroline avrebbe sforato da qualche parte, non si sarebbe mai contenuta così tanto, ma potevo sopportare qualche stravaganza.

Ero assolutamente elettrizzata all’idea di passare una serata dedicata a me (un po’ di sano egoismo a volte faceva bene) circondata da tutti i miei amici.

E da Damon. Pensai con un mezzo sorriso imbarazzato.

Era passato un mese o giù di lì, ma era ancora quello l’effetto che sentivo quando fantasticavo su di lui: rossore, palpitazioni, sorriso da ebete, morsa allo stomaco.

Non riuscivo a parlarne senza balbettare o arrossire come una ragazzina alla sua prima cotta.

Lo sapevano più o meno tutti, sebbene né io né Damon avessimo confermato nulla. Uscivamo insieme, ma non ci tenevamo per mano, men che meno ci baciavamo in pubblico. Eravamo riservati, gelosi della nostra privacy. Ma suppongo che fossero stati i piccoli gesti a far intuire ciò che stava succedendo tra noi: come uno sguardo, un buffetto sulla guancia, una carezza sui capelli. E ovviamente i pettegolezzi a Fell’s Church volavamo più veloci della luce.

Uno degli ultimi a scoprilo era stato proprio mio padre, per assurdo, il capo del fan club di Damon. Una scena ridicola e d’impatto, cui un’adolescente non vorrebbe mai assistere.

Eravamo seduti sui gradini del portico di casa mia, dopo un appuntamento serale. Il bacio della buona notte si era prolungato più del previsto e mio padre aveva aperto la porta, pronto a trucidare la nuova fiamma della sua bambina.

La sorpresa di trovarsi davanti nient’altri che il suo pupillo lo aveva quasi commosso.

Io mi sarei sotterrata, Damon non poteva apparire più compiaciuto di così.

Avevo chiacchierato a lungo con Stefan riguardo a quel rapporto sgangherato nato da chissà dove. Mi era servito parecchio per rimettere in asse alcuni momenti e emozioni.  Stefan era la mia roccia, era il mio punto di riferimento e non avrei mai mosso un passo senza chiedere un suo parere.

Alla fine eravamo giunti alla conclusione che entrambi avevamo mal giudicato Damon. Non che lui si fosse mai impegnato troppo per cambiare l’immagine che si era creato. Ma quella era un’occasione per tutti e tre di ripartire da zero.

Avevo comunque apprezzato lo scatto protettivo che Stefan aveva avuto nei miei confronti. Fratello o meno, se Damon mi avesse fatto soffrire anche per sbaglio, Stefan non avrebbe esitato a rimetterlo in riga.

Le altre aveva accettato la nostra relazione senza tanti problemi. Non contando Elena che accompagnava mio padre nella gestione del Damon-Bonnie fan club, Meredith e Caroline avevano accolto di buon grado la novità, specialmente la seconda che non smetteva più di fare battutine piccanti su di noi.

La cosa mi avrebbe messo a disagio in qualunque situazione, ma in quel contesto ancora di più perché tra me e Damon non era ancora successo niente, in quel senso.

I nostri incontri erano decisamente al di là di baci innocenti, eppure non eravamo arrivati fino in fondo.

Motivo semplicissimo: non ero ancora pronta.

Damon mi piaceva alla follia, stavo bene con lui come con nessun altro, ma ci frequentavamo da poco e quel passo era troppo importante, almeno per me.

Lui era già stato con centinai di ragazze. Io no. Con nessuno.

Non sapevo neanche da dove cominciare, non sapevo muovermi, avrei rovinato tutto.

Il pericolo di fare una figuraccia era dietro l’angolo.

Mi mancava ancora un po’ di sicurezza e qualche conferma. Cercavo di rimanere con i piedi per terra e di non saltare nel vuoto a occhi chiusi.

La mia prima esperienza non doveva essere presa alla leggera, non ero quel genere di ragazza. Se non fossi stata certa al cento per cento, me ne sarei pentita per sempre.

D’altra parte Damon aveva risvegliato tutti gli ormoni che non credevo di possedere e mi risultava sempre più difficile resistere.

Più di una volta avevo pensato di buttarmi e basta, senza badare troppo alle conseguenze. Alla fine mi ero sempre fermata.

Era inutile dopotutto crucciarsi in quel modo per un problema che non trovava soluzione logica. Se doveva accadere, sarebbe stato spontaneo.

E poi c’era anche quella dannato domanda a martellarmi: quanto mi avrebbe aspettato?

Un tipo come Damon, fisico e passionale, si sarebbe stufato presto o tardi.

Ero tremendamente combattuta, ma non volevo per nulla al mondo farmi condizionare. La decisione era mia soltanto e se non gli stava bene, allora non aveva senso continuare.

In realtà, Damon non mi aveva mai pressato o scaricato su di me il peso dell’attesa. Si era dimostrato sorprendentemente comprensivo. Ogni tanto scappava qualche battuta, ma capivo che non c’era insofferenza nella sua voce.

Alla fine dei conti, si trattava solamente di mie paranoie.

Di certo potevo solo affermare di essere pazza di quel ragazzo. Tutto ciò che prima non sopportavo di lui, adesso mi sembrava essenziale per la mia vita.

Non vedevo l’ora di passare il mio compleanno con Damon, di farmi viziare e coccolare, di creare quel ricordo e portarmelo via per sempre.

Per questo restai totalmente di sasso quando mi disse:

“Scusami, Bonnie, ma non credo che verrò”.

“Che cosa significa che non credi che verrai?” berciai minacciosa.

“Ho già passato troppe feste di liceali quest’anno e poi gli esami si avvicinano e mi sveglio presto al mattino per studiare”.

“Ma è il mio compleanno!” replicai stupidamente “Sono i miei diciott’anni”.

“Festeggiamo un altro giorno. Io e te, da soli” ghignò.

“No” obiettai “NO!” ribadii “Io voglio festeggiare domani sera con i miei amici e con te”.

“Parole magiche: tuoi amici, non miei. Che differenza fa se stiamo insieme domani sera o un’altra volta?”.

“Te l’ho già detto che è il mio compleanno, vero?” m’indignai.

“Sono un po’ grande per circondarmi di ragazzini. Farei ridere in mezzo a voi, sembrerei il vostro babysitter. Preferisco evitare”.

“Per Katherine eri disposto a sopportarlo però!”.

“Bonnie, non prenderla sul personale…”.

“E come potrei? Per lei sei venuto alla festa di inizio anno, poi a quella di Stefan. Hai persino accompagnato Caroline al concorso di bellezza. È chiaro che sono io ad avere qualcosa di sbagliato!”.

“Lo sapevo che ne sarebbe uscito un dramma” sbuffò “Katherine non c’entra niente e poi guarda com’è finita. Non cambia nulla tra noi”.

“Cambia, invece” precisai “Tutte le tue belle parole non valgono se alla prima occasione scappi per un motivo così stupido”.

I suoi occhi s’incupirono e mi prese per le spalle “Credimi, uccellino, quando ti dico che è nel tuo interesse. Terrei il muso, ti rovinerei la serata e mi odieresti più quanto tu non stia facendo ora”.

“Ne sei sicuro? Mi sembra difficile” lo freddai scrollandomelo di dosso. Gli girai le spalle.

“E adesso dove vai?”.

“Lontano da te. Sono arrabbiata”.

 

Ero ancora arrabbiata la sera successiva, quando arrivai al locale con Stefan e Elena. Entrambi sembravano non curarsi del mio problema, come se fosse una cosa normalissima per Damon. Beh, non lo era per me!

Erano i miei migliori amici, avrebbero dovuto spalleggiarmi e non dare corda a lui.

Non appena vidi Caroline, fuori dall’entrata, mi rallegrai. Sapevo che sarebbe stata dalla mia parte e al momento avevo bisogno solo di qualcuno che mi ascoltasse e mi desse ragione.

Mi prese il braccio, tutta agitata, e prima che potessi aprire bocca, mi trascinò dentro. Non ero preparata a ciò che mi accolse, o meglio a chi: una moltitudine di persone che urlarono all’unisono buon compleanno.

Feci brevemente un calcolo e constati di conoscere, forse, la metà della gente presente.

Sorrisi forzatamente e lanciai di traverso un’occhiataccia alla mia amica.

“Non avevo detto una cosa tranquilla?” digrignai tra i denti.

“Ho fatto di testa mia” ridacchiò “Tesoro mio, diciott’anni si compiono solo una volta nella vita. Perché non approfittarne?” saltellò tutta contenta.

“C’è tutta la scuola o sbaglio?” azzardò Elena, scioccata quanto me.

“Tutti tranne tua sorella” confermò Caroline “E mi sono premurata che sapesse di essere l’unica non invitata”.

“Ottimo, aggiungiamo un altro motivo alla sua vendetta contro di me” borbottai a bassa voce. Caroline non mi udì.

“Dov’è Damon?” domandò invece guardandosi attorno.

“A giocare alla playstation, presumo” risposi con sarcasmo.

“Damon non se la sentiva di passare la serata con noi adolescenti” spiegò Stefan, molto più diplomaticamente.

“Che stronzo!” commentò.

“Grazie” esultai “Finalmente qualcuno che mi capisce”.

“Fanculo Damon Salvatore” proruppe Caroline “Troviamo Meredith e Matt e apriamo una bottiglia per brindare. Stasera si festeggia, non si piange!”.

E così fu.

Per quanto sentissi l’assenza di Damon e mi dispiacesse, cercai di non rimuginarci troppo sopra e di godermi il party per il mio compleanno.

Nonostante la gran folla, trascorsi la maggior parte del tempo con i miei amici e presto cominciai a divertirmi veramente.

Non mancava molto alla fine della scuola e all’inizio dell’università. Nessuno di noi aveva scelto college vicini e forse momenti come quelli non sarebbero tornati più.

Io stesso aspettavo la risposta da un’università in particolare che non si trovava proprio nelle vicinanze di Fell’s Church.

Il che poneva una discreta quantità di problemi, ma non era il caso di pensarci in quel frangente. Potevo sempre rifiutare. Magari neanche mi avevano accettata.

“Bonnie!!” mi chiamò Meredith sventolando la mano “La torta!” mi avvisò.

Quella sì che era una bella notizia.

 

Per la seconda volta mi trovai ad avere a che fare con una Bonnie elettrizzata dall’alcol.

Cominciavo a capire perché le brave ragazze non bevevano: tendevano a ubriacarsi.

Rispetto all’ultima volta era molto meno marcia. Non l’avrei definita sbronza, ma molto allegra, euforica. Talmente tanto da saltellare su quei tacchi come se fossero ballerine.

Ero andato alla sua festa, ma non avevo nessuna intenzione di condividerla con i suoi amici. Il suo tempo era mio, la volevo tutta per me senza interferenze esterne.

Non era stato divertente interpretare la parte dell’insensibile ancora. Non con Bonnie. M’importava poco degli altri, ma lei…lei non mi doveva più odiare.

L’aveva già fatto abbastanza in passato. Eppure mi ero impegnato tanto per deluderla, di proposito. Era tutto parte di un piano.

Mi era rifiutato di partecipare alla sua festa, perché ne avevo organizzata un’altra, solo per noi due. L’avevo lasciata divertirsi con i suoi amici per le prime ore della serata. Adesso pretendevo il mio turno.

Era mia intenzione prenderla da sola, sottrarla alla folla e convincerla a venire via con me. C’era davvero troppo gente in giro, la maggior parte a me sconosciuta. Sospettavo che fosse opera di Caroline.

Anche la festa in generale era troppo chiassosa per i gusti di Bonnie. Il mio uccellino non era certo il tipo da grandi party o serate in discoteca.

Sembrava divertirsi, dopotutto. Circondata dai suoi amici, indifferente del casino che le girava intorno.

Guardai l’ora: cominciava a farsi tardi. Non potevo aspettate oltre. Avrei preferito evitare qualsiasi interazione con gli altri, ma non avevo molto tempo.

Scivolai tra la massa, silenzioso e invisibile. Erano tutti troppo presi dalla musica e nessuno fortunatamente mi notò.

Almeno finché non mi avvicinai abbastanza al gruppetto in questione e Elena mi riconobbe. Provò a non ridacchiare come una ragazzina che la sapeva lunga; provò anche a non incrociare lo sguardo di Bonnie e lasciarle scoprire tutto, ma non servì a nulla.

La rossa, insospettita dall’occhiata che le aveva tirato l’amica, si voltò e la mia sorpresa venne totalmente rovinata.

Non posso dire che restai deluso dall’accoglienza. Credevo mi avrebbe preso a schiaffi dopo la discussione del giorno prima, invece i suoi occhi s’illuminarono e mi venne incontro con un sorriso che brillava nonostante le luci soffuse.

“Alla fine ti sei deciso a mischiarti con  noi adolescenti?” mi beccò.

Era brilla, non ubriaca. Aveva ancora la lucidità per freddarmi quando era necessario.

“Non mi merito nemmeno un bacio di benvenuto?” la stuzzicai.

“Pensi di cavartela così facilmente?”.

“Ho in mente qualcosa che rimedierà”.

Mi fissò scettica “Di che si tratta?”.

“Vieni via con me” le proposi.

“Sei impazzito?!” esclamò “È la mia festa. Ci sono i miei amici, non posso andarmene via così. Non è educato e mi stavo divertendo”.

“Io sono più divertente” la spronai “Su, Bon Bon, non conosci nemmeno la metà della gente che c’è qui. Non mi scambieresti mai per loro”.

“Ma ti credi più bello degli altri?” mi bacchettò.

“Temo che tu sappia già la mia risposta”.

Sbuffò e mi gettò un’occhiata di avvertimento. Mi stava avvisando di non tirare troppo la corda perché altrimenti me ne sarei pentito.

Sapevo di non averla convinta completamente. Non aveva motivo per abbandonare la sua festa di compleanno e seguirmi. Non capiva perché non potessimo stare tutti insieme.

Mi piegai su di lei e le nostre fronti si sfiorarono “Vieni via con me” le mormorai “Ho voglia di passare del tempo con te, da soli. I tuoi amici capiranno. Fidati” la pregai.

Ricambiò il mio sguardo, poi sospirò e mi fece segno di aspettare.

Tornò da mio fratello e dai suoi amici, bisbigliò qualcosa indicandomi. Sparì alla mia vista per un paio di minuti. Alla fine ricomparve con la sua borsetta in mano e una giacca.

Uscimmo dal locale per dirigerci verso la mia macchina.

“Spero che tu abbia una buona ragione” disse “Prima ti rifiuti di venire al mio compleanno, poi mi trascini via. Che cos’hai in mente adesso?”.

“Sei rimasta abbastanza lì dentro. Avevi anche già tagliato la torta e fatto il brindisi. Ho aspettato parecchio prima di venirti a chiamare”.

“Come lo sai?”.

“Ti ho visto”.

“Da quando eri alla festa? Perché ti sei nascosto invece di stare con me?”.

“Te l’ho già detto: non mi andava di stare con dei ragazzini del liceo. Ma volevo stare con te. Senti, non t’impedirò di urlarmi addosso più tardi, per adesso fidati di me. Magari ne sarai pure contenta”.

Guidai fino a Dalcrest, al mio college. Bonnie era chiaramente confusa e un po’ sconcertata. Aveva parlato lungo il tragitto, del più e del meno, ma quando l’auto aveva imboccato la strada per il campus, lei si era zittita di colpo.

Parcheggiai nel cortile principale, accanto alla macchine degli altri studenti. Scendemmo e le feci cenno di seguirmi.

Le presi la mano, la condussi lungo i corridoi bui della mia università. Non c’era in giro nessuno data l’ora tarda e l’atmosfera era un po’ cupa.

Bonnie si strinse al mio braccio, intimorita dal rumore dei nostri stessi passi.

Ci fermammo di fronte a una porta chiusa, quella della biblioteca. Un cartello era affisso a indicare gli orari. Noi eravamo decisamente fuori tempo massimo.

Estrassi una chiave dalla mia tasca e la girai nella toppa.

Bonnie strabuzzò gli occhi “A chi l’hai rubata?”.

“Grazie per la fiducia” ironizzai “Si dà il caso che la bibliotecaria abbia una vera passione per me. Mi adora e mi ha fatto questo favore”.

“Damon, non so che cosa tu abbia in mente, ma non è una buona idea. È vietato stare qui di notte e se ci dovessero beccare, sarebbero guai”.

“Non ci beccheranno. Come hai detto tu: è vietato entrare qui di notte, quindi non c’è nessuno. O meglio, di solito c’è un guardiano che fa la ronda ma non farà storie”.

“Come puoi esserne certo?”.

“Perché sa tutto”.

“Tutto cosa?” si spazientì “Mi spieghi che cosa sta succedendo?!”.

“Varca quella porta e scoprilo” la tentai.

Titubante, mise il capo oltre la soglia e lo girò a destra e a sinistra.

“È troppo buio” sentenziò “Va’ avanti tu”.

“Fifona” la presi in giro.

Illuminai la via con il cellulare e mi inoltrai tra gli scaffali. Avevo appena dato della ‘paurosa’ a Bonnie, ma ne ero molto grato, almeno potevo avere il piacere di sentirla aggrappata alla mia schiena come un piccolo koala.

Quanto adoravo quella ragazzina.

Arrivai fino al punto prestabilito. Impiegai un po’ per convincere Bonnie a lasciarmi andare e fui costretto a girarmi con uno scatto e spingerla contro una libreria alla sue spalle. La baciai con foga, assaporando quel momento che aspettavo da due giorni.

Mi staccai altrettanto velocemente e mi piegai a terra cercando con la luce del mio telefono l’accendino che avevo posto sul pavimento.

Lo trovai e accesi una candela.

Bonnie se ne stava ancora in piedi, con una mano sul petto “Tu…” annaspò “Tu non puoi fare certe cose, non puoi baciarmi così”.

Io ghignai “E chi me lo impedisce?”.

“Il mio cuore. Prima o poi scoppierà per colpa tua” ammise sinceramente. Alzò gli occhi su di me e si accorse della scena che le si presentava davanti “Damon, che…è opera tua?”.

“Ti ho portato via dalla tua festa di compleanno. Dovevo organizzare qualcosa per cui ne valesse la pena”.

Odiavo quelle smancerie, le odiavo davvero. Mi veniva l’orticaria solo a pensarci. Se qualcuno avesse scoperto che cosa avevo fatto, mi sarei sotterrato.

Ma con Bonnie potevo concedermi qualche strappo alla regola.

Era il suo compleanno e si meritava un regalo speciale, uno che potesse ricordare per tutta la vita.

Sulla moquette era stesa una coperta su cui avevo appoggiato due bicchieri e una borsa-frigo, al cui interno avevo messo una bottiglia di vino bianco e una piccola torta.

La due candele mandavano una luce soffusa, molto intima.

“Tu sei fuori di testa!” esclamò “Rischi grosso, lo sai? Se ci beccano, potrebbero cacciarti dall’università”.

“Beh, non era la reazione che mi aspettavo” ammisi ironico.

“Sono seria”.

“Anche io” sostenni “La bibliotecaria ha davvero una passione per me. Mi adora. E quando le ho raccontato che volevo organizzare una sorpresa per il tuo compleanno, mi ha proposto di farla qui. Il custode di questo piano è suo marito ed è al corrente di tutto. Perciò rilassati, nessuno ci disturberà e nessuno ci denuncerà al rettore”.

“Lo sapevi già ieri?” mi chiese.

“Secondo te perché ho rifiutato il tuo invito?” alzai un sopracciglio “Ammetto che non ero entusiasta all’idea di passare con i tuoi amici, ma non è per questo che non ho partecipato alla festa. Hai ragione, è un giorno importante e volevo stare con te. L’hai detto anche tu che non sono il principe azzurro. Io sono egoista e onestamente non mi pento di averti portata via da loro”.

“Te ne pentirai quando capiterai tra le grinfie di Caroline. Ha faticato tanto per niente”.

“Per niente non mi pare. La festa è durata quasi cinque ore, avete mangiato e bevuto. E tu sei una visione con questo vestito” confessai, cercando di attirare il suo favore “Non parliamo delle grinfie di Caroline, parliamo delle tue che m’ispirano molto di più”.

Lei guardò ancora la coperta a terra e le candele. Si mordicchiò il labbro e si torturò una ciocca di capelli con le dita. Era agitata.

“Non ti credevo un tipo romantico”.

“Non lo sono” confermai.

“Per me sì”.

Annuii convinto “Solo per te”.

“Scusami davvero se adesso ti apparirò stucchevole e  piagnona, probabilmente è l’effetto dell’alcol, ma…so quanto sia difficile per te mostrare le tue emozioni e lasciarti andare così e…il fatto che tutto questo sia per me, non credo che riceverò mai regalo più bello”.

Le presi una mano e la strinsi. Ci fissami negli occhi, senza muovere un dito o proferir parola. Tutto quello che ci passava per la testa, sembrava banale e stupido.

Quel silenzio e quegli sguardi significavano molto di più.

Io in particolare dovetti mordermi la lingua per non mandare tutto all’aria. Avevo pianificato quella sorpresa nei minimi dettagli e non avevo intenzione di spaventarla e rovinare la serata pronunciando due paroline parecchio importanti.

Per stemperare la tensione e per distrarmi, le offrii un bicchiere di vino e poi un altro. Senza rendercene conto, presto consumammo quasi l’intera bottiglia e toccammo a stento la torta.

Bonnie aveva appena smaltito il vino bevuto in precedenza e tornò brilla nel giro di poco. Io ero più che abituato e quei bicchieri non mi fecero quasi effetto.

Sciolsero i nervi, nient’altro.

E sciolse decisamente anche la sua parlantina.

Mi raccontò dell’adorazione che suo padre aveva per me e della sua segreta speranza che finissimo insieme un giorno e io evitai di farle notare che non era proprio un mistero.

Raccontò di come si era trattenuta più di una volta dal riferirgli molti dei miei scherzi e la ringraziai perché avrei rischiato di trovarmi con un occhio nero.

Mi domandò come avessi vissuto i miei diciott’anni, come fosse andata la mia festa.

Allora mi lanciai in una dettagliata descrizione del casino che avevo combinato, invitando tutti a casa mia per fare un dispetto a mio padre.

La verità era che non mi ero affatto goduto la mia maggiore età: in rotta con Giuseppe, incastrato in un futuro che non desideravo con un fratello minore che sembrava sceso da cielo per rendermi la vita un inferno.

Ricordavo la sensazione di vuoto che avevo provato quel giorno, privo di ogni aspettativa.

Nessuna speranza per il college, nessuna voglia di iniziarlo, consolato solo dall’idea di trasferirmi al campus.

Avevo scelto la facoltà sulla scia delle pressioni di mio padre (lui si era laureato in economia e si aspettava lo stesso da me)  e neanche mi ero sprecato di cercare un ateneo valido, sebbene avessi le capacità per ambirvi.

Nella mia pigrizia, Dalcrest era stata l’alternativa più adatta.

Ma non volevo annoiare Bonnie con chiacchiere tristi sul mio passato e proseguii con gli aneddoti su quell’assurdo diciottesimo.

“Ok, adesso basta” le imposi togliendole dalla mani la bottiglia “Non esagerare”.

“Che c’è? Sto bene, sono solo un po’ allegra” s’imbronciò.

“Appunto”.

“È il mio compleanno” obiettò “Ogni mio desiderio è un ordine”.

“Allora desidera qualcos’altro, perché con questo hai chiuso per stasera”.

“Posso desiderare tutto quello che voglio?”.

“È il tuo compleanno” le feci il verso.

Quella provocazione fu accolta più che calorosamente e mi ritrovai Bonnie in braccio nel giro di pochi secondi.

Non mi lamentai del suo slancio e mi godetti quell’impetuosa affettuosità che era sempre mancata a Bonnie da sobria.

Era dolce e si scioglieva per le mie carezze, ma raramente prendeva l’iniziativa e mai si era mostra così disinibita.

Non mi feci scappare l’occasione e la spinsi sulla coperta, senza staccare le mie labbra dalle sue. La situazione s’infiammò in un momento, quando sentii le sue mani togliermi la giacca e le mie scattarono sulle sue gambe fino all’orlo del suo vestito.

Lei sospirò, incitandomi a continuare.

Da più di un mese ormai non facevamo che stuzzicarci e basta e iniziavo a diventare matto. Non glielo avevo mai rivelato per non metterle troppe pressione addosso, troppe aspettative, ma sinceramente ero sull’orlo della pazzia.

Volevo quella ragazzina, volevo sentirla gemere il mio nome, volevo vederla sudare e contorcersi per me.

Io non l’avrei mai sporcata, le avrei lasciato comunque la sua purezza, perché non si trattava di una mera questione fisica, c’era qualcosa di gran lunga più profondo: sentimenti sinceri.

Niente sotterfugi, niente dietrologie o piani ossessivi.

La scommessa era lontana dalla mia mente, nemmeno la consideravo più. Era stato semplicemente un modo per avvicinarmi a lei, una mossa meschina che mi aveva segnato e cambiato in meglio.

Senza quel progetto diabolico, quella meravigliosa creatura non sarebbe mai finita tra le mie braccia.

Mi staccai dal suo corpo e lei protestò.

“Letto” boccheggiai.

“Cosa?”.

“Letto, ci serve un letto. Andiamo in camera mia. Sage è dai suoi genitori”.

Arruffai la coperta e il resto in un sacco, afferrai la mano di Bonnie e corremmo per il corridoio verso i dormitori.

Appena chiusi la porta della mia stanza alle nostre spalle, riprendemmo dove ci eravamo interrotti, solo che questa a volta, sul pavimento, finì il suo vestito.

Le baciai il mento, il collo, le spalle, mentre le sue mani mi slacciavano con foga i bottoni della mia camicia.

Fu in quel momento che capii che qualcosa non andava: Bonnie, da sobria, avrebbe faticato molto per sfilarli dalle asole, si sarebbe attorcigliata con le sue stesse dita.

Tutta quella intraprendenza e confidenza non erano da lei, ma erano dovute all’alcol. E la mia coscienza irruppe prepotentemente (e non richiesta) sulla scena, obbligandomi a fermarmi.

“Continua, Damon” mi pregò Bonnie con una voce così impaziente da farmi tremare le gambe e qualcos’altro.

“Uccellino” la chiamai “Sei ubriaca”.

“No” mugugnò “Sono euforica”.

“E io sono un coglione” sentenziai “E uno sfigato e rimpiangerò questa decisione per il resto della mia vita ma…è meglio se ti rivesti”.

Lei si tirò sui gomiti “Che cosa c’è che non va?”.

“Non sei in te” le spiegai con calma “Tu non sei davvero pronta per questo passo”.

“So che cosa sto facendo e mi va…ti giuro che mi va. Dai, torna qui”.

“Non m’incanti, ragazzina” la stroncai “Adesso sei tutta una fuoco, ma domani mattina ti sveglierai e mi prenderai a calci con i tuoi tacchi per essermi approfittato di te”.

Questa sarebbe entrate negli annali di storia: Damon Salvatore che cercava di convincere una ragazza a tenersi gli abiti addosso.

“C’è un motivo se siamo qui, ora” mi disse alzandosi in piedi dal letto. Mi venne incontro e posò le mani sul mio viso “C’è un motivo se sono in biancherai intima davanti a te, se sta succedendo proprio con te. Capiscimi quando ti dico che c’è un motivo” insistette, calcando sulle ultime parole come a far trasparire un messaggio.

Messaggio che recepii benissimo, dato che provavo esattamente lo stesso “E c’è un motivo se io mi sto trattenendo” le assicurai “Se sei davvero convinta, non cambierà niente oggi o domani. Non ho nessun problema a rotolarmi nudo con te tra le lenzuola, uccellino, ma cerchiamo di essere entrambi lucidi quando accadrà”.

Non sembrava molto d’accordo. Alla fine mi diede retta e raccolse il suo vestito da terra. Le bloccai il polso. Mi guardò stranita.

Andai verso il mio armadio e tirai fuori una mia vecchia maglietta.

“Rimani con te stasera. Dormi con me” le proposi.

Bonnie annuì sorridendo e indossò il magliettone.

Una volta cambiatomi, la raggiunsi nel letto. Potei constatare che era già addormentata.

“E tu volevi fare la trasgressiva stanotte, eh?” commentai sarcastico, stendendomi accanto a lei.

Ripensai alle sue parole, a quel suo c’è un motivo.

Non potevo dire con certezza quale fosse la sua ragione, ma conoscevo perfettamente la mia: mi stavo innamorando.

 

Il mio spazio:

Sono in super ritardo e in super fretta.

In definitiva sono un disastro!

Beh, spero che questo capitolo compensi un po’ la lunga attesa.

Ho voluto inserire il compleanno perché nella serie tv abbiamo visto quello di Elena e di Caroline, ma non il suo…stranamente messo da parte.

A proposito di serie tv, avete visto l’ultimo episodio? La fine? Io sono ancora al settimo cielo. Spero che a ottobre non deludano tutte le mie aspettative.

Passando al capitolo, troppo sdolcinato? Ho pensato di sbottonarmi un po’ in questa circostanza, perché mancano solo tre capitoli alla fine e i guai attendono dietro l’angolo.

Ho letto tutte le vostre recensioni e vi ringrazio tantissimo! Come al solito sono in ritardo con le risposte, ma domani provvederò a sistemare.

Grazie infinite!

Buona serata,

Fran;)

  
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